Come va divisa un eredità?

Molto spesso le ultime volontà possono essere una bella gatta da pelare e anche fare testamento, in alcuni casi potrebbe essere uno step non proprio da fare ad animo leggero, soprattutto quando ci possono essere più eredi in vista. Ma, ancor più complesso diventa quando non vi è alcun testamento a sancire la divisione. In tanti, infatti, si chiedono come va divisa un’eredità? Lo scopriremo in questa rapida guida.

Come si divide un’eredità?

E’ ben noto che in presenza di un notaio, le ultime volontà poste a testamento vanno rispettate e quindi l’increscioso compito della suddivisione spetta al futuro defunto. Il testamento è una dichiarazione scritta, con la quale ciascuno può stabilire la sorte del proprio patrimonio dopo la sua morte. Per esempio, quando il testatore vuole che un certo bene vada esclusivamente a una persona determinata, oppure vuole dividere egli stesso il proprio patrimonio tra gli eredi.

Ma cosa accade quando non vi è alcun testamento pronto, in cui il defunto avrebbe dovuto esprimere i suoi lasciti? Vediamo, in breve, cosa può accadere nel dividere l’eredità.

Dunque, qualora il defunto ha un solo figlio, l’eredità viene divisa a metà tra costui e il coniuge. Se invece i figli sono due o più, a questi spettano complessivamente i due terzi del patrimonio ereditario, da dividere tra loro, e al coniuge rimane il restante terzo.

Se, invece il defunto non aveva figli, al coniuge spettano i due terzi del patrimonio ereditario.

Fratelli e genitori del defunto, cosa gli spetta?

Ad ogni modo, qualora non vi fossero i figli del defunto, l’eredità come potrebbe essere spartita tra i parenti al di fuori del nucleo famigliare, ma comunque prossimi?

Come detto, al coniuge del defunto, spettano comunque due terzi dell’eredità, in caso di mancanza di figli.

Quando il coniuge concorre con i fratelli del defunto, a questi spetterà un terzo dell’eredità. Lo stesso accade quando il coniuge concorre con i genitori del defunto. Se invece, insieme al coniuge, sopravvivono al defunto sia genitori che fratelli, questi si dividono per capi la quota di eredità a loro spettante (che è sempre, nel complesso, di un terzo), ma ai genitori spetta almeno un quarto dell’eredità, quindi ai fratelli rimane ben poco.

In mancanza di figli e di un coniuge (nei casi di persone mai sposatesi e mai attivatisi in prole), l’eredità è divisa tra genitori e fratelli del defunto. La divisione si fa sempre per capi, ma ai genitori è riservata almeno la metà dell’eredità.

Dunque, in pratica, da questa scala di “importanza” di successione, in mancanza di testamento, si può appurare che fratelli e sorelle di un defunto sono in un certo senso gli ultimi beneficiari, mentre il coniuge è il più prossimo beneficiario.

Quando l’eredità finisce allo Stato

Tuttavia, in mancanza di testamento, vi è una ulteriore possibilità di smaltire le grazie ereditarie. Ovvero, che tutto ciò che il defunto lascia, vada nelle mani dello stato. Quando può accadere?

In caso di assenza di coniuge e figli, l’eredità si divide tra ascendenti e collaterali, come abbiamo poco sopra visto; In assenza di coniuge, figli, ascendenti e collaterali, l’eredità va tutta ai parenti entro il sesto grado; Ma, qualora il defunto non lasciasse nessuno (neanche parenti di sesto grado), l’eredità andrà tutta allo Stato, che raccoglie a mani piene e ringrazia.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed esaustivo da sapere in merito alla suddivisione ereditaria, ora non vi resta che prepararvi serenamente le ultime volontà, oppure attendere che piova uno zio d’America dal cielo.

Cosa si può detrarre dalla successione?

Oggi andremo a vedere, in una rapida ma esaustiva guida, cosa ci attende dopo il trapasso. Non nel senso metafisico o religioso della questione, ma più strettamente su quello terreno, legato a questioni economiche, per il trapasso di un nostro caro. Scopriremo, pertanto cosa si può detrarre dalla successione di morte.

Cosa si intende per successione di morte

Innanzitutto, iniziamo a certificare il senso della successione di morte. La successione a causa di morte (nota anche con la locuzione italo-latina successione mortis causa) non è altro che l’istituto giuridico in virtù del quale uno o più soggetti subentrano nella titolarità di un patrimonio o di singoli diritti patrimoniali al precedente titolare, a seguito della morte di quest’ultimo.

Come inviare la dichiarazione di successione? Questa è una domanda piuttosto frequente, nel novero delle questioni economico ereditarie legate al fine ultimo della vita.

La dichiarazione di successione va, dunque, presentata all’Agenzia delle Entrate da un chiamato all’eredità (sia esso coniuge, figli, ascendenti, legatari, o chi per essi) entro un tempo di 12 mesi dalla data del decesso del contribuente, che in genere coincide con quella di apertura della successione.

