Imprenditore individuale deceduto: come funziona la successione per la ditta?

Cosa avviene nel caso in cui l’imprenditore individuale muoia e gli eredi vogliano continuare l’attività? In prima battuta, con la morte del titolare, l’impresa individuale cessa facendo spazio alla comunione ereditaria. Quest’ultima, conosciuta anche come “incidentale”, sopraggiunge a prescindere dalla volontà degli eredi. Infatti, gli eredi succedono nella stessa eredità, composta contemporaneamente da tutti i beni e anche dall’azienda individuale stessa.

Successione aziendale: la comunione ereditaria

La comunione ereditaria, ai sensi dell’articolo 485 del Codice civile, inizia quando i chiamati accettano l’eredità. Se l’impresa si eredita come comunione, non diventa automaticamente una società. Infatti, in regime di comunione, gli eredi partecipano:

  • alla mera amministrazione della società;
  • al godimento diretto e indiretto;
  • alla gestione meramente strumentale dei beni ereditati.

Impresa individuale, gli eredi non proseguono l’attività

Nel caso in cui gli eredi non intendano proseguire l’attività individuale, trova applicazione la lettera h-bis dell’articolo 67 del Testo unico sulle imposte sui redditi (Tuir) che disciplina i redditi diversi. In tal caso, da un punto di vista fiscale, l’Irpef sarà dovuta solo in caso di cessione dei singoli beni aziendali o dell’impresa nel suo complesso.

Tassazione pro-quota eredi

L’importo da dichiarare sarà dato dalla differenza tra il corrispettivo della cessione e il valore fiscalmente riconosciuto dei beni dell’azienda che fanno capo all’imprenditore deceduto. La plusvalenza realizzata verrà tassata pro-quota tra gli eredi, secondo il criterio di cassa, al pari di quanto succede per la generalità dei redditi diversi.

Azienda individuale tra gli eredi, è necessaria la regolarizzazione entro un anno

Se gli eredi del titolare dell’azienda sono più di uno e manifestano la volontà di continuare l’attività dell’impresa, la comunione ereditaria si assimila a una società di fatto. In altre parole sorge una società di fatto tra gli stessi eredi. La società ereditata, in questo caso, deve essere regolarizzata entro un anno in una società di persone o di capitali. A tal proposito, la Sezione V della Corte di Cassazione si è espressa con la sentenza numero 14889 del 17 novembre 2000. Nella decisione si presume che l’impresa individuale, alla morte del titolare, non cessi con una necessaria fase di liquidazione. L’attività continua nella forma di comunione, in mancanza di atti formali che facciano configurare una società di fatto tra i chiamati all’eredità.

Successione d’azienda: cosa significa società di fatto?

Non essendosi costituita per atto scritto e non essendo iscritta nel registro delle imprese della Camera di Commercio, la società di fatto è una società irregolare. La società di fatto è regolata dalle disposizioni inerenti alle società semplici fino al momento in cui non si provvederà a presentare iscrizione al registro delle imprese. In questo regime, la società di fatto ha minore autonomia patrimoniale rispetto alle società registrate.

Società di fatto e possesso di immobili

Il rispetto del termine di un anno per la regolarizzazione è, inoltre, fondamentale nel caso in cui l’azienda individuale sia proprietaria di immobili. In questo caso, gli eredi potranno usufruire della tassazione fissa ma, al superamento del termine, verranno applicate le consuete imposte proporzionali con eventuali sanzioni.

Nomina rappresentante legale della comunione

Passaggio fondamentale nel regime di comunione è la nomina del rappresentante legale secondo quanto prevedono gli articoli 1105 e 1106 del codice civile. In particolare, l’articolo 1106 disciplina che “l’amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell’amministratore”. Inoltre, l’amministratore della comunione è un mandatario avente posizione giuridica in conseguenza proprio della delega, atto con il quale viene conferito l’incarico da parte dei comunisti.

Comunicazione all’Agenzia delle entrate

Nel caso in cui gli eredi intendano continuare l’attività, dunque, è necessaria la registrazione con la comunicazione all’Agenzia delle entrate. Il rappresentante legale della comunione ereditaria deve inoltrare, nel termine dei trenta giorni dalla morte dell’imprenditore, la modifica dei dati Iva indicando contestualmente gli identificativi della comunione ereditaria. In genere, la denominazione si attua nella forma di “Comunione ereditaria di” oppure “Eredi di”, facendo seguire il nome dell’imprenditore defunto.

Modelli da compilare all’Agenzia delle entrate

Il modello da utilizzare all’Agenzia delle entrate è l’AA7, con indicazione del numero 23 corrispondente alle società semplice ed equiparate. Si dovrà inoltre compilare il quadro D selezionando la casella della successione ereditaria (1E) e indicare la partita Iva dell’imprenditore defunto per la sua cancellazione. Nel caso in cui gli eredi dovessero decidere di non continuare l’attività dovrà essere compilato il modello AA9 da uno degli eredi. In questo caso la dichiarazione da fornire è quella di cessazione di attività.

Casi particolari di liquidazione

Nel caso in cui l’attività di liquidazione si presentasse complessa e non potendosi perfezionare nel breve termine, dovrà essere compilato il modello AA9, ma la partita Iva dell’imprenditore defunto non dovrà essere cessata. Nel modello si procederà alla variazione dei dati con l’indicazione del rappresentante della comunione. Il modello serve, dunque, per la comunicazione del decesso.

Simulatore pensioni Inps: come funziona

Il sito istituzionale dell’Inps mette a disposizione un servizio gratuito per simulare quale sarà la propria pensione futura, ovvero quanto si andrà a prendere di pensione nel momento in cui terminerà la propria attività lavorativa. Il calcolo si fonda su tre elementi della normativa previdenziale, ovvero l’età, la storia lavorativa e la retribuzione (o reddito).

La mia pensione futura Inps: a chi è rivolto il servizio

Possono usufruire del servizio “La mia pensione futura”:

  • i lavoratori che abbiano contributi versati al Fondo pensione dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori che abbiano contributi versati alla Gestione Separata Inps;
  • gli iscritti alla Gestione dirigenti di aziende industriali;
  • i lavoratori che abbiano versato contributi ad altri fondi amministrati dall’Inps.

Cosa permette di sapere il simulatore delle pensioni Inps

Il simulatore delle pensioni Inps permette di:

  • controllare i versamenti fatti all’Inps e di comunicare all’Istituto previdenziale eventuali periodi di contribuzione che mancano tramite la funzione di segnalazione contributiva;
  • conoscere la data nella quale presumibilmente maturi la pensione di vecchiaia o quella anticipata;
  • stimare l’importo della pensione futura senza tener conto dell’inflazione (funzione “a moneta costante”);
  • ottenere il tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’ultimo stipendio percepito e la prima rata di pensione.

Pensione futura, prevedere scenari di variazione della propria retribuzione

Con il servizio della futura pensione dell’Inps è possibile prevedere anche variazioni della propria situazione lavorativa futura o dell’economia nel medio e lungo termine. Le previsioni sono particolarmente indicate per i contribuenti più distanti dall’uscita da lavoro e si basano sulla possibilità:

  • di ipotizzare la sospensione del lavoro, ovvero di inserire la data nella quale si prevede di interrompere l’attività lavorativa;
  • di modificare le previsioni sul Prodotto interno lordo futuro. Ad esempio, modificare le previsioni dell’1,5% di Pil all’1% di incremento nel medio e lungo periodo;
  • di modificare l’andamento della propria retribuzione o del reddito annuale con valori da 0 a +5%;
  • di scegliere il fondo sul quale basare la propria simulazione.

Costruire la futura pensione confrontando diversi scenari

Per i contribuenti più indecisi sulla data del pensionamento, è possibile modificare i parametri della simulazione. Ad esempio, si può:

  • calcolare la futura pensione verificando l’incidenza di retribuzioni diverse. Si può, in altre parole, modificare la retribuzione dell’anno in cui si utilizza il servizio e verificare l’andamento percentuale annuo;
  • si può verificare cosa succede se si posticipa la data presunta del pensionamento (quanto si guadagna di pensione se si rimane ancora a lavoro?);
  • modificare entrambe le variabili, retribuzioni e data di uscita da lavoro, che possono essere combinate per verificare la soluzione più conveniente.

