Maggiorazione contributiva invalidi: a chi spetta e come funziona

Tanti si chiedono come richiedere la maggiorazione contributiva, in caso di invalidità e quanto sia la sua valenza ai fini della pensione. Ebbene, con questo rapido approfondimento, cercheremo di rispondere a queste e ad altre domande, come ad esempio scoprire a chi spetta e come funziona la maggiorazione contributiva.

Come funziona la maggiorazione contributiva invalidi?

Innanzitutto, iniziamo col dire che con la maggiorazione contributiva si intende quella parte contributiva riconosciuta ai lavoratori invalidi e inerente a 2 mesi di contributi figurativi per ogni anno in cui si è effettivamente lavorato con una invalidità superiore al 74%. Dunque, per ognuno degli anni di lavoro non saranno riconosciuti soltanto 12 mesi di contribuzione, bensì 14. Ad ogni modo, vi sono una serie di precisazioni da anteporre alla situazione, che elenchiamo di segui:

  • la contribuzione figurativa così accreditata è utile solo ai fini del raggiungimento del diritto alla pensione. Questi, quindi, saranno utili per anticipare l’accesso alla pensione, ma non per aumentare l’importo dell’assegno almeno per le pensioni calcolate con il sistema contributivo;
  • Vi è un limite di contribuzione figurativa accreditata a titolo di maggiorazione sociale per gli invalidi. Nello specifico, non si potranno accreditare più di 5 anni di contributi;
  • Tale contribuzione figurativa può essere accreditata solo ed esclusivamente previa domanda del diretto interessato;
  • Solo i servizi di lavoro effettivamente svolti presso pubbliche amministrazioni o in aziende o cooperative private, potranno dar luogo alla contribuzione figurativa di 2 mesi presso.

Tuttavia, va aggiunto che tale beneficio è valido per il raggiungimento del requisito contributivo di qualsiasi altra misura previdenziale, perciò sarà valido anche anche al raggiungimento dei 41 anni e 10 mesi di contributi necessari alle donne per poter accedere alla pensione anticipata. Come detto, in pratica, va considerato che per ogni anno di attività effettuato vengono riconosciuti 2 mesi di contribuzione aggiuntiva.

Ma cosa accade quando l’anno di lavoro non viene completato?

Ovviamente ci sono quei casi in cui l’anno di lavoro non viene completato al termine effettivo di lavoro e quindi ci si chiede cosa può accadere al fine del conseguimento della maggiorazione contributiva. Ebbene, nel caso in cui un anno di lavoro non venisse completato, ovvero anche quando si avrà svolto attività lavorativa per i periodi inferiori all’anno, spetterà 1/6 di contribuzione figurativa per ogni settimana di lavoro. Nel caso in cui, ponendo ad esempio, un lavoratore avesse lavorato per soli sei mesi, gli verranno riconosciute (in un periodo probabilmente di 30 settimane) soltanto 5 settimane.

Maggiorazione contributiva per il diritto alla pensione, come funziona

Come funziona la maggiorazione contributiva per il diritto alla pensione, è certamente un’altra domanda frequente nel novero dei contribuenti. Va detto, pertanto, che l’INPS specifica sul suo stesso sito chiaramente che la maggiorazione convenzionale di cui all’articolo 80, comma 3, non assume rilevanza nel calcolo della quota di pensione contributiva, per quanto nel calcolo contributivo l’importo della quota di pensione è determinato moltiplicando, difatti, il montante individuale dei contributi per il coefficiente di trasformazione inerente all’età dell’individuo specifico nel momento del suo pensionamento.

Dunque, dopo questa rapida lettura sull’argomento, ora non vi resta che attendere il conseguimento della maggiorazione contributiva, sempre ammesso che ne siate spettanti diritto, s’intende.

Fattura elettronica: obbligo, esoneri e Sistema di Interscambio

Oggi andiamo a sviscerare alcune curiosità da sapere in merito alla fattura elettronica. Andremo a esplicare tutto ciò che occorre sapere su di essa, obblighi, esoneri e come funziona il sistema di interscambio.

Fattura elettronica: cos’è e chi ne è esonerato

La fattura elettronica è una fatturazione in formato digitale che prevede quindi l’elaborazione in formato XML del documento fiscale, mantenendola inalterata e integra nel tempo. E’ stata inserita in Italia con la Legge Finanziaria 2008 per adeguarsi alle direttive UE, permettendo, così, di gestire elettronicamente l’intero ciclo attivo e passivo delle fatture, attraverso il Sistema di Interscambio. E’ divenuta obbligatoria fin dal giugno 2014, per quanto riguarda le fatture della Pubblica Amministrazione, ma dal 2018 ha coinvolto altre categorie, mentre dal 2019 ha visto adeguarsi praticamente tutte le categorie di professionisti e aziende, tranne poche categorie. Ovvero le seguenti categorie che ne sono esonerate:

  • gli operatori (imprese e lavoratori autonomi) che appartengono al cosiddetto “regime di vantaggio” (di cui all’art. 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98);
  • coloro che fanno parte del cosiddetto “regime forfetario” (di cui all’art. 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190);
  • coloro che erogano prestazioni sanitarie (medici, specialisti, ospedali, farmacie) inviando dati attraverso il Sistema Tessera Sanitaria (STS) ai fini dell’elaborazione della dichiarazione precompilata, che ancora per l’anno di imposta 2020 non devono e non possono scegliere questa opzione;
  • i “piccoli produttori agricoli” (di cui all’art. 34, comma 6, del Dpr n. 633/1972), già precedentemente esonerati per legge dall’emissione di fatture anche prima dell’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica.

