Guadagni omessi lavoratore autonomo: quando la prescrizione dei contributi?

Molti si chiedono come funziona per i guadagni omessi al lavoratore autonomo e quando e come avviene la prescrizione dei contributi. Andiamo, quindi, in breve a scoprirne di più sulla questione che attanaglia milioni di lavoratori autonomi.

Prescrizione dei contributi, lavoratori autonomi: come avviene?

La domanda più frequente che il lavoratore autonomo si pone è se i contributi vadano in prescrizione dopo 5 anni, se non indicati nel modulo del reddito apposito. Partiamo col dire che l’ordinamento previdenziale ha stabilito che debbano essere, i lavoratori, obbligatoriamente iscritti ad una gestione di previdenza, a cui fanno parte il Fondo pensione dei lavoratori dipendenti e le gestioni speciali dei lavoratori autonomi. In merito alla contribuzione, sarà il datore di lavoro, invece, a doverla comunicare ogni mese all’ INPS. I lavoratori automi sono tenuti invece, a dichiarare nel modello Redditi il proprio imponibile ai fini previdenziali.

Nel caso di guadagni omessi c’è la prescrizione dei contributi? 

Tornando, quindi al quesito basico della situazione, va detto che a questo proposito, bisogna innanzitutto chiarire che gli iscritti presso le gestioni speciali dei lavoratori autonomi determinano i contributi dovuti, semplicemente applicando l’aliquota stabilita per la specifica categoria di appartenenza alla base imponibile della previdenza (ad esempio 24% per gli artigiani, 24,09% per i commercianti, 24% o 25,98% per gli iscritti presso la gestione Separata). Ovviamente, resta da capire come funziona la base imponibile.

Essa è costituita, normalmente, dal reddito d’impresa o di partecipazione prodotto. E’ tuttavia previsto un reddito minimale, al di sotto del quale non si potrà scendere. Per quanto riguarda l’anno 2021, tale minimale è pari a 15.953 euro. La sua applicazione comporta il versamento della contribuzione calcolata sull’ammontare esposto, pure in caso in cui il reddito sia risultato inferiore alla soglia, pari a zero o che l’iscritto risulti in perdita. Invece, gli iscritti alla gestione separata avranno un minimale applicato solo ai fini della determinazione dei contributi per il diritto alla pensione.

Determinazione dei contributi ai lavoratori autonomi

La determinazione dei contributi ai lavoratori autonomi, iscritti alle gestioni previdenziali INPS, avviene con cadenza annuale, previa compilazione del quadro RR. Per le categorie di artigiani e commercianti sono determinanti alla fine della formazione dell’ imponibile i seguenti requisiti:

  • Il totale dei redditi d’impresa conseguiti nell’anno oggetto della dichiarazione, al netto delle eventuali perdite dei periodi d’imposta precedenti;
  • Qualora si fosse soci di S.r.l. dovrà essere considerata anche la parte del reddito d’impresa della società corrispondente alla quota di partecipazione agli utili, od anche la quota del reddito attribuita al socio per le società partecipate in regime di trasparenza;

Ovviamente, il quadro RR sarà necessario anche per i professionisti iscritti alle gestioni separate.

Prescrizione dei contributi quando avviene?

la prescrizione dei contributi per i lavoratori autonomi avviene dopo 5 anni. Va aggiunto che per commercianti e artigiani, la prescrizione ha una decorrenza diversa per i contributi percentuali, cioè determinati sul reddito che eccede il minimale imponibile, a differenza della decorrenza prevista, invece per quanto riguarda i contributi sul mimale. Va, inoltre aggiunto che per i contributi percentuali sulle eccedenze del minimale, la prescrizione non decorre dall’anno al quale fanno riferimento i contributi, bensì dalla data relativa a quando l’Agenzia delle Entrate rende noto all’Inps il reddito prodotto dall’obbligato al pagamento della contribuzione previdenziale.

Sospensione della contribuzione

Un altro tema tiene banco per la curiosità e l’interesse dei lavoratori autonomi in precinto di contribuzione. Ovvero, la sospensione della stessa. La sospensione della prescrizione avviene, nei casi in cui l’interessato non presentasse la dichiarazione dei redditi nei casi in cui non compila il quadro RR all’interno della dichiarazione stessa del reddito. Nel caso in questione, il richiedente, non presentando il necessario quadro RR della dichiarazione dei redditi, non commette una semplice omissione, ma ciò che è considerata una vera e propria evasione contributiva, perché non consente all’Inps di conoscere i contributi dovuti a saldo. Il rischio sarà, dunque di incappare nel doloso, dato che in tal proposito la Suprema Corte ha confermato la possibilità di applicare la sospensione della prescrizione, in quanto la mancata compilazione del quadro RR costituisce un occultamento doloso del debito contributivo verso INPS.

Lavoro dopo la pensione: cosa succede all’assegno previdenziale?

Molti si chiedono quale sarà la propria fine, il proprio epilogo, sul piano lavorativo e come andrà a confluire sulla pensione. Dunque scopriamo un poco, insieme, cosa succede all’assegno previdenziale nel cumulo dei redditi in caso in cui il pensionato non volesse starsene con le mani in mano a godersi la pensione, ma volesse proseguire a mantenersi in attività, nonostante l’assegno previdenziale.

E’ possibile riprendere la propria attività, durante la pensione?