Come accedere e utilizzare il servizio Inps ‘La mia pensione’

Per poter utilizzare il servizio online La mia pensione è necessario andare sul sito dell’Inps nella sezione “Prestazioni e servizi – La mia pensione futura: simulazione della propria pensione” e scorrere alla voce “Accedi al servizio”. In alternativa, non appena si apre la pagina Inps, è possibile direttamente l’accesso dalla sezione “Vai a MyInps”. L’autenticazione è possibile combinando il codice fiscale con il Pin rilasciato dall’Istituto previdenziale, con l’identità Spid almeno di secondo livello, con la Carta di identità elettronica 3.0 (Cie) oppure con una Carta nazionale dei Servizi (Cns).

Come calcolare la pensione futura: caso concreto sul sito Inps

Dopo aver fatto l’accesso e confermato le informazioni sulla privacy, la prima pagina del servizio Inps per il calcolo della pensione futura riepiloga la posizione contributiva fino al giorno dell’accesso da parte del richiedente mediante l’estratto conto previdenziale. Per andare avanti, è necessario selezionare nella parte in basso la casella nella quale si dichiara di aver preso visione della propria situazione contributiva.

Come funziona il simulatore delle pensioni Inps?

La pagina successiva è quella di maggiore interesse per il calcolo della pensione futura. Infatti sono presenti due specchietti, corrispondenti alle presunte uscite da lavoro con la pensione di vecchiaia o con la pensione anticipata. In corrispondenza delle due colonne sono presenti anche gli importi mensili lordi delle pensioni previsti con il meccanismo di uscita prescelto (vecchiaia o anticipata). Ulteriore informazione presente per le due formule di pensione è quella dell’ultima retribuzione rispetto al reddito lordo stimato (pensione lorda futura). Dal rapporto di questi due valori il sistema restituisce il tasso di sostituzione, ovvero a quanto ammonta la pensione futura rispetto all’ultimo stipendio percepito a lavoro.

Quale sarà l’importo della pensione futura rispetto all’ultimo stipendio?

Il valore del tasso di sostituzione lordo indicato in corrispondenza della pensione di vecchiaia è normalmente più alto dello stesso valore iscritto nella pensione anticipata. Questo andamento si può spiegare con il meccanismo di calcolo delle pensioni che tiene conto sia degli anni di contributi versati che dell’età di uscita effettiva da lavoro. Infatti, con la pensione di vecchiaia, attualmente a 67 anni, si dovrebbe accumulare un numero di anni di contributi più alto della pensione anticipata.

Pensione di vecchiaia o pensione anticipata, quale conviene?

La pensione anticipata è maturabile, con le attuali regole previdenziali, per gli uomini con 42 anni e 10 mesi di contributi e per le donne con 41 anni e 10 mesi. Inoltre, il coefficiente di trasformazione è variabile in base all’anno di uscita: più è alta l’età, maggiore è l’indice di calcolo delle pensioni. Proprio il coefficiente concorre, insieme al Prodotto interno lordo, a trasformare il montante dei contributi versati in pensione futura.

Pensione futura: quanto incidono retribuzioni e Pil?

I valori indicati nella pagina della pensione futura, tuttavia, sono indicativi della situazione attuale proiettata nel futuro, ipotizzando crescite costanti della retribuzione e del Prodotto interno lordo. Un calcolo più realistico si può ottenere inserendo un valore del Pil più basso e, sicuramente, più in linea con l’andamento attuale dell’economia. Inoltre, si presume che il lavoro che si svolge abbia un andamento, in termini delle ultime retribuzioni percepite, di crescita fino alla pensione. Il valore, dunque, può essere modificato a seconda della propria situazione per renderlo più aderente al reale andamento retributivo.

Come modificare la retribuzione nel calcolo della pensione futura Inps?

Proprio in previsione di variazioni della retribuzione è possibile, nella parte bassa della pagina, modificare il reddito di partenza della simulazione. Dunque per migliorare la precisione della proiezione della futura pensione, si potrebbe inserire l’attuale retribuzione annuale lorda se diversa o in previsione differente rispetto a quella per la quale l’Inps ha già fatto la sua previsione. Le retribuzioni inerenti agli anni futuri verrebbero costruite a partire dal valore di retribuzione annuale indicato, con i consueti criteri di crescita delle retribuzioni stesse e dell’andamento del Prodotto interno lordo.

Regime forfettario con più attività, come si calcola il reddito imponibile con diversi codici Ateco?

Uno dei quesiti più ricorrenti per chi voglia aprire un nuovo business riguarda la possibilità di svolgere più attività con la stessa partita Iva. In altre parole, è possibile che nella stessa partita Iva siano iscritti due differenti codici Ateco. L’informazione è particolarmente importante per il  calcolo del reddito imponibile ai fini del limite di fatturato necessario per chi rientri nel regime forfettario. Ma anche per l’applicazione della tassazione unica del 15%.

Apertura di partita Iva con più attività

In generale, già all’atto dell’apertura della partita Iva, il titolare può scegliere, nella compilazione del modello AA9\12, più codici Ateco corrispondenti a diverse attività. Per ogni codice alfanumerico verrà identificata la relativa attività che il titolare della partita Iva svolgerà. Le attività possono essere classificate come principali e accessorie. Uno degli esempi più ricorrenti è quello di un professionista che lavori a più attività professionali.

Più codici Ateco con la stessa partita Iva: il caso del forfettario

Anche i titolari di partita Iva rientranti nel regime forfettario hanno la possibilità di svolgere più attività, con diversi codici Ateco, ma devono prestare attenzione alle regole connesse alla corretta applicazione del limite di fatturato e al calcolo della base imponibile sulla quale verrà applicata l’imposta fissa sostitutiva del 15% (o del 5% per le nuove attività per un limite massimo di cinque anni).

Limite di fatturato unico per le partite Iva del forfettario

Il limite del fatturato è una delle condizioni necessarie per mantenere il regime forfettario della partita Iva. Per la stessa partita Iva con più codici Ateco (e dunque per più attività), dal 1° gennaio 2019 è necessario che il limite di fatturato all’anno sia unico per tutte le attività della partita Iva, indipendentemente dai codici Ateco riportati. Pertanto, i compensi o i ricavi ottenuti dalle varie attività devono avere il limite complessivo di 65.000 euro all’anno, il tetto previsto per le partite Iva aderenti al regime forfettario.

Limite di 65.000 euro per la somma delle attività di una stessa partita Iva

Ciò significa che è necessario calcolare i due o più fatturati derivanti dalle fatture emesse corrispondenti alle diverse attività e moltiplicarne, per ciascuno, il totale per il coefficiente di redditività previsto per ogni codice Ateco. Nel quadro Lm del modello Unico, il contribuente dovrà iscrivere tutte le attività esercitate con i rispettivi codici Ateco e i fatturati conseguiti. La somma dei fatturati, che determina il guadagno totale, non dovrà essere superiore ai 65.000 euro.

Quadro LM modello Unico, quando le attività della partita Iva vanno inserite nello stesso rigo

Nel caso di più codici Ateco corrispondenti a un’unica partita Iva, si dovranno fare alcune distinzioni. In primis, per più attività dello stesso settore, è richiesta l’iscrizione di un unico rigo con il codice Ateco dell’attività stessa. Il totale dei compensi o guadagni conseguiti dovrà andare nello stesso rigo, in quanto anche se trattasi di differenti codici Ateco, le varie attività avranno lo stesso coefficiente di redditività e dunque non si creerebbe la possibilità di confusione. Ad esempio, il commerciante all’ingrosso che è anche commerciante ambulante di prodotti alimentari e di bevande ha, per le due attività, lo stesso coefficiente di redditività pari al 40%.

Stessa partita Iva con due o più attività rientranti in settori diversi: cosa fare

Diverso è il caso di una partita Iva nella quale siano iscritti più codici Ateco con attività appartenenti a diversi settori. È il caso, ad esempio, del commerciante che è anche professionista. Per queste situazioni, è necessario compilare un rigo per ogni gruppo di settore di attività. Pertanto, il commerciante che è anche professionista dovrà compilare due righe nel quadro LM del modello Unico, corrispondenti alle due attività rientranti nei diversi settori.