Alla fine della fiera, potremmo ben dire, comunque che una buona fetta di contribuenti (circa 2 milioni secondo l’Agenzia delle Entrate) è esonerata dalla fattura elettronica obbligatoria.

Sistema d’interscambio: cos’è e come funziona

Il sistema di interscambio ha la funzione di “postino” o di “verificatore”, attraverso controlli formali, con i quali controlla contiene i necessari dati obbligatori utili al fine fiscale. Per far sì che la fattura elettronica venga accettata dal Sistema di Interscambio sarà necessario che, successivamente all’invio da parte del trasmittente della e-fattura, lo SdI non abbia rilevato errori. Nel caso di riscontro positivo dei controlli precedenti, il Sistema di Interscambio consegnerà in modo sicuro la fattura al destinatario comunicando, allegando una “ricevuta di recapito”, a colui che ha trasmesso la fattura la data e l’ora di consegna del documento.

Ma quali sono i vantaggi della fattura elettronica?

Scopriamo alcuni degli obiettivi prefissati, nell’atto di rendere necessaria (e quindi obbligatoria) la fattura elettronica, secondo la direttiva UE:

  • generare risparmi attraverso un incremento ottenuto dall’efficienza dei controlli per il contrasto all’evasione e, conseguentemente, avere una migliore allocazione delle risorse disponibili per la gestione della spesa pubblica;
  • dematerializzazione dei processi delle imprese in modo da portare ad un generale incremento della competitività del sistema paese con benefici che siano notevolmente superiori al normale incremento degli adempimenti fiscali. Inoltre, anche per quanto riguarda l’ ottica di sviluppo del mercato digitale europeo, risulta un passaggio fondamentale per completare il processo di evoluzione verso il digitale da parte di tutte le imprese che troveranno nell’adesione al piano della cosiddetta Industria 4.0 la concretizzazione della gestione digitale della produzione.

Dunque, questo era un breve, sintetico ma esaustivo quadro sui nuovi obblighi ed esoneri dalla fattura elettronica che dovrete tenere bene in mente per le vostre attività, soprattutto se avete ancora la fortuna, in questo nefasto periodo pandemico di potere conservare un’attività e, quindi, potere fatturare.

Per approfondire leggere anche: Codice univoco fattura elettronica: a che serve e come funziona?

Pagamento fatture insolute: come si invia modello di sollecito?

Oggi ci addentriamo in quel mondo di fatture insolute e di pagamenti fluttuanti in sospeso, di procedure per inviare solleciti e tutto ciò che lo attornia. Andiamo a scoprire una rapida guida sulle procedure di pagamento di fatture insolute e come inviare il modello di sollecito.

Fatture e modelli solleciti: scopriamone di più

Al giorno d’oggi le attività di recupero crediti sono sempre più all’ordine del giorno, sia esse attraverso solleciti di pagamento e sia con atti di precetto, dal momento in cui per le aziende risulta difficile incassare il corrispettivo per la vendita di beni o l’erogazione di servizi. Questa infausta tendenza a procrastinare i tempi di pagamento è spesso dovuto dalla crisi economica, a maggior ragione in questo periodo di pandemia globale e attività al collasso, con notevoli problemi di liquidità non solo alle imprese che devono incassare una fattura emessa, ma anche a coloro che la devono saldare.

Per quanto riguarda la fatturazione, va detto che i soggetti passivi IVA che vanno ad effettuare prestazioni di servizi o cessioni di beni (ad esclusione dei casi di esonero), sono tenuti all’emissione della fattura, che dovrà contenere le indicazioni relative alla ditta, alla ragione sociale, alla residenza, quindi ubicazione della stabile organizzazione, nel caso in cui i soggetti non siano residenti ed in ultimo la partita IVA di colui che emette. Nel caso in cui non si abbia a che fare con imprese, società o enti, sarà necessario indicare nome e cognome della persona fisica.

Come si compone la fattura

  • Contenuto della fattura: è obbligatorio indicare la natura, la quantità e la qualità di beni e servizi forniti, corrispettivi e dati che costituiscono la base imponibile, con annessi eventuali sconti, premi e l’aliquota e l’ammontare dell’imposta .
  • Emissione della fattura: la fattura va emessa nel momento della consegna per beni mobili o alla stipula del contratto per beni immobili, al pagamento (anche se si tratta di acconto) per i servizi.
  • Pagamento della fattura: Il pagamento della fattura deve essere effettuato entro 30 giorni dalla ricezione del documento, in caso in cui sia inerente ad acquisti di beni e servizi, effettuati da un acquirente diverso dal consumatore finale. Nel caso in cui l’acquisto sia di prodotti deteriorabili è necessario, invece, saldare entro 60 giorni dal ricevimento della fattura.

Sollecito di pagamento: come funziona e come inviare il modulo di sollecito

Quando il pagamento va per le lunghe, il creditore può mandare un sollecito di pagamento della suddetta fattura, attraverso mezzi di spedizione che possano attestarne la ricezione del documento. Il sollecito primario potrà avere un tono da nota informativa, potremmo dire, quasi bonario. Sarà possibile utilizzare un modello di sollecito tra i vari presenti online, ma è comunque necessario che la lettera di sollecito contenga sia i dati identificativi del creditore sia l’importo dovuto con annessi numero e data della fattura insoluta, e in caso non fosse il primo sollecito, occorre inserire il numero delle precedenti lettere di sollecito inviate. Nel momento in cui neanche il secondo sollecito dovesse andare a buon fine, sarà opportuno rivolgersi ad un consulente legale, che attraverso raccomandata a/r avrà modo di costituire in mora il creditore. In questo caso sarà, dunque, obbligatorio indicare le somme dovute e, se superano 77,47 euro, apporre una marca da bollo da 2 euro, da poter annullare con inchiostro indelebile.

