Detrazione spese sanitarie, tamponi Covid e mascherine: ecco come procedere

Quali spese sanitarie sono detraibili per acquisti effettuati nell’anno 2021 per la pandemia Covid? In particolare, ci si riferisce alle spese sostenute per tamponi, prestazioni sanitarie come analisi di laboratorio e mascherine. Ma per la detraibilità dei costi sostenuti nella dichiarazione dei redditi è necessario seguire specifiche regole.

Detrazione delle spese sanitarie nella dichiarazione dei redditi: ecco cosa spetta per le prestazioni

La prima regola delle spese sanitarie è di carattere generale e prevede la detraibilità del 19% sull’importo superiore a 129,11 euro. Le spese, inoltre, devono essere state sostenute nell’anno di imposta (il 2021 per la dichiarazione dei redditi di quest’anno) e il costo deve essere a carico del contribuente. Inoltre, sono da rispettare altre determinate regole. La prima è che si tratti di una spesa sostenuta per una prestazione sanitaria o di un bene sanitario. Rientrano nel primo caso, le spese sanitarie sostenute per visite spirometriche, analisi di laboratorio e di diagnostica per i casi di coronavirus. La prestazione può essere stata effettuata sia da un professionista che da una struttura sanitaria.

Acquisto di beni sanitari come mascherine e tamponi: quando si possono detrarre?

Nel caso di detrazione di beni comprati, come per esempio l’esecuzione di un tampone o l’acquisto delle mascherine, è opportuno far riferimento alle spese sostenute per i medicinali, per i dispositivi medici o degli altri prodotti detraibili. La detrazione si può esercitare a prescindere dall’utilizzo, unicamente per la natura del bene (o della prestazione medica) acquistato. Pertanto, è necessario verificare la classificazione merceologica, la conformità dei beni acquistati alle leggi italiane, la tracciabilità dei pagamenti e i documenti di spesa.

I requisiti che devono avere tamponi, mascherine e beni sanitari per la detrazione fiscale del 19%

Ai fini della detrazione fiscale del 19% nella dichiarazione dei redditi dei beni sanitari acquistati, è necessario dunque che:

  • suddetti beni rientrino nella relativa classificazione merceologica quali medicinali, dispositivi medici e presidi sanitari;
  • che vi sia conformità alle norme italiane e dell’Unione europea. Nel dettaglio, i beni devono riportare il codice Aic se si tratta di medicinali industriali. Per i medicinali omeopatici, ancora sprovvisti del codice Aic, è necessario il codice identificativo certificato da istituti privati. I galenici, invece, devono avere la natura di farmaco o di medicinale con indicazione sul titolo di spesa. I dispositivi medici devono avere la marcatura “Ce”;
  • il pagamento deve essere stato effettuato con mezzi tracciabili. Sono esclusi dalla regola i dispositivi medici e i medicinali;
  • è necessario il documento di spesa. Ovvero lo scontrino parlante o la fattura.

Spese sanitarie, cosa devono riportare lo scontrino e la fattura?

Sull’ultimo punto, è necessario che i documenti di spesa riportino il codice fiscale di chi provvede a comprare i beni sanitari e la natura del bene, con abbreviazioni “Ad”, “M” e “Pi”. Tali codici sono quelli per l’invio dei dati al sistema della Tessera sanitaria. Le regole si applicano, dunque, anche ai beni e ai dispositivi per l’emergenza Covid-19.

Spese sanitarie nel modello 730 di dichiarazione dei redditi: dove si trovano?

Nel modello 730 per la dichiarazione dei redditi, le spese sanitarie possono essere sommate all’importo riportato nel rigo E 1 della colonna numero 2. È tuttavia importante sottolineare che non per tutti i beni sanitari utilizzati per il Covid, che nello scorso anno avevano l’Iva al 5%, si può procedere con la detrazione. Si deve verificare che i beni rientrino nelle categorie di presidi sanitari, di farmaci o di dispositivi. Per esempio, i guanti monouso risultano esclusi dalla detrazione fiscale se non sono classificati come dispositivo.

Quali tipi di mascherine possono essere detratte nella dichiarazione dei redditi 2022?

Particolare attenzione nella detrazione deve essere prestata alle mascherine chirurgiche ed Ffp2 e Ffp3. Questi dispositivi sono classificati in 3 classi:

  • la prima riguarda le mascherine chirurgiche e, in generale, quelle autorizzate dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) sulla base del comma 2, dell’articolo 15, del decreto legge numero 18 del 2020;
  • i dispositivi di protezione individuali (Dpi) e quelli usati secondo il comma 3, dell’articolo 15, del decreto legge numero 18 del 2020;
  • le mascherine di comunità previste dal comma 2, dell’articolo 16, del decreto legge numero 18 del 2020.

Spese sanitarie, si possono detrarre i costi sostenuti per le mascherine chirurgiche?

L’ultima classe di mascherine, quelle di comunità, non si possono detrarre dalla dichiarazione dei redditi 2022. Le mascherine chirurgiche invece, costituendo dispositivo medico, si possono detrarre. Ma c’è bisogno che riportino la marcatura “Ce” nel documento di spesa oppure il codice “Ad” necessario all’invio dei dati al sistema della Tessera sanitaria (Ts). Infine possono avere anche il richiamo alla direttiva numero 94/42/Ce o al Regolamento europeo numero 745 del 2017 con certificazione Uni En 14683 2019.

Spese sanitarie, si possono detrarre i costi sostenuti per le mascherine Ffp2 o Ffp3?

Non sono detraibili ai fini della dichiarazione dei redditi le mascherine Ffp2 ed Ffp3. Si tratta, in questo caso, di dispositivi di protezione individuale (Dpi) che non prevedono la detrazione. Tuttavia, se oltre alla certificazione tecnica Uni En 149:2001 + A1:2009 la mascherina ha la classificazione anche di dispositivo medico (oltre dunque alla certificazione Dpi), è possibile procedere con la detrazione. In quest’ultimo caso, il contribuente deve conservare la scheda tecnica o la confezione delle mascherine che riporta, oltre alla marcatura “Ce”, anche la certificazione di mascherina come “dispositivo medico” (Dm).

Dichiarazione dei redditi 2022, come detrarre le spese sanitarie per tamponi antigenici e sierologici?

Capitolo a parte meritano i tamponi, sia antigenici che sierologici. Infatti, per la detrazione fiscale del 19% di queste prestazioni sanitarie è necessario:

  • che siano eseguiti da laboratori privati autorizzati, pubblici o professionisti sanitari;
  • il pagamento tracciabile nel caso in cui questi esami sono eseguiti da laboratori privati non accreditati presso il Servizio sanitario nazionale (Ssn);
  • i tamponi acquistati nelle farmacie costituiscono dispositivi medici e diagnostici in vitro, dunque si può procedere con la detrazione anche se la spesa è stata pagata con denaro contante.

Modalità di pagamento dei tamponi in farmacia, a cosa prestare attenzione?

