Bonus decreto Sostegni: le scadenze per presentare domanda per ognuno

E’ tempo di Bonus ed in questa sciagurata annata 2020/21 è sempre tempo anche di decreti, in un paese che è in costante balìa di cambiamenti e di incertezze. E dovrebbe essere soprattutto tempo di sostegni, per molte categorie che iniziano sempre più ad annaspare in un clima di crisi economica, psicologica, epidemica e sociale. Se non addirittura a cessare attività, in molti casi. Quindi andiamo, in tal proposito, a scoprire il Bonus decreto sostegni da chi ed entro quando dovrà essere presentato.

Bonus decreto sostegni: chi potrà beneficiarne

Il bonus decreto sostegni, una piccola speranza di ossigeno per molte attività, potrà essere applicato a coloro che sono possessori di partita IVA, attivata entro la data del 23 marzo 2021. Ovviamente, dovranno svolgere attività di impresa ed/od di lavoro autonomo, o siano essi titolari di un reddito agrario e che abbiano residenza in Italia.

Anche i liberi professionisti, non rappresentanti enti commerciali, potranno usufruire di richiesta del Bonus decreto sostegni, ed anche enti religiosi correlati civilmente ad attività commerciali. Non sono ammessi invece i soggetti che hanno cessato la partita IVA prima della data del 23 marzo 2021.

Sono inoltre esclusi dalla possibilità di presentare domanda, gli enti pubblici, coloro che svolgono attività di intermediazione finanziaria e le società di partecipazione.

Quando scade il termine per presentare domanda per il Bonus decreto sostegni?

Le domande per ottenere tale beneficio, saranno accettate a partire dal 30 marzo del 2021 (cioè, a breve) ed avranno scadenza il prossimo 28 maggio 2021. Ma, prima di presentare domanda per ottenere il tanto ambito bonus, bisognerà accertarsi di ben due criteri importanti, per poterne ottenere beneficio.

Uno dei due requisiti consiste nell’aver conseguito nell’anno 2019 ricavi o compensi non superiori a 10 milioni di euro. Ovvero farà fede il modello della dichiarazione dei redditi del 2020. Mentre, nel caso delle società con un periodo d’imposta che non coincida con l’anno solare, occorrerà tenere riferimento del periodo d’imposta precedente a quello in corso al 23 marzo 2021.

L’altro requisito da tenere conto, prima di presentare domanda per il bonus decreto sostegni è verificare che l’ammontare medio del fatturato mensile e del corrispettivo del 2020 sia inferiore del 30% almeno, rispetto all’ammontare medio dell’anno 2019. Una particolarità che, invece non sarà necessaria per coloro che hanno aperto la partita IVA nel gennaio 2019.

Come si calcola l’ammontare del contributo del Bonus decreto sostegni?

E veniamo, dunque, a ciò che potrebbe attendere ai “fortunati vincitori” di questa boccata d’aria tanto ambita. Il calcolo di ciò che vi spetta, sempre ammesso che tra una trafila e l’altra, tra un requisito e l’altro, avrete la fortuna che il Bonus vi spetti, è presto fatto. Bisognerà applicare una diversa percentuale alla differenza generata tra l’importo della media mensile dell’ anno 2020 e quella del fatturato media mensile dell’annata 2019.

  • Avrete, quindi il 20% qualora i ricavi del 2019 superino 5.000.000 di euro, ma non superino l’importo di 10.000.000 di euro.
  • il 30% se ricavi e compensi del 2019 superano 1.000.000 di euro ma non l’importo di 5.000.000 di euro.
  • il 40% nel caso in cui i ricavi e i compensi del 2019 superino i 400.000 euro ma non superino l’importo di 1.000.000 di euro.
  • il 50% se i ricavi sempre del 2019 dovessero superare la somma di 100.000 euro ma non superano gli importi di 400.000 euro.
  • Infine, il 60% se i ricavi e i compensi del 2019 sono inferiori o pari alla somma di 100.000 euro.