Cosa si può detrarre dalla successione

Innanzitutto, va detto che gli eventuali debiti contratti dal defunto sono deducibili a certe condizioni. In primo luogo devono risultare da atto scritto con data certa precedente all’apertura delle successione. Oppure si possono dedurre i debiti cristallizzati in un provvedimento giudiziario. Qualora non esistessero documenti formali di questo genere uno degli eredi potrà dichiarare il debito nel modello fornito dall’Agenzia delle Entrate.

Per quanto riguarda il massimo detraibile per le spese funerarie invece la somma è 294,50 euro, ovvero il 19% delle spese fino ad un tetto di 1.550 euro a decesso. Nel caso in cui a pagare sia più di un soggetto (ad esempio i figli del genitore morto), la detrazione può essere suddivisa pro quota.

In ultimo, ma non ultimo, bisogna precisare cosa accade in caso di successione di un immobile.

In caso di successione dell’immobile ristrutturato, le quote residue di detrazione si trasmettono per intero esclusivamente all’erede o agli eredi che conservano la detenzione materiale e diretta dell’immobile.

Cos’altro occorre sapere sulle detrazioni da successione?

Ad esempio, i costi per ottenere una dichiarazione di successione quali sono.

Per ottenere una dichiarazione di successione “standard” i prezzi vanno dai 400 ai 700 euro. Per quanto attiene i tempi delle successioni “standard” è sufficiente una settimana di lavoro, tra la raccolta dei documenti, la compilazione della Dichiarazione e il protocollo inerente. E quali sono i documenti da presentare?

principali documenti utili ad aprire e portare a buon fine una pratica di successione sono i seguenti:

  • Certificato di morte o autocertificazione
  • Certificato di ultima residenza del defunto o autocertificazione
  • Autocertificazione dello stato di famiglia del defunto
  • Autocertificazione dello stato di famiglia degli eredi
  • Visure catastali di tutti i beni immobili del defunto
  • Atto di notorietà dell’erede in cui vengono indicati tutti gli eredi, il tipo di successione e il regime patrimoniale
  • Copia del testamento autenticato da un notaio (solo in caso di successione testamentaria)
  • Prospetto di autoliquidazione di tutte le imposte ipotecarie e catastali con relative ricevute di pagamento
  • Dichiarazione di destinazione urbanistica in presenza di terreni
  • Copia del contratto di mutuo, qualora presente
  • Documenti che attestino possibili passività
  • Dichiarazione della banca che possa certificare la presenza di eventuali conti bancari a nome del defunto
  • Ricevuta delle spese funerarie sostenute in caso sia dovuta l’imposta di successione
  • Eventuali dichiarazioni di rinuncia all’eredità da parte di uno o più eredi

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e imprescindibile da sapere sulla questione di detrazioni dovute a successioni di morte.

Come richiedere estratto di ruolo defunto?

Oggi andremo a vedere come non si può stare in pace economica anche da defunti. Come è noto, anche da trapassati si può essere indebitati ed avere carichi pendenti, ma come fare a scoprire se sussistono tali problemi è la domanda più ad uso, per chi ancora è tra noi. Quindi, oggi andremo a scoprire come richiedere un estratto di ruolo di un defunto.

Estratto di ruolo cosa è:

Dunque, innanzitutto chiariamo di cosa si tratta quando si parla di estratto di ruolo.

L’estratto di ruolo non è altro che un documento che contiene le informazioni essenziali su tutti gli atti emessi nei confronti di un contribuente a partire dal momento in cui il debito viene iscritto a ruolo (cartelle esattoriali, avvisi di accertamento o di liquidazione d’imposta, intimazioni di pagamento ecc.). Quindi un campionario di debiti.

Questo lo si può richiedere presso gli sportelli Equitalia oppure può essere effettuata richiesta direttamente on line. Le file presso gli sportelli, come é noto, non sono certo velocissime e proprio per questo, l’ente ha messo a disposizione uno strumento per scaricare il modello on line.

Per poter chiedere l’estratto di ruolo online, l’utente Inps può fare la richiesta sul sito www.inps.it, accedere quindi alla sezione Servizi on line, poi cliccare su ”Richiesta PIN On Line”, quindi seguire tutte le indicazioni per la registrazione e la richiesta del PIN.

Ma come sapere l’estratto ruolo di un defunto?

Cosa cambia, in tutto ciò, nel fare richiesta dell’estratto ruolo di un defunto, è la domanda più frequente nei casi in cui un nostro caro ci avesse lasciato e non siamo esattamente a conoscenza di quali debiti insoluti potrebbe aver lasciato.

Dunque, per scoprire e valutare l’entità degli eventuali debiti contratti dal defunto, l’erede può, per i debiti con lo Stato consultare l’estratto di ruolo disponibile online sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Oppure recarsi direttamente all’ufficio più vicino alla residenza del defunto.

Naturalmente, per potere effettuare e quindi completare la richiesta, sarà necessaria una serie di documenti:

  1. il certificato di morte del defunto.
  2. un proprio documento d’identità e codice fiscale.
  3. una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà nella successione.
  4. la delega da parte degli altri eredi, qualora vi fossero.

