Come si calcola il valore di una servitù di passaggio?

Oggi andremo a vedere di cosa si tratta quando si parla di servitù di passaggio e come si può calcolarne il valore. In questa rapida guida, lo scopriremo assieme.

Cosa vuol dire servitù di passaggio

Dunque, la domanda più frequente che in molti si fanno è che cos’è una servitù di passaggio? La risposta è presto data, la servitù di passaggio è il diritto reale di godimento che consente al titolare di un fondo di passare su un fondo altrui per accedere al proprio. Nello specifico, possiamo dire che il diritto di servitù costituisce un peso a carico del fondo altrui, detto “fondo servente”, per l’utilità del “fondo dominante”.

Che cosa sarebbe il fondo dominante? Questa è un’altra domanda che qui trova risposta. Nel Codice civile, in particolare, si definisce la servitù come il peso imposto sopra un determinato fondo (detto “fondo servente“) per l’utilità di un altro fondo (detto “fondo dominante“), che appartiene ad un proprietario diverso.

Come si calcola il valore di una servitù di passaggio

In maniera molto semplice e diretta possiamo dire che il danno cagionato, dalla proposta costituzione di una servitù di passaggio volontaria, al fondo servente può essere più agevolmente determinato attraverso la differenza tra il più probabile valore di mercato del fondo libero dalla servitù stessa e l’analogo valore di mercato del fondo considerato gravato dalla servitù.

Va, inoltre aggiunto che per determinare tale indennità sarà necessario considerare non soltanto il valore della superficie di terreno assoggettata a servitù, ma si dovrà valutare ogni altro pregiudizio subito dal fondo servente in relazione alla sua destinazione a causa del transito di persone e veicoli.

Dunque, la servitù di passaggio può essere costituita sia volontariamente, magari raggiungendo un accordo con il proprietario del fondo confinante, che ti lascia passare sul suo terreno senza troppe problematiche o chiedendoti un’indennità, quanto coattivamente (servitù legali). Come dicevasi, per definizione la servitù di passaggio deve gravare sul fondo di proprietà di una persona diversa rispetto a quella che beneficerà della servitù. Ciò significa che il diritto di proprietà del titolare del fondo servente sarà inevitabilmente limitato dall’obbligo di consentire il transito al vicino.

Ma, quindi cosa deve fare un proprietario del diritto di passaggio? Il proprietario può chiedere al giudice di disporre la costituzione di una servitù di passaggio su uno dei fondi confinanti. Il passaggio deve arrecare il minor danno possibile al fondo servente. Questa servitù non può essere costituita sulle case, sui giardini, sulle aie.

Ma, quanto può essere larga una servitù di passaggio?

Anche qui, la risposta è presto data. Le misure minime e massime della servitù di passaggio carrabile sono di metri variabili a seconda di strada o altro luogo su cui essa sussiste, perché non c’è una norma specifica in merito, ma la larghezza dovrebbe essere minimo di 2,75 metri

Come si perde la servitù di passaggio?

Una sostanziale ipotesi di cessazione della servitù di passaggio è quella per prescrizione. In pratica, secondo la legge la servitù si estingue per prescrizione quando non se ne fa uso per 20 anni. Il semplice decorso del tempo, quindi, così come può valere a far acquistare la servitù (per usucapione), può anche rilevare ai fini della sua estinzione. in linea definitiva, possiamo asserire che la servitù coattiva di passaggio si estingue per cessazione dell’interclusione, ai sensi dell’articolo 1055 del codice civile, qualora al fondo dominante, già intercluso, sia aggregato in unico lotto, facente capo ad unica proprietà, un altro fondo, con accesso alla pubblica via, in quanto, a norma dell’art. 1051 cod.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più strettamente necessario da sapere sul valore della servitù di passaggio in merito alla questione.

Leggi anche: Come comprare casa: i documenti necessari per un acquisto sereno

Auto noleggio o leasing: chi paga il bollo auto?

Molto spesso ci si chiede come funziona il noleggio auto o il leasing, per quanto riguarda il pagamento del bollo auto. In questa rapida ed esaustiva guida a riguardo, andremo a dare risposta proprio a questa domanda.

Bollo auto, cosa è

Ovviamente, chi è in possesso di una vettura da un po’ di tempo saprà benissimo di cosa si parla quando si fa riferimento al bollo auto.

Probabile che invece non si abbia risposta in merito, per coloro che sono neo patentati o semplicemente ancora non posseggono una automobile. Quando si parla di bollo auto, dunque si fa riferimento a quella tassa da pagare per il solo possesso di una autovettura.

Una sostituzione di quello che una volta era la tassa di circolazione, ma che adesso è divenuta una tassa di possesso. Non importa che l’auto circoli o stia ferma, si paga il semplice fatto di averla. Un po’ come il canone RAI per il possesso del televisore, anche se non passiate sui canali RAI manco per sbaglio.

Bollo auto, come funziona per auto a noleggio

Ma, dunque come funziona il pagamento del bollo auto, qualora voi abbiate la vettura a noleggio?

