Come sanare un DURC irregolare?

Oggi ci addentreremo nel mondo delle imprese ed andremo a vedere di cosa si tratta quando si parla di DURC e cosa occorre fare quando bisogna sanare un DURC irregolare. Scopriamolo assieme, in questa rapida guida sulla questione.

DURC, di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo col dire cosa si intende con l’acronimo DURC e di cosa si tratta.

Con DURC si fa riferimento al Documento Unico di Regolarità Contributiva ed esso ha la funzione di attestare la regolarità contributiva di un’impresa per quanto concerne gli adempimenti previdenziali, assicurativi e assistenziali INPS, INAIL e Cassa Edile.

Il DURC risulta necessario fornirlo (da parte dell’azienda) in tutti casi in cui l’impresa va a stipulare un contratto di servizio con enti pubblici o privati, ma anche per beneficiare di agevolazioni da parte di enti e pubblica amministrazione. In pratica questo documento certifica che l’impresa sia in regola con le norme in materia di normativa previdenziale in proprio e verso i propri dipendenti.

DURC irregolare, cosa succede

Quando un DURC può dirsi irregolare, dunque? E cosa accade in tal caso, lo scopriamo con la prossima risposta.

Dunque, qualora il DURC non è “regolare” le conseguenze sono pesanti: Nel caso di lavori privati in edilizia, il Ministero del Lavoro ha chiarito che il titolo abilitativo viene sospeso (i lavori non possono essere eseguiti). Qualora il DURC non fosse regolare le somme non possono essere erogate ma scatta l’intervento sostitutivo.

Va aggiunto che la presenza di un DURC negativo, o irregolare, per i lavoratori privati comporta la sospensione del titolo abilitativo relativo alla concessione edilizia o alle DIA e quindi dell’attestazione da parte delle SOA.

Il controllo della regolarità contributiva di tale documento deve essere svolto in modalità telematica e in tempo reale tramite il servizio “Durc On Line“, indicando il codice fiscale del soggetto da verificare. Se il soggetto è regolare, viene generato un documento in formato pdf dal nome file Durc On Line, per l’appunto.

Ma come risolvere tale sgradevole situazione?

Dunque, se il richiedente del DURC online risulta avere una posizione contributiva irregolare nei confronti dell’INPS, la risposta per sanare la situazione è presto data. Il sistema andrà ad inoltrare entro 72 ore i motivi di tale posizione, dando la possibilità di risanare la situazione entro 15 giorni e ottenere il certificato.

Impresa non soggetta a DURC: quando accade?

Ci sono, tuttavia, casi in cui un’impresa può non essere soggetta a DURC. Scopriamo, in breve, quali sono.

Per dirla molto brevemente, le aziende che non occupano lavoratori dipendenti in rapporti di subordinazione e che dunque non sono tenuti ad aprire nessuna posizione assicurativa nei confronti di tali Istituti, si trovano nell’impossibilità di ottenere il regolare rilascio del DURC.

In sostanza, dal lontano 13 febbraio 2012 la richiesta del DURC non può più essere avanzata da ditte appaltatrici o subappaltatrici ma solo da Stazioni Appaltanti pubbliche o Amministrazioni procedenti.

Dunque, cari contribuenti, aziendalisti ed impresari, questo è quanto vi fosse di più necessario e incombente da sapere in merito alle funzioni, agli oneri ed alle irregolarità del DURC.

Auto aziendale con assicurazione scaduta: come funziona

Oggi andremo nel novero della flotta auto aziendale, a scoprire diverse curiosità in merito. Ma, soprattutto in questa rapida guida daremo risposta ad una domanda ben precisa, come funziona l’assicurazione scaduta per le auto aziendali.

Auto aziendale: come funzionano

Le auto aziendali possono essere un vero e proprio vantaggio per i dipendenti nel caso di fringe benefit che le prevede come auto ad uso promiscuo.

Nel caso di auto ad uso lavorativo, il veicolo viene consegnato al dipendente per essere utilizzato durante l’attività lavorativa. In questa modalità non vi è alcun benefit particolare per il dipendente, poiché dovrà restituire il veicolo terminata la giornata lavorativa. nei casi, invece, sopra citati, di uso promiscuo, la vettura sarà utilizzabile anche per uso privato, al di fuori dalla propria attività lavorativa. E, perfino i componenti del nucleo familiare, fuori dalle ore di lavoro, potranno usarla, per le faccende private.

Auto aziendale: assicurazione, come funge

Dunque, per farla in breve, diciamo subito che l’assicurazione è a carico dell’utilizzatore, a meno che non siano stati presi accordi tra l’azienda e la società di leasing, lo stesso per quanto riguarda i danni provocati da incidenti stradali.

Ma cosa accade, invece quando l’assicurazione scade?

Anche in questo caso, potremmo dire che nel caso si venisse fermati a bordo di un auto aziendale con assicurazione scaduta, il rischio se lo assume il conducente, rischiando anche la perdita di punti sulla patente.