A tale proposito è necessario dare risposta alla domanda più annosa della questione, quella più frequente. Ovvero, i debiti del defunto a chi spetta pagarli?

Chi paga i debiti del defunto?

Non sempre il defunto ci lascia una cospicua o gradevole eredità, economica od affettiva, immobile o danarosa, ma talvolta il suo carico di addio può anche consistere in una somma di debiti.

E, in quel caso, l’ammontare inizia ad aleggiare, come spettro inaccollabile, tra il parentado. Ma la domanda è chi dovrà, poi estinguere il debito?

In tal senso, l’articolo 754, Codice Civile, stabilisce che nel caso di recupero crediti da persona deceduta sono gli eredi a dover pagare i debiti ed accollarsi i pesi ereditari in proporzione alla quota stabilita per ciascuno di essi. Tutti gli eredi che hanno accettato l’eredità dovranno, quindi, pagare i debiti lasciati dal defunto. Il debito si assume solo con l’accettazione dell’eredità e non prima.

L’unico modo per ovviare al gravoso peso del debito del defunto è uno e soltanto uno. La rinuncia alleredità. In tal modo si esclude ogni obbligo di pagamento dei debiti lasciati dal defunto. Pertanto, l’erede rinunciante non può essere chiamato a rispondere dei debiti contratti dal defunto.

Dunque, questo era quanto vi fosse di necessario ed immediato da sapere in merito alla questione di debiti lasciati dal caro estinto e sulla richiesta dell’estratto di ruolo, per poter sapere accuratamente a “quanto ammonta il danno” lasciato in vita dal defunto.

Che cosa sono i crediti in sofferenza?

Oggi, in una situazione di sofferenza generale per il paese, dovuta dalla crisi pandemica, da cui appena si intravede una via di uscita, andremo a scoprire di cosa si parla quando si fa riferimento ai crediti in sofferenza.

Crediti in sofferenza, di cosa si tratta

Oggi andiamo ad addentrarci in situazioni bancarie per molti astruse. In una situazione economica, psicologica e sociologica poco agevole per il nostro paese (e per tanti altri paesi), molti si chiedono cosa siano i crediti in sofferenza. Scopriamolo assieme.

Partiamo col capire che il credito bancario nasce da tre diverse situazioni: Un contratto, ad esempio di finanziamento stipulato tra un soggetto che vuole acquistare dei beni ma non ha il denaro necessario e una finanziaria che è in grado di prestare il denaro.

Ma cosa è, in questo caso, un credito in sofferenza?

crediti in sofferenza sono, in pratica, quei crediti bancari la cui riscossione non è certa (per le banche e gli intermediari finanziari che hanno erogato il finanziamento), poiché i soggetti debitori si trovano in stato d’insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili.

Quindi si può ben dire che un debito bancario viene definito in sofferenza quando la riscossione da parte della banca non è sicura, per una situazione di insolvenza del cliente.

Come cancellare crediti in sofferenza

Ma la domanda che può arrovella le menti di coloro che sono in sofferenza (bancaria, in questo caso) è ben precisa. Ovvero come si possono cancellare i crediti in sofferenza?

La risposta a questa annosa e sofferente questione è, banalmente, presto detta. In sostanza, se non si presentano gli estremi, ma la banca segnala comunque la sofferenza bancaria, il cliente può ricorrere al tribunale in sede cautelare con un ricorso d’urgenza. In questo modo, il cliente potrebbe ottenere la cancellazione dello stato di sofferenza e della segnalazione alla Centrale Rischi.

E allora, i più sofferenti si chiederanno, ma come fare nel caso fosse arrivata la segnalazione alla Centrale Rischi?

Per sopperire a tale rischio e limare la sofferenza, il cliente ha una sola soluzione. Per richiedere la cancellazione potrà utilizzare il modulo online sul sito del CRIF e dovrà inviarlo via mail, fax o posta alla società. Il CRIF ha il dovere di effettuare la cancellazione dei dati che risultino positivi entro 90 giorni dalla tua richiesta.

Ma quanto dura la sofferenza?

Molti si chiedono quando poter mettere fine a questa sofferenza bancaria, attraverso l’impiego del CRIF.

In sostanza, possiamo dire che varia la durata della risoluzione della sofferenza previa segnalazione al Crif a seconda della gravità del ritardo. Ovvero, avremo un periodo di 12 mesi per ritardi relativi a 1 o 2 rate. Mentre un periodo di 24 mesi per ritardi relativi a 3 o più rate.

Per quanto riguarda invece la sofferenza segnalata alla Centrale Rischi abbiamo un altro quadro di sofferenza. Quindi, ad esempio la sofferenza in Centrale Rischi di Banca d’Italia dura finché il debito non è estinto o prescritto. I crediti della banca si prescrivono, di regola, entro 10 anni. Il termine decorre dalla chiusura del rapporto col cliente.

Questo è quanto vi fosse di più necessario ed immediato da sapere per poter mettere fine una volta per tutte alle vostre sofferenze bancarie.