C’è un’eccezione per le farmacie che svolgano i tamponi. Alcune farmacie, infatti, considerano il tampone come una fornitura di dispositivi medici e di servizi strettamente connessi, altre come prestazioni sanitarie. Tutte e due le tipologie di prestazioni sono detraibili nella dichiarazione dei redditi, ma è necessario prestare attenzione al modo in cui sono state pagate. Infatti, se sullo scontrino c’è il codice “As”, il tampone è classificato come un servizio e dunque, prudentemente, si può detrarre la spesa solo se pagata con mezzi  tracciabili; invece, se nello scontrino è riportata la dicitura “cessione di dispositivo medico” mediante codice “Ad”, la detrazione fiscale è consentita anche con il pagamento in contanti.

Partita Iva, ecco tutte le novità in arrivo con la legge delega fiscale

In arrivo numerose novità per le partite Iva dalla legge delega di riforma fiscale. È stato infatti depositato un pacchetto di emendamenti alla legge delega che prevede, tra le varie novità, anche la mensilizzazione degli acconti e la riduzione progressiva della ritenuta di acconto. Il tutto al fine di riformare il metodo di calcolo delle imposte da versare delle partite Iva e dei lavoratori autonomi.

Legge delega di riforma fiscale: a che punto è l’approvazione?

Ad oggi, sono 27 gli emendamenti presentati alla legge delega di riforma fiscale. A questi si aggiunge anche l’emendamento relativo al catasto. Sugli emendamenti si concentrerà dunque il lavoro delle Commissioni parlamentari in vista dell’accordo della maggioranza parlamentare. A essere revisionati, in particolare, saranno gli articoli 2 di riforma Irpef e superamento del sistema duale, e l’articolo 6 relativo alla riforma del catasto.

Legge delega di riforma fiscale: tutte le novità delle partite Iva

L’elenco degli emendamenti presentati nella legge delega di riforma fiscale per le partite Iva e i lavoratori autonomi prevede, nel dettaglio:

  • l’eliminazione del sistema duale di tassazione;
  • l’exit tax per 2 anni per le partite Iva che superino il tetto dei 65 mila euro;
  • l’introduzione del principio dell’equità orizzontale;
  • il ribasso dell’Irpef per i redditi medi e bassi;
  • l’avvio del sistema di rimborso tramite cashback fiscale per le spese sanitarie;
  • l’abolizione dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) per gli studi associati, le società di persone e le società di professionisti;
  • la riforma del catasto con l’introduzione dei valori del mercato con allentamento del valore patrimoniale;
  • l’armonizzazione delle tasse sul risparmio;
  • i controlli fiscali mediante l’utilizzo di algoritmi.

Quali altre novità sono previste per le partite Iva dalla legge delega di riforma fiscale?

Sono previste inoltre, altre novità dalla legge delega di riforma fiscale per le partite Iva. In particolare:

  • l’allargamento degli adempimenti da effettuare per via telematica;
  • l’integrazione delle banche dati fiscali;
  • la revisione delle sanzioni amministrative che saranno improntate sulla proporzionalità e sulla gradualità;
  • la mensilizzazione, da adottare in via progressiva, degli acconti e dei saldi;
  • il ribasso della ritenuta di acconto;
  • la garanzia del rispetto dell’autonomia tributaria a favore degli enti territoriali;
  • la revisione dei costi indeducibili, in via parziale o totale, dell’Ires;
  • la destinazione di una parte delle imposte del contribuente al suo comune di residenza;
  • la revisione periodica della legislazione tributaria codificata.

Partite Iva, le novità in arrivo sulla revisione dell’Irpef

Sulla revisione dell’Irpef delle partite Iva con obiettivo di rispetto del criterio di progressività, le novità in arrivo consistono:

  • nel considerare le modalità di versamento dell’Ipef degli imprenditori individuali, dei lavoratori autonomi e dei lavoratori ai quali si applicano gli Indicatori sintetici di affidabilità fiscale;
  • nel mantenimento del meccanismo attuale di calcolo dei saldi e degli acconti;
  • nella revisione del carico fiscale con la mensilizzazione in via progressiva degli acconti e dei saldi stessi;
  • nell’abbassamento della ritenuta di acconto.

In cosa consiste nella pratica la riforma dell’Ipef delle partite Iva per saldi e acconti?

Le novità sull’Irpef delle partite Iva e dei lavoratori autonomi potrebbero consentire, già a decorrere dal 2022, di far pagare la metà delle imposte a novembre rateizzate nell’anno susseguente. Inoltre, a decorrere dal prossimo 1° gennaio, si procederebbe alla riduzione del 20% della ritenuta di acconto versata dalle partite Iva e dai lavoratori autonomi. Siffatto meccanismo andrebbe ancora ampliato affinché possano essere tutelati i redditi medi e bassi dei lavoratori autonomi. A tal proposito, è previsto dalla legge delega fiscale la progressiva diminuzione delle aliquote medie dei redditi più bassi.

Detrazioni e deduzione delle partite Iva nella legge delega fiscali: quali sono le novità in arrivo?

Ulteriori novità sono in arrivo per le partite Iva e per i lavoratori autonomi dalla legge di delega fiscale per quanto concerne le detrazioni e le deduzioni. La revisione dei due istituti, infatti, saranno oggetto di trasformazioni che metteranno al primo posto le detrazioni spettanti per le spese sanitarie e sociale. Si punterà, per l’acquisto di beni e servizi rientranti nel paniere delle spese sociali e sanitarie, al rimborso immediato attraverso l’utilizzo di piattaforme telematiche che consentano l’accredito diretto del 19%.

Legge delega fiscale, in arrivo il cashback sulle spese socio-sanitarie con rimborso immediato del 19%

Pertanto, tali piattaforme di cashback fiscale consentiranno al contribuente di poter ottenere il rimborso immediato del 19% di detrazione. Il meccanismo prevede il trasferimento dello sconto sull’Iban comunicato dal contribuente tramite l’applicazione IO. Un meccanismo, dunque, che riproduce quello già sperimentato tra la fine del 2020 e il 2021 del Cashback di Stato.

Superbonus 110%, acconti senza raggiungere il 30% di Sal: come cederli o detrarli?

Cosa fare nel caso in cui il contribuente abbia versato degli acconti nel 2021 e nel 2022 ma non si sia raggiunto il 30% di stato di avanzamento dei lavori per gli interventi rientranti nel superbonus 110%? In generale si può dire che se non si è raggiunta la soglia del 30% di Sal nel 2021, si possono cedere gli acconti del 2022 nel caso in cui la percentuale venga raggiunta. E, dunque, per il primo stato di avanzamento dei lavori del 2022, il contribuente può procedere con la cessione dei crediti di imposta sugli acconti versati nel solo anno 2022.

Superbonus 110%, primo stato di avanzamento del 30% degli interventi: come procedere con la rendicontazione?

La casistica riguarda i casi nei quali, per gli interventi del superbonus 110%, il contribuente abbia versato degli acconti nell’anno 2021. Nonostante i versamenti, può capitare che i lavori non raggiungano il primo stato di avanzamento del 30% entro il 31 dicembre 2021. I lavori raggiungono poi la soglia del 30% del primo Sal nell’anno 2022. La rendicontazione da effettuare in questa situazione è la seguente:

  • i corrispettivi maturati in merito agli interventi effettuati negli anni 2021 e 2022, fino al raggiungimento del primo Sal;
  • gli acconti già versati nello scorso anno e durante l’anno in corso, fino al raggiungimento del primo stato di avanzamento dei lavori del 30%;
  • il totale degli acconti da corrispondere, calcolato mediante la differenza tra le due prime voci.