L’importo massimo del contributo che si potrà ricavare dal tanto ambito bonus decreto sostegni, sarà in ogni caso di 150.000 euro. Inoltre, è bene sapere come inviare domanda, dopo aver fatto le considerazioni e i calcoli del caso. La domanda di contributo per ottenere (o tentare di ottenere) il Bonus decreto sostegni dovrà essere inviata all’Agenzia delle Entrate tramite i canali telematici dell’Agenzia o mediante la piattaforma web messa a punto dal partner tecnologico Sogei. O avvalendosi degli intermediari delegati a ciò, per poi avere accesso alla procedura, con le proprie credenziali Spid, Cie o Cns oppure Entratel dell’Agenzia.

Dopodiché, non vi resterà che incrociare le dita e, sperando nella non lentezza della burocrazia, attendere l’esito, attraverso mandato di pagamento, comunicato nella sezione “fatture e corrispettivi” del sito della agenzia delle entrate. Una volta tanto, ricevere notifica dall’ agenzia dell’entrate potrà essere cosa lieta.

Vendite su Internet e su eBay: si devono pagare le tasse?

Siamo in un’ epoca in cui la compravendita su internet è particolarmente dominante, anche perché in un periodo storico come quello pandemico, molte persone preferiscono acquistare beni di qualunque tipo senza spostarsi dalla propria casa, con pochi click. Anche il cibo è diventato un bene da asporto e molteplici piattaforme e app stanno agevolando la non chiusura di molti ristoranti e attività di ristorazione varie. Se acquistare è, però all’ordine del giorno da un bel po’, anche vendere è diventato più frequente. Ma, molti ancora si chiedono come funziona la tassazione, per le vendite private su internet e su eBay. E, quindi se per vendere sul web e su eBay si devono pagare le tasse? Scopriamolo assieme.

Esiste una tassazione per le vendite online?

Ebbene, se state pensando di vendere vecchi oggetti o se pensate di disfarvi della vostra collezione di statuine action figure, di Funko Pop o semplicemente di figurine, affidandovi a store online come eBay, sappiate che bisognerà distinguere da attività di cessione commerciale e attività commerciale occasionale.

In pratica se vendete oggetti, privatamente, in una singola, sporadica occasione (come ad esempio una vecchia collezione o addirittura un mobile) non entrerete nel novero della vendita di attività commerciale. Quindi, non andrete incontro a nessuna tassazione per la vendita. In altri casi, invece dovrete prestare attenzione.

Quando si devono pagare le tasse per le vendite su internet e su eBay?

Ormai, tutto bisogna rendicontarlo allo Stato, quindi sembrerebbe che ogni spostamento (soprattutto di denaro) stia diventando indispensabilmente, frequentemente, tracciabile. Anche la volontà di ridurre (in futuro eliminare definitivamente?) il contante, a favore delle spese digitali ne è un esempio.

E, pertanto in molti si chiedono se fare acquisti e vendite sul web porta ad una contabilità fiscale da inserire nella dichiarazione dei redditi. Come detto, la singola vendita di un prodotto, tra privati, su un portale come eBay non è tassabile. Ma, quando invece una vendita online ci porta a pagare le tasse? In moltissime occasioni. Sia se abbiate un negozio fisico sia se abbiate un “negozio online” in cui effettuate anche solo sporadicamente, le suddette vendite.

Abbiamo in pratica diversi regimi fiscali per la vendita online. Sostanzialmente possiamo parlare di tre differenti regimi fiscali, tutti basati sulla tipologia del venditore e sulla frequenza delle operazioni da esso realizzate: chi opera abitualmente su eBay (o su altri siti di e-commerce, come Amazon o Facebook Marketplace) è equiparato ad un vero e proprio negoziante e perciò è tenuto ad assolvere tutti gli obblighi fiscali previsti per gli esercenti commerciali.