Calcolo reddito imponibile per più attività di diversi settori: un caso concreto

Il reddito imponibile da calcolare da diversi codici Ateco rientranti in diversi settori della stessa partita Iva, dovrà dunque essere quantificato in maniera esatta considerando i diversi coefficienti di redditività. Ad esempio, un contribuente con partita Iva aderente al regime forfettario con due codici Ateco corrispondenti a diverse attività, una del commercio e l’altra di consulenza, dovrà calcolare due basi imponibili sulle quali applicare un diverso coefficiente.

Imponibile partita Iva con più codici Ateco

Ammettiamo che dall’attività di commercio, il contribuente abbia ricavato 40.000 euro nell’anno di riferimento, e dall’attività di consulenza 20.000 euro. La somma di quanto guadagnato nell’anno (60.000 euro) permette al contribuente di mantenere la partita Iva con regime forfettario. Ciò avviene perché non è stato superato il limite del 65.000 euro previsto per tutte le attività. Tuttavia, il calcolo della base imponibile dovrà essere diversificato in quanto per le due attività sono previsti due coefficienti di redditività diversi. Per la prima attività è del 40% di coefficiente di redditività, mentre per quella di consulenza è del 78%. Pertanto la base imponibile dell’attività di commercio sarà 40.000 x 40% = 16.000, quella per l’attività di consulenza sarà di 20.000 x 78% = 15.600 euro.

Determinazione del reddito netto tra più attività

Al netto delle specifiche regole delle due diverse casse di previdenza, quella dei commercianti e quella dei professionisti, si dovrà procedere con la determinazione del reddito netto. Pertanto, dalla somma delle due basi imponibili andranno dedotti i contributi previdenziali obbligatori. Al reddito imponibile ottenuto, dovrà essere applicata la percentuale unica del 15% (o del 5% per le nuove attività) che costituisce l’ammontare di tasse da pagare per la partita Iva.

Come si aggiunge un codice Ateco a una Partita Iva?

Scegliere il codice Ateco giusto per la descrizione della propria attività è, senza dubbio, uno dei crucci da affrontare in particolare all’atto dell’apertura della partita Iva. Il codice Ateco rappresenta una tipologia di classificazione delle attività economiche basata su una combinazione alfanumerica.

Che cos’è il codice Ateco?

La classificazione dei codici Ateco (o anche codice attività) è utilizzata dall’Istat per le rilevazioni di carattere economiche. Per ogni attività economica classificata esiste un codice le cui lettere indicano il macro settore dell’attività economica, mentre i numeri descrivono, via via, le sottocategorie. Il codice attività è particolarmente importante all’apertura di una nuova partita Iva. È infatti indispensabile comunicare all’Agenzia delle Entrate il tipo di attività che si andrà a svolgere con la nuova posizione lavorativa. La scelta del codice giusto deriva, pertanto, da un’accurata ricerca per identificare il codice che maggiormente descrive la nuova attività.

A cosa serve il codice Ateco?

In prima battuta, il codice Ateco serve a identificare il tipo di attività della partita Iva in apertura. In particolare, l’attribuzione del codice giusto è importanti ai fini del controllo dell’Agenzia delle Entrate e della Camera di commercio per le imprese. Attraverso il codice alfanumerico si riesce a determinare la categoria statistica, contabile e fiscale della partita Iva. Inoltre, il codice è necessario anche in ambito di sicurezza del lavoro ai fini Inail: in questo caso, il codice attività identifica il rischio connesso al tipo di attività svolta.

Come scegliere il codice Ateco giusto?

La scelta del codice Ateco parte dalla descrizione dell’attività nella maniera più chiara possibile. Sul sito dell’Istat, nella sezione “Classificazione delle attività economiche Ateco 2007”, è possibile utilizzare gli strumenti per individuare il codice alfanumerico giusto. Nella pagina di ricerca del codice Ateco dell’Istat, è necessario inserire nel primo spazio disponibile la descrizione dell’attività (“Individua un codice attività”). La descrizione sintetica porterà a un risultato di ricerca che potrà essere confermato. Ad esempio, inserendo nel campo di ricerca “barista”, il risultato che il sito restituisce, da confermare, è il codice “56.30.00″, con la descrizione dell’attività corrispondente a “Bar e altri esercizi simili senza cucina”. 

Ricerca codice Ateco sul sito Istat

Tra le opzioni di ricerca del codice Ateco sul sito Istat è possibile procedere anche con la ricerca per codice di attività, ovvero avendo già il codice è possibile sapere a quale tipologia di attività corrisponda. Infine, le possibilità di ricerca permettono di poter procedere per aggregati andando, di volta in volta, a spacchettare il gruppo omogeneo per arrivare al codice preciso. Questa tipologia di ricerca è utile soprattutto quando non si ha una professione ben definita e si voglia arrivare al codice Ateco andando a identificare esattamente il tipo di attività da svolgere.

Come cercare il codice Ateco, un esempio pratico

Volendo cercare il proprio codice Ateco da una generica descrizione della propria attività, ad esempio allevatore di bovini da latte, è necessario procedere partendo dal gruppo più omogeneo, ovvero quello dell’Agricoltura, silvicoltura e pesca. All’interno del gruppo, che Ateco 2007 classifica con il primo codice “01”, è necessario andare a cliccare sul “+” per spacchettare il settore ed entrare più nello specifico. All’interno della classificazione, si va a selezionare la macroarea più corrispondente, ovvero quella dell'”allevamento di animali”, alla quale fa capo il codice 01.4.

Codici Ateco, come rendere la ricerca il più precisa possibile

Cliccando sul “+” di questa voce, la ricerca entra più nel dettaglio andando a individuare la voce più precisa, corrispondente all’attività “Allevamento di bovini da latte” con codice 01.41. Il passaggio successivo (cliccando nuovamente sul “+”) serve a individuare più capillarmente l’attività, corrispondente ad “Allevamento di bovini e bufale da latte, produzione di latte crudo”, alla quale corrisponderà il codice Ateco definitivo 01.41.00, che fornirà una descrizione completa di tutta l’attività con le varie ipotesi di esclusione (perché corrispondenti ad altre attività e ad altri codici Ateco). Nel nostro caso, sono escluse le attività svolte per conto terzo o le lavorazioni del latte all’esterno dell’azienda.

Perché il codice Ateco è importante per le partite Iva forfettarie?

Il codice Ateco è fondamentale soprattutto per il calcolo del reddito netto delle partite Iva ricadenti nel regime forfettario. Infatti, a ogni codice di attività è assegnato un coefficiente di redditività, variabile dal 40 all’86%. Fino al 2018 alle diverse attività era assegnato anche un diverso limite di fatturato. Ma dal 2019, con le modifiche fatte al regime forfettario delle partite Iva, il limite di fatturato per tutte le partite Iva è pari a 65.000 euro, con applicazione dell’imposta unica del 15% (del 5% per le nuove attività e per i primi cinque anni).

I codici Ateco per la partita Iva forfettaria

I codici Ateco attualmente in vigore e i coefficienti di redditività corrispondenti sono i seguenti:

  • Industrie alimentari e delle bevande, codici Ateco 10 e 11, coefficiente di redditività del 40%;
  • commercio all’ingrosso e al dettaglio, codici Ateco 45; da 46.2 a 46.9; da 47.1 a 47.7; 47.9; coefficiente del 40%;
  • commercio ambulante e di prodotti alimentari e bevande, codice Ateco 47.81, coefficiente di redditività 40%;
  • commercio ambulante di altri prodotti, 47.82-47.89, coefficiente del 54%;
  • costruzioni e attività immobiliari, 41; 42; 43; 68; coefficiente 86%;
  • intermediari del commercio, codice Ateco 46.1, coefficiente 62%;
  • attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, codici 55 e 56, coefficiente 40%;
  • attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari ed assicurativi, codici 64; 65; 66; 69; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 85; 86; 87; 88; coefficiente 78%;
  • altre attività economiche, codici Ateco 01; 02; 03; 05; 06; 07; 08; 09; 12; 13; 14; 15; 16; 17; 18; 19; 20; 21; 22; 23; 24; 25; 26; 27; 28; 29; 30; 31; 32; 33; 35; 36; 37; 38; 39; 49; 50; 51; 52; 53; 58; 59; 60; 61; 62; 63; 77; 78; 79; 80; 81; 82; 90; 91; 92; 93; 94; 95; 96; 97; 98; 99; coefficiente di redditività del 67%.