Superbonus 110%, i crediti di imposta degli acconti cedibili sono solo per quelli del 2022

Rispetto alla situazione sopra descritta degli acconti e del primo stato di avanzamento dei lavori del superbonus 110%, la cessione del credito di imposta si può esercitare solo per i pagamenti effettuati durante l’anno in corso. In tal caso, si applica il criterio di cassa come chiarito dall’Interpello all’Agenzia delle entrate numero 56 del 2022. In particolare, l’Agenzia delle entrate aveva fornito risposta a un istante che aveva intenzione di avvalersi della cessione del credito di imposta a una banca, avendo versato nell’anno 2021 acconti per i lavori in superbonus 110%.

Agenzia delle entrate su versamento acconti e cessione dei crediti di imposta al raggiungimento del primo Sal

La risposta dell’Agenzia delle entrate al quesito posto dall’istante si basa su quanto prevede il comma 1 bis dell’articolo 121 del decreto Rilancio. Nel caso in cui per gli interventi ammessi al superbonus 110% sia prevista l’emissione di stati di avanzamento dei lavori, è possibile esercitare l’opzione di cessione del credito di imposta o di sconto in fattura “solo se lo stesso si riferisce ad almeno il 30 per cento dell’intervento complessivo”. Nel caso di valutazione dell’Agenzia delle entrate, trattandosi di lavori a cavallo tra più periodi di imposta con il primo Sal che verrà emesso nell’anno 2022, “è possibile esercitare l’opzione di cessione del credito corrispondente al superbonus 110% solo qualora il predetto Sal si riferisca ad almeno il 30 per cento dell’intervento complessivo”.

Il criterio di cassa sugli acconti dei lavori del superbonus 110%

Sul criterio di cassa l’Agenzia delle entrate ha chiarito che: “Considerato, inoltre, che il Sal emesso rendiconterà il corrispettivo maturato fino a quel momento, gli acconti già corrisposti e, di conseguenza, l’ammontare dell’acconto da corrispondere, sulla base della differenza tra le prime due voci, l’opzione della cessione del credito di imposta potrà essere esercitata solo per l’importo corrispondente alla detrazione spettante con riferimento agli importi pagati nell’anno 2022, in applicazione del cosiddetto criterio di cassa”.

Acconti superbonus 110% versati nel 2021, cosa si può fare?

Peraltro, sugli acconti versati nell’anno 2021, invece, si può usufruire della relativa detrazione fiscale del superbonus 110% nella dichiarazione dei redditi relativa a tale periodo d’imposta. Eventualmente, si può optare per la cessione del credito corrispondente alle successive rate di detrazione non fruite. A titolo di esempio, se un contribuente ha un Sal del 30% a fine giugno 2022 per lavori in superbonus 110% e per un importo di 10 mila euro, si potrà:

  • cedere i crediti di imposta maturati sugli acconti del 2022 effettuati con bonifici parlanti, ad esempio, per somme pari a 2 mila euro dei 10 mila euro;
  • gli acconti dello scorso anno, pari a 8 mila euro, si possono portare in detrazione fiscale nel modello 730 del 2022. Per questi importi il contribuente deve seguire, in questo caso, il principio di cassa. E dunque gli corrispondenti al momento in cui ha fatto il versamento.

Superbonus 110% e cessione dei crediti di imposta delle rate residue

In ogni modo, per gli acconti versati nell’anno 2021 relativi a lavori rientranti nel superbonus 110%, si può scegliere la cessione del credito di imposta per le rate susseguenti non fruite con la detrazione fiscale. In questo caso, però, non si può esercitare l’opzione di scelta dello sconto in fattura. Infatti, il contribuente ha già versato versate nell’anno 2021 le relative fatture emesse dal fornitore. Tuttavia, nella risposta all’Interpello numero 56 del 2022, l’Agenzia delle entrate non ha fornito delucidazioni in merito al fatto il contribuente possa procedere con la cessione dei crediti di imposta delle rate residue della detrazione:

  • solo dopo la conclusione degli interventi, inviando anche l’asseverazione prevista all’Enea o allo Sportello unico per l’edilizia (Sue);
  • al raggiungimento del primo stato di avanzamento dei lavori per la relativa soglia del 30%.

730 precompilato, ecco come procedere con le modifiche delle spese in detrazione o in deduzione

A partire dalla giornata di ieri, 31 maggio, i contribuenti possono modificare e inviare il modello 730 precompilato ai fini della dichiarazione dei redditi 2022 già presente nella propria area personale del sito dell’Agenzia delle entrate. Nei giorni precedenti, infatti, si poteva semplicemente visualizzare il modello precompilato, senza apportare cambiamenti o inviarlo. Nella fase di semplice visualizzazione, sono state 2,6 milioni i contribuenti che hanno fatto accesso alla precompilata. Prima di inviare il modello all’Agenzia delle entrate, è necessario procedere con il controllo delle spese detraibili e deducibili. Il modello può essere inviato personalmente, oppure servirsi dei Centri di assistenza fiscale (Caf) o di professionisti abilitati (ad esempio, commercialisti e consulenti del lavoro).

Modello 730 precompilato, come modificare le spese in detrazione o deduzione?

In particolare, il controllo delle spese detraibili o deducibili 730 precompilato può portare all’integrazione dei dati già presenti nel modello. Lo si può fare dal quadro E del modello 730 per le spese sostenute nell’anno di imposta 2021, da rimborsare nel 2022. A tal proposito è necessario prestare attenzione:

  • se la spesa oggetto di rimborso è stata effettuata nel 2021 e nello stesso anno è stata dedotta o detratta, non va effettuata la detrazione o non va dedotta la spesa stessa. In questo caso è importante controllare che nel modello 730 precompilato non sia presente la spesa. In questa eventualità, occorre rettificare l’informazione con l’eliminazione della spesa stessa. Pertanto, se il rimborso di una spesa detraibile o deducibile avviene nel medesimo anno in cui sia stata sostenuta, il bonus fiscale si perde.
  • caso differente per il rimborso del 2021 di una spesa dedotta oppure detratta negli anni prima. In questa situazione il rimborso va iscritto nel rigo D 7 della colonna 4, inserendo il codice 3 per le spese dedotte e il codice 4 per le spese detratte. Dunque, nella colonna 3 è necessario indicare l’anno nel quale si sia già goduto del bonus. Il rimborso deve essere indicato fino alla concorrenza dell’importo che ha già avuto la detrazione o la deduzione.

Cosa avviene per le spese sanitarie nel modello 730 precompilate? Ecco i casi

Nel caso in cui si tratti di rimborso delle spese sanitarie sostenute nell’anno 2020 ma rateizzate in 4 anni, è necessario utilizzare il rigo D 7. L’importo da assegnare, dunque, è quello di un quarto, perché la rateizzazione è per 4 anni. In questa situazione, il contribuente dovrà prendere a riferimento la quota di spesa dell’anno 2021. La detrazione di questa quota va inserita nel rigo E 6 solo per la parte di importo eccedente il quarto a rimborso. Negli altri anni dei quattro previsti per la rateizzazione, l’operazione da fare è uguale.