Successivamente, troviamo chi vende una volta tanto, periodicamente, non avrà obbligo di partita Iva, ma dovrà ugualmente fare dichiarazione dei redditi sulle proprie vendite, protratte nel tempo. E, in ultimo, il venditore del tutto occasionale, colui che vende (come sopra) la vecchia collezione di fumetti, di figurine o il mobile usato, in una semplice occasione. E in quel caso è esente da obblighi fiscali.

Ora che finalmente vi siete liberati di un dubbio (o, almeno, si spera), sentitevi pure liberi di andare felicemente a rovistare nel vostro ripostiglio o nel vostro armadio, nella soffitta o nella vecchia cantina, per scovare quello scrigno di roba usata, quello scatolone ammuffito e dimenticato, pieni di roba da rivendere o quel paio di vestiti, carini ma che non usate più, per vendere su internet o su eBay, liberi dalla paura di essere tassati e racimolarvi, così, qualche euro sul vostro usato da “buttare”. Ma, attenti a non prenderci gusto, perché dalla vendita occasionale alla vendita commerciale, il confine può essere labile e insidioso. E l’ agenzia delle entrate è lì, sorniona e minacciosa, che vi guarda.

Modello Redditi PF 2021: chi deve presentarlo?

Partiamo dal dire che il modello redditi PF non è altro che il modello ordinario di dichiarazione dei redditi (ovvero, l’ex modello Unico). Si differenzia dal modello 730 poiché, nel caso del nuovo modello PF, i versamenti delle imposte vengono effettuati direttamente dal contribuente attraverso il modello F24. Il tutto presentabile o in versione cartacea ad uno sportello fisico, oppure in modalità home banking, tramite un intermediario abilitato all’operazione. Ma ancora molti si chiedono chi deve presentarlo? Scopriamolo assieme in un breve resoconto della situazione.

Chi dovrà compilare e presentare il modello Redditi PF 2021?

Il modello redditi PF (Persone Fisiche) dell’anno 2021, in una sorta di sostituzione del modello 730, dovrà essere presentato dalle seguenti categorie:

  • redditi d’impresa, pure nella forma di partecipazione;
  • redditi di lavoro autonomo, ai quali è richiesta la partita IVA;
  • redditi “diversi”, ovvero coloro non compresi tra quelli indicati nel quadro D, righi D4 e D5;
  • redditi derivanti da produzione di “agroenergie” oltre i limiti previsti dal D.L. 66/2014;
  • redditi che provengono da “trust”, in veste di beneficiario;
  • plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate o anche esse siano derivate dalla cessione di partecipazioni non qualificate, nelle società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata;

Oppure, ancora saranno pertinenti le categorie che nell’anno precedente all’imposta o nell’anno di presentazione in corso, non siano residenti in Italia. Saranno, inoltre, tenuti alla presentazione del Modello Redditi PF 2021 i contribuenti che detengono immobili e attività finanziarie all’estero, pure qualora avessero presentato il modello 730, per poter calcolare le imposte IVIE e IVAFE.

Dove bisogna scaricare i modelli redditi PF 2021 e a chi rivolgersi?

Il modello redditi PF 2021 è scaricabile attraverso il sito della Agenzia delle Entrate, mentre per quanto riguarda la modalità di presentazione potrà essere effettuata:

  • Attraverso via telematica, dal dichiarante stesso
  • Attraverso via telematica, abilitando un intermediario (ai sensi dell’ articolo 3, comma 3, dPR luglio 1998, numero 32)
  • In taluni casi, attraverso ufficio postale, in copia cartacea

Nei migliori casi è sempre utile rivolgersi al proprio CAF di competenza, per ulteriori informazioni e per delegare un intermediario. Per quanto riguarda, invece, l’ obbligo di presentazione cartacea in ufficio postale avviene, quando, ad esempio, bisogna presentare la dichiarazione per conto di contribuenti deceduti.