Ovviamente facciamo riferimento a chi noleggia un auto a lungo termine. Il Noleggio a Lungo Termine permette di disporre di un’auto o un mezzo commerciale per un periodo di noleggio maggiore di 24 mesi. Il contratto viene tarato in base alla durata, al chilometraggio totale e ai servizi sottoscritti a seconda delle singole esigenze.

La risposta a questa domanda è presto data. Di fatto, la nuova legge prevede che le società di noleggio a lungo termine debbano pagare il bollo dei veicoli in base alla regione nella quale risiede il cliente che prenderà il veicolo (quando si tratta di un privato) o della regione in cui ha la sede legale la società del cliente locatario, in caso di clienti con partita IVA.

Come è, invece la situazione per chi ha un auto in leasing? Andiamolo a scoprire nel prossimo paragrafo.

Bollo auto, come funziona in leasing

In primo luogo, partiamo col definire cosa si intende quando si parla di acquistare un auto in leasing.

Il leasing non è altro che un contratto mediante il quale un operatore finanziario acquista una vettura per conto di un cliente, concedendogli l’utilizzo a fronte del pagamento di un canone mensile e di un anticipo (chiamata anche “maxirata”).

E come funziona, quindi il pagamento del bollo auto, per chi ha acquistato una vettura in leasing?

Anche qui, la risposta è presto data. Per i veicoli concessi in locazione finanziaria, l’unico soggetto tenuto al pagamento della tassa automobilistica regionale l’utilizzatore, anche per i rapporti anteriori al 15 giugno 2016.

Ma come pagare il bollo auto in leasing?

Questa è un’altra questione che arrovella un po’ le menti di chi sta per affrontare un leasing. Ma anche in questo caso, la risposta è presto data. E ve la diamo di seguito.

Il Decreto legge Fiscale 2020 ha stabilito che, da gennaio 2020, il bollo auto e il bollo auto in leasing dovranno essere corrisposti “esclusivamente” attraverso il sistema di pagamenti elettronici di PagoPa. Quindi una meccanica di pagamento univoca che non lascia dubbi.

Dunque, queste erano le domande più frequenti tra i contribuenti e gli automobilisti, in merito alla questione del bollo auto. E queste erano le risposte più necessarie in merito alla questione. Ora, non vi resta che tornare alla guida serenamente e attendere la prossima data di scadenza del bollo auto.

 

Come compilare F24 per invito a regolarizzare Inps?

Molti sono i quesiti che i contribuenti si pongono in merito ai modelli di compilazione Inps. Oggi andremo a vedere come compilare correttamente il modello F24 per invito a regolarizzare Inps.

Modello F24, di cosa si tratta

Innanzitutto, cominciamo col dire di cosa si tratta, quando si parla del modello F24. Il Modello F24 non è altro che un modulo che serve per il versamento di imposte, contributi e altri importi a favore dello Stato, Regioni, Comuni e degli Enti Previdenziali. Esso è rivolto sia ai lavoratori dipendenti, sia ai possessori di Partita Iva. Per i lavoratori autonomi, invece, c’è l’obbligo della compilazione online.

E’ possibile trovare il modello F24 presso banche, uffici postali e agenzie di riscossione. Inoltre, si può scaricare anche una versione del modello f24 pdf, facilmente, presso il sito dell’Agenzia delle Entrate.

Quando, invece si parla di invito a regolarizzare si fa riferimento ad un invito che impedisce ulteriori verifiche ed ha effetto per tutte le interrogazioni intervenute durante il predetto termine di 15 giorni e comunque per un periodo non superiore a 30 giorni dall’interrogazione che lo ha originato.

Come compilare modello F24

Dunque, molto brevemente e sinteticamente, possiamo dire che per compilare correttamente il modello F24, occorre indicare le seguenti generalità: il codice sede, presso cui è aperta la posizione contributiva; la causale contributo; il codice INPS, rilevato dalla comunicazione inviata dall’Istituto con i modelli di pagamento (composto da 17 cifre);

Per quanto riguarda il pagamento dei contributi Inps, attraverso il modulo F24, il versamento può essere effettuato presso gli sportelli di qualunque banca convenzionata e presso gli Uffici Postali.

Ma cosa si paga col modulo F24?

Un’altra domanda molto in voga tra i contribuenti è legata alla tipologia di servizi da pagare o da dichiarare con il modello F24.