Spese sostenute nel 2021 da rimborsare nel 2022: il contribuente deve verificare caso per caso

Nel caso di spese sostenute nel 2021 che dovranno essere rimborsate nell’anno in corso, è necessario verificare caso per caso se inserire la spesa nel quadro E. Infatti, se nel modello 730 precompilato del 2022 si procede con la detrazione o con la deduzione della spesa, nella dichiarazione dei redditi del prossimo anno si dovrà procedere con la tassazione del rimborso stesso. La tassazione separata sconta la percentuale media dei due anni anteriori, con aliquota minima del 23%. La detrazione in genere è del 19%. Fanno eccezioni le erogazioni liberali che hanno aliquote dal 26% fino al 35%. Le spese contenute nel quadro E, nella Sezione II, relativa agli oneri deducibili, e quelle del recupero edilizio e assimilate (Sezione III), assicurano risparmi maggiori. Pertanto, il contribuente dovrebbe fare un confronto tra:

  • il risparmio subito, di quest’anno;
  • la tassazione da applicare al rimborso.

Da questo confronto, il contribuente può decidere se prendere il bonus subito sui redditi del 2021 oppure il rimborso senza tasse nel 2022.

Contribuenti che hanno redditi tra 120 mila e 240 mila euro: detrazioni ridotte in proporzione al reddito

I contribuenti che hanno livelli di redditi da un minimo di 120 mila euro e un massimo di 240 mila euro, hanno la possibilità di detrarre le spese (a eccezione di quelle sanitarie) con riduzione proporzionale all’aumentare del reddito stesso. A partire dai 240 mila euro vi è l’azzeramento delle detrazioni. Per le tasse del rimborso del 2021 relative alle spese detratte nell’anno 2020 solo parzialmente, si ritiene, in attesa di chiarimenti, di iscrivere nel rigo D 7 solo la parte del rimborso in proporzione a quella della spesa detratta.

Pensioni, come uscire prima con cumulo e ricongiunzione dei contributi?

Come si può andare in pensione prima procedendo con il cumulo o la ricongiunzione dei contributi? Alcuni casi aiutano a valutare i due istituti previdenziali per arrivare alla scelta migliore. Ad esempio, un lavoratore che abbia superato di qualche anno i 60 anni e che abbia maturato contributi presso più gestioni (25 anni da lavoratore dipendente, contributi presso la gestione ex Enpals e anche qualche mese alla Gestione separata dell’Inps), può valutare di unire i versamenti per arrivare prima alla pensione.

Ricongiunzione dei contributi ai fini della pensione, di cosa si tratta?

Ai fini della pensione, con la ricongiunzione dei contributi versati presso differenti gestioni previdenziali si permette di:

  • accentrare i versamenti tutti in una delle gestioni presso la quale siano stati versati contributi;
  • ottenere la pensione dalla gestione previdenziale prescelta;
  • rateizzare e dedurre fiscalmente il costo dell’operazione che ammonta al 50% della differenza tra l’onere teorico di ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi.

Pensioni anticipate, come procedere con il cumulo gratuito dei contributi?

Con il cumulo dei contributi versati, disciplinato dalla legge di Bilancio 2017, il lavoratore può unire i versamenti effettuati nella vita lavorativa presso più gestioni previdenziali, sia private che pubbliche. Il cumulo dei contributi si può richiedere per ottenere i seguenti trattamenti previdenziali:

  • la pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • le pensioni di vecchiaia;
  • l’inabilità;
  • le pensione dei superstiti.

Pensioni, quale è più conveniente tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Quale scelta è più conveniente per i lavoratori prossimi alla pensione, il cumulo dei contributi o la ricongiunzione? In entrambi i casi, l’assegno delle pensioni saranno determinate dall’unione di almeno due gestioni previdenziali. In linea di massima, si può affermare che, pur non comportando degli oneri, il cumulo pensionistico produce minori vantaggi in termini di pensione rispetto alla ricongiunzione.

Come andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni unendo i contributi?

Nel caso del lavoratore sopra descritto, se il contribuente proviene dal sistema previdenziale misto (quindi con una parte dei contributi versati entro il 31 dicembre 1995) si può pensare di andare in pensione anticipata a 64 anni di età. Tale possibilità vige nel caso in cui il lavoratore abbia almeno un contributo versato entro il 1996. Facendo il computo nella gestione separata e riunendo le varie gestioni previdenziali, il lavoratore può andare in pensione a 64 anni:

  • se accetta il ricalcolo della pensione con il solo meccanismo previdenziale misto;
  • rispettando uno dei requisiti legati all’assegno di pensione. Ovvero, l’importo del futuro trattamento previdenziale deve essere pari ad almeno 2,8 volte quello della pensione sociale. Per il 2022, dunque, tale importo è fissato in 1.310,68 euro.

Pensione anticipata contributiva, chi può andare uscire prima?

In ogni modo, se il lavoratore ha iniziato a versare i contributi in data successiva al 31 dicembre 1995, la possibilità di andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni è sempre riconosciuta. Tuttavia, i contributi versati alla Gestione separata dell’Inps daranno diritto a una parte della pensione a decorrere dalla vecchiaia. Dunque, a decorrere dai 67 anni di età. Procedendo, invece, con il cumulo di tutte e tre le gestioni previdenziali presso le quali il lavoratore abbia versato i contributi, il richiedente potrebbe godere contemporaneamente di tutte e tre le quote di pensione.

Lavoratore con contributi in due gestioni previdenziali differenti: la possibilità di procedere con il cumulo o la ricongiunzione

Nel caso in cui un lavoratore, appartenente al sistema previdenziale misto, abbia contributi versati in due gestioni, si può pensare a quale convenga di più tra ricongiunzione e cumulo. Ad esempio, se un lavoratore ha iniziato a contribuire dal 1990 e per 20 anni ha versato contributi al fondo telefonici e successivamente come dipendente di un’impresa privata, le alternative sono due. La prima consisterebbe nel  trasferire i contributi presso una sola delle due gestioni (ricongiunzione). Con tale istituto, la scelta del lavoratore non andrebbe a incidere con l’uscita anticipata, ma direttamente sull’assegno di pensione. La scelta sarebbe valida anche per accedere a specifiche formule di pensione che non sono consentite con il cumulo dei contributi.

Pensioni anticipate con il cumulo gratuito dei contributi: possibilità anche per i liberi professionisti

Con il cumulo dei contributi, invece, il lavoratore può ricongiungere gratuitamente i versamenti effettuati presso più gestioni. Il contribuente raggiungerebbe la pensione sulla base delle quote di assegno spettanti da ciascuna delle gestioni previdenziali. Peraltro il cumulo gratuito dei contributi è previsto anche per i liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali. Nel caso in cui il professionista abbia contributi versati anche da lavoratore dipendente, si possono unire i periodi di lavoro e di versamenti non coincidenti per arrivare prima:

  • alla pensione di vecchiaia;
  • a quella anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41 anni e 10 mesi).