Partita Iva, come si calcola il reddito netto nel regime forfettario?

1Il regime forfettario delle partite Iva è un regime fiscale agevolato, applicato alle persone fisiche esercenti delle attività di impresa, arti o professioni. Introdotto dalla legge di Stabilità 2015, il regime forfettario è stato modificato negli anni successivi per rivedere le semplificazioni ai fini Iva e contabili. Tuttavia, la novità più importante è la determinazione forfettaria del reddito sul quale calcolare un’unica imposta in sostituzione di quelle previste nel regime ordinario. Con la legge di Bilancio 2020, infatti, si è arrivati a una disciplina che ha introdotto nuovi requisiti di accesso e cause di esclusione, oltre a un sistema premiale per chi utilizza la fatturazione elettronica.

Regime forfettario, i requisiti di accesso secondo le regole 2020

Possono accedere al regime forfettario le partite Iva che nel precedente anno abbiano conseguito:

  • sia un volume di ricavi o percepito compensi che non superino i 65.000 euro (nel caso in cui si esercitino più attività ricadenti in differenti codici Ateco è necessario considerare la somma dei ricavi e dei compensi delle diverse attività);
  • che un volume di spese non eccedenti l’importo di 20.000 euro lordi. Nelle spese vanno ricomprese quelle del lavoro accessorio, dipendente o collaborativo anche a progetto, gli utili da partecipazione agli associati che apportino il solo lavoro e le somme erogate per prestazioni rese dall’imprenditore o dai suoi famigliari.

Partita Iva, reddito e tassazione dei forfettari

Le partite Iva che rientrino nel regime forfettario determinano il reddito imponibile applicando, al totale dei compensi percepiti o dei ricavi conseguiti, il coefficiente di redditività previsto per la propria attività. Nel dettaglio, i coefficienti di redditività previsti sono i seguenti:

  • industrie alimentari e delle bevande, 40%;
  • commercio all’ingrosso e al dettaglio, commercio ambulante di prodotti alimentari e bevande, 40%;
  • commercio ambulante di altri prodotti, 54%;
  • costruzioni e attività immobiliari, 86%;
  • intermediari del commercio, 62%;
  • attività di servizi di alloggio e di ristorazione, 40%;
  • attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari e assicurativi, 78%;
  • altre attività economiche, 67%.

Regime forfettario, come si determina il reddito imponibile

Dal reddito che si è determinato forfettariamente applicando il coefficiente di redditività al totale dei ricavi, si deducono i contributi previdenziali obbligatori, inclusi quelli corrisposti per conto dei collaboratori dell’impresa famigliare. Al reddito imponibile ottenuto si applica l’imposta fissa del 15% che va a sostituire quelle ordinariamente previste, ovvero le imposte sui redditi, le addizionali regionali e comunali e l’Irap.

Calcolo del reddito imponibile nel regime forfettario partite Iva: un esempio

Per sapere quante tasse dovrà pagare una partita Iva del regime forfettario, il primo passo da fare è quello di determinare il reddito imponibile, sul quale si applicherà il 15% dell’imposta unica. A tal fine è necessario conoscere il codice Ateco della propria partita Iva, al quale corrisponde un coefficiente di redditività, ovvero una percentuale che si dovrà andare a moltiplicare al totale dei compensi ottenuti nell’anno di riferimento.

Partita Iva, calcolo imposta da pagare con regime forfettario

Pertanto, se il codice Ateco della partita Iva è del 78% e il guadagno lordo annuo derivante dall’attività è pari a 30.000 euro, il reddito imponibile è pari al prodotto tra 30.000 e 78%. Il risultato, 23.400 euro, costituisce il reddito imponibile. A quest’ultimo dovranno essere sottratti i contributi versati: ipotizzando che siano pari a 8.000 euro, occorrerà sottrarre 23.400 – 8.000 = 15.400 euro. Le tasse che si dovranno pagare per un guadagno annuo di 30.000 euro di una partita Iva a regime forfettario saranno pari a 2.310 euro, valore dato dal rapporto tra 15.400 euro e il 15%.

I ricavi nel reddito imponibile dei forfettari

Il totale dei ricavi e dei compensi devono  far riferimento al principio di cassa e non a quello di competenza. Ciò vuol dire che devono essere considerati solo i ricavi effettivamente incassati nell’arco dell’anno oggetto di imposta. Pertanto, chi richiede un pagamento alla fine dell’anno ma lo incassi sul conto corrente solo all’inizio dell’anno dopo, dovrà conteggiarlo tra i ricavi dell’anno successivo.

Impossibilità di scaricare le spese deducibili nel regime forfettario

L’applicazione del coefficiente di redditività, derivante da percentuali introdotte nel 2015 in occasione del nuovo regime forfettario, non consente di considerare deducibili le spese che normalmente “si scaricano”. Pertanto, la scelta del regime forfettario ha molta convenienza nel caso in cui non si spendano cifre molto alte per la gestione dell’attività stessa. In caso contrario potrebbe essere più conveniente optare per il regime di partita Iva semplificato o per quello ordinario.

Imposta ridotta al 5% per chi avvia una nuova attività

L’imposta ridotta al 5% nei primi cinque anni di attività è riservata a coloro che avviano una nuova attività in presenza dei seguenti requisiti:

  • è necessario che il contribuente non abbia esercitato, nei 3 anni precedenti, attività professionale o d’impresa o artistica, anche in forma famigliare o associata;
  • l’attività avviata non deve costituire, in alcun modo, una mera prosecuzione di un’attività precedentemente. Quest’ultima si intende svolta da lavoratore dipendente o autonomo, ad esclusione della pratica obbligatoria necessaria per intraprendere arti o professioni;
  • nel caso in cui venga proseguita un’attività svolta precedentemente da un altro soggetto è necessario il ricalcolo dell’ammontare dei compensi. Infatti, i ricavi realizzati nel periodo di imposta precedente a quello in cui viene riconosciuto il beneficio dell’imposta ridotta non dovranno essere superiori al limite che consente l’accesso al regime forfettario.

Quali sono le tre fasi del processo di marketing management?

Il processo di marketing management può essere definito come quell’insieme di attività organizzate, programmate e controllate che, partendo dallo studio del consumatore sia a livello individuale che aggregato, sono volte al raggiungimento degli obiettivi aziendali di medio e lungo periodo attraverso la soddisfazione del cliente stesso. Le attività del processo di marketing all’interno dell’azienda possono riflettersi in una delle tre fasi previste, quella del marketing analitico, quella del marketing strategico e quella del marketing operativo.

Quali sono le fasi del marketing management?

La fase del marketing analitico prevede l’analisi delle caratteristiche dell’azienda intesa come sistema e degli elementi che sono indispensabili alla conoscenza del mercato per poter orientare le scelte e le azioni imprenditoriali. Nel marketing strategico rientrano tutte le linee strategiche aziendali e di prodotto di medio e di lungo periodo. Il marketing operativo comprende, invece, le linee strategiche aziendali di breve termine.

Marketing management, la fase analitica

Nella prima fase del marketing management, quella analitica, devono essere raccolte un certo numero di informazioni sia sull’interno dell’azienda che sul mercato. La fase di raccolta e di analisi avviene a tre livelli:

  • l’ambiente esterno;
  • il particolare business nel quale l’azienda compete;
  • il singolo consumatore e i suoi comportamenti di acquisto.

Nella fase di analisi è necessario far riferimento a varie tipologie di ambiente. Si va dall’ambiente cooperativo, ovvero quello rappresentato dai fornitori, dai distributori e, in generale, dagli stakeholder, all’ambiente economico, dall’ambiente sociale e politico, a quello giuridico e tecnologico.

Marketing, analisi e ricerca interna

L’analisi interna si focalizza sugli indicatori presenti nella realtà aziendale. Nel contesto, vanno individuati in particolare:

  • gli elementi del valore dell’azienda, i confini, le attività, le competenze chiave;
  • il posizionamento dell’azienda sul mercato;
  • i fattori del marketing mix, ovvero il prodotto, il prezzo, i canali di distribuzione e di promozione;
  • i numeri dell’azienda, ovvero il fatturato, i dati sul venduto, la distribuzione per aree geografiche, per canali, per tipologia di prodotti, per quote di mercato.