La risposta, anche in questo caso, è presto data. Il modulo F24 viene, quindi, utilizzato per pagare:

  • le imposte sui redditi (Irpef, Ires)
  • le ritenute sui redditi da lavoro e sui redditi da capitale
  • l’Iva
  • le imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell’Irap e dell’Iva
  • le imposte sui giochi
  • l’Irap
  • l’addizionale regionale e comunale all’Irpef
  • le accise, ma anche le imposte di consumo e di fabbricazione
  • contributi Inps, Inail, Inpgi, Cipag, Cnpr, Enpacl, Enpap, Enpapi, Epap, Eppi, Cnocl e premi Inail
  • Imu, Imi, Imis, Tari e Tasi
  • Tosap/Cosap, Imposta comunale sulla pubblicità/canone per l’installazione di mezzi pubblicitari. Nel modello F24 nello spazio “codice ente/codice comune” deve essere riportato il codice catastale del Comune in cui sono ubicati gli immobili o le aree e gli spazi occupati
  • imposta/contributo di soggiorno. Gli enti locali che intendono riscuotere l’imposta di soggiorno avvalendosi del modello F24 devono inviare via pec una richiesta alla Divisione Servizi
  • i diritti camerali
  • alcune tipologie di proventi derivanti dall’utilizzo dei beni di Demanio e di Patrimonio dello Stato sulla base delle comunicazioni specificatamente trasmesse agli utilizzatori
  • somme dovute per la registrazione dei contratti di locazione
  • le somme dovute in relazione alla presentazione della dichiarazione di successione (imposta sulle successioni, imposta ipotecaria e catastale, tasse ipotecarie, imposta di bollo, Invim e tributi speciali, nonché i relativi accessori, interessi e sanzioni)
  • imposta sostitutiva sui finanziamenti
  • imposta sulle assicurazioni
  • le tasse scolastiche
  • le somme da corrispondere agli uffici provinciali-territorio dell’Agenzia delle entrate relative ai servizi ipotecari e catastali
  • le imposte e i relativi interessi, sanzioni e accessori richiesti dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate in sede di registrazione degli atti giudiziari emessi a partire dal 23 luglio 2018.

Modello semplificato F24 e Modello F24: differenze

Anche questa piccola precisazione è lecita. Come è chiaro, il modello F24 semplificato unificato, stando alla stessa parola, è quello più semplice, e può essere compila con molta praticità. La differenza col modello ordinario sta, soprattutto, nelle pagine. Il modello ordinario si compone di tre pagine mentre quello semplificato è costituito da una pagina A4.

Oltre al modello ordinario e a quello semplificato, è possibile trovare anche uno specifico Modello F24 accise ed un F24 alide.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed essenziale da sapere e conoscere in merito alla compilazione di un modello F24, per essere in regola con l’ Inps.

 

 

Franchising a costo zero: di cosa si tratta?

Quando si pensa ad un franchising si pensa, inevitabilmente, a quelle catene di grande distribuzione, ai grandi marchi che popolano diverse città (o addirittura nazioni) sotto un unico marchio. Ma quando si può creare un franchising a costo zero? Scopriamolo in questa rapida guida.

Franchising a costo zero: come crearne uno

Innanzitutto, quando si parla di franchising vediamo di cosa si tratta. Il franchising è un contratto tra due imprenditori che si basa sull’omogeneità. La casa madre, l’azienda o l’imprenditore singolo, viene definita affiliante o franchisor, mentre l’affiliato è anche detto franchisee.

Come detto, la maggior parte di questi franchising sono associabili a grossi marchi e quindi, dei nomi importanti del mercato.

Ma, l’apertura di un franchising può essere replicata anche partendo da zero, più che pagando costo zero.

Infatti, occorre chiarire cosa si intende per franchising a costo zero. Aprire un franchising a costo zero non significa che ti permette di aprire un negozio senza investimenti, senza spendere soldi. E’ inevitabile che occorra sempre un investimento monetario, in alcuni casi minimo, in altri un po’ più alto. “Franchising a costo zero” ha un altro significato rispetto a quello che puoi pensare a primo impatto.

Quando si parla di franchising a costo zero si intende che il franchisor (ovvero, la casa madre che ti vende il marchio) ti evita e fa risparmiare alcune situazioni, come le seguenti:

  • Non ti fa pagare alcuna percentuale sui guadagni (zero royalties);
  • Non ti fa pagare alcuna quota di ingresso (costo di entrata nel franchising);
  • Non ti impone vincoli di acquisto dei suoi prodotti. Puoi ordinare solo le quantità stimate che ti servono per la vendita;
  • Ti offre arredamenti e attrezzature in comodato d’uso gratuito. Tu quindi, devi occuparti solo della ricerca del locale (dell’affitto) e delle opere murarie.

Come aprire un franchising con poche migliaia di euro

Ad esempio è possibile aprire un e-commerce o un’attività, appoggiata in franchising con soli 3.000 o 5.000 euro. Vediamo, in breve come sia possibile e fattibile.

Come si può ben immaginare, 5.000 euro (o ancor meno) non rappresentano una cifra tale da poter avviare un’attività vera e propria, per la quale occorre indubbiamente un investimento maggiore. Ciò non significa che si deve abbandonare ogni progettualità, tutt’altro, semplicemente occorrerà cambiare prospettiva.

Un tipo di attività che può rivelarsi vincente è quella legata, in tal senso, all’apertura in gelateria.

Avere l’affiliazione con una gelateria in franchising comporta regole da seguire per adattarsi agli standard del marchio e dover pagare le royalities, tuttavia l’arredamento, la location, i passaggi burocratici, la formazione saranno curati da un team di professionisti che hanno elaborato strategie imprenditoriali vincenti.