Una delle curiosità più frequenti del contribuente è legata alla possibilità di proseguire la propria attività, anche dopo aver ottenuto la pensione. La risposta è sì, non è precluso ad un pensionato proseguire di lavorare, ma con dovute limitazioni e precisazioni. E va detto che come previsto dalla normativa in materia che, il decreto legge 112/2008,  ha sancito la totale cumulabilità con i redditi da lavoro di tutte le pensioni di anzianità, di vecchiaia o anticipate. Insomma, sarà possibile cumulare la pensione col proprio reddito senza problemi. Ma, fatta questa premessa, va detto che ci saranno alcune situazioni da tenere conto.

Requisiti per il cumulo dei redditi o per la pensione anticipata. Quali sono?

Come detto, poco sopra, la legge prevede la cumulabilità del reddito e delle pensioni di vecchiaia, di anzianità o quelle anticipate. Ci sono tuttavia delle specifiche condizioni per far sì che i requisiti siano validi. Andiamo a vederne alcune nella seguente lista valide solo e soltanto per le pensioni liquidate con il sistema contributivo puro (o con contributi versati a partire dal 1996 o con computo in Gestione Separata(:

  • Conseguire almeno 60 anni di età anagrafica per le donne e 65 per gli uomini;
  • Ottenere almeno 40 anni di contribuzione;
  • Aver ottenuto almeno 35 anni di contribuzione e conseguito 61 anni di età anagrafica.

Detto ciò, si può tranquillamente dire che le pensioni di vecchiaia e quelle anticipate sono cumulabili con i redditi di lavoro, all’interno del sistema di contribuzione. Molti ancora però si pongono il quesito su come possa funzionare l’accumulo di reddito sulle pensioni di invalidità. Andiamo a scoprire il seguente caso.

Cumulo dei redditi e pensione di invalidità

Come nel caso precedente, anche per le pensioni di invalidità non ci sono impedimenti per cumulare reddito. Tuttavia, in questo caso si potrebbero subire tagli all’assegno di invalidità, qualora il reddito complessivo superi alcune soglie:

  • Tagli in una misura pari al 25% se il reddito conseguito supera di 4 volte il trattamento minimo INPS vigente;
  • Tagli in una misura pari al 50% invece, qualora il reddito conseguito supera di 5 volte il trattamento minimo INPS vigente.

Nel caso in cui il suddetto assegno di invalidità sia superiore al trattamento minimo INPS (cioè di 515 euro al mese, per un totale di 13 mensilità), l’assegno potrebbe subire un ulteriore taglio, nel caso in cui l’anzianità contributiva sulla base della quale è calcolato sia inferiore ai 40 anni.

  • In particolare se la trattenuta è pari al 50% della quota che supera il trattamento minimo nel caso di reddito da lavoro subordinato ed è essa effettuata direttamente sulla retribuzione a cura del datore o, in alternativa, sugli arretrati di pensione in caso di liquidazione tardiva;
  • Se la trattenuta è pari al 30% della quota che supera il trattamento minimo nel caso di redditi provenienti da lavoro autonomo ed è effettuata direttamente dall’ente previdenziale previa comunicazione dei redditi annui percepiti.

Cumulo dei redditi e pensione di inabilità e reversibilità

C’è in ultimo, ma non ultima, la questione riguardante il cumulo dei redditi con il percepimento delle pensioni di inabilità e quella di reversibilità. Nel primo caso, ovvero, quello relativo alla pensione di inabilità non può esserci cumulo di reddito. Per quanto, il ricevente è inabile al lavoro, quindi non può percepire alcun compenso da prestazione, con conseguente la cancellazione da elenchi, albi o ordini relativi a particolari mestieri e/o professioni che richiedano l’iscrizione ai fini dello svolgimento della professione stessa.

reddito e reversibilità

Nel caso in cui percepiate, dunque una pensione di reversibilità, la cumulabilità tra l’assegno pensionistico ed ipotetici redditi lavorativi è possibile, ma solo parzialmente. Sono previste, di fatto, decurtazioni nei seguenti casi:

  • Si ridurrà del 25% l’importo della pensione, nel caso in cui il reddito del lavoro del superstite che “riversa la pensione” sia compreso tra 3 e 4 volte l’importo del trattamento minimo INPS; in questo caso,
  • Del 40% in meno, qualora superi 4 volte il trattamento minimo INPS;
  • E subirà un taglio del 50% se superi 5 volte il trattamento minimo INPS;

Si precisa, però che non si applicherà decurtazione nel caso in cui più persone siano contitolari della pensione di reversibilità all’interno dello stesso nucleo familiare e, tra loro, risultino anche minori, studenti entro i limiti di età previsti dalle legge o persone inabili, anche se maggiorenni.

Cumulo dei redditi con opzione donna e quota 100

Gli ultimi due casi di questo corposo elenco, di cui ci andiamo ad occupare, per il cumulo dei redditi, è legato alla pensione con opzione donna e alla quota 100. Nel primo caso, va detto che la pensione maturata con opzione donna può essere considerata pienamente cumulabile con altri redditi da lavoro. Sebbene il sistema di opzione donna preveda un intero ricalcolo dell’assegno con il metodo contributivo. Troviamo invece una sostanziosa eccezione a quanto visto finora, con la quota 100.

Quota 100 e cumulo del reddito, cosa cambia?