Lavoro occasionale accessorio: come funzionano i voucher

In un momento di crisi abbondante su ogni frangente, andiamo ad esplorare il mondo del lavoro occasionale e l’uso degli appositi voucher. Iniziando a ricordare che i voucher Inps, noti pure come buoni lavoro, sono stati introdotti per la prima volta nell’ormai lontano 2003 dal secondo governo Berlusconi. La loro introduzione era indirizzata a permettere la retribuzione legale dei lavori accessori o salutari. Quei lavori, solitamente svolti a nero, come il dare ripetizioni scolastiche, o effettuare pulizie domestiche a domicilio, od anche svolgere i lavori stagionali agricoli o turistici.

Chi può utilizzare i voucher per il lavoro occasionale

E’ bene precisare che sia privati che famiglie possono utilizzare i voucher o, come detto, i “buoni lavoro”, per i “lavori occasionali” elencati poco sopra, e che essi possono essere acquistati presso gli Uffici Inps, via internet, nelle tabaccherie autorizzate e presso gli sportelli bancari abilitati. Ma anche gli enti di pubblica amministrazione possono utilizzarli, in ambito di regime istituzionale, come nei seguenti casi

  • Progetti speciali rivolti a specifiche categorie di soggetti in stato di povertà, di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o che fruiscono di ammortizzatori sociali;
  • Lavori di emergenza correlati a calamità o eventi naturali improvvisi;
  • Attività di solidarietà, previa collaborazione con altri enti pubblici o associazioni di volontariato;
  • Organizzazione di manifestazioni siano esse sociali, sportive, culturali o caritative.

Quali sono i vantaggi del voucher?

Iniziamo col precisare che grazie al pagamento tramite voucher Inps si troveranno in regola sia il datore di lavoro (committente) che il lavoratore. Il datore di lavoro, pur non dovendo stipulare alcun contratto, avrà così una prestazione lavorativa in completa legalità e con la copertura INAIL per gli incidenti sul lavoro. Mentre, il lavoratore (ovvero il prestatore), oltre a poter integrare il suo reddito con le entrate di lavori occasionali, riceverà un contributo per la pensione che può cumulare con altri trattamenti pensionistici e che sarà compatibile con i versamenti volontari.

Ma quale è il valore dei voucher o buoni lavoro?

I buoni lavoro o voucher hanno un valore di 10 euro cadauno, tuttavia esistono anche voucher multipli del valore di 20 euro e di 50 euro. I buoni da 20 e da 50 euro equivalgono rispettivamente a 2 e a 5 buoni non separabili. Dunque, quando il prestatore riscuote il voucher, il 75% del valore va al lavoratore come retribuzione del lavoro svolto, mentre ciò che resta del valore valore viene diviso in contributi Inps (13% del totale) e contributi Inail (7% del totale). Il restante 5% va anch’esso all’Inps a coprire i costi per la gestione del servizio buoni lavoro. Il voucher dal valore di 10 euro è la paga oraria minima per un’ora di lavoro occasionale.

Il voucher prestO, per il lavoro occasionale ad imprese e professionisti

Ad una sorta di “sistema” a parte, appartengono invece gli operatori professionali (imprese e professionisti) che potranno retribuire prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di limitata entità utilizzando il contratto di prestazione occasionale “PrestO“. Ovviamente, dovranno osservare alcune piccole regole utili a garantire il monitoraggio del nuovo istituto dei buoni lavoro. A tal proposito, va ricordato che il ricorso al contratto occasionale tramite PrestO’ è vietato nei seguenti casi:

  • Soggetti che abbiano in corso o abbiano cessato da meno di sei mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa col medesimo utilizzatore;
  • Coloro che abbiano alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori subordinati a tempo indeterminato;
  • Imprese del settore agricolo, ad eccezione delle attività lavorative rese dai soggetti non iscritti nell’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli;
  • Nell’ edilizia e nei settori settori affini;

Procedura di attivazione dei voucher prestO

L’utilizzatore del buono lavoro PrestO’ è tenuto a trasmettere, almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione, con le medesime modalità, una dichiarazione. La quale dovrà contenere:

  • I dati anagrafici e identificativi del prestatore;
  • Il luogo di svolgimento della prestazione;
  • L’oggetto della prestazione;
  • La data e l’ora di inizio ed il termine della prestazione. Ovvero, se imprenditore agricolo.

Lavoro occasionale nel settore turistico

Attraverso la circolare 103 in data 17 ottobre 2018, INPS ha dichiarato chiarezza in merito all’uso dei voucher nell’ambito del settore del turismo.

Le aziende interessate a tale disposizione sono quelle che non occupano più di otto dipendenti a tempo indeterminato e che operano nel settore del turismo secondo quanto risulta dal Registro imprese. Si fa, dunque riferimento a quelle attività principali o prevalenti classificate con i seguenti codici ATECO:

  • Alberghi (codice Ateco 2007 55.10.00);
  • Villaggi turistici (55.20.10);
  • Ostelli della gioventù (55.20.20);
  • Rifugi di montagna (55.20.30);
  • Colonie marine e montane (55.20.40);
  • Affittacamere per brevi soggiorni, case ed appartamenti per vacanze, bed & breakfast, residence (55.20.51);
  • Aree di campeggio e aree attrezzate per camper e roulotte (55.30.00).