Donazioni alle Onlus e detrazioni in dichiarazione dei redditi

Molti si chiedono cosa accade alla propria dichiarazione dei redditi, nel caso di avvenute donazioni economiche e se è possibile ottenere detrazioni. Con questa rapida guida andremo a vedere come comportarsi in merito a donazioni Onlus nella propria dichiarazione dei redditi.

Donazioni Onlus, cosa sono e come funzionano

Innanzitutto, iniziamo col dire cosa si intende per donazioni alle Onlus. Le erogazioni liberali, non sono altro che dei versamenti spontanei, effettuati in favore di Onlus, associazioni, istituzioni religiose. L’obiettivo dell’erogazione è quello di sostenere questi enti nella loro azione sociale.

Va aggiunto che per poter effettuare una donazione in denaro occorre essere nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e poter disporre quindi dei propri beni autonomamente. La legge vieta, di fatto, le donazioni a soggetti incapaci di intendere e di volere anche se effettuate per mezzo del proprio tutore legale.

Molti però si chiedono se sono erogazioni scaricabili dal proprio 730, nella dichiarazione dei redditi. Andiamo a scoprire come funziona il tutto.

Donazioni Onlus, sono detraibili?

La domanda più gettonata per coloro che effettuano donazioni ad Onlus trova presto risposta. Possiamo ben dire che tutti i contribuenti, i quali hanno effettuato erogazioni liberali in favore delle Onlus, possono beneficiare delle detrazioni d’imposta del 19%, 26%, 30% o 35% a seconda delle caratteristiche e della natura dell’ente destinatario della donazione. Andiamo a vedere di più come funziona la detrazione sul proprio 730.

Nella compilazione del 730, vanno specificate al rigo E36, le donazioni a favore di ONLUS, di organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale, per dedurre la spesa nel limite del 10% del reddito dichiarato.

Qualora il donatore fosse una persona fisica può scegliere tra due tipi di agevolazione fiscale: deduzione della donazione, senza limiti assoluti, che sia entro il 10% del reddito complessivo dichiarato; oppure detrazione del 30% della donazione fino ad un massimo di euro 30.000.

Occorre, inoltre, sapere che per poter essere detraibili, le donazioni devono essere versate a:

    • ONLUS;
    • organizzazioni internazionali di cui l’Italia è membro;
    • fondazioni, associazioni, comitati ed enti il cui atto costitutivo o statuto sia redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata o registrata e che tra le proprie finalità prevedano interventi umanitari in favore delle popolazioni colpite da calamità;
    • amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali;
    • enti non economici;
    • associazioni sindacali di categoria

Come scaricare dal 730 le donazioni Onlus

In ultimo, ma non ultimo, andiamo in breve a vedere come poter scaricare le donazioni effettuate ad una Onlus, sul proprio 730.

Poniamo ad esempio, qualora si avesse un reddito lordo di 40.000 euro e si dovrà scegliere se detrarre o dedurre 1.000 euro di donazioni a una ONLUS, va ricordato che con la detrazione recupererete al massimo 300 euro (scegliendo il codice 71 nei righi da E8 a E10), con la deduzione in questo caso recuperi 380 euro.

Un’ultima differenza da sottolineare è indicata tra deduzione e detrazione.

Onde evitare confusione su ciò che è detraibile e ciò che è deducibile, va chiarito che nello specifico delle agevolazioni fiscali per le donazioni alle Onlus si parlerà di detrazione e deduzione fiscale. I due termini sono spesso come detto confusi e, per quanto entrambi facciano riferimento a una riduzione delle imposte da pagare, riguardano aspetti differenti.

Infatti, la deduzione permette di ridurre la base imponibile del proprio reddito complessivo sul quale poi si calcolano le tasse da pagare. Con la detrazione, invece, si sottraggono determinati importi dall’Irpef lorda, diminuendo l’imposta da pagare. Volendo riassumere e semplificare: le detrazioni si applicano sulle imposte da pagare, mentre le deduzioni sul calcolo del reddito imponibile su cui calcolare l’ammontare delle tasse.

Questo è quanto di necessariamente e improrogabilmente vi fosse da sapere se avete donato o volete donare ad una Onlus, per poi poter compilare il vostro 730 e ottenere detrazioni adeguate.

Che cos’è una visura Cerved e a cosa serve?

Oggi andremo a vedere di cosa si parla quando si fa riferimento ad una Visura Cerved, entrando nel mondo delle imprese per scoprire di più a riguardo, con una rapida guida sull’argomento.

Visura Cerved, di cosa si tratta?

Quando si parla di Visura Cerved si fa riferimento ad un documento che presenta le informazioni disponibili su ogni impresa, così come risultano depositate nel Registro Imprese. Per ogni tipologia, sono disponibili versione ordinaria e storica. Inoltre, sulle società di capitali, è incluso l’elenco dei soci/azionisti con relative quote/azioni.