Uscita da lavoro per i liberi professionisti con il cumulo dei contributi

Peraltro, per i contributi versati alla Cassa previdenziale è necessario che il libero professionista presti attenzione ai requisiti richiesti dalla gestione previdenziale stessa. Ad esempio, per la pensione di vecchiaia degli ingegneri iscritti a Inarcassa, il requisito da maturare è pari a 34 anni e sei mesi di contributi. Si tratta di un requisito ben più gravoso rispetto a quello previsto dall’Inps che per la pensione di vecchiaia richiede venti anni di contributi versati.

La ricongiunzione può essere richiesta per i lavoratori autonomi iscritti alle Casse previdenziali?

I liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali non possono richiedere la ricongiunzione dei contributi. Pertanto, chi volesse arrivare alla pensione mediante ricongiunzione onerosa dei contributi versati alle Casse previdenziali e alla gestione dell’Inps come lavoratore alle dipendenze, può semplicemente attendere l’età della vecchiaia per ottenere un supplemento di pensione.

Super ecobonus 110%, come si percepisce la detrazione fiscale nel 730?

Come si percepisce la detrazione fiscale del super ecobonus del 110% nel modello 730 utile per la dichiarazione dei redditi? Per beneficiare della detrazione fiscale è necessario utilizzare, nel modello 730 del 2022, la prima colonna dei righi E 61 ed E 62. Si tratta dei righi riguardanti le tipologie dei lavori.

Quali sono i codici da utilizzare nel modello 730 per la dichiarazione dei redditi e la detrazione fiscale del super ecobonus 110%?

All’interno dunque delle sezioni dedicate del modello 730 per la dichiarazione dei redditi e ai fini della detrazione fiscale del super ecobonus 110%, devono essere utilizzati i codici dei lavori da due a sette, il 12, il 13, il 14 e il 16. Sono questi i codici inerenti i lavori trainati. Relativamente a questi interventi, inoltre, bisogna spuntare la colonna numero sei, quella del 110%. Per i lavori trainanti, è occorrente utilizzare i codici che vanno da 30 a 33.

Super ecobonus 110%, cosa avviene se non si è raggiunto il 30% di Sal al 31 dicembre 2021?

Un’attenzione particolare deve essere posta per i lavori in super ecobonus 110% che non sono avanzati al 30% di Sal al 31 dicembre 2021. Per questi lavori i contribuenti:

  • non sono riusciti a cedere il relativo credito di imposta ai soggetti ammissibili nel corso del 2021;
  • è stato negato lo sconto in fattura;
  • si possono dunque detrarre i relativi importi delle spese nella dichiarazione dei redditi del 2022 per i costi sostenuti nell’anno di imposta 2021.

Cosa avviene per i lavori in super ecobonus 110% che non sono giunti a conclusione nel 2021?

Si tratta, pertanto, di interventi rientranti nel super ecobonus con detrazione fiscale del 110% che, seppure iniziati nel corso del 2021, non sono ancora giunti a conclusione nell’anno 2022. L’unico modo per il contribuente di ottenere il vantaggio fiscale è la detrazione, non potendosi praticare le vie della cessione dello sconto in fattura e della cessione dei crediti di imposta. Con la detrazione fiscale, il contribuente può procedere con il vantaggio nella dichiarazione dei redditi spalmando l’importo spettante in 5 rate annuali. Anche se questo meccanismo potrebbe generare un altro problema, ovvero quello dell’incapienza dell’Irpef rispetto a quanto spettante come detrazione fiscale dal super ecobonus 110%. Risulta pertanto necessario prestare attenzione alla capienza delle imposte rispetto alla “moneta fiscale” spettante.

Quali sono i lavori che generano detrazione fiscale del 110% per la dichiarazione dei redditi 2022?

La normativa sui bonus edilizi prevede che i lavori che possano generare la detrazione fiscale del 110% nella dichiarazione dei redditi del 2022, sono:

  • l’ecobonus 110%;
  • il super sismabonus;
  • i lavori del fotovoltaico;
  • gli interventi sugli accumulatori;
  • i lavori per l’installazione delle colonnine di ricarica delle vetture elettriche.

Per tutti questi lavori è possibile procedere con la detrazione fiscale degli acconti versati nell’anno di imposta (il precedente rispetto all’anno prima sia della presentazione della dichiarazione dei redditi che del termine dei lavori stessi).

Quali sono le certificazioni necessarie per la detrazione fiscale in dichiarazione dei redditi dei lavori in super ecobonus 110%?

Per i lavori a cavallo tra un anno e il successivo, ai fini della detrazione fiscale e della dichiarazione dei redditi del super ecobonus 110% non è necessario:

  • procedere con l’asseverazione di congruità dei costi sostenuti. Il documento è contenuto all’interno dell’asseverazione relativa ai requisiti tecnici che va inviata all’Enea nel termine di 90 giorni dalla conclusione degli interventi o allo Sportello unico per l’edilizia (Sue) alla conclusione dei lavori;
  • l’attestazione relativa al fatto che i lavori non siano ancora conclusi. Questo tipo di documentazione, secondo quanto prevede il comma 1 quater dell’articolo 4, del decreto del 19 febbraio 2007, deve essere presentata in carta libera solo per gli interventi in ecobonus iniziati in data antecedente al 6 ottobre 2020.

Super ecobonus 110%, quali asseverazioni servono per gli acconti pagati dopo il 12 novembre 2021?

In merito agli acconti pagati a decorrere dal 12 novembre 2021, giorno di entrata in vigore del decreto legge “Antifrodi”, è necessario il visto di conformità nel modello 730 per chi applica il criterio di competenza dei costi (o di cassa). Tale visto non è necessario se il modello 730 è presentato da un sostituto di imposta, oppure se viene presentato il modello 730 precompilato, anche con correzioni effettuate dal contribuente.

Cosa avviene se il contribuente apporta delle modifiche al modello 730 precompilato in merito alle detrazioni del super ecobonus?

Nel caso in cui il contribuente dovesse apportare delle modifiche circa i dati riportati nel modello 730 precompilato sulle spese sostenute in ambito di super ecobonus 110%, anche senza doversi rivolgere a un commercialista o a un Centro di assistenza fiscale (Caf), potrà procedere con la presentazione del modello direttamente (senza l’ausilio del Caf o del commercialista) per l’apposizione del visto di conformità delle spese sostenute. Il visto, peraltro, non deve essere richiesto per la dichiarazione dei redditi che riporta già la detrazione fiscale spettante. La certificazione, in questo caso, riguarda la presenza delle condizioni necessarie affinché si possa aver diritto alla detrazione fiscale del super ecobonus 110%.

Quando va richiesto il visto di conformità dell’intera dichiarazione dei redditi?

Il visto di conformità delle spese sostenute ai fini del super ecobonus 110% per il modello 730 deve essere richiesto dal contribuente per l’intera dichiarazione dei redditi nel caso in cui presenta il modello 730 mediante il commercialista o un Caf. Procedendo in questa maniera, non è necessario il visto specifico del super ecobonus 110% perché quello del 730 lo sostituisce.

Cosa avviene per la dichiarazione dei redditi dei bonus edilizi con detrazione fiscale non del 110%?