Come detto, una particolare eccezione a molto di quanto elencato finora avviene con il pensionamento anticipato con Quota 100 (ovvero ai 62 anni di età con 38 anni di contributi). In questo caso viene reintrodotto, per legge, il divieto di cumulo reddito nel periodo che intercorre tra la decorrenza della pensione e il raggiungimento del requisito anagrafico richiesto per la pensione di vecchiaia. L’ottenimento di eventuali redditi da lavoro porterà dunque alla sospensione (per tale periodo) all’assegno di pensione, tranne in un caso. Ovvero, sarà possibile fare cumulo con quota 100 per redditi da lavoro autonomo occasionale che non superino complessivamente i 5.000 euro lordi l’anno.

Questo è quanto, dunque sulla questione redditi e cumulo nel caso voi foste pensionati ancora arzilli e dinamici con volontà di lavorare.

Fondi pensione: cosa sono, come funzionano e chi può aderire

I fondi pensione sono una possibilità sempre più valida per chi vuole crearsi una contribuzione integrativa, ma cosa sono e chi vi può aderire e soprattutto come funzionano? Andiamo a scoprirlo, in un tempo in cui la tanto ambita e desiderata pensione sembra essere diventata un piccolo enigma per tanti italiani.

Fondi pensione: di cosa si tratta

Con i fondi pensione parliamo di una tipologia di investimento che permette di garantire un reddito alla fine della propria attività lavorativa. Ma, da oggi il lavoratore può decidere se destinare anche solo una parte (e non tutto il cucuzzaro) del suo Tfr ad un fondo pensione grazie alle novità previste dal Ddl Concorrenza. Dunque, un vero e proprio investimento nel fondo pensione porta ad un implemento della previdenza complementare. E sempre più italiani, specie in questo periodo di magra che prosegue da mesi indimenticabili (causa Covid-19) stanno pensando di aderire ad una previdenza complementare, chiedendosi come funzionano i fondi pensione. E quindi, diamo risposta a tale amletico quesito.

Cos’è, dunque, un fondo pensione?

Il fondo pensione non è altro che una forma di previdenza complementare privata, istituita da banche, imprese di assicurazione, società di intermediazione mobiliare e società di gestione del risparmio. Essi sono destinati al pagamento delle prestazioni agli iscritti, costituiti sotto forma di patrimonio autonomo dalla società istitutrice.

E come funziona un fondo pensione?

Il fondo pensione prevede un individuale fondo pensionistico su cui fare confluire i propri versamenti di contribuzione. Le somme contributive versate dal “futuro pensionato” sono custodite presso un depositario autorizzato (quindi una banca o un’impresa di investimento) e poi investite nei mercati finanziari, allo scopo di ottenere rendimenti che nel corso del tempo possano fare accrescere il capitale messo da parte e quindi  permettere di conseguire prestazioni pensionistiche integrative rispetto alla previdenza obbligatoria. Ovviamente, maggiore sarà il periodo di versamento, maggiori saranno gli importi versati e le quote di investimento finanziario e superiore sarà la quota di cui beneficiare.

Ma chi può aderire ad un fondo pensione?

Coloro che possono aderire al desiderato fondo pensione sono i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, ma anche lavoratori autonomi, professionisti e lavoratori o soci di cooperative, ai quali non debbano essere previsti fondi aziendali e nemmeno di categoria o settore. Anche chi già possiede una pensione, ma vuole disporre di un secondo “salvadanaio” può aderire ad un fondo pensione. In pratica, non ci sono vincoli di alcun tipo e non vi è richiesto di rispondere a delle specifiche caratteristiche o di attenersi a dei parametri minimi di reddito. Insomma, un fondo pensione è per tutti, un po’ come un diamante che però è per sempre. A patto che abbiate un lavoro da cui poter attingere abbastanza contributi da versare, s’intende.

Tipologie di fondo pensione

Detto ciò, occorre sapere che vi sono diverse tipologie di fondo pensione, differenti per il tipo di gestione e destinazione dei fondi, ma come scegliere quello migliore è curiosità di tutti. Valutare, dunque due parametri da tenere bene d’occhio:

  • costi: nel tempo possono erodere il risparmio previdenziale ed è per questo che è importante scegliere un fondo pensione poco oneroso
  • rendimenti: avere un’idea della storia statistica per prevederne il rendimento futuro

Dunque, con questo breve quadro in molti, vi sarete fatta una esaustiva idea su come dare atto ad un fondo pensione. Ora non vi resta che scegliere quello giusto e attendere di passare tra qualche anno a miglior vita, inteso come una vita migliore in cui godervi il meritato riposo e i sudati risparmi, grazie al vostro fondo pensione.

Pensione artigiani e commercianti: aliquote, importi e requisiti

In un mondo che prigioniero è di una depressione economica e sociale, molti sono i dubbi sul futuro, in particolar modo anche sul futuro pensionistico dei lavoratori artigiani e commercianti. Il nostro canto libero, dunque volge a queste categorie, mostrando una piccola e rapida guida su aliquote, importi e requisiti per il loro pensionamento. Scopriamone di più, assieme.