Un’altra opzione è legata all’apertura di marchi di abbigliamento.

Anche in questo caso scegliere una affiliazione in franchising potrebbe essere una soluzione interessante per avere le spalle coperte dall’esperienza del marchio e dei professionisti del settore che in esso vi lavorano. Va da se che il marchio aiuta il suo affiliato a formarsi e a scegliere il locale giusto, guidandolo nel disbrigo delle pratiche burocratiche, quindi nell’apertura della partita Iva e così via.

In ultimo, ma non ultimo, anche l’apertura di un’agenzia di viaggi può inserirsi bene in questo filone di attività in franchising a costo zero, o comunque come si diceva a costi esigui.

Questa si potrebbe dire la soluzione più economica, utile a risparmiare davvero molto, poiché è anche possibile aprire un’agenzia di viaggi online, ossia senza una sede fisica. Ovviamente, anche online sarà necessario l’apertura di partita IVA.

Questo è quanto, dunque vi fosse di più necessario da sapere in merito alla probabilità di aprire un’attività in franchising a bassissimo costo.

Assicurazione auto aziendale, come funziona?

Come funziona l’uso dell’auto aziendale, per quali aziende conviene e soprattutto come funziona l’assicurazione in tal caso? Oggi andremo a scoprire un po’ di curiosità e funzionalità in merito all’uso della vettura in dotazione alle aziende.

Auto aziendale: a chi conviene

Partiamo subito col dire che determinate attività hanno grande necessità di fare uso di auto aziendali. Quando si fornisce un veicolo aziendale a un dipendente si ha un maggiore controllo della situazione lavorativa rispetto all’affidamento al dipendente della propria auto. Sebbene ci siano implicazioni fiscali, un’auto aziendale può perfino diventare un bel vantaggio per i dipendenti potendo in alcuni casi eliminare la necessità di acquistare un veicolo.

Quando si ha un auto ad uso promiscuo si passa ad un utilizzo della vettura particolarmente vantaggioso per il dipendente, in quanto potrà usare la vettura sia per lavoro che al termine delle ore lavorative, per uso privato.

Assicurazione auto aziendale

La domanda basica della nostra guida è, però, rivolta all’uso dell’assicurazione per le auto aziendali.

Per quanto riguarda la copertura assicurativa di un’auto aziendale, dunque, il conducente dell’auto ottiene dalla compagnia assicurativa un attestato di rischio, anche nel caso in cui, dopo aver fruito di un mezzo aziendale si acquisti un auto propria.

Di fatto, questa sarà a carico dell’utilizzatore, quindi del dipendente, a meno che non siano stati presi accordi tra l’azienda e la società di leasing. Ed ovviamente il discorso è lo stesso per quanto riguarda i danni provocati da incidenti stradali.

Quindi, in pratica, cosa accade se un corriere che usa l’auto aziendale, fa un incidente?

Qualora la colpa sia del dipendente alla guida, sarà lui stesso a risarcire i danni cagionati all’azienda per cui lavora. In Italia, secondo legge, il titolare dell’azienda che possiede la flotta auto non è tenuto a coprire con polizza assicurativa i danni causati dai propri dipendenti.

Auto aziendale, cos’ altro c’è da sapere

Per quanto riguarda la parte economica, legata all’acquisto dell’auto aziendale, molti si chiedono come funziona effettuare un acquisto.

In pratica, per l’acquisto, viene stipulato un contratto tra società finanziaria e cliente nel quale vengono definite tutte le variabili necessarie. Il leasing, proprio come il noleggio, è caratterizzato da un canone mensile che il cliente deve pagare alla società per poter utilizzare l’auto.

E per il dipendente, cosa può comportare l’ auto aziendale?

Sostanzialmente, dando al dipendente un veicolo ad uso promiscuo, l’azienda può accedere ad una deduzione del 70% sulle spese per acquisizione, noleggio o gestione del mezzo. Va precisato che la deduzione è prevista solo se il dipendente utilizza il veicolo aziendale per almeno 184 giorni.

Diventa un vero e proprio vantaggio per il dipendente, qualora sia ad uso promiscuo, come detto poco sopra, utilizzabile anche per uso privato.

Di fatto, lauto aziendale è un fringe benefit quando rappresenta un beneficio personale che viene concesso a tutti i lavoratori che, all’interno dell’azienda, hanno una carica di prestigio.

Dunque, questo è quanto di più indicativo e necessario da sapere per quanto riguarda l’uso dell’auto aziendale e la sua parte assicurativa.

Auto aziendale: pro e contro, quali sono?

Chi paga le assicurazioni per le auto aziendali? Quanto conviene da dipendente averne una? Come funziona da privato, voler comprare un auto aziendale? Oggi andremo a rispondere a questi quesiti e a vedere quali sono i pro e contro nell’uso delle auto aziendali, sia per quanto riguarda il versante dei titolari che dispongono della flotta auto, che per quanto riguarda i dipendenti.