Sostanzialmente, la Cerved Business Information S.p.A., fondata nel lontano 1974, dispone di un’ampia banca dati di informazioni necessarie per il mondo degli affari. La Cerved utilizza una longeva esperienza maturata nella gestione e nel trattamento dei dati delle Camere di Commercio Italiane, sviluppando quindi prodotti e servizi atti a fornire informazioni, che sfruttano le potenzialità del patrimonio informativo di fonte pubblica, offrendo on line informazioni necessarie a verificare l’affidabilità, la solvibilità, e la struttura economico finanziaria di un’impresa.

Col termine Visura, dunque si fa riferimento ad un’ispezione, una certificazione documentata, in questo caso attuata attraverso la Cerved Business Information, con la sua banca dati.

A cosa serve una visura e come funziona?

Molti si chiederanno a cosa serve, dunque, richiedere una visura. Quali sono i costi e come funziona richiederla? Scopriamolo assieme.

La visura dunque, non è altro che una fotografia del patrimonio immobiliare di un soggetto e di eventuali ipoteche ed eventi pregiudizievoli (come pignoramenti o sequestri) su tutto il territorio nazionale;

Per potere effettuare una visura Cerved, semplicemente occorre essere abilitati al servizio, quindi si potrà accedere alla banca dati Cerved, avendo un Conto OPEN attivo. Per farlo online, bisognerà cliccare sul pulsante “Consultazione banche dati Cerved“, quindi attivare nuova richiesta.

Inoltre, il controllo può essere fatto anche su una persona fisica. In tal caso, per richiedere una visura su persona fisica è necessario essere in possesso del suo codice fiscale e/o del nome e cognome, ma in base al tipo di accertamento potrebbero essere richiesti anche altri dati.

Per quanto riguarda i costi, bisognerà attenersi a diversi piani disponibili. Ogni piano predispone una tariffa ed un pacchetto differente, variando dai 56 euro a scendere fino a soli 6 euro.

Insomma, se dovete valutare e ispezionare un’azienda una visura è una soluzione piuttosto interessante, nel caso della Cerved Business Information vi trovereste in una delle più longeve ed affidabili del settore.

Come fare una visura catastale?

Restando, dunque in ambito di visure, vediamo in breve come poter fare una visura catastale, ed in cosa consiste.

La visura catastale è un documento contenente tutti i dati relativi ad un edificio o unità immobiliare. I dati identificativi e reddituali dei beni immobili (sia terreni che fabbricati) i dati anagrafici delle persone, fisiche o giuridiche, intestatarie dei beni immobili, sono contenuti in tale documento che compongono l’ispezione.

Per poter effettuare una visura catastale gratis, solo i titolari di diritti reali, intestatari o proprietari, recandosi presso le sedi degli uffici provinciali del catasto, possono ottenere le visure catastali gratis delle proprietà immobiliari intestate loro. Accedendo, invece al sito dell’Agenzia delle Entrate, è possibile reperire gratuitamente soltanto alcune.

 

Precompilata IVA al via dal 1 luglio 2021 in via sperimentale: cosa cambia per i contribuenti?

Dal prossimo 1 luglio 2021 andrà in partenza la precompilata IVA, in una forma sperimentale, ma molti si chiedono cosa andrà a cambiare per i contribuenti. Scopriamolo assieme, in questa rapida guida sulla questione.

Precompilata IVA, di cosa si tratta

Quando si parla di precompilata, si fa riferimento ad una dichiarazione che è appunto precompilata dall’Agenzia delle entrate, in cui vengono inseriti i dati su redditi, ritenute, versamenti e spese detraibili o deducibili, le quali interessano i contribuenti.

Ma come si potrà accedere alla precompilata IVA?

Presto detto, per chi dovrà precompilare il proprio reddito da partita IVA, dovrà farlo attraverso il sito dell’Agenzia delle entrate. I documenti precompilati saranno resi disponibili, infatti, nell’Area Riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate. Il soggetto IVA passivo vi potrà accedere inserendo il proprio Spid, le credenziali personali, la Carta d’identità elettronica o la Carta nazionale dei servizi.

Dunque, le Partite IVA interessate (artigiani, commercianti, coloro che applicano il regime IVA ordinario e coloro che hanno optato per la liquidazione trimestrale dell’IVA, ovvero i soggetti di ridotte dimensioni) in via sperimentale potranno accettare senza modifiche oppure integrare. In questo modo, a regime, si verrà esentati dagli adempimenti manuali.

Precompilata IVA, scadenze

Ma quali sono le date per prepararsi a fare la precompilata e cosa bisogna rispettare, andiamo a vederlo nei prossimi passaggi.

Dunque, dal prossimo 1 luglio 2021, dunque, i contribuenti troveranno i documenti nell’area riservata del sito web dell’Agenzia delle Entrate, precompilati mediante fatture elettroniche, comunicazioni delle operazioni transfrontaliere e trasmissioni telematiche dei dati dei corrispettivi. Le Partite IVA coinvolte avranno a che fare con i seguenti fattori:

  • bozze di registri fatture emesse e di acquisti effettuati,
  • comunicazioni delle liquidazioni periodiche,
  • da gennaio 2022 anche la dichiarazione annuale IVA.

Novità e cambiamenti, quali saranno?