Riguardo alle detrazioni dirette nelle dichiarazioni dei redditi (con utilizzo del modello Redditi) dei bonus edilizi che non diano diritto alla detrazione fiscale del 110%, non occorre il visto di conformità specifico. Tale visto è, invece, necessario quando si fanno le comunicazioni telematiche all’Agenzia delle entrate per le spese pagate a partire dal 12 novembre 2021 per le detrazioni fiscali di bonus non rientranti nel 110%. Anche questi bonus possono essere, infatti, beneficiabili mediante la scelta di una delle due opzioni, ovvero lo sconto in fattura o la cessione dei crediti di imposta.

Superbonus 110%, con le ultime novità Pmi tagliate fuori dal bonus

Con le ultime novità sul superbonus 110%, a essere tagliate fuori dai lavori sono le piccole e medie imprese. La certificazione Soa, obbligatoria per gli interventi a partire dal 1° gennaio 2023, rappresenta un percorso a ostacoli nel quale le imprese più piccole, costituenti il 90% del tessuto operante nel settore edile. Molte delle imprese rischiano, dunque,  l’esclusione dal superbonus 110% e dagli altri interventi dei bonus edilizi se non sono qualificate. Le novità sono contenute nel decreto legge numero 21 del 2022, il cosiddetto decreto “Ucraina bis”. Il provvedimento è stato convertito nella legge numero 51 del 2022 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale numero 117 dello scorso 20 maggio.

Superbonus 110% e bonus edilizi: che cos’è la certificazione Soa facoltativa dal 1° luglio 2022?

Le novità più importanti in tema di superbonus 110% del decreto legge riguardano le certificazioni che le imprese operanti nell’edilizia dovranno possedere per portare avanti interventi rientranti nel superbonus 110% o negli altri bonus edilizi. La Soa viene rilasciata da organismi di certificazione che valutano sia i requisiti economici e organizzativi, che quelli tecnici. Attualmente, la certificazione Soa viene richiesta per le opere pubbliche di importo a partire dai 150 mila euro. Nel perimetro del superbonus 110% e degli altri bonus edilizi, il decreto legge prevede la scelta facoltativa della certificazione per le imprese che svolgono i relativi lavori a partire dal 1° luglio prossimo, con obbligo di certificazione a decorrere dal nuovo anno.

Certificazione Soa per i lavori di superbonus 110%: quali sono gli obblighi?

In particolare, dal 1° gennaio 2023 le imprese dovranno dimostrare di avere per lo meno provveduto a presentare domanda. L’istanza si presenta agli enti certificatori della Soa. La qualifica prevede la richiesta tra le 48 categorie presenti, 13 per i lavori generali e 35 per gli interventi specialistici. Tuttavia, dal punto di vista delle qualifiche da ottenere, bisognerà attendere le interpretazioni sui lavori che si possono compiere. Ad esempio, la qualifica generale OG 1, relativa alle opere generali per gli edifici civili e industriali, può bastare oppure nel caso in cui si effettuino lavori di riqualificazione energetica, sono occorrenti anche le qualifiche OG 09 e OG 11, inerenti queste ultime agli impianti per la produzione dell’energia elettrica e per gli impianti tecnologici?

Quali sono le certificazioni Soa che potrebbero essere coinvolte nel superbonus 110% e bonus edilizi?

Ecco dunque che le principali qualifiche Soa che potrebbero essere coinvolte nel superbonus 110% e negli altri bonus edilizi potrebbero essere, per le opere generali:

  • OG1, gli edifici civili e industriali;
  • OG 2, le opere di manutenzione degli immobili tutelati e di restauro;
  • OG9, gli impianti per produrre energia elettrica;
  • OG 11, gli impianti tecnologici.

Per i lavori specialistici, le principali qualifiche Soa sono:

  • OS 3, gli impianti idrici, sanitari, cucine e lavanderie;
  • OS4, gli impianti elettromeccanici trasportatori;
  • OS 18 A, i componenti strutturali in acciaio;
  • OS23, la demolizione delle opere;
  • OS 27, gli impianti per la trazione elettrica;
  • OS28, gli impianti termici e di condizionamento;
  • OS 32, le strutture in legno.

Bonus facciate, come si compila il 730?

Come si compila il modello 730 per il bonus facciate? Per l’anno in corso la detrazione delle spese sostenute nel 2021 è pari al 90%. Per gli interventi a decorrere dal 1° gennaio 2022 è stata disposta la proroga dalla legge di Bilancio, ma con la riduzione della detrazione fiscale dal 90% al 60%. La compilazione del modello 730 segue righi diversi sulla base delle caratteristiche dei lavori eseguiti. Inoltre, è necessario distinguere il bonus facciate eco da quello non eco.

Bonus facciate eco, come si procede con la detrazione fiscale?

Per il bonus facciate eco, la detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi del 2022 è pari al 90%. Si tratta degli interventi che vanno oltre la sola tinteggiatura esterna dell’edificio o la sola pulitura. In questa tipologia di lavori rientrano anche quelli che influiscono sull’edificio dal punto di vista termico. O, in alternativa, che interessano più del 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda totale dell’immobile.

Quali righi del modello 730 sono interessati dal bonus facciate eco e non eco?

I righi interessati dal bonus facciate del modello 730 sono l’E 61 e l’E 62 relativi alla sezione IV. Si tratta, nel dettaglio, della sezione delle spese per i lavori includenti il risparmio energetico e il superbonus. Invece, i righi del bonus facciate non eco sono l’E 41, l’E42 e l’E 43, della terza sezione “A”. Si tratta, in questo caso, di lavori che si limitano alla parte esterna dell’edificio senza incidere sull’efficienza termica dell’edificio. E pertanto, vi rientrano i lavori per recuperare il patrimonio edilizio, per la riduzione del rischio sismico, per il bonus facciate e il superbonus.

Quale detrazione fiscale spetta per i lavori rientranti nel bonus facciate?

Le spese sostenute negli anni 2020 e 2021 e rientranti in lavori del bonus facciate beneficiano della detrazione fiscale Irpef e Ires lorda del 90%. I lavori devono essere stati effettuati nelle facciate esterne degli immobili situati nelle zone A o B secondo la classificazione del decreto numero 1444 del 2 aprile del 1968. Non vi sono limiti di spesa e il totale della detrazione deve essere beneficiata mediante quote annuali pari a dieci, di importo costante.

Come procedere con la detrazione fiscale del bonus facciate nella dichiarazione dei redditi?

Per la detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi del 2022, i contribuenti possono procedere con la prima rata di beneficio fiscale delle dieci previste purché:

  • la spesa effettuata nel 2021 sia stata pagata per intero mediante bonifico parlante;
  • non si tenga conto dello stato di avanzamento degli interventi alla data del 31 dicembre 2021;
  • le imprese invece devono tener conto dell’avanzamento dei lavori al 31 dicembre 2021 perché vige il principio di cassa;
  • il contribuente si assume i rischi della detrazione fiscale anticipata derivante da un possibile inadempimento da parte dell’azienda che svolge i lavori.

Detrazione fiscale del bonus facciate e sconto in fattura: come utilizzare il beneficio fiscale?