Auto aziendale, come funziona

Innanzitutto, come il nome stesso chiarifica, le auto aziendali sono vetture che appartengono al parco auto di una azienda (o meglio la flotta auto) e poi vengono messe in vendita. Tecnicamente, quindi, si tratta di auto usate perché sono già immatricolate e hanno percorso un tot di chilometri.

Comunemente le auto aziendali sono utilizzate per quelle aziende che necessitano di dipendenti in movimento, come le ditte di corrieri e spedizionieri, o le aziende di riparazioni tecniche, giusto per fare degli esempi pratici. Sono da considerare auto aziendali anche quelle vetture che vengono usate dai proprietari e dai dipendenti della concessionaria stessa per svolgere le commissioni oppure, semplicemente, per pubblicizzarle “su strada”.

Pro e contro delle auto aziendali

La domanda più frequente è in cosa conviene comprare un auto aziendale, se si è un privato?

La risposta è presto data. Le auto aziendali in media hanno tra i 12 e i 24 mesi di vita, tre anni per gli esemplari più longevi, mentre il chilometraggio dipende dall’uso che ne è stato fatto, ma di rado supera i 20mila chilometri. Quindi pur non essendo un veicolo da considerarsi nuovo, come nel caso delle auto a chilometro 0, presenta un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quest’ultime e condizioni migliori rispetto all’usato.

Se l’auto aziendale è stata comprata da una ditta per usufruire di vantaggi fiscali, è possibile che venga rimessa in vendita poco dopo ad un prezzo particolarmente interessante, anche del 30% in meno rispetto al veicolo nuovo. Ovviamente, come ogni vettura usata, anche l’auto aziendale è disponibile subito e non va prenotata;

Questo per quanto riguarda un acquisto dovuto ad un privato che acquista un auto dalla flotta, ma invece quali sono i pro e i contro per le aziende e per i dipendenti?

Dunque, partiamo subito col dire che quando si fornisce un veicolo aziendale a un dipendente si ha un maggiore controllo sulla situazione rispetto all’affidamento al dipendente della propria auto. Sebbene ci siano implicazioni fiscali, un’auto aziendale è un bel vantaggio per i dipendenti anche perché elimina la necessità di acquistare un veicolo.

Potremmo, inoltre dire che mediamente l’auto aziendale “vale” il 2,8% della retribuzione lorda annua del beneficiario: una quota non irrilevante, che – in rapporto ai livelli retributivi medi – può arrivare anche al 3,8% se è un impiegato a disporre del veicolo.

Le auto aziendali per i dipendenti

La domanda più frequente che ci si pone in merito all’utilizzo delle auto aziendali è il loro eventuale costo per i dipendenti.

Possiamo ben dire che per quanto non vi saranno costi di acquisto, noleggio o leasing, né di ammortamento, manutenzione o assicurazione, l’auto aziendale non è un beneficio completamente gratuito: facendo parte del reddito del lavoratore, anche l’auto aziendale dovrà subire tassazioni.

Il vantaggio per il dipendente si avrà nel momento in cui avrà il veicolo ad uso promiscuo, ovvero nella possibilità di usare l’auto sia per lavoro che per uso privato, al termine delle ore lavorative. Ma questa è un’opzione che va pattuita in contratto con l’azienda.

Di norma, l’assicurazione è a carico della azienda, che stipulerà un contratto di copertura per tutte le auto della propria flotta. Invece, il dipendente sarà responsabile univocabilmente della franchigia, in caso di incidente, per pagare i danni causati. Dando al dipendente un veicolo ad uso promiscuo, inoltre, l’azienda può accedere ad una deduzione del 70% sulle spese per acquisizione, noleggio o gestione del mezzo. Specifichiamo che la deduzione è prevista solo se il dipendente utilizza il veicolo aziendale per almeno 184 giorni.

Va aggiunto in ultimo, ma non ultimo, che un ulteriore vantaggio di possedere un auto aziendale ad uso promiscuo per un dipendente consiste nel fatto che, salvo obiezioni contrattuali, può essere usata anche dai famigliari del dipendente, fuori dagli orari di lavoro dello stesso, ovviamente. Quindi un completo uso privato per tutta la famiglia.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario e utile da sapere in merito ai principali pro e contro sulle auto aziendali.

Quando non è dovuto il Firr?

Molti si chiedono cosa accade quando si cessa un rapporto e si deve eseguire una risoluzione, tra agenti ed aziende. L’uso del Firr è la risposta, ma in alcuni casi esso non è dovuto. Scopriamo i casi in cui adoperarsi o meno col Firr.

Che cos’è il Firr

Innanzitutto, partiamo con lo specificare di cosa si parla quando si fa riferimento al Firr.

Il Firr (ovvero, fondo indennità risoluzione rapporto) è un fondo (per l’appunto) costituito dalle somme che vengono accantonate presso Enasarco dalle aziende mandanti in favore dei propri agenti. Alla cessazione del mandato di agenzia, la Fondazione liquida all’agente le relative cifre accantonate.