Va detto che l’assicurazione, spesso fatta in blocco su più veicoli della stessa flotta auto, tra casa assicuratrice e azienda, è qualcosa che va stipulato a monte in un contratto con l’azienda.

Ovviamente, l’assicurazione scaduta è un handicap che va ad inficiare come una qualunque auto privata, quindi senza assicurazione in regola sarà impossibile circolare.

Sanzioni assicurazione scaduta

Dunque, stando al Codice della Strada, circolare con la polizza assicurativa auto, moto o scooter scaduta può comportare una multa variabile da 849 a 3.396 euro. L’assicurato negligente è anche perseguibile con il sequestro del mezzo incriminato fino a quando non verrà pagata la nuova polizza o demolito il mezzo stesso.

Aggiungiamo che le tradizionali polizze RC Auto hanno una durata di 12 mesi, con data di decorrenza e scadenza riportata sul relativo certificato assicurativo consegnato dall’agenzia al contraente, per rispondere ad una ipotetica domanda inerente a quanto tempo vi resta per ripristinare l’assicurazione scaduta. 

Ma come si rinnova l’assicurazione?

In ultimo, ma non ultimo, andiamo a vedere come si può rinnovare la propria polizza assicurativa.

Per dirla in maniera efficace e sintetica, la risposta a questa domanda è presto data.

Dunque, almeno 30 giorni prima della scadenza della polizza attiva sull’auto, la compagnia assicurativa deve inviare all’assicurato il promemoria che gli ricorda che la polizza è in scadenza, la proposta di rinnovo e l’attestato di rischio aggiornato. In tal modo, sarà semplice intervenire e pensare di pagare e risolvere la questione.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed utile da sapere e scoprire in merito alle assicurazioni di auto (aziendali, ma non solo), per rinnovo e rischi da scadenza.

Associazione culturale: come guadagnare?

Oggi andremo, con questa rapida guida, a scandagliare il mondo dell’associazione culturale, e se e con quali metodi è possibile guadagnare con essa. Scopriamolo assieme, nei prossimi paragrafi.

Associazione culturale, di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo subito col dire che quando si parla di associazione culturale si parla di un ente privato senza scopo di lucro, dove diverse persone con lo stesso interesse si riuniscono ed utilizzano i fondi per scopi culturali, di insegnamento o educativi.

E come è possibile costituire un’ associazione culturale, dunque?

Dunque, i passi fondamentali per poter costituire una associazione culturale sono i seguenti, per qualsiasi tipo di associazione:

  • riunire i soci fondatori (minimo 3 persone) che dovranno ricoprire le prime cariche sociali
  • determinare lo scopo e gli obiettivi dell’associazione
  • redigere atto costitutivo e statuto dell’associazione
  • richiedere il codice fiscale della neonata associazione
  • registrare l’associazione presso l’agenzia delle entrate.
  • Inviare in modo telematico il modello EAS

Una volta fatto ciò, andiamo a scoprire come e se è possibile attuare un’ associazione culturale che trae guadagni.

Come guadagnare con una associazione culturale

Dunque, usualmente quando si parla di associazione culturale si fa riferimento ad una attività sociale senza scopo di lucro. Ma è possibile, comunque, ottenere dei guadagni da tale attività. O, perlomeno dei rimborsi spese. Scopriamo come.

Il più comune dei modi di guadagnare è senz’altro la richiesta di una quota d’iscrizione ai vari soci (quota associativa), necessaria per farvi parte ed avere diritto di voto nelle assemblee; a queste andranno ad aggiungersi le quote di partecipazione dei soci alle diverse attività dell’Associazione. 

Come detto, non è strettamente possibile lucrare da un’associazione culturale, ma è possibile ottenere dei rimborsi spese, come ad esempio con la quota di iscrizione. E’ vietata la distribuzione di utili, ad esempio, ovvero la ripartizione tra i soci dell’incremento di patrimonio sociale conseguito al termine di ogni periodo amministrativo.

Lavorare in una associazione culturale è possibile?

Essere lavoratori di una associazione culturale parrebbe tuttavia possibile. Difatti, è importante rilevare che non esiste alcuna regola generale che vieta di corrispondere compensi o assumere soci di un’associazione, anche se membri del Consiglio Direttivo. Divieto che vige solo per le associazioni di volontariato.

Sta di fatto che i compensi dovranno sempre essere proporzionati all’attività svolta dal socio a favore dell’associazione e dovranno ad ogni modo rientrare nei normali valori di mercato per il lavoro svolto, in modo che non ci sia il sospetto di un’indiretta distribuzione di utili.

Si possono anche assumere dipendenti, all’interno di una associazione culturale. Quindi, è possibile lavorarvi all’interno, indipendentemente dal profitto dei soci.

Le possibilità di contratto preposte sono le seguenti:

  • contratto di lavoro subordinato;
  • contratto a progetto o parasubordinato;
  • rapporto di lavoro occasionale, vale a dire quello esercitato in modo non continuativo e non abituale, che non può durare più di 30 giorni in un anno solare.