Pensione artigiani e commercianti, un quadro di base

Per commercianti ed artigiani il fondo pensione deriva dalle gestioni speciali INPS per i lavoratori autonomi, a cui naturalmente vanno iscritte le due categorie suddette. L’imprenditore artigiano è identificato dalla legge come colui che svolge un’attività di produzione di beni o di prestazione di servizi, escluse le attività agricole e commerciali, di intermediazione nella circolazione di beni o ausiliarie di queste ultime, ad esclusione di casi in cui essi siano solo strumentali ed accessorie all’esercizio dell’impresa. L’identificazione del commerciante è invece rivolta a coloro i quali siano titolari di un’impresa che opera nel settore del commercio, terziario e turismo. Ricordiamo che nel caso dei commercianti i requisiti pensionistici sono fissati al possesso di 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, invece per le donne il requisito è di aver maturato 41 anni e 10 mesi di contributi.

Come calcolare le aliquote?

L’imponibile di base su cui calcolare i contributi è dato dalla totalità dei redditi di impresa (anche quelli prodotti da attività diverse da quelle che hanno dato titolo all’iscrizione alla gestione) dichiarati previa Irpef, prodotti nell’anno medesimo a cui fa riferimento la contribuzione, rispettando quindi il minimale contributivo ed il massimale contributivo (previsti dalla legge n. 233/1990). Come base imponibile, al fine del pagamento della contribuzione alle varie scadenze, occorrerà fare riferimento al reddito d’impresa che si dovrà dichiarare al Fisco in merito all’anno 2021 (nel rispetto del minimale sul reddito). Dunque, i versamenti effettuati suddetto anno, costituiranno un acconto, il cui saldo (sulla base del reddito definitivo 2021) dovrà poi essere effettuato nella successiva primavera dell’anno 2022, entro i termini di pagamento delle imposte sui redditi riferiti alle persone fisiche.

Il minale di reddito in questo anno è 15,953 euro, per cui il minimo contributo sarà di 3.836,16 euro per i titolari artigiani e per i collaboratori di età superiore ai 21 anni, mentre per i commercianti si tratterà di un minimo contributo di 3.850,52 euro sempre ove titolari di attività commerciale di età superiore ai 21 anni.

Commercianti e artigiani: massimale imponibile e contribuzione

Qualora ci trovassimo in presenza di un reddito d’impresa superiore al limite di retribuzione annua pensionabile, la quota di reddito eccedente tale limite, per il 2021 pari a 47.379 euro, verrà presa in considerazione al fine del versamento dei contributi previdenziali, fino a concorrenza di un importo paritario ai due terzi dello stesso limite. Per quanto riguarda la contribuzione per artigiani e commercianti dovremo far fede a due specifiche:

  • al calcolo sulla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF
  • al rapporto ai redditi d’impresa prodotti nello stesso anno a cui fa riferimento il contributo

Si ricorda, inoltre che i contributi dovranno necessariamente essere versati mediante i modelli di pagamento unificato F24, entro e non oltre le scadenze sottolineate nella Circolare 17, ovvero le seguenti:

  • 17 maggio 2021, 20 agosto 2021, 16 novembre 2021 e 16 febbraio 2022, per quanto riguarda il versamento delle quattro rate dei contributi dovuti sul minimale di reddito;
  • entro i termini previsti per il pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, per quanto riguarda i contributi dovuti sulla quota di reddito eccedente il minimale, a titolo di saldo 2020, primo acconto 2021 e secondo acconto 2021.

 

Previdenza complementare: come e perché aderire alla pensione integrativa

Ormai, in un paese che caracolla e che annaspa su più piani lavorativi, la pensione è diventata l’unico appiglio sicuro per chi vi è già approdato e quasi una chimera per chi, invece, ancora la vede da lontano. E c’è in tutto ciò chi si interroga su quali garanzie economiche possa dargli una previdenza complementare, quando sarà il sacro fatidico momento pensionistico. Dunque, andiamo a scoprire cosa attende a chi vorrà aderire alla pensione integrativa.

Come aderire e se conviene aderire alla previdenza complementare

Molti si chiedono se sarà adeguata ad un buon tenore di vita la propria pensione, dopo il calcolo contributivo. Ecco che quindi scatta il dubbio se aderire o meno ad una pensione integrativa. Bisogna sapere (e ricordare per coloro che già sanno) che le pensioni vengono pagate attraverso i contributi dei lavoratori attivi, i quali avranno di conseguenza, la pensione pagata dal versamento dei contributi dei nuovi lavoratori che entreranno nel mondo del lavoro.

Negli ultimi vent’anni (o poco più) il sistema pensionistico è andato gradualmente ad inaridirsi. Il progressivo allungamento delle aspettative di vita, il calo delle nascite, l’allungamento del periodo di pagamento dei trattamenti pensionistici, il rallentamento della crescita economica e le immancabili crisi finanziarie sono tra le ragioni alla base della necessità di passare dal metodo di calcolo retributivo, attraverso il quale la prestazione pensionistica viene calcolata, in base alla media delle ultime annualità moltiplicata per un coefficiente di “proporzionamento” variabile tra il 2% e lo 0,9% annuo, al meno remunerativo metodo di calcolo contributivo.

Un sistema che premia carriere lunghe e durature, con una logica per cui più si versano e più a lungo lo si fa, i contributi, andranno ad impolpare una pensione più consistente.