Per quanto riguarda i parametri economici, ai fin i del superamento della soglia massima di € 5.000 annui da parte dell’utilizzatore, va detto che i compensi erogati ai prestatori di lavoro occasionale nel turismo sono computabili al 75% del loro importo. Quindi un tetto massimo di erogazione annua di compensi che sale a 6,666 euro. Dunque, ora che abbiamo un quadro più chiaro inerente ai lavori occasionali, non vi resta che far buon uso dei suddetti voucher e mettervi in regola con le piccole, ma talvolta salvifiche, prestazioni occasionali che potranno, in tal senso, anche aiutarvi a costituire un piccolo reddito.

Codice univoco fattura elettronica: a che serve e come funziona?

In questi tempi in cui la fattura elettronica è divenuta un vero e proprio snodo del commercio, andiamo a scoprire che cosa è il codice univoco e come distinguerlo dal codice destinatario. Partiamo col dire che quando parliamo di fattura elettronica, si fa riferimento ad una fattura in formato digitale. Con maggiore precisione, si intende quel processo con cui vengono gestiti emissione, invio, tenuta e conservazione digitale del documento apposito di fatturazione.

Codice univoco, fattura elettronica: di cosa si tratta?

Il codice univoco della fattura elettronica è un elemento di primaria importanza nel processo di trasmissione del documento digitale, della cosiddetta fattura elettronica, poiché servirà ad identificare in modo univoco il destinatario. Solo grazie al codice univoco, il Sistema di Interscambio (SdI) riuscirà, dunque, a recapitare correttamente le fatture. Andiamo, perciò a vedere nel dettaglio cos’è il codice univoco, a cosa serve e in che modo si differenzia dal codice destinatario.

Ci sono delle importanti differenze tra il codice univoco ed il codice destinatario contribuente, sebbene potremmo dire che entrambe vanno a svolgere la stessa funzione. Scopriamo quali sono queste sostanziali differenze tra i due tipi di codice:

  • nel caso del codice destinatario, esso è utilizzato nella fattura elettronica B2B o B2C, ovvero tra soggetti privati, ed è composto da ben sette caratteri;
  • per quanto riguarda il codice univoco, invece, va detto che viene usato solo per le fatture elettroniche verso la PA (B2G) ed è composto da soli sei caratteri e viene utilizzato solo per la fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione

Ma come si ottiene il codice univoco?

Il codice univoco da comunicare ai propri fornitori viene assegnato dall’Agenzia delle Entrate, ai titolari di un canale di trasmissione sul Sistema di Interscambio riconosciuti e accreditati. Quando si sarà ottenuto il codice univoco, previa accesso al portale “Fatture e Corrispettivi” nella sezione “Fatturazione elettronica” e quindi andando alla voce “Registrazione dell’indirizzo telematico dove ricevere tutte le fatture elettroniche” si potrà scegliere l’indirizzo telematico dove fare ricevere le comunicazioni del SdI.

Codice univoco d’ufficio

Per quanto riguarda, invece, il codice univoco d’ufficio (CUU), denominato pure codice IPA, andrà indicato in ogni fattura elettronica verso la Pubblica Amministrazione. Accedendo al sito dell’Agenzia delle Entrate sarà disponibile un apposito elenco dei codici IPA di ogni ufficio preposto alla ricezione delle fatture PA.

Cosa piuttosto importante da sapere è che ad un ente pubblico possono essere associati più codici univoci, che servano ad individuare i diversi uffici che fanno parte della stessa Amministrazione Pubblica.

Come ottenere il codice destinatario

Per quanto riguarda il codice alfanumerico a sette cifre, ovvero il codice destinatario, va detto che esso viene comunicato al titolare di partita IVA nel momento in cui egli si affida ad una software house per il servizio di fatturazione elettronica. Una volta che il titolare di partita IVA avrà ricevuto il suddetto codice, toccherà a lui comunicarlo direttamente al sistema d’interscambio al fine di ricevere, dunque tutte le fatture elettroniche direttamente sul proprio software di fatturazione. In fine, una volta ottenuto il codice destinatario dalla nostra softwarehouse il titolare della partita IVA potrà comunicarlo direttamente ai propri fornitori oppure optare ad una soluzione più comoda e veloce, ovvero inserire il nostro codice destinatario come indirizzo prevalente direttamente sul sito dell’agenzia dell’entrate in modo che questo venga associato direttamente al nostro numero di partita IVA

Assegno sociale: beneficiari, requisiti di accesso e importo mensile

Quali sono le ultime novità riguardo l’assegno sociale e chi possono esserne i beneficiari, attraverso quali requisiti e quale sarà l’importo mensile? Sono queste le curiosità e le domande che si pongono, giornalmente, milioni di italiani. Andiamo, dunque dare uno sguardo a ciò che c’è da sapere e a scoprire le risposte nella nostra rapida ed esaustiva guida sull’assegno sociale.

Assegno sociale cos’è ed a chi spetta?