Per quanto riguarda, invece i corrispettivi erogabili per il dipendente, dovrà esserci proporzione:

  • all’impegno del lavoratore
  • al numero di ore effettivamente svolte
  • alla difficoltà e alla responsabilità dell’impiego.

Ad ogni modo, la legge stabilisce un tetto massimo per gli importi erogabili ai dipendenti, poiché altrimenti si potrebbe presumere che si stia trattando di distribuzione indiretta di utili. In particolare si considera indiretta distribuzione di utili quando vengono corrisposti salari o stipendi superiori del 20% rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le stesse qualifiche.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed utile da sapere e approfondire in merito alla questione di possibili guadagni con una associazione culturale. Una soluzione, quella associativa, non certamente incentrata al mondo del lavoro, quanto più alla divulgazione ed alla passione per una specifica attività, volta a rafforzare il tessuto sociale, più che a rafforzare le proprie tasche.

Minusvalenze straordinarie cosa sono e dove si collocano nel conto economico?

Oggi andremo ad occuparci delle minusvalenze, cosa si intende quando vengono definite straordinarie. E come è possibile collocare tali minusvalenze all’interno di un conto economico. Scopriamolo in questa rapida ma esaustiva guida.

Minusvalenze, cosa sono?

Dunque, la prima domanda a cui rispondere necessariamente è quella legata all’essenza delle minusvalenze. Una contrapposizione alle plusvalenze. Le plusvalenze sono quindi aumenti di valore che hanno una certa rilevanza ai fini fiscali e sono spesso gravate da imposte dirette. Le minusvalenze invece hanno natura esclusivamente contabile e sono principalmente una diminuzione di redditività.

Per essere più precisi, dunque, le minusvalenze non sono altro che perdite realizzate a seguito della compravendita di investimenti finanziari. Esse rappresentano un credito fiscale che si può recuperare con la compensazione con successive plusvalenze, nello stesso anno e nei quattro anni successivi.

Trattasi, dunque di un vero e proprio credito fiscale che si può recuperare solo con eccessive plusvalenze bancarie. Va aggiunto che le minusvalenze hanno una data di scadenza.

E’ possibile sfruttarle vendendo altri titoli in guadagno nello stesso anno, oppure come detto nei quattro anni successivi. Ad esempio, si potranno sfruttare le vendite in perdita del 2020 fino al 31 dicembre 2024, dopodiché, le minusvalenze non avranno più alcun valore.

Minusvalenze straordinarie, di cosa si tratta?

Quando, invece si va a parlare di minusvalenze straordinarie?

Le minusvalenze vengono considerate straordinarie quando provengono dalla vendita di beni diversi da quelli impiegati nell’attività ordinaria dell’impresa, oppure quando originano dalla cessione dopo interventi di ristrutturazione, ridimensionamento e riconversione produttiva.

Ecco dunque che abbiamo delle minusvalenze definite straordinarie, quindi fuori dall’ ordinario. Dette anche minusvalenze di natura non finanziaria.

Ma dove si collocano le minusvalenze straordinarie e cosa è un conto economico?

Le minusvalenze straordinarie vanno collocate nel Conto economico, alla voce Proventi e Oneri straordinari, indi vanno indicate separatamente rispetto ad altri proventi straordinari in un’apposita sottovoce.

Il conto economico, in cui collocare minusvalenze e plusvalenze, rappresenta il documento contabile nel quale sono evidenziati sinteticamente i costi e i ricavi di competenza dell’esercizio commerciale di appartenenza.

Minusvalenze deducibili, quali sono?

Volendo essere secchi e concisi sulla questione, si può dire che i principali strumenti finanziari che possono generare “redditi diversi” (art. 67 del  Testo Unico delle Imposte sui Redditi) di natura finanziaria differenti da quelli che possono generare “redditi di capitale” (art. 44 del T.UI.R.) sono titoli azionari, obbligazioni, ETC (“Exchange Traded Commodities”), certificates.

Premessa fatta, va detto che in tale specifico ambito, le minusvalenze rappresentano le perdite derivanti dalla vendita di uno strumento rispetto al suo valore di acquisto (“capital loss”). Esse possono, dunque, essere portate in compensazione di eventuali guadagni realizzati con la vendita di prodotti finanziari rispetto al loro originario prezzo d’acquisto.

Va tuttavia aggiunto che sono necessari alcuni passi di precisazione:

  • la compensazione delle minusvalenze è possibile solo e soltanto con eventuali plusvalenze della stessa natura;
  • si possono portare in compensazione minusvalenze derivanti dalla vendita di strumenti che possono generare “redditi diversi” di natura finanziaria;
  • la minusvalenza ha natura esclusivamente contabile, costituendo una minor redditività;

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed utile da sapere in merito alla gestione di minusvalenze, ordinarie e straordinarie.