In breve, possiamo dire che l’obbligo di effettuare i versamenti Firr alla Fondazione in questione è a carico di tutte le ditte mandanti titolari di rapporti di agenzia che appartengono alle Organizzazioni sindacali firmatarie degli Accordi economici collettivi.

Quali sono i requisiti per il Firr?

La domanda più gettonata è senza dubbio legata ai requisiti necessari al Firr. Ci sono due requisiti basici per le aziende, di cui tenere conto, li vediamo di seguito elencati:

  • Aver effettuato la prima iscrizione ad Enasarco (ed essere in possesso del “numero di posizione”, identificativo delle mandanti);
  • Aver conferito almeno un mandato di agenzia o rappresentanza commerciale.

Quando il Firr non è dovuto

I soli casi in cui non può essere riconosciuto il Firr all’agente è quello in cui la casa mandante recede dal contratto per ritenzione indebita di somme di spettanza della preponente o per concorrenza sleale o violazione di vincolo di esclusiva per una sola ditta (prevista dall’AEC Industria Artigianato e Pmi).

Ma come si calcola il Firr per gli agenti?

In buona sostanza, si può ben dire che l’importo del contributo viene calcolato tenendo conto di tre fattori fondanti, li vediamo di seguito elencati:

  1. importo totale delle provvigioni liquidate nell’anno solare precedente;
  2. tipologia del mandato (mono o plurimandatario);
  3. numero di mesi di durata del mandato (perché sia considerato un mese basta che il mandato copra anche un solo giorno del mese stesso).

Come si calcola e cosa altro c’è da sapere sul Firr?

Occorre sapere che il Firr è calcolato sulla base delle provvigioni maturate e liquidate fino al momento della cessazione del rapporto. L’indennità de qua è stabilita nella misura del 3% dell’ammontare delle provvigioni liquidate nel corso del contratto con i limiti di cui all’articolo 13, capo I dell’AEC.

Inoltre, va aggiunto che l’indennità di risoluzione del rapporto è un qualcosa che spetta allagente di commercio in ogni caso di cessazione del mandato. L’unico presupposto è dunque lil termine del contratto. L’indennità spetterà pertanto anche in caso di dimissioni dell’agente e pure se questi non non abbia procurato incremento di clientela e/o fatturato.

In ultimo, ma non ultimo, occorre sapere come fare domanda per richiedere il Firr.

Partiamo col dire che la domanda di liquidazione del Firr si fa online

La richiesta può dunque essere inoltrata dall’azienda mandante o dall’agente che siano registrati all’area riservata in Enasarco. La procedura è semplice e rapida, di fatto non c’è più bisogno di recarsi negli uffici, né di riempire moduli e i tempi di pagamento sono più veloci, tutto in modalità online. Quindi, una volta accolta la domanda, sarà comunicata all’agente la data approssimativa del pagamento delle somme. Il tempo di lavorazione di una domanda di liquidazione del Firr è in media di 75 giorni, con un tempo massimo, previsto dal Disciplinare dei livelli di servizio, di 90 giorni.

Dunque, giunti a questo punto, questo è quanto vi fosse di più necessario da sapere sul Firr, nei suoi casi in cui esso è necessario e in quelli in cui non è dovuto.

Auto aziendale per uso personale: ecco cosa bisogna sapere

In questa rapida guida vedremo come funziona l’uso dell’auto aziendale, quali sono i costi e andremo a scandagliare tutto ciò che c’è da sapere sull’ utilizzo personale dell’auto aziendale.

Auto aziendale, come funziona

Innanzitutto, partiamo col dire che l’uso dell’auto aziendale può essere previsto dal contratto di lavoro, come diritto del lavoratore ad ottenere una vettura da parte del datore di lavoro. Ottenere un’auto aziendale significa ricevere l’utilizzo di una vettura di proprietà del datore di lavoro per esigenze di lavoro.

Quindi, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un mezzo di locomozione usato esclusivamente per svolgere la propria attività lavorativa.

Nel caso di un auto ad uso lavorativo, il veicolo dovrà essere consegnato al dipendente per essere utilizzato durante l’attività lavorativa. In questa modalità non vi è alcun benefit particolare per il dipendente, poiché dovrà restituire il veicolo terminata la giornata lavorativa.

Ma quando, invece, l’auto aziendale può diventare per uso personale?

Auto aziendale per uso personale

Si parla di auto ad uso promiscuo, ovvero quando la suddetta auto aziendale potrà essere usata dal dipendente sia per uso lavorativo che per uso personale.

In tal caso verrà calcolata forfettariamente la percentuale di uso personale (30%) su una percorrenza media annuale di 15.000 km e, in base al costo chilometrico stabilito per ogni modello (ogni anno l’ACI pubblica le tabelle aggiornate), si avrà il corrispondente valore economico da inserire in busta paga.

L’auto in tal caso, ovvero ad uso promiscuo potrà essere guidata solo dal dipendente, anche per uso personale? Questa è una delle domande più legittime e frequenti che il consumatore/lavoratore si pone.

