Permessi per lutto e grave infermità: di cosa si tratta

Cosa c’è da sapere in merito alle modalità di chiedere e ottenere permessi per lutto e grave infermità, lo scopriamo nella nostra rapida ma esaustiva guida sull’argomento.

Permessi di lavoro, cosa sono

Innanzitutto, è bene partire dalla base della questione, ovvero specificare cosa sono i permessi di lavoro e come funzionano, di norma.

Sostanzialmente, i permessi retribuiti non sono altro che periodi di tempo duranti i quali al lavoratore è concesso, per particolari circostanze, di assentarsi dal lavoro senza perdere la normale retribuzione.

Trattasi dunque di una richiesta fatta dal lavoratore al suo datore di lavoro, per poter sospendere la propria attività per un lasso di tempo stabilito in precedenza. Tale permesso, va detto, può essere sia retribuito che non retribuito e questo dipende dalla tipologia del congedo che si richiede.

Andiamo, dunque nello specifico ad occuparci dei permessi di lavoro per lutto e di quelli per grave infermità.

Permessi di lavoro per lutto

La perdita di un famigliare o di un parente stretto è certamente un momento di forte sofferenza per chiunque. Sofferenza emotiva e problemi di burocrazia per gestire la dipartita vanno a complementarsi.

Questa situazione, naturalmente, richiede tempo per poter affrontare il più serenamente possibile una circostanza dolorosa e difficile.

Quindi, per chi lavora è necessario chiedere un permesso per lutto.

In tal senso, ciascun lavoratore dipendente ha diritto, stando a norma di legge, ad un tempo di tre giorni lavorativi all’anno di permesso retribuito per lutto familiare, ovvero per la morte del coniuge, di un parente entro il secondo grado o del convivente.

Ma come funziona la richiesta del permesso?

Il dipendente deve informare il datore di lavoro del lutto e dei giorni nei quali il permesso sarà utilizzato, che potranno pure non essere consecutivi. La richiesta deve essere accompagnata da documentazione apposita che certifichi la morte della persona o da dichiarazione sostitutiva, quando prevista.

In quali casi si può richiedere il permesso per lutto?

A scanso di equivoci, vediamo quali sono i casi di possibilità di richiedere tale permesso.

Il permesso per lutto può essere richiesto per la morte di persone che rientrano nel proprio gruppo familiare (anche in caso di funerale all’estero):

  • Genitori e figli
  • Fratelli e sorelle
  • Nipoti (figli dei figli) e nonni

Tuttavia, alcuni contratti collettivi nazionali del lavoro (CCNL) possono includere la facoltà di chiedere il permesso in un numero maggiore di casi rispetto a quanto stabilito dalla legge statale, ad esempio anche per la morte di suocero, genero, cognata, zii, ecc.

Andiamo a vedere, nel prossimo paragrafo come funzionano i permessi per grave infermità.

Permessi di lavoro per grave infermità di un familiare

Quando è possibile assentarsi dal lavoro per problemi di salute non personali, ma di un parente molto vicino? Lo scopriamo in questo paragrafo.

I tre giorni di permesso retribuito all’anno cosi come sono ammessi per lutto, sono eseguibili per grave infermità del coniuge, anche qualora sia legalmente separato, di un parente entro il secondo grado, anche non convivente.

Questi specifici giorni di permesso dovranno essere utilizzati entro un tempo di sette giorni dall’insorgenza della grave infermità o della necessità di provvedere a conseguenti interventi terapeutici.
È possibile concordare con il datore di lavoro la modalità di fruizione dei tre giorni di permesso in modo articolato o frazionato. È quindi fattibile, in alternativa alla fruizione continua dei tre giorni, concordare una riduzione dell’orario lavorativo.

Come ottenere il permesso per grave infermità? 

Per poter ottenere questo tipo di permesso è necessario presentare, per la grave infermità, documentazione rilasciata da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o convenzionato, dal medico di medicina generale oppure dal pediatra di libera scelta; questa documentazione deve essere presentata entro cinque giorni dalla ripresa del lavoro. Il datore di lavoro può richiedere periodicamente la verifica dell’effettiva gravità della patologia.

Congedo per grave infermità

In ultimo, ma non ultimo, va detto che la Legge 53/2000 prevede anche la concessione di congedi per gravi motivi familiari. Il congedo è un periodo pari a due anni nell’arco della vita lavorativa e può essere utilizzato in modo frazionato o per intero, per una lunga pausa. La cosa necessariamente da considerare è, però, che il congedo in questione non è retribuito.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alle modalità di richiesta ed utilizzo dei permessi di lavoro, per lutto o grave infermità di un parente prossimo.