Fatte dunque queste premesse, il contribuente nel modello 730 del 2022, relativo all’anno di imposta del 2021, può detrarre nella dichiarazione dei redditi la corrispondente quota delle spese sostenute. Se, invece, il beneficio fiscale deriva dallo sconto in fattura applicato dall’impresa che esegue i lavori, il bonifico viene ridotto del 10% del totale dei lavori. Il restante 90%, dunque, non può essere detratto nella dichiarazione dei redditi perché il beneficio fiscale è stato trasferito dal contribuente all’impresa.

Come procedere con la compilazione del modello 730 per il bonus facciate?

La compilazione della dichiarazione dei redditi dei contribuenti e delle imprese per il bonus facciate eco e non eco, implica l’inserimento, nei rispettivi modelli 730 e Redditi, dei:

  • dati catastali che identificano l’edificio;
  • degli estremi dell’atto di detenzione dell’immobile nel caso in cui i lavori siano svolti a cura del detentore.

Se si tratta di bonus facciate eco, relativo a interventi che influiscono sull’efficienza termica dell’edificio o che interessano più del 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda totale dell’immobile, il contribuente non deve inserire i dati catastali. Lo stabilisce il paragrafo 4.1 della circolare dell’Agenzia delle entrate numero 2/E del 14 febbraio 2020.

 

Pensioni, conviene di più la ricongiunzione o il cumulo dei contributi?

Ai fini della pensione, quale conviene di più, la ricongiunzione o il cumulo dei contributi? Per rispondere alla domanda è necessario sapere che la ricongiunzione può comportare delle spese, ma un maggiore vantaggio in termini di assegno di pensione. Il cumulo, invece, è sempre gratuito ma assicura minori vantaggi per la futura pensione. L’esigenza di procedere con la ricongiunzione dei contributi o con il cumulo può presentarsi al superamento dei 60 anni per valorizzare gli anni di contributi versati in rapporto alla propria carriera lavorativa. E, inoltre, si possono unire le contribuzioni versate in differenti gestioni previdenziali.

Ricongiunzione dei contributi, che cos’è e come incide sulle pensioni?

Con la ricongiunzione dei contributi ai fini delle pensioni si procede ad accentrare in una sola gestione pensionistica i contributi versati presso diverse previdenze. Esercitando questa opzione, i contributi maturati vengono trasferiti nel fondo che accentra tutte le previdenze. L’operazione consente, dunque, di presentare domanda di pensione al fondo accentratore. La legge numero 29 del 1979 prevede la possibilità di concentrare i contributi tra le varie gestioni Inps in 2 modalità.

Come può avvenire la ricongiunzione dei contributi?

La prima direzione del ricongiungimento dei contributi ai fini delle pensioni è quella prevista dall’articolo 1 della legge numero 29 del 1979. Ovvero, il trasferimento dei contributi versati può avvenire per accentrarli dai fondi di gestione sostitutiva e alternativa all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago) al fondo lavoratori del settore privato. Nei fondi alternativi rientrano, a titolo di esempio, anche i lavoratori ex Inpdap. La seconda modalità di trasferimento consente di spostare i contributi verso i fondi differenti dal fondo pensioni dei contribuenti del settore privato.

Ricongiunzione dei contributi, quanto costa?

Le due operazioni di ricongiunzione dei contributi hanno un costo. L’onere che il contribuente deve sostenere corrisponde al 50% della differenza tra l’onere teorico della ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi inerenti trasferiti nel fondo accentrante. Tale meccanismo è disciplinato dalla circolare dell’Inps numero 142 del 2010.

Deducibilità dei costi sostenuti per la ricongiunzione dei contributi: come avviene?

L’operazione, in ogni modo, può avere un quale vantaggio per l’aspetto della deducibilità dei costi sostenuti per il trasferimento dei contributi. La deducibilità degli oneri dal reddito è disciplinata dalla lettera e), del comma 1, dell’articolo 10 del Testo unico delle imposte sui redditi. Si può procedere con la rateizzazione senza l’applicazione di interessi. Il numero delle rate è calcolato in tante mensilità quanto è il periodo di tempo della ricongiunzione. Pertanto, la ricongiunzione può essere richiesta anche quando il lavoratore è attivo sul lavoro.

Cumulo dei contributi ai fini delle pensioni, quando si può fare?

Il cumulo dei contributi era stato introdotto dalla legge numero 228 del 2012 e poi modificato integralmente dalla legge numero 232 del 2016 (legge di Bilancio 2017). La possibilità di procedere con il cumulo dei contributi è prevista per le seguenti tipologie di pensione:

  • pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • pensioni di vecchiaia;
  • inabilità;
  • pensione dei superstiti.

Il cumulo può essere esercitato per i contributi versati in tutte le gestioni previdenziali. Dunque, sia quelle private che quelle pubbliche e non vi è un prerequisito dei contributi stessi.

Cumulo dei contributi, si può utilizzare anche per le Casse previdenziali?

Il cumulo dei contributi può essere utilizzato anche per i versamenti effettuati presso le Casse professionali. In tal caso, il cumulo opera per i periodi lavorativi e contributi che non coincidono con altre gestioni previdenziali. L’obiettivo dello strumento è quello di permettere il raggiungimento dei requisiti richiesti per le pensioni anticipate, di vecchiaia, per la quota 102 (come previsto dalla legge di Bilancio 2022), per le pensioni ai superstiti e di inabilità. Devono essere, dunque, rispettati i requisiti fissati dalla legge Fornero (legge numero 214 del 2011) per le pensioni anticipate ordinarie e di vecchiaia. In merito alla pensione di inabilità, i requisiti sono fissati dalla legge numero 222 del 1984.

Quale differenza c’è tra ricongiungimento dei contributi e cumulo?

Rispetto a quanto abbiamo visto per il ricongiungimento dei contributi, con il cumulo non si ha il trasferimento dei contributi da una gestione previdenziale a un’altra. La pensione spettante viene calcolata per quote secondo i meccanismi previdenziali di ciascuna gestione previdenziale. La distinzione è stabilita dalla circolare dell’Inps numero 140 del 2017. Se un contribuente ha maturato anni di contributi entro il 31 dicembre 1995, l’assegno di pensione viene calcolato con il metodo retributivo ma secondo le regole fissate da ciascuna gestione previdenziale (ad esempio, Inps ed  ex Inpdap).

Pensione, quale conviene di più tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Il trattamento pensionistico, dunque, sarà il risultato delle pensioni calcolate dalle due gestioni previdenziali. Inoltre, pur essendo gratuito, il cumulo pensionistico comporta minori vantaggi rispetto alla ricongiunzione in termini di assegno pensionistico.

Pensioni, quante possibilità ci sono che nel 2023 venga attuata quota 41?

Quante possibilità ci sono che nella riforma delle pensioni del 2023 venga attuata la quota 41 per tutti? Ad oggi, le trattative tra il governo Draghi e i sindacati per la riforma previdenziale del prossimo anno sono ferme. Oltre 3 mesi di stop ai tavoli delle nuove misure pensionistiche che dovranno evitare il ritorno ai vincoli della riforma Fornero di fine 2011. Se non si dovesse intervenire per tempo, con la fine della sperimentazione della quota 100 a 31 dicembre scorso, e in attesa della scadenza della quota 102, attualmente in vigore fino al prossimo 31 dicembre, le vie di uscita dal lavoro rimarrebbero quelle della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni, e quella della pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di versamenti contributivi.