La domanda che più batte i pensieri dei contribuenti è se ci saranno novità e cambiamenti in merito al sistema di precompilazione. Andiamo a scoprire le dovute risposte.

In buona sostanza, l’Agenzia delle Entrate, utilizzando i dati provenienti dalle fatture elettroniche che transitano dal Sistema di Interscambio (SdI), dalle operazioni transfrontaliere e dai corrispettivi telematici, metterà a disposizione sul proprio portale web, le bozze dei registri IVA e le bozze delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche IVA (le cosiddette LIPE).

Quindi, coloro che sono soggetti titolari di partita IVA o i loro intermediari delegati ai servizi di fatturazione elettronica avranno accesso alle bozze dei registri IVA mensili e, qualora ritenute complete, potranno convalidare i registri che verranno memorizzati e acquisiti dall’Agenzia delle Entrate.

Se ritenute incomplete, invece, il contribuente (o comunque il suo consulente) dovrà annotare e integrare negli stessi le operazioni mancanti effettuate nel periodo, utilizzando sempre il portale web dell’Agenzia delle Entrate.

Per quanto concerne la comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA (LIPE), invece i contribuenti troveranno, nella propria area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate, le precompilate delle liquidazioni periodiche IVA.

Chi sarà soggetto alla precompilata IVA?

In ultimo, ma non ultimo, andiamo a vedere chi saranno quei possessori di partita IVA che si vedranno soggetti a passare al metodo della precompilazione.

I soggetti coinvolti al regime di semplificazione Iva, sono individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, identificabili come imprese di minori dimensioni.

Sostanzialmente, la precompilata andrà a interessare le imprese di piccole dimensioni, come nel caso dei commercianti, gli artigiani, gli imprenditori individuali e professionisti (che nel nostro paese rappresentano la maggioranza dei contribuenti). Il sistema nuovo non andrà a riguardare, invece, le grandi società in quanto più strutturate e caratterizzate da una contabilità più complessa.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed essenziale da conoscere, in merito alla sperimentazione della precompilata IVA che partirà dal 1 luglio 2021.

Dimissioni per giusta causa: spetta la Naspi ma la procedura è diversa

Oggi andremo a scoprire cosa spetta quando ci si ritrova dimissionari per giusta causa. Molti si chiedono se toccherà ugualmente la Naspi al licenziato, ed in che modalità. La risposta è sì, ma andiamo a vedere nel dettaglio di cosa si tratta.

Naspi, che cosa vuol dire

Con il termine Naspi, si parla di disoccupazione. Di fatto, la parola Naspi vuol dire Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego e sostituisce le vecchie precedenti prestazioni di sussidio per la disoccupazione, ovvero la Aspi e la MiniAspi.

Il sussidio della Naspi è operativo dai primi mesi del 2015 ed offre sostegno economico mensile (per una durata massima di 24 mesi) alle persone licenziate o dimesse, come nei seguenti casi:

  • dimissioni durante il periodo di maternità (da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del bambino);
  • dimissioni per giusta causa, come ad esempio per mancato pagamento delle retribuzioni o per aver subito molestie sessuali sul luogo di lavoro, od anche per mobbing;
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura preventiva ed obbligatoria di tentativo di conciliazione;

Ma quando si viene licenziati per giusta causa, come si ottiene la Naspi? Andiamolo a vedere nel prossimo paragrafo.

Naspi e dimissioni per giusta causa

Per verificare se la NASpI spetta anche in caso di dimissioni, occorre osservare il D.Lgs. n. 22/2015 che prevede la tutela economica esclusivamente per le interruzioni involontarie di rapporti di lavoro a decorrere dall’1 maggio 2015.

Quindi, è di fondamentale importanza che la cessazione del lavoro avvenga per cause non imputabili al lavoratore. Va da sé che in caso di dimissioni volontarie, poiché si tratta di un atto volontario del lavoratore, la legge non riconosce la tutela economica.

Differente è, però il discorso in caso di dimissioni per giusta causa.

Cos’è la dimissione per giusta causa? Come specificato poco sopra nell’articolo, è quando il lavoratore subisce da parte del datore di lavoro continue vessazioni o violazioni di obblighi di legge, come ad esempio la mancata corresponsione della retribuzione, può decidere di dimettersi per giusta causa. In tal caso ha diritto alla Naspi.

Va detto che nel caso di dimissioni per giusta causa, il lavoratore oltre a non dover corrispondere l’indennità di mancato preavviso ha diritto a percepirla egli stesso, nonché a beneficiare dell’indennità di disoccupazione, qualora ne ricorrano i presupposti.

Qualora il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e dovesse rifiutarsi così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e quindi farsi riconoscere il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.

Procedura di dimissioni per giusta causa

Non è da sottovalutare tutto il processo che occorre per presentare le dimissioni per giusta causa.