 

Riscaldamento smart: come funziona ridurre la bolletta del gas

Considerando l’imminente rischio del caro bollette, andiamo a vedere alcuni rapidi consigli per un riscaldamento smart, in modo da ridurre la bolletta del gas, in un periodo storico decisamente delicato per l’energia e i suoi costi.

Riscaldamento smart, alcuni pratici consigli

Oggi, alla luce dell’attuale crisi energetica e del lievitare dei costi del gas, è necessario utilizzare un riscaldamento smart, ovvero intelligente. Vediamo come fare per rendere calda ed economica la pratica di riscaldamento delle nostre case.

Ormai le materie prime toccano tariffe che sono lievitate eccessivamente, ed una casa di 100 metri quadrati non troppo efficiente dal punto di vista energetico può anche costare 300 euro al mese di riscaldamento se si ha una caldaia a gas.

Quindi, in tempo primaverile è già il caso di iniziare a pensare come risparmiare per il prossimo inverno, ottimizzando i costi in modo intelligente.

L’idea di sostituire la caldaia deve essere attuata in maniera preventiva, magari con un modello a condensazione, usufruendo degli incentivi. E farlo sarà più facile farlo quando il riscaldamento è spento ed occorre solo acqua calda.

Inoltre, qualora si dovessero cambiare le valvole dei termosifoni per mettere valvole smart, fondamentali per risparmiare, è necessario svuotare l’impianto.

Quali metodi adottare per un riscaldamento smart

Veniamo, dunque ai “miti consigli”, per mettere in atto dei modi efficienti per un riscaldamento smart ed economico.

Se ci troviamo ad avere a che fare con una caldaia centralizzata abbiamo diverse soluzioni.

Vi sono casi in cui ogni abitazione ha un termostato che controlla una singola valvola, e quindi il termostato accende e spegne il riscaldamento per l’intera abitazione, ed altri  casi in cui troviamo le valvole solo ed esclusivamente sui termosifoni, solitamente dette testine termostatiche, e non esiste un termostato.

Come è ben noto, la caldaia condominiale ha orari di accensione e spegnimento prestabiliti, su ogni termosifone esiste un contatore di calore che verifica quante ore resta acceso e dopodiché, costi e consumi, vengono gestiti a livello condominiale.

In questo caso, è consigliabile installare valvole termostatiche “smart”, permettendo così di accendere solo le zone che servono in determinati orari all’interno della propria abitazione.

Riscaldamento centralizzato, quali soluzioni scegliere

In caso di riscaldamento centralizzato, con un termostato, ogni abitazione ha una valvola che controlla ogni singolo appartamento.

La cosa principale da fare è sostituire il termostato con un modello smart, quindi che si controlla a distanza. La cosa necessaria alla scelta del modello sarà capire se e come esso si integra anche con le soluzioni di automazione di Amazon, Google e Apple, se non altro per poter gestire una serie di routine come l’uscita di casa e l’ingresso in casa. Uno dei più noti, in tal senso sono i modelli Nest, il cui prezzo gravita attorno ai 250 euro, ma in linea più economica c’è anche BTicino dal costo di 180 euro. Tado è un giusto intermedio, col prezzo a partire da 219 euro per il modello cablato.

Il primo passo è quindi installare il termostato, ma non è sufficiente al massimo risparmio. Infatti, la facilità di controllo permette di spegnere il termostato se si sta fuori casa per pochi giorni, o per gestire meglio gli orari di ingresso e uscita di casa, ottimizzando meglio il riscaldamento.

Ma, con una gestione multizona, per ogni ambiente si ottimizza il risparmio.

Riscaldamento autonomo, consigli pratici

Qui, l’utilizzo del riscaldamento è più semplice e gestibile, ma ci sono cose da tenere comunque in conto da considerare per risparmiare.

La valutazione principale da fare è quella inerente alla caldaia.

In tal senso, oggi grazie ad incentivi e allo sconto in fattura si riesce a cambiare la caldaia con una spesa minore di 1000 euro. Pur essendo una cifra corposa, vanno fatte due considerazioni: la prima è che comprando insieme alla caldaia anche dei termostati smart e delle valvole termostatiche si ottiene tutto in detrazione fiscale del 65%, quindi con spesa poco superiore ai 200 euro si cambiano tutte le valvole e i termostati di casa, la seconda considerazione è che non solo la caldaia a condensazione di nuova generazione permette di suo un risparmio, ma grazie al controllo digitale è possibile modulare l’erogazione riducendo ulteriormente il consumo.