Come si fa la riclassificazione del conto economico a valore aggiunto?

Oggi andremo, con questa rapida guida, ad addentrarci nella riclassificazione del conto economico a valore aggiunto. Scopriremo nel dettaglio questo annoso mondo del bilancio, nei prossimi paragrafi.

Riclassificazione del conto economico, di cosa si tratta?

Innanzitutto, andiamo a precisare di cosa si tratta, quando si parla di riclassificazione del conto economico. Per capire in cosa consiste la riclassificazione, occorre sapere di cosa si parla, quando si parla di conto economico. Il conto economico, nel novero dell’economia aziendale, è uno dei documenti che compone, insieme allo stato patrimoniale, al rendiconto finanziario e alla nota integrativa, il cosiddetto bilancio d’esercizio di un’impresa, quindi di un’attività commerciale. Il conto economico, in particolare, serve ad evidenziare il risultato economico d’esercizio del periodo di riferimento del bilancio, ovvero in “utile o perdita d’esercizio”.

In definitiva, il conto economico è il documento contabile del bilancio d’esercizio che mette in contrapposizione i costi e ricavi di competenza, e illustra il risultato economico della gestione di un determinato periodo.

La riclassificazione del Conto economico essenzialmente è tesa a suddividere le aree della gestione in base alla loro pertinenza gestionale. Lo schema più utilizzato è quello a valore aggiunto, che permette di evidenziare alcuni risultati operativi intermedi quali l’Ebitda e l’Ebit.

Quale è, quindi l’obiettivo finale della riclassificazione del conto economico?

La riclassificazione del conto economico ha come obiettivo finale quello di illustrare una serie di risultati economici parziali grazie ai quali, con un’analisi successiva, individuare la redditività aziendale.

Valore aggiunto del conto economico

Ma come si calcola, dunque, il valore aggiunto in una riclassificazione del conto economico?

Ecco, questa è una delle domande più frequenti che ci si pone nel novero di un esercizio di impresa, in vista del completamento del documento del conto economico.

Il valore aggiunto non è altro che una grandezza economica intermedia tra i ricavi di vendita e il reddito operativo ( noto come ebit). Il calcolo del valore aggiunto è semplice e lo si ottiene dalla somma algebrica di ricavi (o dal valore della produzione a seconda dei processi aziendali) e dei costi dei fattori acquistati all’esterno.

Ma come viene ripartito il valore aggiunto, sul conto economico?

Il Valore aggiunto viene distribuito alla Pubblica Amministrazione nei seguenti modi: imposte dirette e indirette erogate sia a livello locale che nazionale. Mentre abbiamo il Valore aggiunto distribuito ai Creditori (ossia i fornitori di capitale ad interesse esplicito), previa oneri finanziari a breve/lungo termine.

Per entrare nello specifico della questione, possiamo dire che il conto economico con valore aggiunto è molto probabilmente il modello di riclassificazione maggiormente utilizzato.

In primo luogo, esso si presta ad essere impiegato con una certa facilità anche da un soggetto esterno all’impresa, in quanto non richiede informazioni extra rispetto a quelle contenute nel bilancio di esercizio. In seconda battuta, presenta un’articolazione che consente di instaurare correlazioni significative con lo Stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio funzionale.

Il Conto economico a valore aggiunto, anche se ricalca lo schema previsto dall’art. 2425 c.c., prevede che l’area operativa contenga tre margini intermedi, ovvero i seguenti:

  • il valore aggiunto;
  • il MOL (margine operativo lordo), che prende anche il nome di EBITDA;
  • il MON (margine operativo netto), che prende anche il nome di EBIT;

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla questione della riclassificazione del conto economico a valore aggiunto.

 

730 omesso, cosa si rischia?

Oggi andremo nell’annoso mondo della compilazione del 730, una vera e propria esigenza per ogni contribuente. Ma, nello specifico ci occuperemo della non compilazione dello stesso. Scopriremo, insieme, cosa si rischia quando si omette il 730.

730, di cosa si tratta

Come molti ormai, sapranno, anche chi è meno addentrato nel mondo del lavoro, il 730 è qualcosa con cui annualmente bisogna convivere, ma di cosa si tratta più precisamente?

Il Modello 730 non è altro che un modulo fiscale da compilare per la dichiarazione dei redditi ed è dedicato ai lavoratori dipendenti e pensionati, per far sì che possano richiedere il rimborso delle imposte a credito. Per entrare nello specifico dell’ anno in corso, il modello 730 dovrà essere presentato dai contribuenti che nel 2021 sono pensionati o lavoratori dipendenti (compresi i lavoratori italiani che operano all’estero per i quali il reddito è determinato sulla base della retribuzione convenzionale definita annualmente con apposito decreto ministeriale);

Cosa accade se si omette il 730?

La risposta a questa incombente domanda è presto data. Nei casi di omesso, di insufficiente o ritardato versamento in acconto o a saldo delle imposte risultanti dalla dichiarazione si applica la sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato o versato in ritardo.