La risposta, molto semplice è No: la suddetta auto aziendale ad uso promiscuo potrà essere guidata, per uso personale, sia dal dipendente che dai suoi familiari.

Quale è il vantaggio dell’auto aziendale ad uso promiscuo?

In definitiva, il reale vantaggio per il dipendente dotato di auto aziendale ad uso promiscuo è piuttosto chiaro. Ovvero, poter avere a disposizione un mezzo nuovo senza pagare i costi di acquisto e noleggio né i costi di gestione.

Dunque parliamo di un vero e proprio fringe benefit per il dipendente.

A stipulare i termini di questo benefit sarà il contratto stesso nel quale si stabilisce:

  • La possibilità di usare l’auto per uso personale
  • La possibilità di fare guidare o meno l’auto ai familiari (i loro nomi debbono essere inseriti nell’assicurazione stipulata dall’azienda)
  • L’esistenza di obblighi particolari del dipendente nei confronti dell’auto e le modalità di utilizzo da rispettare
  • Se il dipendente debba o meno versare una quota all’azienda per l’uso del veicolo

Cosa è un fringe benefit?

fringe benefits non sono altro che un tipo di retribuzione corrisposta a particolari categorie di lavoratori dipendenti, aggiunto in busta paga alla normale retribuzione. Insomma, i comunemente noti bonus lavorativi. Tra cui anche i buoni pasto ad esempio o qualunque sostegno welfare aziendale. In pratica si tratta di quella parte di retribuzione che non è corrisposta dal datore in denaro in busta paga bensì attraverso l’erogazione di beni e servizi che vanno comunque nel cedolino.

E l’uso dell’auto aziendale, per uso personale, rientra a pieno titolo (tra i più apprezzati) che un dipendente possa avere dal proprio datore di lavoro.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed indispensabile da sapere in merito all’uso dell’auto aziendale per uso personale, per un dipendente che può beneficiarne. Ora non vi resta che mettervi alla guida della vostra auto ad uso promiscuo e beneficiarne, qualora rientraste nella categoria, si intende.

Bollo auto, ecco come pagarlo in tabaccheria

Il bollo auto è uno dei piccoli crucci di ogni automobilista, nato come “tassa di circolazione”, scopriamo come pagarlo anche in tabaccheria e quanti e quali possono essere i costi.

Bollo auto, di cosa si tratta

Come detto poco sopra, il bollo auto è una tassa a cui ogni automobilista deve tener conto. Nato come “tassa di circolazione, quindi divenuto un vero e proprio pagamento per il possesso della vettura, oggi è noto come bollo auto. E più precisamente, possiamo dire che si tratta della tassa legata al possesso di un’autovettura regolarmente iscritta al Pubblico Registro Automobilistico che deve essere corrisposta ogni anno, a prescindere dall’utilizzo o meno del proprio veicolo.

Nello specifico, possiamo dire che si tratta di un tributo regionale, ovvero si intende che l’importo pagato finisce nelle casse della regione dove risiede il suo proprietario, tranne che in Friuli Venezia Giulia e Sardegna. Infatti, in queste due regioni la riscossione è prerogativa dell’Agenzia delle Entrate.

Quando e come si paga il bollo auto?

E’ importante precisare che la scadenza del bollo auto non è uguale per tutti e va calcolata in base alla data di immatricolazione dell’auto. Il primo bollo auto va pagato entro il mese di immatricolazione, mentre i successivi rinnovi vanno pagati entro l’ultimo giorno del mese successivo alla scadenza.

Il costo del bollo auto, dipende invece da diversi fattori, quali i seguenti:

  • Potenza motore (espressa in kW)
  • Classe ambientale veicolo
  • Regione di residenza

In sintesi, per riuscire a calcolare l’importo del bollo bisogna moltiplicare i kW per l’importo indicato a seconda della classe ambientale del veicolo. Per un calcolo più rapido e meno cervellotico, online è possibile affidarsi alla sezione apposita nel sito ACI.

Bollo auto come si paga dal tabaccaio

Partiamo col dire che ll bollo auto si può pagare sia online presso l’Home Banking della propria banca sia sito dell’ACI oltre che fisicamente presso gli Uffici Postali o in uno dei punti vendita Sisal o Lottomatica.

Nello specifico, andiamo a vedere come si può pagare in una tabaccheria, quindi provvista di punto Sisal o Lottomatica.

Dunque, per dirla in breve, nella tabaccheria basta presentarsi con un vecchio bollo pagato o con il libretto di circolazione del veicolo o anche solo con il numero di targa. L’importo viene automaticamente calcolato dal terminale ed è possibile pagare in contanti o con il Bancomat.

Il costo aggiuntivo, per l’operazione, sarà di 1,87 euro, presso la tabaccheria.

Cos’altro c’è da sapere sul bollo auto

In ultimo, ma non per questo ultimo di importanza, come fare nel caso in cui non avessimo pagato il bollo auto dello scorso anno?