I nuovi fondi pensione e la pensione integrativa

Il legislatore ha ben pensato, in questa situazione che ha portato ad una riduzione delle prestazioni della pensione pubblica, di accompagnare provvedimenti più rigidi con delle disposizioni per incentivare la soluzione di pensione integrativa. Ponendosi, dunque, l’obiettivo in teoria di incentivare i lavoratori ad optare per l’adesione alla previdenza complementare e quindi tenere, quando si sarà raggiunta la fase di quiescenza, un buon tenore di vita, simile a quello che tenevano in periodo di attività lavorativa, attraverso una rendita pensionistica integrativa. 

Come si costruisce la pensione integrativa

La tanto ambita e aspirata pensione integrativa la si costruisce, dunque, attuando una sorta di “pensione di scorta”, catalogabile in tre categorie di fondi di pensione:

  • Fondi aperti a cui possono aderire tutti i lavoratori, sia essi dipendenti, sia essi autonomi o liberi professionisti (in modo individuale o in modo collettivo) e anche coloro che non hanno un lavoro, come percettori di redditi diversi o persone a carico; 
  • Fondi negoziali o Fondi contrattuali che vengono istituiti dai contratti di lavoro, ai quali possono aderire i lavoratori dipendenti privati e quelli pubblici della specifica categoria, comparto o base territoriale ed, eventualmente, i loro familiari;
  • PIP (Piani Individuali Pensionistici), ovvero quei piani pensionistici gestiti per via di contratti di assicurazione sulla vita; solo ad adesione individuale, sono essi acquistabili da chiunque.

In pratica, indipendentemente dalla forma di ciascuno di essi, ognuno di questi fondi avrà funzione di “salvadanaio” in cui l’iscritto versa i contributi. Un capitale che, però non rimarrà immobile in attesa dell’età pensionabile, ma potrà essere reinvestito in mercati finanziari. Alla fine, però la posizione conclusiva del sottoscrivente dipenderà quindi da una serie di fattori: 

  • da durata del periodo di versamento
  • dal complessivo importo versato
  • dai costi avuti durante alla partecipazione del versamento
  • dal rendimento (al netto di tassazione) ottenuto con l’investimento sui mercati di quanto versato

Dunque, questo è quanto c’era da sapere sulle aspettative e le modalità di pensionamento integrativo. Ora, potete pure serenamente tornare al lavoro e, magari decidere di attuare da subito la previdenza complementare.

Freelance: come scegliere il giusto codice ATECO

Il Freelance è una sorta di dipendente indipendente, ovvero un libero professionista che opera per più aziende, società o organizzazioni, senza averne un rapporto strettamente legato di dipendenza. Restando del tutto autonomo, autogestito per disponibilità e orari, ma nel momento in cui l’attività di Freelance diventa duratura e reiterata, toccherà aprire una partita IVA. E, quindi scegliere un codice ATECO per poterlo fare. Scopriamo come scegliere quello giusto.

Freelance, come scegliere il codice ATECO per la partita IVA

Dunque, non avendo una sezione specifica per il generico ruolo di Freelance, sarà necessario scegliere un codice ATECO inerente alla attività più identificativa di ciò che svolgi. Alcune di esse potrai sceglierle tra le seguenti:

  • Grafico
  • Giornalista
  • Designer
  • Consulente informatico
  • Sviluppatore di software

Questi erano solo alcuni esempi delle possibili attività selezionabili per poter scegliere il vostro tanto ambito codice ATECO come freelance e poter quindi aprire una propria partita IVA. Ad ognuno di essi corrisponderà un codice apposito. Ovvero quel codice che permetterà alla Agenzia delle Entrate (o alla camera di commercio) di identificarvi ed inquadrarvi nella rispettiva categoria statistica, fiscale e contabile.

Come applicare il regime fiscale

Dopo aver scelto il tuo codice ATECO per freelance, dovrai stabilire anche quale regime fiscale applicare. Il cosiddetto Regime Forfettario, applicabile rispettando i requisiti appositi e col quale avrai fornito il reddito imponibile. Pagando così, da tale reddito, imposta e contributi previdenziali.

Dunque, da freelance con il Regime Forfettario, sarai soggetto al versamento dei contributi previdenziali. I contributi previdenziali andranno inevitabilmente a mutare in base all’attività che come freelance svolgi e dal Codice ATECO che avrai applicato.

In base alla attività selezionata ed al codice scelto, potrai infatti essere classificato come:

  • Artigiano o commerciante
  • Professionista

Nel primo caso verserai i contributi alla Gestione Artigiani e Commercianti INPS, per un reddito compreso tra 0 e 15.953 euro verserete contributi fissi di circa 3.840 euro, nel caso di un reddito, invece, superiore ai 15.953 euro oltre ai contributi fissi, saranno versati per il 24%.

Mentre nel caso in cui sia classificato come Professionista andrai a versare gli appositi contributi alla Gestione Separata Inps nella misura del 25,72% del proprio reddito e nella cassa professionale..

L’ imposta sostitutiva del codice ATECO per Freelance

Ovviamente, la faccenda non è finita qui. Una volta ottenuto il vostro bel codice ATECO, per la vostra simpatica partita IVA, adottando dunque il regime forfettario, sarete soggetti ad una imposta sostitutiva, corrispondente al 15% del vostro reddito.