Va, innanzitutto, prima di lanciarci in questa rapida guida, detto che con assegno sociale di pensione si intende una prestazione economica, erogata previa domanda, ai cittadini che si trovano in condizioni economiche non esattamente floride, con dei redditi non superiori alle soglie previste annualmente dalla legge. Quindi spetta, in linea di massima, a quelle persone con un’età superiore ai 67 anni, con una condizione economica disagiata. Ma, più esattamente l’assegno sociale è una prestazione assistenziale che spetta a coloro che non hanno diritto a nessuna altra forma di pensione.

Più specificamente gli aventi diritto ad ottenere l’assegno sociale, per l’anno 2021, sono le persone che hanno i seguenti requisiti:

  • almeno 67 anni di età sia per gli uomini che per le donne, sebbene dal 2023 potrebbe essere elevato sulla base degli adeguamenti alla aspettativa media di vita;
  • cittadinanza italiana, o, in alternativa, cittadinanza di un Paese europeo, nel caso il richiedente abbia effettuato iscrizione all’anagrafe del comune di residenza;
  • residenza stabile e continuativa per almeno 10 anni in Italia;
  • per il 2020 in via definitiva ed il 2021 in via provvisoria, occorre avere un reddito non superiore a 5.983,64 euro annui, facendo fede al reddito personale;
  • per il 2020 in via definitiva ed il 2021 in via provvisoria, un reddito non superiore a 11.967,28 euro annui, se il richiedente è coniugato (farà riferimento il reddito personale sommato al reddito del coniuge).

Quali sono i limiti per l’assegno sociale

Al momento possiamo affermare che il solo limite relativo alle condizioni economiche utili all’ottenimento dell’assegno sociale è caratterizzato dall’ammontare del doppio reddito tra coniugi. Per determinare i requisiti all’ottenimento, bisognerà considerare, inoltre, i redditi esenti, come le rendite dell’Inail o le pensioni erogate agli invalidi civili. Non vanno considerate, per il superamento del reddito, le seguenti entrate:

  • il Tfr, le relative anticipazioni, le altre indennità di fine rapporto, come quelle erogate in regime di Tfs, ovvero sia l’indennità della buonuscita, di anzianità e l’indennità premio di servizio;
  • la rendita relativa all’abitazione principale;
  • gli arretrati da lavoro dipendente soggetti a tassazione separata, tra cui gli arretrati per attività lavorativa anche quella svolta all’estero;
  • l’indennità di accompagnamento per invalidi civili, ciechi civili, le indennità di comunicazione per i sordi, assegni per l’assistenza personale e continuativa erogati per inabilità dall’Inps;
  • gli assegni riconosciuti dall’Inail per l’assistenza personale continuativa, qualora vi fosse invalidità permanente assoluta;
  • alcuni vitalizi per gli ex combattenti.

Ma a quanto ammonta l’assegno sociale?

La vera domanda a cui dare risposta, per quegli over 60 la cui situazione economica è poco lieta, è effettivamente legata all’ammontare dell’assegno sociale. Ebbene, nell’anno in corso, ovvero il 2021, la somma prevista è di 460,28 euro e va aggiunto che l’assegno sociale va erogato come una normale pensione, per un tempo di 13 mensilità. Con un ammontare annuale di 5.983,64 euro, l’assegno sociale può spettare in misura intera o ridotta, a seconda del reddito posseduto alle seguenti categorie:

  • per intero ai beneficiari non coniugati privi di un reddito;
  • per intero ai beneficiari coniugati privi di un reddito;
  • ai non coniugati con reddito sino a 5.983,64 euro annui, spetta in misura ridotta;
  • ai coniugati con reddito sino a 11.967,28 euro annui, anche ad essi spetta in misura ridotta.

Come si richiede l’assegno sociale?

Per concludere questa breve guida sull’assegno sociale di pensione, è bene sapere che può essere richiesto, quindi fare domanda per ottenerlo, nelle seguenti modalità:

  • attraverso sito web dell’Inps, nel caso in cui il beneficiario sia in possesso del Pin dispositivo per l’accesso ai servizi telematici, dello Spid di 2° livello, almeno, quindi della carta d’identità elettronica Cie o della Cns, carta nazionale dei servizi; sarà necessario effettuare l’accesso, dal sito, attraverso l’area Servizi per il cittadino;
  • tramite call center dell’Inps, telefonando al numero 803.164, oppure 06.164.164 per le utenze mobili;
  • attraverso il patronato o previa intermediari dell’Inps.

Tuttavia, per concludere, va aggiunto che alla consegna della domanda per ottenere l’assegno sociale, andranno allegati un’autocertificazione dei propri dati personali, ma anche la dichiarazione del reddito, ed una dichiarazione di responsabilità, riguardo eventuali ricoveri presso strutture sanitarie, con retta a carico dello Stato. Concludiamo questa breve ma esaustiva guida sull’assegno sociale di pensione facendo presente che l’assegno è corrisposto a partire dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.

 

 

Come si scorpora l’IVA da un importo? Esempi di calcolo

Molti, tra professionisti e imprenditori, ma anche semplici contribuenti, si chiedono come calcolare e scorporare l’IVA, oggi vedremo con alcuni rapidi esempi, in questa esaustiva guida come si scorpora l’IVA e quando applicare l’imposta ridotta.

Scorporare l’IVA: di cosa si tratta?