Per pagare il bollo auto arretrato non occorre assolutamente alcuna procedura speciale. Infatti, basterà recarsi alle Poste, nelle ricevitorie Sisal, nelle tabaccherie del circuito Lottomatica, all’ACI e provvedere. In caso di bollo non pagato per 3 anni consecutivi può scattare la radiazione del veicolo dal PRA (Pubblico Registro Automobilistico). L’auto, quindi, non potrà più circolare e per tornare a farlo bisognerà procedere con una nuova immatricolazione (oltre al saldo dei bolli non pagati).

Va aggiunto che in base alla legge, è tenuto al pagamento della tassa automobilistica chiunque sia proprietario (usufruttuario, acquirente con patto di riservato dominio o utilizzatore a titolo di leasing) l’ultimo giorno utile per effettuare il pagamento, cioè l’ultimo giorno del primo mese dell’annualità per la quale è dovuto il pagamento.

Questo è dunque quanto di più necessario e utile da sapere in merito al pagamento del bollo auto, quindi assicuratevi che sia tutto in ordine prima di tornare in “sella” alla vostra vettura.

Come liberarsi del patto di non concorrenza?

Oggi ci addentreremo nelle pieghe, nelle maglie, del mondo del lavoro, nelle sue torbide fasi contrattuali, per scoprire di cosa si tratta quando si parla di patto di non concorrenza e come liberarsene, qualora lo si volesse, in fase di contratto.

Patto di non concorrenza, cos’è

Innanzitutto, partiamo col dire di cosa si tratta, quando si fa riferimento al patto di non concorrenza.

In poche parole, il patto di non concorrenza è disciplinato agli articoli 2125, 2596 e 1751-bis del codice civile, rispettivamente funzionale per lavoratori dipendenti, autonomi e agenti commerciali.

Il lavoratore può concordare un pagamento mensile che è soggetto a contributi pensionistici e integra la retribuzione, oppure alla cessazione del contratto, soggetto agli obblighi e al regime fiscale del TFR. Nel caso di declaratoria di nullità, il datore può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in precedenza.

Va aggiunto che il patto dovrà necessariamente risultare per atto scritto, a pena di nullità.

Non sarà necessario, però, che il patto sia contenuto nel contratto di lavoro. Poiché il patto di non concorrenza è qualificato come un “normale” contratto a prestazioni corrispettive, dotato a sua volta di una causa autonoma rispetto a quella del contratto di lavoro. Esso può essere oggetto di una pattuizione separata dal contratto di lavoro stesso.

Ecco, in sintesi in cosa consiste il patto di non concorrenza. Ma andiamo a scoprire altro sulla questione.

Come liberarsi del patto di non concorrenza

Andiamo, dunque nel merito della questione e quindi nel cuore di questa piccola guida. Vediamo, in breve come è possibile liberarsi del patto di non concorrenza.

Abbiamo sostanzialmente, due modalità per liberarsi del patto di non concorrenza.

Nella prima opzione sarà sufficiente comunicare la propria volontà al datore di lavoro. Nella seconda è, invece, necessario redigere specifico accordo (scrittura privata) di risoluzione (scioglimento) del patto di non concorrenza stipulato. In sintesi, il lavoratore può recedere dal contratto solo se il patto stesso preveda tale possibilità o nel caso di accordo col datore di lavoro.

Qualora invece vi fosse una violazione del patto di non concorrenza, quale contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive, va a costituire un inadempimento contrattuale e legittima le richieste di adempimento o di risoluzione del contratto e/o di risarcimento del danno per responsabilità contrattuale.

Come si determina il corrispettivo

Il corrispettivo dovrà essere congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, a pena di nullità del patto stesso.

Per quanto concerne le modalità di corresponsione del corrispettivo, il datore di lavoro ha generalmente la scelta tra le seguenti opzioni:

  • corresponsione del compenso in costanza del rapporto di lavoro;
  • liquidazione dell’importo successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro.

Il pagamento del corrispettivo al momento della cessazione del rapporto di lavoro è la regola anche se spesso, nella prassi, il pagamento è dilazionato almeno in parte al termine del periodo di non concorrenza.

Trattamento fiscale e contributivo del patto di non concorrenza

Andiamo, in ultimo, a vedere come funziona il trattamento fiscale e contributivo del patto di non concorrenza.

In breve, possiamo dire che il trattamento contributivo e fiscale del corrispettivo del patto di non concorrenza è strettamente legato alle modalità di pagamento.

Il corrispettivo versato in costanza di rapporto, infatti, costituisce retribuzione imponibile a tutti gli effetti, fiscali e contributivi ed è computabile nel trattamento di fine rapporto.

In maniera differente da quanto accade in caso di pagamento in corso di rapporto, nel caso in cui il corrispettivo sia corrisposto al termine della cessazione del rapporto di lavoro, lo stesso sarà soggetto soltanto a tassazione separata e non anche a contribuzione.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più strettamente necessario da sapere sulla questione legata al suddetto patto di non concorrenza che spesso lega il rapporto lavorativo tra datore di lavoro e dipendente.