Tuttavia, potrete sperare di ridurre alla soglia del 5% tale imposta, per i primi 5 anni di attività. Difatti potrete applicare l’imposta sostitutiva al 5% nel caso rispettaste i requisiti. Dopodiché, al termine dei suddetti primi 5 anni nei quali avrete abbassato l’imposta al 5%, dovrete applicare l’imposta basica al 15%. Per ottenere tale ribasso, per 5 anni dovrai, però rispettare i seguenti requisiti:

  • Nei 3 anni che precedono l’apertura della tua Partita Iva non hai svolto attività di impresa, né in forma individuale, né associata o familiare;
  • L’attività che svolgi in Partita Iva non deve essere una mera prosecuzione di una che già svolgevi, sia come dipendente che in forma associata;
  • Nel caso in cui abbia rilevato l’attività da un altro soggetto, devi assicurarti che questo abbia rispettato il limite dei 65.000 euro di ricavi.

Dunque, questo era quanto necessario conoscere, nel caso la vostra attività di Freelance necessiti di costituire partita IVA. Un modo per essere indipendenti da aziende, società ed organizzazioni e diventare magicamente “dipendenti” dall’ Agenzia delle Entrate.

Reddito di cittadinanza, requisiti, patrimonio e importi spettanti

In questi tempi in cui si apre e si chiude, si attendono segnali per poter uscire o rientrare, da case e regioni, andiamo a scoprire cosa spetta a chi cerca di risollevarsi col reddito di cittadinanza. Tutto, ma proprio tutto quello che avreste voluto sapere sul reddito, ma non avete mai osato chiedere, per citare Woody Allen.

Reddito di cittadinanza, i requisiti per chiederlo e ottenerlo

Dunque, andiamo a scoprire quali sono i requisiti necessari per poter chiedere il tanto ambito reddito di cittadinanza, in un Italia sempre più sul baratro della disoccupazione e del collasso economico sociale.

  • Occorre essere cittadino italiano o europeo, oppure congiunto ad un italiano o ad un europeo con permesso di soggiorno in Italia. Oppure titolare di protezione internazionale (che, detto così, sembra un membro dei servizi segreti).
  • Bisogna risiedere nel nostro paese da almeno 10 anni, di cui in modo continuativo, gli ultimi due anni.
  • Ovviamente, occorre essere disoccupato o inoccupato ed aver compiuto la maggiore età, di 18 anni, il sussidio è riconosciuto anche al nucleo familiare in cui si lavora, anche a tempo indeterminato, ma con redditi al di sotto di quelli stabiliti per il diritto: si parla, quindi, di eventuali rapporti di lavoro part time.
  • Occorre avere un ISEE inferiore ai 9360 euro annui.
  • Un reddito familiare inferiore ad una soglia di 6.000 euro ed un patrimonio finanziario (mobiliare) non superiore ai 6.000 euro.
  • Non devi essere intestatario, nemmeno uno dei tuoi familiari (cioè del nucleo familiare, s’intende) e non disponete pienamente di autoveicoli immatricolati la prima volta nei 6 mesi precedenti la richiesta del Reddito. Stesso discorso per navi e imbarcazioni da porto.
  • Non bisogna essere sottoposti a misura cautelare e nemmeno portare sul groppone condanne definitive.

Reddito di cittadinanza, importo spettante

Il Reddito vi sarà concesso, qualora vi fosse concesso, per un tempo di 18 mesi, il suo importo sarà mensilmente pari a quello di un decimo del valore annuale. Per calcolare il suo valore, sostanzialmente compreso tra i 480 e 9,360 euro l’anno, sarà utile indispensabile applicare la seguente formula

[(soglia massima di reddito familiare x parametro scala equivalenza – reddito familiare) + contributo locazione o mutuo] / 12 mensilità.

E, se non siete bravi in matematica (o, semplicemente, non è chiara la formula) ve lo riassumiamo così: moltiplicando la soglia massima (6.000 Euro per il RdC) per la scala di equivalenza, sottraendo il proprio reddito familiare otterrete un’importo come integrazione al reddito familiare. L’importo totale sarà diviso in 12 mensilità.

Reddito di cittadinanza, ecco alcuni esempi

Facciamo, in ultimo, alcuni esempi di RdC che potrete percepire, in base al vostro nucleo familiare ed alla vostra (presumibilmente disastrata) situazione economica. Se, ad esempio appartieni ad una famiglia composta da 2 adulti e 2 figli minorenni, il tuo nucleo familiare potrà percepire fino a 1.180 euro al mese di Reddito, di cui fino a 900 euro mensili come integrazione al reddito e 280 euro di contributo per l’affitto, oppure 150 euro di contributo per il mutuo, nel caso abbiate un mutuo in corso.

Se vivi da solo, invece, avrai diritto ad un reddito massimo di 780 euro mensili, dei quali 500 euro come integrazione al reddito e 280 euro di contributo per l’affitto, oppure 150 euro di contributo per il mutuo, sempre se hai un mutuo in corso. Se, invece sei un facente parte di una famiglia composta da 2 adulti, 1 figlio maggiorenne e 2 figli minorenni, il tuo nucleo familiare avrà diritto ad un RdC fino a 1.330 euro al mese, con una integrazione al reddito fino a 1.050 euro e un contributo per l’affitto o per il mutuo pari a, rispettivamente, 280 euro o 150 euro;

Come fare domanda per il Reddito di Cittadinanza

Dunque, se fate parte di tutte quelle categorie indicate nel primo paragrafo ed il vostro quadro economico non è, quindi, dei migliori vi occorre sapere la modalità per esporre la fatidica domanda per il Reddito di Cittadinanza. Potrete fare domanda nei seguenti modi:

  • Attraverso un CAF o un patronato di competenza
  • Facendo richiesta attraverso uno sportello postale
  • Attraverso il portale web www.redditodicittadinanza.gov.it, previa autenticazione per mezzo SPID;
  • Oppure, attraverso il portale online della sempreverde INPS, previa identificazione con PIN Inps o una carta d’identità elettronica 3.0 o con una carta Nazionale dei servizi (CNS).