Marketing management, l’analisi esterna

L’analisi è un elemento indispensabile del moderno management, uno strumento di marketing che permette di avere a disposizione tantissimi dati dell’interno dell’azienda e dell’esterno. Nell’analisi esterna si individuano fattori che possono creare nuovi business oppure stroncarli, come la situazione legislativa e politica. Ad esempio, una legge che finanzia le energie alternative come il fotovoltaico, oppure le leggi sulla concorrenza, sulle politiche di lavoro, sulla tassazione. A livello economico, invece, è importante prestare attenzione alla situazione macroeconomica. Per un’azienda che fa esportazioni, il tasso di cambio è un elemento imprescindibile. Nel sociale l’analisi più importante da fare è quella volta a individuare le evoluzioni degli stili di vita, gli atteggiamenti, le credenze, i comportamenti. L’evoluzione tecnologica, poi, comporta la necessità di individuare soluzioni che possano impattare sul mercato e sul modello di sviluppo dell’azienda.

Analisi di mercato nel marketing management

L’analisi esterna che può dare maggiori informazioni all’azienda è quella che va a scrutare le caratteristiche del mercato in cui opera. Di sicuro, fattori fondamentali da approfondire sono rappresentati:

  • dalle analisi dei potenziali clienti;
  • dalle dimensioni del mercato, dei possibili segmenti e loro caratteristiche;
  • dal trend del mercato;
  • dagli attori presenti sul mercato;
  • dai canali di distribuzione.

Analisi della concorrenza e fattori critici di successo

Logicamente, l’analisi esterna all’azienda non può prescindere da quella dei concorrenti nella quale vanno rilevati:

  • il posizionamento, ovvero la possibilità di costruirsi una posizione nell’offerta che possa essere chiara, distinta e apprezzata nella mente dei clienti;
  • le dimensioni;
  • la quota di mercato;
  • la penetrazione;
  • la soddisfazione e la fedeltà;
  • il marketing mix (il prodotto, il prezzo, i canali di distribuzione e di promozione);
  • gli investimenti;
  • i canali di comunicazione;
  • la percezione dei clienti.

Lo studio dei fattori esterni all’azienda deve, inoltre, mirare a individuare quei fattori che, se posseduti, permettono di facilitare o di garantire il successo di un’attività. Questi fattori possono essere legati alla produzione, alla comunicazione o al commercio. Ad esempio, nel mercato del caffè da bar sono indispensabili i canali distributivi, la loro ampiezza e il rinnovo della gamma dei prodotti.

Seconda fase del marketing management: la strategia

La seconda fase del marketing management è quella strategica, relativa allo specifico business nel quale l’azienda vuole operare. Sostanzialmente si basa sulla domanda – dei clienti attuali e di quelli potenziali – e sull’offerta, ovvero sulla concorrenza. Definiti i fattori della prima fase, si passa a pianificare dunque la strategia per la realizzazione degli obiettivi partendo dal prodotto, dal prezzo, dalla distribuzione e dalla promozione. Ma ancor prima di avere una percezione di prezzo e di prodotto, è opportuno utilizzare la matrice Swot nella quale devono essere definiti, in maniera chiara e precisa, i punti di forza e di debolezza dell’azienda, le opportunità e le minacce. Ovvero di tutti quei fattori che possono rafforzare la politica di prodotto e di prezzo adottati dall’azienda.

Segmentazione del mercato e targeting

La segmentazione del mercato, nella fase di marketing strategico, consente di individuare quelle aree o quei segmenti all’interno del mercato utilizzando più variabili. Viene in aiuto la costruzione di tre assi nel raggruppamento dei clienti, ovvero:

  • a chi ci si rivolge;
  • per quali bisogni, ovvero cosa si vuole offrire;
  • con quali tecnologie, ovvero come si vuole realizzare.

Il maggiore e minore successo di una strategia di marketing dipenderà dalla corretta individuazione dei clienti per diversi fattori, come:

  • demografici, ovvero per età, reddito, sesso, livello di istruzione, generazione, dimensione della famiglia;
  • per aree geografiche;
  • elementi psicologici, ovvero stili di vita e valori;
  • comportamento, ovvero chi è il responsabile degli acquisti? per quale motivo compra il prodotto? quali sono i benefici attesi? quale livello di fedeltà può assicurare il cliente? quale attitudine mostra?

La targetizzazione del mercato permette all’azienda di individuare quali clienti hanno maggiore bisogno dei propri prodotti o servizi. La scelta del target permette di concentrarsi su un solo segmento, o sulla specializzazione verso un solo prodotto, o verso un solo mercato, quando non si ha l’opportunità o la possibilità di coprire più mercati, con più prodotti differenti o, addirittura, arrivare alla copertura totale del mercato per tutte le esigenze.

Il marketing operativo

L’ultima fase del marketing management attiene alla parte operativa. Una volta definito il quadro strategico, è indispensabile pianificare le attività e seguire lo sviluppo dei prodotti e dei servizi in tutte le varie fasi. È questa la fase in cui si passa dalla fase del concetto a quella del prodotto o del servizio finale. E, pertanto, risulta indispensabile controllare che tutte le attività di marketing convergano al raggiungimento dell’obiettivo.

Il controllo e gli indicatori chiave nel marketing management

Nel marketing operativo è indispensabile che tutti gli indicatori chiave o le Key performance indicators (Kpi) vengano identificati e controllati. In definitiva, si scelgono quali sono i fattori che possano dare un’identificazione ben definita di come stanno procedendo le vendite e si studiano gli andamenti. I Kpi maggiormente indicativi sono il volume di vendita, il fatturato, la quantità di vendita, il numero dei clienti, la quota del fatturato, i vantaggi della pubblicità, i costi di acquisizione, il margine di guadagno. La fase di controllo e di verifica sta assumendo sempre maggiore importanza nelle realtà aziendali. Infatti, l’azienda deve essere velocemente in grado di individuare le problematiche e di attivare i necessari correttivi che possano invertire i risultati raggiunti.

 

Come si fa una strategia di comunicazione?

Per comunicare l’azienda o l’attività ha necessità di creare un piano di comunicazione che sia efficace e ben strutturato. La strategia comunicativa ha come finalità quella di realizzare una comunicazione che possa essere il più possibile efficacemente coordinata con il brand dell’azienda, coerente e, soprattutto, studiata in modo da raggiungere e coinvolgere i clienti acquisiti e quelli potenziali. In generale, la comunicazione deve essere in linea con il modo in cui l’azienda voglia essere percepita e quali valori voglia esprimere, verso chi e in quale modo. 

Strategia di comunicazione per conquistare il cliente

All’interno del contesto aziendale, piccolo o grande che sia, la strategia di comunicazione rappresenta il piano per avere un buon approccio verso i clienti e per portare all’esterno la percezione e la reputazione aziendale. In altre parole, la strategia comunicativa dell’azienda può essere pensata come il biglietto da visita che l’azienda fornisce ai clienti già acquisiti o da conquistare. Ciò implica che la strategia possa essere il più possibile meticolosa, precisa e vincente: il modo in cui l’azienda si presenta può fare la differenza. 

Che cos’è il piano di comunicazione?

Il piano di comunicazione rappresenta il documento strategico che chiarisce e pianifica gli obiettivi della comunicazione stessa, le attività, le azioni, le scadenze e perfino il contesto nel quale opera l’azienda. Definire un piano di comunicazione coordinato e coerente aiuta l’azienda anche a raggiungere gli obiettivi individuati, questi ultimi, in maniera precisa e chiara. Nello specifico, il piano di comunicazione individua: 

  • il contesto nel quale l’azienda opera e comunica e, dunque, il settore, il mercato e i competitori; 
  • il target di riferimento; 
  • gli obiettivi che l’azienda ha intenzione di raggiungere; 
  • la strategia creativa della comunicazione; 
  • i mezzi di comunicazione che l’azienda adopererà; 
  • il programma delle attività;
  • i tempi stabiliti per le singole azioni; 
  • il budget che l’azienda mette a disposizione e come verrà ripartito; 
  • il controllo delle attività. 