Andiamo a vedere, nello specifico, le sanzioni che si rischiano in determinate tipologie di mancata correttezza del 730.

Di seguito, dunque, vediamo le sanzioni nelle quali si può incorrere per gli errori nella compilazione del 730:

  • OMISSIONI O DATI INCOMPLETI: Da 258 fino a 2.065 euro se nella dichiarazione sono stati omessi o non indicati in maniera esatta e completa i dati rilevanti per l’individuazione del contribuente o del suo rappresentante.
  •  REDDITO INFERIORE: Se nella dichiarazione è indicato un reddito imponibile inferiore a quello accertato o un’ imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica una sanzione amministrativa dal 100 al 200% della differenza rispetto alla maggiore imposta o della differenza del credito.
  • VERSAMENTI INESATTI: Nei casi di omesso, insufficiente o ritardato versamento in acconto o a saldo delle imposte risultanti dalla dichiarazione si applica la sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato o versato in ritardo. Se i versamenti sono stati effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione del 30% è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.
  • CODICE FISCALE SBAGLIATO: La violazione dell’obbligo di corretta indicazione del proprio numero di codice fiscale è punita con al sanzione amministrativa da 103 fino a euro 2.065 euro.
  • REDDITI DA FABBRICATI: Sono previste sanzioni in materia di dichiarazione dei redditi di fabbricati per omessa denuncia di accatastamento di fabbricati e conseguente omissione di dichiarazione del relativo reddito, di omessa dichiarazione del reddito delle costruzioni rurali che non hanno più i requisiti per essere considerati tali.

Come pagare sanzione per omessa dichiarazione nel 730?

Dunque, nel caso in cui il contribuente decida di inviare la dichiarazione successivamente ai 90 giorni dalla scadenza è prevista una piccola agevolazione. Infatti, si agevola il contribuente, qualora la dichiarazione dei redditi viene comunque presentata entro il termine per l’invio di quella per l’anno successivo. O nel caso, qualora inviata, comunque, prima dell’inizio di un accertamento, la sanzione viene dimezzata, andando a variare quindi dal 60% al 120% delle imposte, con un minimo di 200 euro. Questo significa che se ti trovi in una situazione in cui l’omessa dichiarazione è chiara e conclamata presentare comunque la dichiarazione dei redditi, ti permette di avere comunque uno sconto sulla sanzione applicabile. Se, si decide, invece, di aspettare i termini di accertamento, e la possibilità di incorrere in un accertamento fiscale, le eventuali sanzioni a cui si va incontro sono quelle ordinarie.

Dunque, questo è quanto vi fosse da sapere in merito ai principali rischi da omissione del 730. Ora, non vi resta che correre a compilare la dichiarazione dei redditi ed evitare rischi.

Sopravvenienze passive, cosa sono e quando sono deducibili?

Oggi andremo ad approfondire alcuni aspetti fiscali, come le sopravvenienze. Cosa si intende con sopravvenienze passive e attive e quando queste sono deducibili dal nostro reddito? Ne parleremo in questa rapida ma esaustiva guida.

Sopravvenienze, di cosa si tratta

Dunque, per venire subito al nocciolo della questione, bisogna sapere cosa si intende quando si parla di sopravvenienze.

Una sopravvenienza in contabilità, riguarda ogni fatto imprevisto e fortuito estraneo alla gestione, che modifica in aumento (quando attive) o in diminuzione (quando passive) il patrimonio aziendale.

Andiamo nello specifico a vedere le differenze tra sopravvenienze attive e passive, nel prossimo paragrafo.

Sopravvenienza attiva e passiva, le differenze

Come ogni medaglia vi sono due lati da scoprire, come ogni polo vi sono i negativi e i positivi, ed ecco che anche nel novero fiscale abbiamo aggiunte e sottrazioni, bonus e malus, attività e passività.

Anche per per queste specifiche fortuite e/o impreviste vi sono queste due tipologie opposte. Quindi, come detto, le sopravvenienze attive e quelle passive.

Per quanto riguarda le sopravvenienze attive sono componenti positive del reddito che derivano da costi ed oneri sostenuti in esercizi precedenti e vengono meno in un determinato esercizio. Si considerano tali: spese, perdite ed oneri dedotti in precedenti esercizi. Ulteriore caratteristica delle sopravvenienze attive è la non frequenza nel tempo, la anormalità rispetto alla gestione ordinaria dell’impresa, l’entità rilevante rispetto al bilancio. Contabilmente si rilevano fra le voci Altri ricavi o Proventi straordinari del proprio Conto Economico.

D’altra pasta, invece quelle passive.

Le sopravvenienze passive sono perdite che, in certi casi, si possono dedurre fiscalmente. Possono essere portate in detrazione dal reddito soggetto all’IRES. Di conseguenza, l’impatto negativo subito dall’azienda verrà in parte alleggerito. Nel prossimo paragrafo, andiamo a scoprire in quali casi è ammessa la deducibilità fiscale.