Bonus Tv e decoder: in arrivo più fondi in vista dello Switch off

E’ tempo di crisi economica, di paure e privazioni, di restrizioni e sacrifici, ma da un anno a questa parte è anche tempo di bonus (ne sono un esempio quelli istituiti su monopattini e biciclette). E, soprattutto è anche tempo in cui la televisione, nel bene e nel male, è ancor più presente e usata nelle nostre case, a suon di programmi evasivi e notiziari e talk show che ci informano e inquietano sulla situazione attuale. A breve sarà tempo di switch off, per passare al nuovo segnale del digitale terrestre, quindi sarà tempo di un nuovo bonus Tv e decoder. Scopriamo di più.

Bonus Tv: scopriamo le novità sui nuovi fondi per lo switch off

A partire dal prossimo 1 settembre 2021, tutte le emittenti nazionali cambieranno il sistema di trasmissione, abbandonando l’attuale sistema di codifica MPEG-2 per passare al sistema MPEG-4. Questo comporterà la necessità di riadattare il proprio televisore o il proprio decoder Tv per poter continuare a ricevere il segnale televisivo. Una spesa, soprattutto in questo periodo storico, non proprio sostenibile per molti italiani. Proprio per questo, il nuovo esecutivo sta pensando di stanziare fondi maggiori per sostenere le famiglie, con uno stanziamento al momento previsto di circa 150 milioni di euro.

Ma in cosa consiste il bonus Tv?

Parlando di Bonus Tv si fa riferimento a delle agevolazioni per poter acquistare un nuovo televisore (conforme al nuovo sistema di codifica del segnale) o un nuovo decoder digitale da collegare al proprio televisore.

Attualmente il valore del bonus Tv arriva fino a 50 euro, applicabile al momento dell’acquisto. Una spesa che, comunque non sarà necessariamente forzata per tutti. Di fatto, molti televisori di ultimissima generazione sono già in grado di supportare questa nuova codifica. E quindi, magari se avete un televisore idoneo potreste non dover sobbarcarvi questa nuova spesa per continuare a guardare la televisione. Indipendentemente se appartenete o meno alla fascia di consumatori che potranno usufruire di tale agevolazione.

Ma chi potrà usufruire di questo Bonus Tv?

In vista di una spesa che di certo potrebbe essere “non da poco” (soprattutto per quanto riguarda un televisore di ultima generazione, più che un decoder) ci si chiede chi potrà usufruire del bonus Tv per ammortizzare la spesa.

Ebbene, potranno usufruire di tale bonus le famiglie con un Isee non superiore a 20 mila euro. Il bonus in questione è valido fino al 31 dicembre 2022 o più precisamente fino ad esaurimento delle risorse. E, praticamente oltre il tempo record per poter attuare il passaggio alla nuova codifica di tutta la penisola.

Dunque, sarà un modo di agevolare tante famiglie con reddito poco proficuo, di sicuro una problematica ancor più in aumento in questo determinato periodo storico. E in cui molti penseranno, ci mancava solo l’obbligo di acquisto di un nuovo televisore (obbligo per modo di dire, se vorrete continuare a vedere le trasmissioni televisive, s’intende).

Come avverrà lo switch off ed il passaggio al nuovo sistema di trasmissione?

Il passaggio al nuovo segnale, quindi il suddetto switch off, avverrà in maniera graduale in diverse fasi del paese. Dal 1 settembre di questo anno partirà il lento cambiamento che coinvolgerà fino alla fine di dicembre le seguenti regioni: Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, una fetta della Lombardia, quindi il Friuli Venezia Giulia e l’ Emilia Romagna.

A partire dal gennaio del prossimo anno, il 2022 quindi, toccherà a Liguria, Toscana, Campania, Umbria, Lazio e Sardegna, con termine nel mese di marzo 2022. In ultimo sarà la volta delle restanti regioni, ovvero Sicilia, Puglia, Basilicata, Abruzzo, Calabria, Molise e Marche che muteranno dal mese di aprile al 20 giugno. In definitiva, nel prossimo Luglio 2022 il passaggio dello switch off sarà completato per tutta la penisola e centinaia di migliaia di televisori e decoder saranno cambiati, molti dei quali grazie al sostegno del bonus Tv. Sperando che, da qui ad un anno, avremo più tempo per riprendere attività sociali e lavorative, di svago e di libertà, all’esterno e meno tempo per guardare la televisione.