Una procedura che si applica, infatti, a tutte le dimissioni rassegnate a partire dal 12 marzo 2016, indipendentemente dalla causale giustificativa. Le uniche ipotesi a cui la nuova disciplina non si applica sono le seguenti:

  • dimissioni durante il periodo di prova;
  • dimissioni nel rapporto di pubblico impiego;
  • dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza, della lavoratrice o del lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento; ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. n. 151/2001, per tali soggetti le dimissioni devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio (a detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto);
  • dimissioni in un rapporto di lavoro domestico;
  • dimissioni intervenute nelle sedi protette di cui all’art. 2113 del codice civile o avanti alle commissioni di certificazione.

Ma quali sono i documenti per la Naspi da presentare?

I documenti utili a presentare richiesta per la Naspi sono i seguenti:

  • il modello Sr163 dove viene indicato il conto corrente di accredito
  • il documento d’identità, il permesso di soggiorno o il permesso di soggiorno Ue per soggiornati di lungo periodo in corso di validità
  • la tessera sanitaria o codice fiscale
  • le ultime tre buste-paga (facoltativo)
  • la lettera di licenziamento
  • nel caso di colf e badanti si dovranno allegare gli ultimi bollettini Mav dei contributi pagati
  • se il contratto di lavoro era a tempo determinato, bisognerà allegare il contratto di Assunzione
  • in caso di dimissioni per Giusta Causa, si dovrà allegare la lettera di diffida inviata al datore di lavoro, con la ricevuta di invio
  • in caso di dimissioni durante la maternità, sarà necessario allegare la convalida della direzione Provinciale del Lavoro
  • se si possiede P.IVA o si è lavorato con contratti di Lavoro Occasionali, bisogna dichiarare il Reddito presunto per l’anno in corso, durante la compilazione della domanda Naspi.

Insomma, questo è quanto vi fosse da sapere di più necessario, in merito alla questione legata alla Naspi e alle dimissioni del dipendente, per giusta causa.

Come faccio a vedere l’UNILAV sul sito dell’INPS?

Molti si chiedono come poter controllare la propria posizione lavorativa sul sito dell’INPS. Insomma, spesso capita di voler controllare se la propria assunzione sia stata effettuata nella maniera regolare, quindi verificando lo stato UNILAV. Oggi andremo a scoprire come poter controllare tutto ciò.

UNILAV, di cosa si tratta

Innanzitutto, cominciamo col dire di cosa si tratta, quando parliamo di UNILAV.

In sostanza, l’UniLav non è altro che un modello che deve essere inviato al Centro per l’impiego dal vostro datore di lavoro. Ed è un modello che va compilato direttamente online, con alcune variazioni a seconda della regione in cui si lavora.

Nello specifico della questione, andiamo a vedere dunque come monitorare la propria situazione lavorativa, grazie al modello UNILAV.

Come controllare il contratto di lavoro

Iniziamo subito, senza mezzi termini, col dire che il lavoratore che viene assunto dovrà ricevere dal datore di lavoro diverse informazioni, tra cui le seguenti:

  • identità delle parti
  • luogo di lavoro
  • data di inizio del rapporto di lavoro
  • durata del rapporto di lavoro
  • inquadramento lavorativo
  • retribuzione iniziale

Ciò avviene previa contratto o lettera di assunzione da parte del lavoratore al suo dipendente.

Quindi, chi assume una persona ad impiego avrà l’obbligo di inviare il Modello Unificato Lav (UniLav), il quale consiste in una comunicazione telematica al Servizio Informatico C.O. con effetto anche nei confronti di Inps, Inail e ovviamente del Ministero del lavoro.

Quindi, il datore di lavoro potrà consegnare al dipendente una copia della ricevuta elettronica che certifichi l’avvenuto protocollo al sistema UNILAV.

In mancanza di ciò, il lavoratore potrà comunque ricorrere alla Consultazione Info Previdenziali (CIP), ovvero un servizio attraverso il quale i cittadini possono visualizzare, all’interno di un periodo di tempo richiesto, una serie di informazioni tra cui la categoria di inquadramento contrattuale (dirigente, quadro, impiegato, operaio, ecc.) ed anche la tipologia del rapporto di lavoro (se si tratta di contratto a tempo indeterminato, tempo determinato, tempo pieno, tempo parziale, e così via).

Ulteriori dettagli sulla questione

Va aggiunto, inoltre che l’avvenuta assunzione sarà riportata, nella scheda anagrafica del lavoratore rilasciata dai Centri per l’impiego. Ovviamente, dopo avvenuta registrazione ai suddetti. In questo documento sono riportarti i dati anagrafici, le informazioni relative alle competenze professionali del lavoratore e i contratti di lavoro regolarmente comunicati dal datore di lavoro. Quindi qualora non vi fosse traccia, nella propria scheda anagrafica del vostro nuovo lavoro, potrete accendere un campanello d’allarme, poiché il vostro lavoro potrebbe non risultare protocollato.

Come ottenere lo storico lavorativo? E’ possibile su UNILAV?

In ultimo, ma non ultimo va detto che potremmo ottenere anche uno storico lavorativo, sul nostro percorso.

Lo storico lavorativo, anche chiamato percorso lavoratore, non è altro che l’elenco dei rapporti di lavoro avvenuti in un determinato periodo e lo si può richiedere dal lavoratore presso i Centri per l’impiego. E quindi non lo troverete su UNILAV. Tuttavia, se la regione lo ha previsto, è possibile ottenere il C2 storico, sul sito della regione.