Si chiarifica, in ultimo, ma non ultimo, che ci sono, poi, delle regole a cui sottostare, per il mantenimento e percepimento del RdC. Di fatto, per poter accedere al beneficio, dovrai, innanzitutto, rendere la Dichiarazione di Immediata Disponibilità al lavoro (DID) entro 30 giorni dall’accoglimento. E quindi attivarti a sostituire, quanto prima, il ricevimento del Reddito, con una adeguata opportunità di lavoro e/o di formazione al lavoro.

Dunque, dopo aver letto tutti i passaggi di questa rapida ma esaustiva guida al Reddito di Cittadinanza, non vi resta che farvi due conti nelle vostre tasche, sperando che ancora non abbiano i buchi e catapultarvi, se ne siete beneficiari a fare domanda per ottenere il tanto ambito Reddito.

Divieto licenziamento fino al 30 giugno 2021: le novità DL Sostegni

In questo periodo, che ormai procede da ben oltre un anno, con possibilità di derogarsi ancora per un bel po’ del 2021, fatto di sbalzi di certezze, di alternanze di pareri anche scientifici e sanitari, di aperture e chiusure, di regioni che mutano colori, di attività in bilico e crisi sociali, arriva la proroga sul divieto di licenziamento, fino al prossimo 30 giugno 2021. E’ quanto previsto dal nuovo DL Sostegni. Scopriamone di più, assieme.

La proroga del DL Sostegni sul divieto di licenziamento

Mentre continuano a sentirsi, dai tg, dai blog, dai talk show e più semplicemente dalle voci della strada, dal polso del popolo, carenze di ristori e mentre moltissime attività, come cinema e teatri, abbassano le serrande per sempre, in una confusione pandemica che vede crescere sempre più il “ballo dei vaccini”, il DL Sostegni cerca di dare un po’ di tranquillità ai lavoratori dipendenti, prorogando il termine di divieto di licenziamento per causale COVID-19, previsto entro il 31 marzo prossimo e, ora, allungato alla data del prossimo 30 giugno.

E, quindi il DL Sostegni proroga indistintamente nei confronti di tutte le imprese, ovvero a prescindere dall’ eventuale ricorso agli ammortizzatori sociali con causale COVID-19, invece dal 1 luglio al 31 ottobre 2021 il divieto continuerà esclusivamente per i datori di lavoro che hanno diritto alla Cassa integrazione in deroga e all’assegno ordinario.

Scopriamo di più sul divieto di licenziamento del DL Sostegni

In questo arco di tempo, ovvero fino alla fine di giugno o, nel secondo caso, fino al 31 ottobre 2021, ai datori di lavoro non sarà possibile avviare procedure di licenziamento collettivo e rimarranno sospese quelle procedure avviate in precedenza alla data del 23 febbraio 2020. Al datore di lavoro sarà, ulteriormente, fatto divieto di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo (ovvero il motivo determinato da un importante inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, ovvero da ragioni attinenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa) e permane sospeso il tentativo di conciliazione obbligatoria (per i datori di lavoro con più di 15 dipendenti).

Ma, in questa situazione di “necessità al lavoro”, per un popolo (quello italiano) sempre più vicino al baratro economico (in particolar modo per talune categorie commerciali e imprenditoriali), vi sono delle eccezioni che il DL Sostegni tiene conto, inerenti alla possibilità di licenziamento. Ovvero, se a venir meno è il soggetto imprenditoriale. In caso di cessazione definitiva di attività, a seguito della liquidazione della società o in caso di fallimento (una fine non da escludere in questo delicato momento).

Inoltre, in casi di ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quindi di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. In suddetti casi, ai lavoratori coinvolti dall’accordo, in deroga a quelli che sono i requisiti previsti dalla norma, verrà riconosciuta l’indennità di disoccupazione.  Insomma, scopriremo solo “nelle prossime puntate”, se il quadro del DL Sostegni sul divieto di licenziamenti sarà utile a ridipingere e incorniciare una sicurezza del lavoro più adeguata ed una tutela del lavoratore efficiente, in questo periodo in cui tanto, troppo, tutto è in balìa delle onde della confusione politica, sanitaria, sociale.

Ponte Morandi: gli aiuti agli autotrasportatori danneggiati imponibili

Era l’agosto, mai dimenticato, del 2018 quando il ponte Morandi crollò sotto lo sguardo incredulo di tutto il mondo. Ed in particolare della sua Genova, che piangeva per tale disastro 43 vittime. A distanza di quasi tre anni, arrivano degli aiuti agli autotrasportatori. Scopriamone di più.

Aiuti agli autotrasportatori danneggiati dal crollo del ponte Morandi, quali e come saranno?