Possiamo, in forma esaustiva dire che la categoria delle sopravvenienze attive e passive ha, quindi, funzione di correggere, nella determinazione del reddito, le disfunzioni causate dal fatto che l’attività dell’impresa e la produzione del reddito avvengono in un periodo temporale continuo.

Quando si possono dedurre le sopravvenienze?

Andiamo, in ultimo, ma non ultimo a scoprire la deducibilità di queste sopravvenienze. Laddove esse sono possibili per il nostro sgravo fiscale nella dichiarazione del reddito.

Dunque, per quanto riguarda la variante attiva delle sopravvenienze, la risposta è molto semplice.

Gli accantonamenti a fondo, stanziati a bilancio quali passività di scadenza e ammontare incerti, sono fiscalmente deducibili solo quando l’onere diviene certo nell’ an e nel quantum.

Invece, come detto le sopravvenienze passive sono delle nuove passività che si aggiungono alle precedenti o nuovi costi. E, dunque, quando entrambi sorgono con riferimento ad operazioni estranee alla normale attività di gestione svolta dall’impresa e derivanti da eventi imprevedibili, occasionali e/o accidentali, sarà possibile ottenerne deducibilità.

Ma dove si collocano nel conto di bilancio le sopravvenienze?

In ultimo, ma non ultimo, un passaggio non di poco conto, per coloro che devono compilare il conto economico, relativo al bilancio della propria attività.

Possiamo ben dire che le sopravvenienze passive vanno collocate in bilancio alla voce: B. 14 – COSTO DELLA PRODUZIONE –ONERI DIVERSI DI GESTIONE qualora si tratti di rettifiche in aumento di costi causate dal normale aggiornamento di stime compiute in precedenti esercizi.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario e funzionale da sapere in merito alla questione delle impreviste, imprevedibili e inattese sopravvenienze, siano esse di stampo attive che passive.

 

Come si calcola base imponibile Ires?

Oggi andremo ad esplorare quell’infausto mondo delle tasse, per scoprire di cosa si tratta quando si parla di Ires e come si calcola la sua base imponibile.

Ires, che cosa è?

Innanzitutto, prima di chiarire come si calcola la base imponibile Ires, e di scoprire chi sono i soggetti tenuti a pagare tale imposta, occorre precisare che cosa sia l’Ires.

Dunque, partiamo col dire che le più importanti imposte dirette si suddividono in Irpef, Ires (ex Irpeg) e Irap. Si precisa che le società di persone non hanno personalità giuridica, né sono persone fisiche, per cui non scontano né Irpef né Ires, ma soltanto l’Irap. L’imposta sul reddito delle società (ovvero, Ires) è, dunque, una imposta proporzionale e personale che si ottiene tramite applicazione di un’aliquota unica ai profitti delle società

L’ Ires, corrispettivo di “imposta sul reddito delle società” viene versata con il modello F24 in un’unica soluzione, altrimenti si versa il saldo dell’anno precedente e poi l’acconto (in due rate) per l’anno in corso. In generale, l’acconto al 100% è pagato in due rate salvo che il versamento da eseguire alla scadenza della prima non superi i 103 euro.

Come si calcola la base imponibile dell Ires?

Dunque, innanzitutto, andiamo a capire di cosa si parla quando si fa riferimento ad una base imponibile.

Per dirla in maniera molto breve, la base imponibile è l’importo su cui viene applicata l’imposta e da cui è calcolato il relativo importo. Ad esempio, se un tavolo costa 60 euro+IVA al 22% compresa, l’importo IVA è pari a 13,2 e la base imponibile è 60-13,2, ovvero 46,8 euro.

Nel caso specifico della tassazione Ires, la base imponibile la si ottiene sommando dall’utile/perdita ante-imposte del conto economico le variazioni in aumento e sottraendo le variazioni in diminuzione.

Chi è soggetto a tassazione Ires?

Ma chi sono, quindi, quei soggetti societari esposti a tassazione Ires? Questa è una domanda piuttosto frequente e da tenere in considerazione.

La risposta a questo annoso quesito, è tuttavia ben presto data. I soggetti passivi dell’IRES sono le società di capitali; gli enti pubblici e gli enti privati, diversi dalle società, nonché i trust residenti nel territorio dello Stato che hanno, come oggetto principale od anche esclusivo, l’esercizio di attività commerciale;

Ma anche gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato che non hanno come oggetto l’esercizio di attività commerciale. Inoltre, le socie­tà e gli enti di qualsiasi tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.

A tal proposito, vengono considerati residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o ancora l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Sono invece previste particolari norme per i trust e per gli istituti aventi contenuto analogo istituiti in Stati a fiscalità privilegiata.

Ires e Irap, differenze

Talvolta, si è portati a fare confusione tra queste due differenti tassazioni, ovvero Ires e Irap. Ma quali sono le differenze necessarie da tenere conto tra le due imposte?