Cominciamo col dire che per le Partite IVA, per professionisti e aziende è piuttosto necessario conoscere il valore dell’IVA in un’operazione di acquisto B2B, a partite dal prezzo totale di un bene o di un servizio, poiché esso rappresenta un’imposta a debito sulle vendite e a credito sugli acquisti. Detto ciò, per scorporare dell’IVA si ottiene il valore fiscalmente imponibile di un bene e l’IVA, partendo dallo stesso prezzo IVA compreso. Andando più nello specifico con lo scorporo dell’IVA si divide il prezzo di un bene o prodotto in due distinte componenti:

  • l’ imposta sul valore aggiunto da pagare sul bene considerato.
  • la base imponibile, quindi, il costo effettivo del bene senza IVA;

Ma quale è la formula base che occorre sapere per scorporare l’IVA?

100 : (100+Aliquota IVA) = Somma imponibile : prezzo finale di bene o prodotto

Dopo aver visto questa semplice formuletta, dobbiamo dare un’occhiata alle aliquote IVA:

  • 22%: aliquota ordinaria applicata sulla generalità di prodotti e servizi;
  • 10%: aliquota ridotta applicata su alcuni prodotti e su determinati servizi inerenti al settore turistico, ma anche su alcuni generi alimentari e per taluni interventi di recupero edilizio;
  • 5%: applicata ad alcune prestazioni socio-sanitarie od anche assistenziali ed educative, ma anche su alcune spezie per alimenti ed alcune formule di trasporto;
  • 4%: prodotti di primaria importanza, come ad esempio generi alimentari.

Scorporare Iva: vediamo, dunque, alcuni esempi di calcolo

Cerchiamo, dunque ora di tradurre in numeri la formula sopra esposta. Ipotizziamo, ad esempio, di aver acquistato un bene del valore pari a 200 euro, sul quale viene applicata l’IVA al 22%. Inserendo tali dati nella formula si ottiene questa rapida formula:

  • 100 : (100+22) = Somma imponibile : (200)

Dunque, ciò che dobbiamo ottenere in questo caso sarà semplicemente il prezzo senza l’IVA, ovvero il prezzo imponibile

  • Somma imponibile = (100*200)/122 = 163,93 euro

Mentre per quanto riguarda l’importo dell’IVA pagata, il risultato sarà pari alla differenza tra l’importo ottenuto ed il prezzo totale, quindi nel nostro esempio 36,07 euro. Andiamo a scoprire anche un metodo alternativo di calcolo, attraverso una diversa formula, ovvero la seguente:

  • Prezzo finale: 1, Aliquota IVA (es. 1,22 per l’IVA al 22%; 1,04 per l’IVA 4%; 1,1 per l’IVA al 10%)

Andando, dunque a fare una breve traduzione della suddetta formula in numeri, rifacendoci all’esempio di cui sopra, otteniamo:

  • Somma imponibile = 200/1,22= 163,93 euro
  • IVA = 163,93*0,22= 36,07 euro

Dunque, ora abbiamo ottenuto un efficiente quadro per calcolare senza più patemi e dubbi, le somme imponibili e lo scorporamento dell’IVA. Una tappa tutto sommato necessaria, se non fondamentale, per tutti coloro che soprattutto lavorano con partita IVA e per molte categorie di professionisti, ma anche per i contribuenti che spesso si trovano a che fare con beni o prodotti in cui occorre calcolare le relative aliquote da detrarre. Ora, non resta che assimilare e fare proprie le formulette e scorporare l’IVA diventerà semplice come bersi un bicchiere d’acqua. E ogni sete di sapere sarà presto detto placata.

Fondi pensione aperti: di cosa si tratta e a chi convengono

La pensione continua ad essere il “sogno proibito” di molti italiani in cassa integrazione, di disoccupati, di precari e di lavoratori a nero. Tutte categorie che impazzano nella nostra bella penisola, ancor più in un periodo di travagliata pandemia che dal 2020 ha travolto il sistema economico e sociale del paese. Andiamo a scoprire, con questa efficace guida, cosa sono i fondi pensione aperti e a chi convengono.

Fondi pensione aperti: di cosa si tratta?

Partiamo già col dire che con un fondo pensione parliamo di una forma di previdenza sociale istituita da banche o imprese di assicurazione, sotto forma di patrimoni autonomi e separati da quelli istituiti e vengono destinati al pagamento delle prestazioni di coloro che vi sono iscritti. La loro utilità consiste nel destinare parte dei risparmi del contribuente all’ integrazione della sua pensione di base e ricevere una pensione complementare, anche reversibile. E quindi, agevolare l’uscita dal mondo lavorativo e affrontare la pensione.

Come funzionano i fondi pensione aperti

I fondi pensione aperti permettono ad ogni iscritto di avere un conto pensionistico personale su cui finiscono i propri versamenti contributivi. Le somme che vi sono versate saranno custodite presso un depositario autorizzato (ovvero una banca o un’impresa di investimento) e, dunque, investite nei mercati finanziari, allo scopo di ottenere rendimenti che nel tempo accrescano il capitale accantonato e permettano di conseguire prestazioni pensionistiche integrative rispetto alla previdenza obbligatoria. Va, inoltre aggiunto che le prestazioni di cui il contribuente potrà beneficiare dipenderanno dall’importo complessivo dei contributi versati, dalla durata di tale periodo, dai costi sostenuti e dai rendimenti ottenuti con l’investimento sui mercati finanziari.

Ma quanto costa aprire un fondo pensione aperto?

Bisogna precisare che costi applicati da un fondo pensione, avranno un impatto significativo sulla prestazione che chiederai. E’, dunque, importante consultare la “Scheda dei costi” nel documento “Informazioni chiave per l’aderente”, che sarà consegnato al momento dell’adesione per valutare i relativi costi del fondo pensione.