Come realizzare una strategia di comunicazione: primo step, il piano di marketing

L’elaborazione di una strategia di comunicazione inizia dal piano di marketing. È necessario elaborare un documento nel quale siano stabiliti quali sono gli obiettivi a breve, medio e lungo termine e le linee guida. In tal senso, la strategia di comunicazione è strettamente interconnessa agli altri strumenti di marketing dell’azienda, andando a individuare esattamente a chi si rivolge l’azienda stessa, qual è la concorrenza e in quale contesto si va a operare. Da questo punto è necessario selezionare tutto con attenzione elaborando le leve di marketing e sviluppando un’identità visiva e un piano editoriale. È possibile parlare, a questo punto, delle 4C – consumatore, costo, convenienza e comunicazione, con l’aggiunta dell’eCommerce – a partire dalle quali nasceranno altre fasi dell’azienda con l’esterno, quali la posizione del brand, le relazioni con i clienti, l’attuazione di un piano editoriali, la previsione del budget e il controllo sui risultati ottenuti. 

La posizione del brand nella strategia di comunicazione 

Il secondo passaggio nella strategia di comunicazione è quello di procedere con un’accurata analisi della situazione interna ed esterna dell’azienda. Il che corrisponde a conoscere in maniera approfondita il brand, il target di riferimento, il mercato dove è inserita l’azienda, i concorrenti e le loro azioni. Inoltre, è fondamentale conoscere la posizione del brand, ovvero la posizione occupata da un brand (e dai rispettivi prodotti) nella mente dei consumatori sulla base della differenziazione rispetto alla concorrenza. Il brand positioning può riguardare le caratteristiche uniche dei prodotti, la comunicazione pubblicitaria, l’esperienza del cliente o l’identità di brand e i valori ad essa collegati. 

Piano di comunicazione: a chi rivolgersi?

Prima di decidere cosa comunicare, è opportuno stabilire a chi l’azienda si rivolge con la sua strategia. In altre parole, è necessario individuare il target di riferimento. A supporto, si potrebbe prendere in considerazione il modello di Buyer Personas, ovvero lo strumento attraverso il quale si rappresenta fittiziamente il cliente ideale dell’azienda. In tal senso, il modello prevede di individuare l’età anagrafica del potenziale cliente, l’istruzione, il potere d’acquisto, gli interessi, i gusti, i bisogni, i comportamenti e gli atteggiamenti. Il cliente che verrà idealizzato sarà il principale interlocutore della strategia di comunicazione aziendale. 

Piano di comunicazione, definire obiettivi, risultati e strategia creativa

Una strategia ottimamente strutturata deve tener conto degli obiettivi della comunicazione, che devono essere precisi, realistici, concreti e misurabili. Il che significa che dalle azioni di comunicazione occorre avere risposte certe a due domande: 

  • quale azione si vuole che i potenziali clienti compiano dalla strategia comunicativa? 
  • in che modo si possono misurare i risultati ottenuti per intervenire, eventualmente, e migliorare la strategia di comunicazione?

Come comunicare il brand aziendale e strategia creativa

Stabiliti gli obiettivi, è indispensabile elaborare la strategia creativa dell’azienda, ovvero la maniera nella quale si vuole comunicare il brand aziendale. In particolare, è necessario rispondere a quattro domande: 

  • quale messaggio si vuole comunicare? 
  • in quale maniera?
  • con quale linguaggio?
  • con quali mezzi di comunicazione?

Piano di comunicazione: crisi, monitoraggio e misura dei risultati

L’elaborazione di una strategia di comunicazione necessita di pianificazione dei tempi e dei modi nei quali le azioni comunicative devono essere realizzate. Per questo motivo è necessario elaborare delle linee guida di comunicazione che dovranno essere impartite e fatte proprie da tutti i soggetti coinvolti. In questo modo, il brand aziendale verrà facilmente e immediatamente riconosciuto. È altresì auspicabile prevedere situazioni di crisi, che dovranno essere immediatamente affrontate. La strategia comunicativa dovrà essere costantemente monitorata per analizzare i risultati ottenuti con le azioni fatte. In questo ambito, sono essenziali le analisi del sentiment e delle reazioni dei soggetti verso i quali sono dirette le azioni comunicative. Dai risultati del monitoraggio è possibile procedere con cambiamenti della strategia comunicativa per la migliore gestione del brand. In tal senso, è utile chiedersi: 

  • cosa ha funzionato?
  • cosa non ha funzionato?
  • come si possono migliorare le azioni?

Quali sono gli elementi più critici e gli errori da evitare nella stesura di un business plan?

Per il finanziatore o per l’investitore, il business plan rappresenta lo strumento dal quale raccogliere le varie informazioni di natura economica, strategia, finanziaria e di marketing. Dall’analisi del business plan deriverà la decisione di finanziamento. Dunque, sulla qualità del documento dell’azienda, sarà possibile esaminare:

  • cosa si vuole fare e quale idea ne è alla base;
  • quali risultati si vogliono raggiungere;
  • quali strategie e mezzi necessitano per conseguire i risultati prefissati.

Perché il business plan è importante?

Il business plan è pertanto il documento che riassume meglio l’idea imprenditoriale. Volendo sintetizzare i punti chiave della stesura del documento, è opportuno far riferimento:

  • all’analisi di mercato, e dunque ai fattori interni ed esterni, tra i quali i competitori, le variabili ambientali, il target e i fattori critici di successo;
  • al piano di azione di marketing;
  • al piano delle attività o planning;
  • al piano degli investimenti;
  • alla pianificazione e l’allocazione delle risorse umane da utilizzare;
  • ai nuovi modelli di valutazione e di finanziamento.

I vantaggi nella redazione del documento

È evidente che un business plan ben strutturato e completo, oltre a presentare con la massima professionalità la propria idea di business per ricevere finanziamenti, offre l’occasione di cercare e di sviluppare una strategia il più chiara possibile. Inoltre, il documento permette di monitorare e di implementare le azioni strategiche e di prevedere l’avvicinarsi di una crisi aziendale.

Quali sono i quattro elementi critici di un business plan

Tuttavia, affinché il business plan possa essere redatto in maniera completa e rimarcare gli obiettivi aziendali, è necessario tener presente di quattro fattori essenziali sui quali è necessario prestare la massima attenzione: ci si riferisce alle persone, alle opportunità, al contesto e alle possibilità.

Business plan, chi deve redigerlo?

Le persone che si occupano della stesura del business plan sono fondamentali. Difficilmente il documento viene redatto da una sola persona. Più frequentemente rappresenta, invece, il risultato del lavoro di un team di management eterogeneo e complementare in termini di background, di capacità manageriali e di conoscenze del settore. Pertanto, soprattutto nelle imprese di più grandi dimensioni, per arrivare a un piano di marketing ottimamente strutturato e completo, è indispensabile il lavoro dei reparti di comunicazione, di vendita e di produzione.

Punti critici di un business plan: le opportunità

Le opportunità da cercare e da valutare nella redazione di un business plan sono sempre due, ovvero la differenziazione e il potenziale di mercato. A seconda dei casi, il management dovrà decidere se conviene differenziare con prodotti o con linee di prodotti, oppure se il potenziale di mercato è tale da portare a una scelta estrema come, ad esempio, quella di uscire dal settore. Nello specifico, è indispensabile che l’analisi parta da tre differenti domande:

  • in cosa si differenziano i prodotti o servizi dell’azienda rispetto a quelli della concorrenza?
  • quali sono i punti di forza dell’azienda e quali i punti di debolezza?
  • come i concorrenti affrontano le problematiche comuni?

Il contesto nel piano di marketing

L’analisi del contesto nel quale opera l’impresa è fondamentale. Ci si riferisce a uno studio approfondito della concorrenza, dei competitori e, più in generale, al contesto che circonda l’azienda stessa. Pertanto, per le imprese che si affacciano sul mercato per la prima volta, è indispensabile definire quali sono le barriere per l’approccio alla produzione e vendita, le minacce e le opportunità. In questo step, è necessario definire anche quale sarà la domanda potenziale del prodotto o del servizio da parte del mercato, in termini dunque sia quantitativi che qualitativi. Utile, in questo contesto, è l’analisi dei dati del mercato e le possibili segmentazioni di domanda e offerta.