Come detto, Irap e Ires non sono affatto la stessa cosa, anche se, possiamo dire, appartengono alla stessa famiglia. L’Irap difatti, è l’imposta regionale sulle attività produttive, dunque un’imposta locale che viene applicata a tutte quelle attività che producono un bene e che sono residenti su territorio regionale.

Questo, dunque è quanto di più necessario vi fosse da sapere in merito all’imposta dell’Ires e al suo imponibile da calcolare.

Come si calcola il valore della produzione ai fini IRAP?

Oggi andremo ad addentrarci nel mondo delle tasse, tra calcoli e considerazioni, legati ai fini IRAP. Con questa rapida guida, andremo a scoprire come si calcola il valore della produzione per la tassazione IRAP.

IRAP, di cosa si tratta

Innanzitutto, andiamo a precisare di cosa si tratta, quando si parla di IRAP. L’imposta regionale sulle attività produttive, meglio nota con l’acronimo IRAP, è un’imposta istituita in Italia con il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 e attualmente in vigore.

Sono, dunque, tenuti al pagamento dell’Irap 2021 tutti coloro che svolgono un’attività di lavoro autonomo, siano esse società semplici che sia quelle equiparate (comprese le associazioni senza personalità giuridica che risultano costituite tra persone fisiche per l’esercizio di arti e professioni).

Come si calcola il valore della produzione?

Andiamo a scoprire il nocciolo della questione, ovvero come calcolare il valore della propria produzione, per i fini del pagamento IRAP.

Prendiamo il caso delle imprese industriali. Per quanto riguarda le imprese industriali, la base imponibile dell’IRAP si calcola per differenza tra Valore fiscale della produzione e Costi fiscali della produzione, in base allo schema del Conto economico dell’art. 2425 c.c., “corretto” nei valori in osservanza del TUIR.

Nello specifico, possiamo invece dire che la base imponibile IRAP è determinata dal valore della produzione netta, derivante, dall’attività svolta sul suolo italiano, nel territorio di una o più Regioni.

Sono previste diverse modalità di calcolo della base imponibile a seconda del soggetto passivo. Nello specifico, il valore di produzione netta varia in funzione della tipologia di attività esercitata:

  • Società di capitali ed enti commerciali;
  • Imprese individuali e società di persone;
  • Intermediari finanziari;
  • Le imprese di assicurazione;
  • Esercenti arti e professioni;
  • Imprese agricole;
  • Enti non commerciali;
  • Soggetti che si avvalgono di regimi forfetari.

Quando si paga l’IRAP?

Il Modello Irap per poter effettuare il pagamento dovrà essere presentato:

  • Entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di chiusura dell’imposta, per le persone fisiche, le società semplici, le società in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché per le società e associazioni a esse equiparate;
  • Entro il 9 del mese successivo a quello di chiusura del periodo di imposta, per coloro che sono soggetti Ires ed anche per le Amministrazioni pubbliche.

Per quanto riguarda una scadenza di pagamento, invece l’IRAP si paga:

  • Entro il 30 giugno di ogni anno deve essere versato il saldo dell’anno precedente e il primo acconto per l’anno successivo;
  • Entro il 30 novembre di ogni anno, deve essere versato il secondo acconto per l’anno successivo.

Come si determina la base imponibile IRAP?

Per determinare la base imponibile IRAP, occorre stabilire tre possibili metodi. O, meglio, tre principali metodi:

  • Metodo da bilancio (società di capitali ed enti commerciali, imprese individuali e società di persone su opzione);
  • Il metodo fiscale (imprese individuali, società di persone);
  • Metodo retributivo (enti non commerciali per l’attività istituzionale ed amministrazioni pubbliche).

Per concludere, per ulteriore chiarimento sulla questione, va detto che non sono tenuti a pagare l’IRAP i lavoratori autonomi e i liberi professionisti che non si avvalgono del lavoro di terzi nell’esercizio delle proprie mansioni.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario e indispensabile da sapere sulla questione dei pagamenti e dei calcoli ai fini IRAP.

 

Franchising o affiliazione commerciale, confronto e convenienza

Oggi ci addentreremo nel mondo del franchising e delle affiliazioni commerciali, estrapolando in breve un confronto tra le due possibilità di attività commerciale. Quali sono le differenze e dove potrebbe esserci la convenienza. Scopriamolo in questa rapida guida, insieme.

Franchising cosa è

Innanzitutto, facciamo la distinzione tra le due categorie, per poter stabilire cosa sia un franchising e cosa sia una affiliazione commerciale. Per poi andare a vedere le differenze sostanziali tra le due categorie.