Chi può aderire ad un fondo pensione aperto?

Precisiamo che chiunque, senza esclusione, può aderire all’apertura di un fondo pensionistico. Può essere fattibile sia in misura individuale che collettiva. Potendo anche iscrivere i relativi familiari a carico. Se il contrato di lavoro dell’iscritto rende possibile l’iscrizione a un fondo pensione aperto sarà possibile aderire secondo le modalità previste dai contratti collettivi di lavoro, dagli accordi o dai relativi regolamenti aziendali, per un adesione collettiva. Nel caso di quest’ ultima opzione (di adesione collettiva) potrà avvenire anche in modalità di tacito accordo. I lavoratori pubblici possono aderire ai fondi aperti solo su base individuale, così come i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

Ci sono agevolazioni fiscali e quali?

Sono riconosciute alcune agevolazioni fiscali nel caso di un apertura di fondo pensionistico:

  • contributi versati sul fondo pensione sono deducibili dal reddito IRPEF fino ad un totale di 5.164,57 euro all’anno, quindi si pagheranno subito meno imposte sui redditi. Entro lo stesso limite si può, inoltre, portare in deduzione anche i versamenti effettuati a favore di familiari fiscalmente a carico
  • rendimenti della gestione finanziaria sono tassati con un’aliquota massima del 20% anziché del 26% come per la maggior parte delle forme di risparmio finanziario;
  • la pensione complementare e il capitale hanno una tassazione con un’aliquota agevolata che andrà a variare tra il 15% e il 9% in base agli anni di partecipazione al fondo
  • le anticipazioni o i riscatti della posizione individuale per poter fronteggiare le spese impreviste personali o familiari sono tassati con un’aliquota agevolata che andrà a variare tra il 15% al 9% in base al numero di anni di partecipazione;

Concludiamo, con un piccolo sunto sulle possibili prestazioni che si possono ottenere da un fondo pensione aperto. Quando arriva il momento del pensionamento, dopo aver conseguito almeno 5 anni di partecipazione al versamento sul fondo pensionistico, si potrà ottenere la totalità del capitale accumulato. Ovvero, ciò che costituirà la pensione complementare. Oppure fino al 50% di quanto ammonta, con il restante tramutabile in rendita.

Pensione quota 41 precoci: requisiti, limiti e beneficiari

In questo mondo (italiano) di precari e inoccupati, di disoccupati e cassa integrati il pensiero della pensione continua ad essere quasi un privilegio, ma ciò nonostante lascia i suoi grattacapi e i suoi dubbi. Andiamo a scoprire, ad esempio, come funziona in tal senso, la pensione quota 41.

Quota 41: limiti e requisiti per ottenerla

La domanda più frequente per coloro che necessitano di pensionarsi preventivamente è legata a quali siano i limiti e i requisiti richiesti per ottenere la quota 41. E’ bene sapere, dunque, che per i lavoratori precoci che ambiscono alla Quota 41 ci sono due modalità tempistiche per fare richiesta. Lo scorso marzo si è chiusa la prima finestra temporale, per presentare domanda. Tuttavia, come ogni anno del resto, non esiste solo la scadenza del 1° marzo, ma per eventuali domande tardive presentate non oltre il 30 novembre ci potrà essere possibilità di essere presa in considerazione qualora vi fossero risorse finanziare rimaste. Una volta ottenuto esito positivo occorre presentare domanda di pensione anticipata previa online sul sito INPS.

Ma quali sono i requisiti per i lavoratori precoci di chiedere Quota 41?

Potranno fare richiesta della Quota 41 e ritirarsi quindi in pensione anticipatamente, i cosiddetti lavoratori precoci che siano iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria, alle forme sostitutive o esclusive della medesima, in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, che possono far valere 12 mesi di contribuzione effettiva antecedente al 19° anno di età ossia al perfezionarsi, entro il 31 dicembre 2026, di 41 anni di contribuzione a prescindere dal requisito anagrafico, a patto di rientrare in una delle categorie con diritto all’APe sociale. Indipendentemente dalla propria età, per fare richiesta di Quota 41, ai lavoratori precoci verranno richiesti ulteriori requisiti, che limitano l’opzione a quattro categorie di lavoratori:

  • ai dipendenti in stato di disoccupazione, previa di un licenziamento individuale o collettivo, per giusta causa o attraverso risoluzione consensuale, che abbiano concluso da almeno 3 mesi, la fruizione della NASPI o di altra indennità;
  • ai caregiver, ovvero quella categoria di lavoratori dipendenti ed autonomi che nel momento della domanda, assistono da almeno 6 mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap aggravati, ai sensi della legge 194;
  • ai lavoratori dipendenti ed autonomi che hanno avuto una riduzione della capacità lavorativa, con una percentuale di invalidità civile, almeno pari o maggiore al 74%;
  • ai lavoratori che svolgono attività usuranti o molto gravose. E che debbano essere state svolte per un periodo di almeno sette anni negli ultimi 10 anni di attività lavorativa. Riassumibili in particolare nelle seguenti categorie

 