Pensioni con 2 anni di contributi gratis anche nel 2021 per nuovi agricoltori

Le pensioni, si sa, sono una preoccupazione all’ordine del giorno per tantissime categorie di lavoratori ed anche di non lavoratori, che sognano di arrivare ad averne una. Sebbene, in questo preciso momento storico, parrebbe quasi una “fonte salvavita”, rispetto alle incertezze del “piatto a tavola” di chi lavora, o ha smesso di lavorare, in piena pandemia. In questo ballo di preoccupazioni, scopriamo come la legge di bilancio 2021 ha deciso di agevolare chi avvia un’attività agricola, preservando due anni di contributi gratis nel 2021 ai nuovi agricoltori.

La proroga dello sgravio contributivo per le attività agricole

E’ stato, dunque confermato dalla suddetta legge di bilancio 2021 lo sgravio per le attività agricole per un ulteriore anno. Tutti coloro che attueranno una nuova forma di attività agricola avranno lo sgravio contributivo. Quindi, una proroga a due anni inerente al versamento dei contributi per chi esordisce nell’iscrizione all’ attività agricola, nell’ arco di tempo che va dal 1 gennaio 2021 al prossimo 31 dicembre 2021.

Una sorta di attività, o potremmo dire di riproposizione, quella della proroga, che già avevamo visto avvenire nel 2018, dopo essere stata introdotta l’anno prima, nel 2017, poi prorogata nuovamente nel 2020.

Quanto sarà lo sgravio contributivo nei 2 anni?

Si rivela particolarmente vantaggioso lo sgravio contributivo nei 2 anni per chi avvia una nuova attività agricola. L’ esonero contributivo, di fatto, sarà del 100% per tutti coloro che rientreranno nella categoria di coltivatori diretti e per gli imprenditori agricoli professionali che hanno un età inferiore ai 40 anni e che, ovviamente, inizino una nuova attività di imprenditoria nel settore agricolo nell’ anno in corso, ovvero questo 2021.

Ovviamente, dunque, si tratta chiaramente di un beneficio che non riguarderà coloro che hanno un’età superiore o pari ai 40 anni ed escluderà tutti coloro che già si erano iscritti, negli anni precedenti, alla previdenza agricola.

Il vantaggio consiste nel fatto che, oltre ad un risparmio da parte di chi si iscrive, saranno regolarmente conteggiati nella aliquota di computo della pensione, anche i contributi non versati in questi due anni di sgravio.

Insomma, un bell’ incentivo per avviare un’attività agricola, in questo periodo di disarmo economico e sociale, dove spesso ci si lamenta dello stato attuale di uno dei nostri settori più ricchi, specie nel sud del paese, ma che spesso viene lasciato un po’ in balìa delle onde.

E che, forse, in questo periodo di emergenza Covid sta vedendo attivare una piccola serie di misure di tutela del settore, a partire dai vari decreti “Cura Italia”, il “Ristori” e “Liquidità” che, sulla carta avrebbero messo in primo piano proprio il settore agricolo e quello della pesca, a salvaguardia della produzione di beni primari e quindi della produzione del Made in Italy. Quindi è giunto il tempo di non rubare più braccia all’ agricoltura e far si che nuova imprenditoria si avventuri a salvaguardia del settore.

Cartelle esattoriali: nuovi termini per pagamento e notifica

In un’epoca di restrizioni, incertezze e paure per moltissime attività, in molti si chiedono quali siano i nuovi termini per pagamento e notifica delle cartelle esattoriali. E molti sono quelli che temono questo insidioso ed infimo pericolo, quasi più del virus stesso. Cerchiamo di fare chiarezza in merito alla questione di proroghe, temi e termini di pagamento.