Nel documento in questione si troveranno riportati tutti i movimenti lavorativi derivanti dalle comunicazioni obbligatorie che i datori di lavoro devono inoltrare ai Centri per l’impiego. Tra le informazioni contenute vi sono la data di assunzione, cessazione, trasformazione o proroga dei rapporti di lavoro, la ragione sociale del datore di lavoro, la mansione di assunzione, e così via.

Questo è, dunque, quanto vi fosse di più necessario da sapere in merito alla questione del vostro quadro lavorativo online.

Legge 104: quali benefici per il lavoratore autonomo?

Di cosa si parla quando si fa riferimento alla legge 104? E quali sono i benefici, da tale leggi, per il lavoratore autonomo? Queste sono alcune delle domande a cui daremo risposta in questa rapida ed esaustiva guida in merito alla vicenda.

Legge 104, di cosa si tratta

Innanzitutto, facciamo rapida chiarezza sulla vicenda, rispondendo alla domanda basica della questione. Ovvero, cosa è la legge 104., di cosa si parla quando vi si fa riferimento?

Nota anche come legge 104/92, è il riferimento legislativo per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap. Il presupposto è infatti che l’autonomia e l’integrazione sociale si raggiungono garantendo alla persona con disabilità ed alla propria famiglia un adeguato sostegno.

Quindi, sostanzialmente, quando si parla di Legge 104 ci si riferisce alla principale fonte normativa che riconosce benefici fiscali, economici e lavorativi ai portatori di handicap. E’ dunque una legge pensata per tutelare e promuovere i diritti, l’integrazione sociale e lavorativa delle persone disabili e dei loro familiari, che se ne prendono cura.

Va aggiunto che l’handicap è considerato grave quando la persona necessita di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione personale.

Legge 104, benefici per il lavoratore autonomo

Partiamo subito col dire che l’unico beneficio esteso ai lavoratori autonomi con Legge 104 è quello previdenziale. Secondo il quale, dunque, i lavoratori autonomi precoci che assistono un familiare affetto da un handicap grave possono accedere, se sussistono i requisiti, all’Ape sociale ( al compimento di almeno 63 anni di età ed almeno 30 anni di contributi).

Altra domanda molto in voga sulla questione è legata a quale familiare potrà usufruire dei benefici per la legge 104. Partiamo subito con il dire che i permessi legge 104 possono essere fruiti solo dai lavoratori dipendenti e, quindi, solo qualora il lavoratore autonomo sia il disabile a fruirne possono essere i familiari a patto che siano lavoratori dipendenti. Ma non potrà essere il lavoratore autonomo a poter fruire dei permessi per assistere un familiare con handicap grave ai sensi della legge 104. Questo è il punto focale del discorso.

La risposta, presto detta, è molto semplice. Possono fare richiesta dei benefici il coniuge della persona disabile, i parenti di terzo grado se il genitore o il coniuge della persona con handicap hanno più di 65 anni oppure siano invalidi, deceduti o mancanti.

Legge 104 di un genitore, chi può usufruirne?

Molti si chiedono anche se e come è possibile usufruire della legge 104 per un genitore. L’articolo 33 della Legge 104/92 prevede che i permessi di tre giorni possano essere concessi anche a familiari diversi dai genitori del disabile grave accertato tale con specifica certificazione di handicap (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992) dall’apposita Commissione operante in ogni Azienda USL.

Quali altri benefici per chi usufruisce della legge 104

Molti si chiedono se vi possano essere agevolazioni o benefici anche sull’acquisto di materiali, come elettrodomestici, grazie alla legge 104.

Si può, invece dire che in linea generale, non si ha diritto ad agevolazioni sull’acquisto di beni di facile consumo, quali lavatrici, frigoriferi, microonde, o quant’ altro, in quanto non vi è condizione necessaria al diritto o la sussistenza di un collegamento funzionale fra il tipo di menomazione/disabilità e il tipo di prodotto da acquistare.

Ma quindi cosa spetta a chi assiste un disabile con la legge 104?

Come stabilito dalla legge 205/2017 articolo 1 co. 162, i lavoratori che si ritrovano ad assistere un proprio parente convivente affetto da disabilità grave che abbia già compiuto i 70 anni di età, o i soggetti stessi affetti da patologie invalidanti, possono beneficiare dell’Ape Sociale o della pensione anticipata.

In ultimo, ma non ultimo, un passaggio piuttosto importante per la questione. Ovvero, quali sono i documenti necessari per potere ottenere la legge 104.

Occorre necessariamente un documento di identità, il verbale di accertamento sanitario, quindi la dichiarazione sostitutiva dello stato di famiglia. I soggetti con sindrome di Down invece ottengono il riconoscimento dell’handicap con la sola attestazione del medico curante secondo quanto stabilito dalla Legge 289/2002.

Questo è quanto vi fosse di più necessario e indispensabile da sapere in merito ai benefici e le funzionalità della legge 104.