  1. operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici;
  2. guidatori di gru o di macchinari mobili risolutivi alla perforazione nelle costruzioni;
  3. conciatori di pelli e di pellicce;
  4. conducenti di convogli ferroviari e/o personale viaggiante;
  5. conducenti di mezzi pesanti e camion;
  6. personale sanitario infermieristico ed ostetriche ospedaliere con lavoro suddiviso in turni;
  7. addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza;
  8. insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori di asili nido;
  9. facchini, addetti allo spostamento merci ed allegati alla suddetta mansione;
  10. personale addetto ai servizi di pulizia non qualificato;
  11. operatori ecologici e altri raccoglitori e/o separatori di rifiuti;
  12. operai agricoli, zootecnici e operai della pesca;
  13. pescatori di pesca costiera, di acque interne, pescatori in alto mare, dipendenti o soci di cooperative analoghe;lavoratori del settore siderurgico di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature;
  14. marittimi imbarcati a bordo e personale viaggiante dei trasporti marini e in acque interne;

Come funziona la contribuzione utile

E’ bene ricordare che in merito l’INPS ha chiarificato che per «contribuzione per periodi di lavoro effettivi» si dovrà intendere una contribuzione obbligatoria dovuta per i periodi di prestazione effettiva di lavoro espressa in mesi, settimane o giorni, che dovrà fare riferimento all’anzianità contributiva utile per il diritto e la misura secondo le rispettive discipline vigenti presso le varie forme assicurative previdenziali. Saranno utili, a tal proposito, anche i lavori svolti all’estero riscattati e i periodi che siano riscattati per omissioni contributive. In ultimo, ma non ultimo bisogna ricordare i termini di decorrenza del trattamento pensionistico che avverrà dal mese successivo alla data della presentazione di domanda.

 

ISEE Corrente: chi può richiederlo e con quali requisiti

Cosa è l’ ISEE corrente e chi può richiederlo, attraverso quali requisiti specifici? E cosa vuol dire variazione della situazione lavorativa e variazione della situazione reddituale. Scopriamolo insieme, in una rapida guida che ci spiega un po’ di cose.

ISEE Corrente cosa è?

Dunque, partiamo con lo specificare che quando parliamo di ISEE Corrente parliamo di un qualcosa che rispetto ad una DSU standard (la quale fa riferimento ai redditi percepiti nel secondo anno solare precedente la DSU) si basa sui redditi degli ultimi 12 mesi o, in alcuni particolari casi, degli ultimi 2 mesi.

Va precisato che tale elaborazione va riservata ai lavoratori dipendenti o ai lavoratori autonomi e non ai pensionati. Inoltre, va aggiunto che l’ ISEE corrente ha una validità limitata di 2 mesi o 6 mesi a partire dalla data di sottoscrizione della dichiarazione, tuttavia può essere rinnovata anche diverse volte, nel corso del tempo fino alla scadenza annua dell’ISEE. La cui scadenza rimane fissata, per tutte le dichiarazioni, al 31 dicembre dell’anno di presentazione.

Come elaborare tale dichiarazione?

L’elaborazione della dichiarazione è riservata agli Enti, come INPS o il CAF che ha predisposto la dichiarazione originaria, dalla cui base si partirà ad esaminare l’ISEE corrente.

Requisiti per richiedere l’ ISEE corrente: quali sono?

Dunque, una volta appurato quanto riportato sopra, bisogna sapere che per richiedere l’ ISEE corrente saranno necessari i seguenti requisiti:

  • avere in possesso una dichiarazione ISEE in corso di validità;
  • è necessario che almeno uno dei componenti del nucleo familiare abbia avuto una variazione della situazione lavorativa nei 18 mesi precedenti al primo gennaio dell’anno di presentazione della DSU originaria;
  • occorre aver avuto una variazione della situazione reddituale complessiva del nucleo superiore al 25% rispetto alla situazione reddituale dell’ISEE originario.

Ma cosa vuol dire variazione della situazione lavorativa?

Ci sono specifiche considerazioni in merito alla variazione della situazione lavorativa, ovvero le seguenti:

  • Nel caso in cui lavoratori autonomi, risultanti non occupato al momento della presentazione della DSU Corrente, che abbiano cessato la propria attività, dopo aver svolto la stessa in maniera continuativa per un tempo di almeno 12 mesi;
  • Nel caso in cui un lavoratore dipendente, a tempo indeterminato, per cui sia intervenuta una risoluzione del rapporto di lavoro (ad esempio un licenziamento o dimissioni del lavoratore) o una sospensione dell’attività lavorativa od anche una riduzione della stessa;
  • Quando i lavoratori dipendenti a tempo determinato abbiano visto intervenire una risoluzione del rapporto di lavoro (licenziamento o dimissioni del lavoratore), che risultino non occupati alla data di presentazione della DSU, e che possano, inoltre, dimostrare di essere stati occupati nelle forme di cui alla presente lettera per un tempo di almeno 120 giorni nel corso dei 12 mesi precedenti la conclusione della loro ultima attività lavorativa;

Cosa vuol dire variazione della situazione reddituale?

Veniamo a scoprire, in ultimo, cosa si intende per variazione della situazione reddituale. Per rientrare in tale categoria è necessario che per ogni lavoratore che abbia avuto una variazione lavorativa, siano specificati i seguenti valori percepiti negli ultimi 12 mesi rispetto alla richiesta della prestazione:

  • un reddito da lavoro dipendente, con pensione ed assimilati
  • redditi derivanti da attività d’impresa o di lavoro autonomo, svolte sia in forma individuale che partecipativa, individuati secondo il principio di cassa come differenza tra i ricavi/compensi percepiti e le spese sostenute;
  • ci siano trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, con annesse carte di debito, percepiti da amministrazioni pubbliche, che non siano già inclusi nei redditi da lavoro dipendente, pensione o assimilati.