Gli aiuti in denaro, in forma di ristoro, saranno concessi a proposito delle maggiori spese effettuate dagli autotrasportatori e dalle aziende di trasporto che, causa del crollo del Ponte Morandi, hanno dovuto percorrere distanze e tratte più lunghe, affrontando spese e pedaggi differenti. Questo è quanto previsto dalla sovvenzione prevista dall’articolo 5, comma 3, del Dl n. 109/2018.

A capo di una azienda di autotrasporto, chi ha presentato istanza, in conseguenza di tale misura, ha ricevuto, negli anni 2019 e 2020, somme in denaro.
Il contribuente, dunque fa domanda su quale sia la giuridica natura, il suo trattamento fiscale e, dunque, i criteri di contabilizzazione da applicare ai relativi indennizzi e se essi possano essere accorpati ai contributi previsti dall’articolo 3, comma 2 del decreto legge e, pertanto irrilevanti ai fini della formazione dell’imponibile relativo alle imposte dirette.

L’ Agenzia specifica che in mancanza di una precisa disposizione di legge che escluda da tassazione i contributi pubblici, occorrerà fare fede agli articoli 85 comma 1, e 88 comma 3, del Tuir, dai quali si ricavano i criteri che stabiliscono i contributi in base a contratto e in conto esercizio e i contributi in conto capitale, fondamentali per la determinazione del reddito imponibile. Tuttavia, l’Agenzia delle entrate sostiene che tali somme non siano escluse da tassazione, poiché non paragonabili alle stesse indicate nell’articolo 3 di cui sopra.

L’ amministrazione finanziaria ha, inoltre, tenuto a precisare, con la risoluzione n. 2/2010, che a distinguere le due tipologie di sovvenzioni, se non specificato nelle singole disposizioni agevolative, siano le finalità per le quali sono assegnate. Nello specifico, i contributi in “conto esercizio” sono destinati a fronteggiare esigenze di gestione, mentre i contributi in “conto capitale” hanno l’unico scopo di incrementare i mezzi patrimoniali dell’impresa e non dipendono da eventuali investimenti.

In sostanza conclusiva, dalla suddetta normativa non emerge disposizione precisa che li escluda dalla formazione del reddito di impresa e considerato che la finalità del ristoro è fronteggiare i maggiori oneri di gestione sostenuti dai soggetti economici destinatari della misura, l’Agenzia ritiene che le somme sborsate agli autotrasportatori assumano sostanza rilevante ai fini della determinazione di ciò che è la base imponibile, in riferimento alle regole del Tuir.

Congedo straordinario COVID per figli: solo per dipendenti, la misura

In un’epoca di chiusure ed aperture, di scadenze e rinnovi, di decreti e bonus, si rinnova fino al prossimo 30 giugno 2021 il congedo straordinario COVID per i lavoratori dipendenti, nel caso debbano assistere figli minori di 14 anni, qualora non possano ricorrere allo smart working. Scopriamo di più.

Come funzionerà il congedo straordinario COVID

Il congedo straordinario COVID potrà essere usufruito fino alla fine della infezione da COVID-19 nel caso di positività del figlio e di relativa quarantena, quindi, non più praticabile esclusivamente in sospensione della didattica in presenza, ma anche in casi di positività del minore. La misura, al momento, vede attivo il bonus congedo fino al prossimo 30 giugno. Ma in cosa consiste questo congedo straordinario? Scopriamolo assieme.

Un bonus congedo per i lavoratori dipendenti con figli minori di 14 anni

Dunque, ai genitori lavoratori dipendenti con a carico figli minori di 14 anni conviventi sarà riconosciuta la facoltà di astenersi dal lavoro percependo un bonus congedo retribuito al 50%. Il bonus congedo potrà essere, inoltre usufruito da entrambe i genitori, per un periodo parziale o totale della sospensione della didattica del figlio (ormai affidati alla didattica a distanza). Ovviamente, tutto ciò fino al 30 giugno. Sperando che sia un’ipotetica data in cui la pandemia da Covid-19 stia volgendo al tramonto, tra un vaccino e l’altro, tra una chiusura e l’altra e tra un decreto e l’altro pure.

Si aggiunge che probabili congedi parentali utilizzati dal 1° gennaio 2021 potranno essere convertiti a domanda nel nuovo congedo e non saranno computati e tanto meno indennizzati a titolo di congedo parentale. Come in una sorta di supercazzola (o se preferite, di bugiardino medico), si precisa quanto segue che sarà coperto dal bonus congedo il periodo che va dal 13.3.2021 al 30.6.2021 con probabilità di estensione retroattiva dal 1.1.2021 che va ad aggiungersi a quello già previsto dall’articolo 22-bis del dl n. 137/2020 (cd. decreto ristori) che copriva dalla data 9.11.2020 la sospensione della didattica esclusivamente per le classi seconde e terze di scuole secondarie di primo grado, soltanto nelle zone rosse del paese.

Congedo con figli minori di 16 anni

Se invece siete provvisti di uno o più figli che abbiano età compresa tra i 14 anni e i 16 anni, potrete usufruire di un congedo (ad alternanza tra i genitori, come in una sorta di turn over genitoriale) ha diritto ad un’aspettativa non retribuita (privata anche di contributi figurativi), ma con divieto di licenziamento. E, quindi mantenendo il posto di lavoro. Che, al giorno d’oggi è già una manna dal cielo.