L’analisi degli scenari nel piano di marketing

Infine, in un business plan non possono mancare le possibilità, ovvero lo studio dei possibili scenari di mercato. L’analisi del contesto induce l’azienda, pertanto, a raccogliere il maggior numero di informazioni necessarie per individuare quali saranno gli sviluppi futuri del mercato. In questa fase, come nelle precedenti, è indispensabile partire dallo sviluppo dell’analisi Swot: nel quadrante dovranno essere indicati minuziosamente i punti di forza e quelli di debolezza dell’azienda, le minacce e le opportunità.

Business plan, errori da evitare: nessuna menzione per i concorrenti

Diversamente dagli elementi critici di un business plan è la lista degli errori comuni che si commettono nella redazione del documento. Innanzitutto un business plan non può partire dalla mancanza di menzioni dei concorrenti: la regola generale è che non si è mai, o quasi mai, in condizioni di monopolio. Ma anche in caso di oligopolio o di duopolio è indispensabile spiegare chi sono i concorrenti e in quali altri business sono coinvolti.

Documento di marketing, mancanza di chiarezza del vantaggio competitivo

Il vantaggio competitivo in un documento di marketing deve esserci sempre. La mancanza di questo fondamentale elemento comporterebbe la mancanza di senso del documento stesso. Analogamente, vanno sempre spiegati in volumi sia la quota di mercato che i relativi calcoli. Solo in seconda istanza si potrà indicare i valori delle quote di mercato in euro o dollari.

Valori e crescita aziendale nel piano di marketing

Sono altresì da evitare errori che riguardano la mancanza di accenni al processo di crescita organizzativa dell’azienda necessaria per sostenere l’aumento dei ricavi. Non prevedere una crescita non solo potrebbe indicare un approccio superficiale, ma indurrebbe ad abbassare la fiducia dei finanziatori nei confronti dell’azienda. Analogamente, non vanno fatte sopravvalutazioni dell’idea imprenditoriale e nemmeno proiezioni irrealistiche: gli obiettivi, ancorché ambizioni, devono sempre essere ragionevolmente realizzabili e a portata di mano. È consigliabile piuttosto avere un “piano B” che difendere con i denti una esagerata stima della crescita.

Business plan e conoscenza del bilancio

È altresì indispensabile che un piano di marketing strategico ben strutturato, sia accompagnato da riferimenti operativi, del “saper fare”. Chiaramente i dati economici e finanziari non devono essere sballati: la scarsa conoscenza del bilancio come strumento che descriva la realtà aziendale può generare errori grossolani e anche gravi, come il confondere il cash flow e i profitti.

Coerenza del business plan

In definitiva, il business plan deve essere un documento coerente, un disegno armonico nel quale convergono strategia aziendale, analisi del mercato e dei competitor e studio del contesto. Le incongruenze che si presentano a chi dovrà prendere visione del documento possono facilmente saltare all’occhio e decretarne l’archiviazione.

 

Come si fa un piano di marketing?

Il piano di marketing è lo strumento indispensabile attraverso il quale tutte le imprese traducono in azioni concrete gli obiettivi della strategia di marketing. È costituito da un documento di pianificazione contenente la strategia e le azioni operative che l’azienda mette in campo per raggiungere i propri obiettivi. Lo scopo del piano di marketing è quello di dirigere, coordinare e tenere sotto controllo tutte le attività di marketing che l’impresa attua o prevede di attuare in un determinato periodo di tempo, mettendo in relazione i servizi o prodotti con il mercato di riferimento.

Come nasce il piano di marketing?

Prima di iniziare a scrivere un piano di marketing è necessario rispondere a tre indispensabili domande riguardanti la strategia aziendale:

  • qual è il business al quale l’azienda fa riferimento nel presente e anche nel futuro?
  • chi sono i potenziali clienti e quali saranno nel futuro?
  • cosa distingue l’impresa dai concorrenti sul mercato?

Nel momento in cui si hanno delle risposte a queste tre domande e si individua chiaramente qual è la mission dell’impresa, si potrà iniziare la stesura del piano di marketing.

Chi scrive il piano di marketing?

Difficilmente il piano di marketing viene redatto da una sola persona. Quasi sempre è il risultato del lavoro congiunto del dipartimento di marketing. Soprattutto nelle imprese più grandi, per arrivare a un piano di marketing strutturato e preciso è necessario il contributo dei reparti comunicazione, vendita e produzione. È altresì indispensabile avere una visione completa degli strumenti di marketing a disposizione dell’azienda, per capire come i risultati attesi possano essere raggiunti.

Come si articola il piano di marketing?

Il contenuto del piano di marketing è articolato in sei aree o step operativi. Lo schema è valido per tutti i contesti aziendali, sia che si tratti di un’intera azienda che di un reparto marketing, di un freelance o di un product manager. Quel che varia, invece, sono gli obiettivi, l’organizzazione del lavoro, le risorse e i tempi a disposizione.  I sei step sono:

  • analisi del contesto o definizione del mercato e delle opportunità di inserimento;
  • analisi della concorrenza e degli altri fattori esogeni;
  • strategia di marketing;
  • ricerca di mercato,
  • previsione di vendita;
  • analisi del punto di pareggio operativo.

Analisi del contesto o definizione del mercato e delle opportunità di inserimento

Innanzitutto è necessario analizzare il mercato di riferimento e le opportunità che lo stesso offre per l’inserimento. È indispensabile definire quali sono le barriere all’entrata nel marcato, le minacce e le opportunità. In questo primo step è opportuno anche definire l’analisi della domanda potenziale, qualitativa e quantitativa, nonché l’analisi dei dati del mercato e delle possibili segmentazioni della domanda e dell’offerta. L’analisi del contesto, dunque, implica il capire lo scenario in cui si opera e raccogliere tutte le informazioni necessarie per individuare quali saranno gli scenari futuri. Strumento indispensabile di questa fase è l’analisi Swot, ovvero il quadrante che riassume i punti di forza e di debolezza, le minacce e le opportunità, utile anche nella seconda fase del piano.

Analisi della concorrenza nel piano di marketing

La seconda fase del piano di marketing, quella dell’analisi della concorrenza e dei fattori esogeni, implica la necessità di dare risposte a tre domande fondamentali:

  • in cosa si differenziano i nostri prodotti o servizi rispetto a quelli dei competitor?
  • quali sono i nostri punti di forza e quali quelli di debolezza?
  • come i competitor affrontano le problematiche comuni?

Gli errori che si possono fare in questa fase sono quelli di dare scarsa importanza alla reazione dei concorrenti sul mercato e di sopravvalutare i punti di forza o di sottovalutare i punti deboli dell’azienda stessa.

Strategia di marketing

La fase di strategia di marketing, altrimenti conosciuta come “pianificazione strategica” o di “definizione del marketing mix”, è quella che prevede la definizione delle 4 P del marketing, ovvero Prodotto, Prezzo, Promozione e Place (distribuzione). È questa dunque la fase nella quale si definiscono i punti cruciali del marketing che l’azienda seguirà, passando anche dalle parole ai numeri, ovvero alla ripartizione dei budget e delle risorse assegnate a ciascuna delle attività pianificate e a quale prezzo si intenda vendere il prodotto o il servizio con il quale entrare nel mercato.

Ricerca di mercato e previsioni di vendita

Le ricerche di mercato e le previsioni di vendita permettono di dare maggiore credibilità al business plan, ovvero lo strumento redatto per chi decida di mettere in pratica un’idea imprenditoriale, valutandone la fattibilità economica e finanziaria. In questa fase, l’imprenditore riceve le prime valutazioni se l’idea imprenditoriale può funzionare o meno, con un’analisi più attenta degli obiettivi, delle strategie, delle vendite e delle previsioni finanziarie. L’imprenditore non ha solo una maggiore conoscenza della propria azienda ma inizia ad acquisire una maggiore consapevolezza del mercato di riferimento, arrivando a poter formulare delle vere e proprie previsioni sulle future vendite.

Analisi del punto di pareggio e rischio operativo

Il punto di pareggio nel piano di marketing fa riferimento all’analisi del reddito operativo, determinato dagli elementi strutturali (ovvero dalla capacità produttiva, dall’esperienza e dal grado di diversificazione), dai volumi di produzione e di vendita, dal livello dei prezzi costo e dal livello dei prezzi ricavo. Il reddito operativo può essere definito dal calcolo:

ricavi totali – costi totali di gestione  ovvero da RO = RT – CT.