La proroga del decreto sostegni

Il decreto sostegni (decreto legge n. 41 del 2021) ha fissato una nuova scadenza per il giorno 30 aprile 2021, per il termine di pagamento dei debiti. Stessa data in cui termina la sospensione dei pignoramenti. Tale data interesserà le cartelle esattoriali che vedevano scadenza dei 60 giorni in data 8 marzo 2020 (ovvero la data di entrata in vigore del suddetto decreto legge). Per quanto concerne, invece, la notifica delle cartelle esattoriali e i conseguenti termini della prescrizione, si avrà una proroga di ben due anni.

In sostanza, per chi avrà avuto delle cariche pendenti alla data 8 marzo 2020 si potrà ripartire con i pagamenti mensili, a patto che siano in numero inferiore a dieci rate. Possibilità di rateizzare il debito anche attraverso una nuova domanda.

60 giorni per adempiere ai pagamenti delle notifiche

A partire dal 1 marzo 2021, stando al nuovo comma 1 dell’articolo 68, potranno attendersi 60 giorni per effettuare pagamento, dal ricevimento della notifica. Coloro che riceveranno queste tanto temute cartelle esattoriali potranno decidere se ottemperare in veste spontanea anche prima della data di scadenza, oppure attendere il termine ultimo, senza costi aggiuntivi.

Tre divieti attuati dal nuovo decreto

Tuttavia, il decreto legge non concede alla agenzia delle entrate di effettuare tre soluzioni durante la durata della moratoria. Ovvero, quella di notificare delle cartelle di pagamento, oltre che avviare un’azione esecutiva (come ad esempio il pignoramento dello stipendio) e tanto meno di adottare misure cautelari, come ad esempio il fermo amministrativo dell’auto o un’ ipoteca sulla casa. Una sorta di tregua per l’esercente, in un periodo estremamente buio per milioni di lavoratori italiani.

Inoltre, in conseguenza di tale proroga slitta anche il blocco sulle pubbliche amministrazioni, riguardo alle verifiche. Ovvero quei controlli indirizzati ai pagamenti superiori ai cinque mila euro, alla ricerca di eventuali arretrati.

Che possa, dunque, essere per coloro che boccheggiano, un lieve allentamento sulla crisi economica che sta attraversando il paese? Oppure, una flebilissima boccata d’ossigeno che non darà ugualmente aria sufficiente per continuare a vivere, senza annaspare, per tutti coloro che dovranno far fronte alle insidie delle cartelle esattoriali? Che, come si suol dire sono “lungarelle ma non scordarelle”. Ai posteri l’ardua sentenza.

Cashback: il rimborso va inserito nella dichiarazione dei redditi?

Quando si parla di cashback, quindi di ottenere un rimborso su una quota spesa, si genera sempre interesse presso il consumatore. Ma, al contempo, non si esclude di generare confusione o comunque dei dubbi. Ad esempio, il rimborso ottenuto dal cashback andrà inserito nella dichiarazione dei redditi? Scopriamolo assieme.

Il cashback va dichiarato?

La modalità di cashback è stata inserita nella legge di bilancio 2020 ed è stata resa, tramite decreto, nello scorso novembre dello stesso 2020, al fine di favorire l’utilizzo di carte e di app, riducendo l’uso di denaro contante. In linea di massima, potremmo dire che il cashback non va inserito nella dichiarazione dei redditi.

E’ lo stesso comma 288 della legge di bilancio 2021 a renderlo chiaro e definito, recitando testuali parole: “i rimborsi attribuiti non concorrono a formare il reddito del percipiente per l’intero ammontare corrisposto nel periodo d’imposta e non sono assoggettati ad alcun prelievo erariale.

Chi partecipa, quindi, al programma Cashback lanciato dal governo non deve inserire i rimborsi nella dichiarazione dei redditi.

Cashback che può fare reddito

Ma la parola cashback viene usata indistintamente anche per altri rimborsi o scontistiche e proprio in questo caso è da fare una distinzione sull’eventuale inserimento nella dichiarazione dei redditi.

Ci sono due modalità di stabilire il rimborso di un acquisto, previa cashback. Ovvero il cashback come sconto indiretto e quello come prestazione lavorativa.