Pensioni, senza quota 102 i lavoratori rimarrebbero senza misure di uscita anticipata

Proprio nei giorni scorsi, il leader della Lega Matteo Salvini è intervenuto per porre pressione al governo sulla riforma delle pensioni e per rilanciare il vecchio progetto della quota 41 per tutti. Al netto di misure di uscita che riservano l’uscita a una platea ben ristretta di contribuenti (l’opzione donna e l’anticipo pensionistico sociale, ancora da confermare per il 2023), e senza la proroga dell’attuale quota 102, i lavoratori rimarrebbero senza canali di uscita praticabili. E dovrebbero attendere la maturazione dei requisiti della legge Fornero.

Pensioni, quali sono le previsioni del decreto ‘Aiuti’ di Mario Draghi?

Ad oggi non si fanno previsioni sulla ripresa dei tavoli di riforma delle pensioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è impegnato nelle misure da adottare nel decreto legge “Aiuti”, alcune delle quali potrebbero riguardare i pensionati. Infatti, oltre al bonus 200 euro nel quale rientrano i contribuenti in quiescenza, il governo potrebbe prevedere misure per difendere il valore delle pensioni dall’inflazione causata dal conflitto in Ucraina. La road map dei lavori governativi prevede di entrare nel vivo del provvedimento all’incirca per il 20 giugno prossimo, in modo da avere tempo fino al 16 luglio per l’ok definitivo delle Camera.

Il governo pensa a misure nel decreto ‘Aiuti’ per difendere le pensioni  dall’inflazione

Quello della difesa del valore delle pensioni dall’inflazione è un cavallo di battaglia delle sigle sindacali. Che però vorrebbero riprendere i tavoli di trattativa con il governo per creare le condizioni necessarie affinché nella legge di Bilancio 2023 vengano attuate misure di riforma strutturale delle pensioni. A partire dalle uscite flessibili dei lavoratori dall’età di 62 anni o della stessa quota 41 per tutti. Un’ipotesi in comune con la politica di Matteo Salvini a favore dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare in età adolescenziale e che hanno accumulato circa quattro decenni di contributi previdenziali.

Pensioni: Matteo Salvini propone quota 41 per tutti, Forza Italia risponde che è meglio la quota 104

La quota 41 per tutti è un modello previdenziale nemmeno recente di Matteo Salvini. Infatti, la misura avrebbe dovuto rappresentare il meccanismo da introdurre al termine dei tre anni di sperimentazione della quota 100, proprio a partire dal 1° gennaio 2022.

Quota 41 per tutti, ‘senza se e senza ma’

Si tratterebbe di considerare il solo requisito contributivo dei 41 anni di versamenti, “senza se e senza ma”. Ovvero il meccanismo di uscita sarebbe slegato da tutti i paletti che, nella misura attuale, restringono notevolmente la platea di chi può intraprendere questo canale di uscita. Peraltro, a Matteo Salvini ha risposto nei giorni scorso Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, il quale ha espresso la preferenza per la quota 104 rispetto alla quota 41. Si tratterebbe di innalzare la quota con l’età minima di 64 anni di età, in linea con il requisito anagrafico richiesto per varie ipotesi di riforma e per la stessa quota 102, ma aumentando i contributi a 40 anni.

Pensioni, per Antonio Tajani ‘quota 104 è meglio di quota 41’

Quella di Antonio Tajani sarebbe una proposta di riforma delle pensioni che andrebbe ad assicurare l’uscita a chi ha parecchi anni di contributi e, probabilmente, accontenterebbe Bruxelles sui requisiti minimi dal momento che nei giorni scorsi è arrivata dall’Europa la bocciatura sia per la quota 102 che per la quota 100. Per il coordinatore di Forza Italia è occorrente “dare vita ad una nuova riforma che tuteli i contribuenti di oltre 60 anni di età, ma anche i giovani lavoratori”.

Riforma pensioni 2023, probabili tavoli delle trattative con i sindacati in autunno

La bocciatura di Bruxelles, peraltro, ha reso ancora più difficoltosa una riforma delle pensioni che riesca a mettere d’accordo partiti politici, sindacati, lavoratori e imprese. Dopo aver lavorato sui dossier ritenuti più urgenti e dettati dall’emergenza in Ucraina, Mario Draghi potrebbe sedersi al tavolo delle trattative per le nuove pensioni in autunno, quando la riforma dovrà trovare collocazione legislativa nella Manovra di Bilancio 2022.

Pensioni, Draghi sarebbe freddo all’ipotesi di quota 41: ecco perché

Al momento, infatti, il governo sarebbe piuttosto freddo rispetto all’ipotesi della quota 41, da adottare come baluardo per evitare un ritorno alla riforma Fornero. E anche di mettere mano alla misura dei 41 anni di contributi attualmente in vigore. L’uscita con l’odierna quota 41 è possibile solo per determinate categorie di lavoratori, come i precoci, e quelli che svolgono mansioni usuranti. La proposta di Matteo Salvini considera solo gli anni di contributi, a prescindere:

  • dall’età anagrafica di uscita dal lavoro;
  • dall’anno di contributo, attualmente richiesto, versato entro i 19 anni di età.

Pensioni con quota 41, i requisiti richiesti in comune con l’Ape sociale

A questi requisiti si aggiungono quelli in comune con la misura di pensione dell’Ape sociale, ovvero:

  • la situazione di disoccupazione;
  • lo svolgimento di attività usuranti o gravose per almeno gli ultimi 7 anni su 10 e per non meno di 6 degli ultimi 7 anni;
  • lo stato di invalidità civile per almeno il 74%;
  • l’essere caregiver, ovvero prendersi cura di familiari conviventi in condizione di handicap grave.

Pensioni a quota 41 per tutti, quanto costa la misura?

Al di là della volontà politica di aprire tavoli di riforma delle pensioni che abbiano tra le ipotesi quella della quota 41 per tutti, è necessario tener presente i conti dell’Inps sulla misura. L’Istituto previdenziale, infatti, calcola che la quota 41 per tutti costerebbe:

  • quattro miliardi di euro nel primo anno di adozione del meccanismo;
  • valori elevati per tutta la durata;
  • 9 miliardi di euro nell’ultimo anno di un percorso decennale.

Pensioni, la soluzione flessibile dell’Inps che costa meno

Conti alla mano, dunque, il governo sarebbe rimasto freddo di fronte all’ipotesi di una misura così costosa. Le possibilità di uscita anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia convergono su un requisito anagrafico di almeno 63 o 64 anni di età. La spesa per queste misure con requisiti anagrafici si abbasserebbe a 400 milioni di euro. Ma occorrerebbe che il neo pensionato accetti l’assegno calcolato solo con il contributivo fino all’età della pensione di vecchiaia. Dunque, dai 67 anni di età i lavoratori con contributi versati prima della fine del 1995, recupererebbero la quota retributiva.