Molto semplicemente, possiamo dire che quando si parla di franchising ci si riferisce ad una formula di collaborazione tra imprenditori che è utile alla produzione o alla distribuzione di servizi oppure beni. Solitamente è la soluzione più usata da chi vuole lanciare una nuova impresa ma preferisce affiliarsi ad un brand già conosciuto. Il franchising nasce in America agli inizi del secolo scorso, e arriva in Italia negli anni ’80, quando iniziano a diffondersi i brand come Benetton e Standa. Due perfetti esempi di franchising globale.

Aprire un negozio in franchising, quindi quelle attività aperte seguendo questa modalità, decidono di condividere lo stesso modello di gestione e lo stesso format per la vendita di prodotti e servizi della loro base madre.

Affiliazione commerciale, cosa vuol dire

Il legame tra affiliazione commerciale e franchising è praticamente automatico, ma non tutte le affiliazioni commerciali sono frutto di catene di franchising. Ad esempio è un affiliazione commerciale anche quella che si svolge per un sito online, o per Amazon ad esempio, usando semplicemente link di acquisto di prodotti, percependone una minima percentuale, su ogni acquisto di un utente, avvenuto mediante tale link. In questi caso parliamo di affiliate marketing, ed è un ottimo modo per guadagnare anche da casa.

In sintesi possiamo dire che l’affiliazione commerciale non è altro che il contratto tra due soggetti giuridici che siano economicamente e giuridicamente indipendenti (quindi distinti e separati l’uno dall’altro) in base al quale uno dei due soggetti (affiliante o franchisor) concede all’altro (affiliato o franchisee) la disponibilità di un prodotto e di un marchio.

Franchising e affiliazione commerciale: differenze e uguaglianze

Dunque, l’affiliate marketing (quindi l’affiliazione commerciale) ha in comune con il franchising il fatto che ci sono due soggetti imprenditori indipendenti che stringono un accordo che si fonda sul fatto che uno sfrutta la notorietà dell’altro brand.

Nell’affiliazione commerciale, conosciuta meglio come franchising, l’affiliato sfrutta la notorietà del brand dell’affiliante per evitare di aprire un’attività da zero, con i relativi costi e rischi. Mentre la nascita del franchising ha, dunque, origini più distanti, l’affiliate marketing ha origini molto più recenti. Infatti si tratta di un rapporto che riguarda esclusivamente il marketing online. I soggetti coinvolti sono il merchant, o advertiser, che è il soggetto che mette a disposizione il prodotto da vendere, l’affiliato o publisher che è colui che promuove il prodotto e prende le commissioni sulla vendita, e la piattaforma di affiliazione. In pratica, l’esempio di Amazon di cui sopra.

Come attuare l’ affiliate marketing?

Potremmo suddividere in tre specifici modalità, la possibilità di attuare il proprio piano di affiliazione commerciale:

  1. Il merchant mette a disposizione dell’affiliato la propria merce da vendere. L’affiliato ospita sul proprio sito web (o sulla propria piattaforma, come anche YouTube o i social), i prodotti dell’imprenditore terzo e si occuperà di promuovere il proprio spazio sul web che ospita i prodotti del merchant attraverso le classiche attività di SEO e SEM. O, semplicemente trattando di categorie analoghe che indirizzano implicitamente a quei prodotti. I prodotti del merchant sono normalmente promossi attraverso banner o immagini cliccabili, che avranno un url che porterà al sito web del merchant, su cui si concluderà la vendita.
  2. Nel sistema che prevede la presenza di una piattaforma di affiliazione, invece, il merchant si affida ad un network che si farà carico di creare il programma di affiliazione, mettendo a disposizione il proprio sistema di vendita e know-how. La piattaforma prende una fee dal merchant. All’interno dei network di affiliazione si possono trovare publisher professionisti selezionati dalla piattaforma stessa. I publisher utilizzeranno tutti i mezzi messi a disposizione dall’online marketing per promuovere i prodotti: adv sui social, siti web, blog, e-mail marketing.
  3. Molti titolari di negozi on-line, advertiser, invitano anche i propri clienti, publisher, alla promozione dei prodotti acquistati. O, ancor più semplicemente, grazie ad un ricco seguito social, si possono pubblicizzare e vendere direttamente o indirettamente dei prodotti, prestando la propria immagine come testimonial.

Come stipulare un contratto di affiliate marketing

Non sempre vi è un contratto specifico, legato ad impegni e oneri sulla condivisione, pubblicazione dei prodotti da vendere, per così dire.

Solitamente, nel contratto sono stabilite le seguenti modalità di erogazione per le commissioni:

  • l’erogazione avviene tramite pay per clic: il publisher viene pagato nel momento in cui l’utente atterra sulla piattaforma del merchant
  • l’erogazione avviene per lead generation: il publisher è pagato nel momento in cui il potenziale cliente compila un form di contatto
  • l’erogazione avviene per vendita: quindi il pagamento avverrà a vendita conclusa.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed utile da sapere in merito alle sostanziali differenze legate alle attività di franchising e a quella di affiliazione commerciale, quindi per attivare un piano di affiliate marketing, anche comodamente online, senza necessitare di un negozio fisico.