Il punto di pareggio, espresso in volumi, è definito come il livello nel quale il reddito operativo è pari a zero, ovvero i ricavi totali eguagliano i costi totali. In tal caso i volumi di produzione eguagliano quelli di vendita e risultano conosciute le curve dei costi e dei ricavi.

Definito il piano di marketing non resta che partire

Definito il piano di marketing, gli obiettivi, gli strumenti e i tratti distintivi dell’azienda, non resta che partire. È necessario, dunque, mettere in pratica le strategie e monitorare i risultati ottenuti sul mercato. È indispensabile, per avere la situazione sotto controllo, che il piano di marketing abbia previsto, a priori, i key performance indicators (Kpi), che daranno risposte per valutare gli i risultati delle azioni di marketing e, in generale, degli investimenti fatti dall’azienda.

Personalità giuridica, come si acquisisce?

La personalità giuridica per un ente, per un’associazione o per una persona giuridica, rappresenta l’attitudine a essere titolare di situazioni giuridiche che possono essere attive e passive. Inoltre, la personalità giuridica permette di godere di un’autonomia patrimoniale perfetta per le obbligazioni eventualmente contratte dall’associazione. Al contrario, sono prive della personalità giuridica e, dunque, non hanno un riconoscimento istituzionale le associazioni non riconosciute. Senza personalità giuridica, gli enti non godono dell’autonomia patrimoniale perfetta, ovvero non hanno la separazione tra il patrimonio dei membri e quello dell’ente stesso.

Cosa significa avere la personalità giuridica?

Acquisire la personalità giuridica è una facoltà dell’ente o dell’associazione. Per un ente, l’ottenimento della personalità giuridica permette di fornire garanzie e certezza del diritto nei confronti dei terzi. Inoltre, gli enti con personalità giuridica possono usufruire di un regime di responsabilità limitata nei riguardi dei creditori. Pertanto, per eventuali obbligazioni di natura civilistica contratti dall’associazione, o per i debiti, l’ente risponderà solo con il proprio patrimonio. Si dice, in questo caso, che l’ente ha autonomia patrimoniale perfetta. I singoli associati non sono pertanto obbligati con il proprio patrimonio personale.

A cosa serve la personalità giuridica?

Il senso pratico di possedere la personalità giuridica va ravvisato proprio nell’operazione di separazione del patrimonio tra gli aderenti all’associazione e il patrimonio dell’ente o dell’associazione. La separazione è utile agli associati affinché il proprio patrimonio personale non venga aggredito dai creditori dell’ente o dell’associazione. I creditori, pertanto, potranno rivalersi dei propri diritti solo sul fondo comune dell’ente e non su quello personale degli aderenti o di coloro che abbiano agito per conte dell’ente stesso.

Quali sono le società o gli anti con personalità giuridica?

Un primo esempio di società con personalità giuridica è ravvisabile, nel diritto societario, nelle società a responsabilità limitata. Al contrario, nelle società in nome collettivo, i creditori della società possono rivalersi aggredendo il patrimonio personale dei soci. Altri esempi di enti o società con personalità giuridica sono le società per azioni, le società cooperative, le banche che possono essere società per azioni o società cooperative, e gli istituti scolastici.

Acquisizione personalità giuridica: distinzione associazioni con operatività nazionale o regionale

La principale distinzione nella richiesta di acquisizione della personalità giuridica riguarda gli enti, le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di rilevanza privata che hanno operatività a livello nazionale da quelle che invece operano nelle materie attribuite alla competenza regionale come, ad esempio, l’assistenza. Rientrano nelle competenze nazionali anche le operatività la cui finalità statutaria interessa il territorio di più regioni, o i settori di competenza statale. Per la domanda della personalità giuridica a livello nazionale è necessario rivolgersi alle Prefetture – Uffici Territoriali del Governo (UTG). Rientrano nelle finalità regionali anche gli enti e le associazioni le cui finalità statutarie si esauriscono nell’ambito della regione stessa. La domanda, in questo caso, va indirizzata al Presidente della Giunta regionale.

Domanda acquisizione personalità giuridica ambito nazionale

La domanda alla Prefettura della provincia dove ha sede l’associazione o l’ente che agisca in ambito nazionale, unitamente alla documentazione richiesta, deve essere presentata o portata dal legale rappresentante dell’associazione stessa. La documentazione da allegare alla domanda comprende:

  • domanda in bollo;
  • numero due copie, una delle quali autentica, dell’Atto costitutivo e dello Statuto, redatti per atto pubblico;
  • la relazione illustrativa sull’attività svolta dall’ente o su quella che l’associazione intende svolgere, con firma del legale rappresentante;
  • la relazione sulla situazione economica e finanziaria dell’associazione, con firma del legale rappresentante, unitamente alla perizia giurata di parte se l’ente è in possesso di beni immobili. È necessaria anche la certificazione bancaria che certifichi l’esistenza del patrimonio mobiliare.

Documenti aggiuntivi da presentare nella domanda di personalità giuridica

Ulteriori documenti da inoltrare per l’ottenimento della personalità giuridica a livello nazionale sono costituiti:

  • dalla copia dei bilanci preventivi e dei conti consuntivi che abbiano avuto approvazione negli ultimi tre anni o nel periodo che intercorre tra la costituzione e la domanda di personalità giuridica;
  • l’elenco dei componenti degli organi direttivi dell’associazione e l’indicazione del numero dei soci, con firma del legale rappresentante. Sono richiesti i dati anagrafici dei soci e i relativi codici fiscali;
  • una dichiarazione della banca che attesti la liquidità patrimoniale dell’associazione;
  • per le personale giuridiche qualificate come Onlus occorre anche allegare la copia della domanda di iscrizione all’anagrafe delle Onlus, unitamente al protocollo di deposito e al codice fiscale dell’ente.

Domanda al Registro regionale di personalità giuridica

Per la domanda di riconoscimento della personalità giuridica privata degli enti che operano a livello regionale è necessario produrre la documentazione richiesta unita alla firma del legale rappresentante. L’istanza va indirizzata al Presidente della Giunta regionale. I documenti necessari comprendono:

  • numero una copia, autentica, dell’Atto costitutivo e dello Statuto, redatta per atto pubblico;
  • numero una copia conforme del verbale mediante il quale l’organo competente delibera di richiedere la personalità giuridica e conferisce al presidente il mandato per l’espletamento delle pratiche richieste;
  • numero una copia della scheda riassuntiva della situazione finanziaria e patrimoniale, con l’indicazione del fondo di gestione e di quello di dotazione. È necessaria la firma del presidente unita a una certificazione specifica. Nello dettaglio, la documentazione dovrà comprendere per i beni immobili la perizia asseverata fatta da un professionista, e per i beni mobili, in tutto o in parte non costituiti da denaro, dalla relazione asseverata di una società di revisione legale o da un revisore legale;
  • una copia della relazione dell’attività che l’associazione intende svolgere per raggiungere gli scopi istituzionali. È necessaria la firma del legale rappresentante.

Ulteriori documenti da presentare nella domanda al Registro regionale

Documenti aggiuntivi da inoltrare per ottenere la personalità giuridica a livello regionale sono costituiti:

  • da una copia dei componenti degli organi direttivi, con indicazione di ciascun membro del codice fiscale e della carica ricoperta, insieme al verbale di nomina;
  • da una copia rispettivamente dei bilanci approvati negli ultimi tre anni e di quello previsionale;
  • da una marca da bollo da 16,00 euro da applicare al provvedimento di riconoscimento;
  • da una copia dell’iscrizione all’anagrafe unica delle Onlus. In alternativa, l’attestazione dell’iscrizione al Registro regionale del volontariato.

Adempimenti successivi all’ottenimento della personalità giuridica privata

Successivamente all’ottenimento della personalità giuridica privata, le associazioni e gli enti iscritti nel Registro regionale dovranno produrre varie istanze. In particolare:

  • eventuali modifiche intervenute nell’Atto costitutivo o nello Statuto;
  • eventuali sostituzioni degli amministratori alla scadenza del mandato o dei singoli amministratori per decadenza o dimissioni;
  • eventuale riconferma degli amministratori per ulteriori mandati;
  • eventuali delibere di scioglimento;
  • variazioni di sede che non determinino modifica dello Statuto.