Nel caso dello sconto indiretto, il commerciante non farà altro che effettuare un rimborso, postumo di qualche giorno o di qualche mese, su una merce acquistata, come se stesse applicando uno sconto sul prodotto, ma non in maniera diretta. Quindi, non immediatamente alla cassa, al momento dell’acquisto.

Nel secondo caso, invece, il cashback (quindi il rimborso sul prodotto) ci viene riconosciuto come “prestazione occasionale“, come una sorta di commissione, di affiliazione sulla vendita del prodotto e quindi, in tal senso come una attività di vendita, di mediazione, quindi lavorativa. In tal caso, quel tipo di cashback sarà inseribile nella dichiarazione dei redditi.

Ovviamente, il sito che genera il cashback dovrà produrre i documenti fiscali relativi al pagamento, che andremo ad incassare come privato, con codice fiscale o come libero professionista con partita IVA. Ed in tal caso, dovremmo emettere relativa fattura.

Ulteriormente, dovremo tener conto anche della No Tax aerea per stabilire come fare reddito, con o senza cashback. Ovvero quella soglia di reddito all’interno della quale l’imposta (Irpef) dovuta sarà pari a zero. Naturalmente, una soglia che andrà a variare in base al tipo di contribuente cui si appartiene e in base al proprio nucleo famigliare, come ben si sa. Per cui, un utente che nello stesso anno in cui riceve il cashback avrà dichiarato un reddito pari o inferiore alla soglia della No Tax, non vi sarà gravato alcun esborso di tassa sul cashback ricevuto.

Lotteria degli scontrini: l’esercente che non si adegua cosa rischia?

Come tutti sanno, è partita la lotteria degli scontrini, attraverso la quale sarà possibile per centinaia di italiani ottenere vincite, grazie allo scontrino fiscale, di acquisti effettuati senza denaro contante. Un incentivo per effettuare acquisti con carte digitali che però non ha visto ancora del tutto adeguarsi gli esercenti. Ma cosa rischia chi rifiuta la procedura?

Cosa accade se un negoziante non si adegua?

E’ un brutto periodo per tantissimi settori commerciali, causa Pandemia da Covid-19, come tutti ormai sappiamo, motivo per cui il nuovo sistema in vigore da alcuni mesi, cerca di incentivare acquisti con carte fisiche e acquisizioni di codici digitali, attraverso una lotteria degli scontrini che mette in palio premi in denaro grazie alle ricevute fiscali di acquisti effettuati, appunto, senza l’utilizzo di denaro contante.

Ma non tutti gli esercenti si sono adeguati, anche perché non tutti hanno voluto modernizzare la propria cassa, rendendola disponibile di lettore ottico. E, quindi, ci si chiede cosa accade a chi non si è adeguato?

Sostanzialmente, al momento, sembrerebbe che non siano previste multe e nemmeno sanzioni per coloro che non si sono adeguati al nuovo meccanismo. Ovviamente, molteplici sono stati i disagi, incentivati a maggior ragione della situazione attuale, da chi ha acquisito il materiale ma ha avuto carenza di tecnici per applicarlo, a chi non ha potuto procedere al “ringiovanimento” della propria cassa.

Il consumatore, in tutto ciò rischia di rimanere come un pesce fuor d’acqua, costretto in molti casi a dover utilizzare ancora il vecchio (e mai tramontato) sistema di pagamento in contanti e non poter quindi beneficiare della possibilità di vincita con la lotteria dello scontrino.

Nel prossimo periodo, però, probabilmente già a partire dalla fine di marzo, i consumatori potranno segnalare l’esercente che non ha trasmesso il codice d’acquisto all’agenzia delle entrate, che potrà quindi effettuare verifica sul negoziante.

Importante, prima di sperare nella vincita della suddetta lotteria degli scontrini, che il consumatore verifichi che la procedura di acquisto e rilascio del codice digitale siano andati a buon fine, prima di lasciare il negozio. Come si è già abituati fare in altre pratiche di transizione, come con una ricarica telefonica ad esempio.