Risparmi effettivi di almeno il 30%

Secondo gli studi statici, si possono ottenere risparmi di almeno il 30% in bolletta, seguendo i necessari accorgimenti.

Dunque, attraverso la sostituzione di un termostato vecchio con un modello smart e grazie all’uso di valvole smart e controllabili singolarmente si ottiene un risparmio del 30% circa, che può anche crescere se c’è una buona caldaia e se la casa è ben coibentata.

Ovviamente ci sono soluzioni più radicali per abbattere le bollette, e oggi si può anche diventare, in alcune zone d’Italia, “gas free” spostandosi su pompe di calore e induzione. Ma, in questo modo attraverso un piccolo cambiamento si ottengono validi risultati.

Questo, dunque, è quanto di più utile e necessario da sapere in merito all’economia in bolletta con un riscaldamento smart.

Permessi per gli impiegati nei seggi elettorali: come ottenerli

E’ sempre battuta la questione dedicata ai permessi nel mondo del lavoro, quando possono essere retribuiti e quando non è possibile usufruirne? Ma, in particolar modo, cosa accade quando a chiedere un permesso sono gli impiegati nei seggi elettorali? Scopriamolo nella nostra guida.

Permessi retribuiti, quando è possibile ottenerli

Prima di addentrarci nella questione inerente ai permessi per gli impiegati nei seggi elettorali, vediamo alcune cose in merito alla retribuzione per i permessi sul lavoro e sulla funzionalità degli stessi.

Va detto che ci sono permessi che offrono al lavoratore la possibilità di assentarsi dal lavoro per un giustificato motivo, ma senza retribuzione.

Il caso è quello ad esempio del congedo per la malattia del figlio di un dipendente. Per riuscire a comprendere a pieno i propri diritti di lavoratore è necessario comunque tenere sempre conto del CCNL (il contratto collettivi nazionale del lavoro).

Andiamo, invece di seguito, nel prossimo paragrafo come regolarsi nel caso dei lavoratori che chiedono un permesso per essere impiegati nei seggi elettorali.

Permessi per impiegati di seggi elettorali

Per quanto riguarda coloro che sono chiamati ad effettuare delle attività utili a salvaguardare il corretto svolgimento di una situazione elettorale (come le elezioni politiche, amministrative o referendum) ha il diritto ad assentarsi dal lavoro nelle giornate del voto.

Tali permessi spettano agli scrutatori, ai segretari e ai presidenti di seggio, ed anche a chi ricopre il ruolo di rappresentante di lista: l’assenza viene, dunque, concessa nella giornata antecedente al voto (quasi sempre nel week end), in quella dello svolgimento (quindi il sabato e la domenica) e per lo scrutinio (di norma il lunedì). Nel caso quest’ultimo non sia stato ancora completato entro la mezzanotte del lunedì, allora anche per il martedì si potrà beneficiare di un giorno di permesso.

Il permesso in questi casi viene retribuito?

Ovviamente, il primo punto da appurare in queste situazioni è se il permesso concesso al lavoratore, per essere impiegato in un seggio elettorale prevede la retribuzione.

La risposta a questa fondamentale domanda è Sì.

Infatti, i permessi per gli impiegati nei seggi elettorali sono interamente retribuiti e danno diritto a eventuali riposi compensativi per il dipendente.

Chi può fare lo scrutatore?

Andiamo a vedere, in tal senso quali sono i requisiti per essere scrutinatori – o scrutatori per dirlo alla maniera attuale.

Il ruolo in questione contribuisce a garantire la libertà e la segretezza del voto; assiste il presidente di seggio e il segretario nell’esercizio delle loro funzioni; rilascia al presidente di seggio il proprio parere in ordine a tutte le difficoltà e gli incidenti che si dovessero sollevare intorno alle operazioni della sezione.

Questi di seguito sono i requisiti per poter fare lo scrutatore:

i segretari comunali; i dipendenti comunali addetti o comandati a prestare servizio presso gli uffici elettorali comunali; i candidati alle elezioni per le quali si svolge la votazione; i rappresentanti di lista.

Ma quanto guadagna uno scrutatore?

Quando si tratta di elezioni amministrative e politiche, lo scrutatore intasca la somma di 120 euro, mentre per i referendum la paga è più bassa, ovvero 104 euro. Nel caso delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, il compenso per lo scrutatore è di 96 euro, ma se nella stessa tornata elettorale si sommano le elezioni europee e quelle amministrative, ecco che il compenso sale fino a 121 euro.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alla questione dei permessi di lavoro per gli impiegati nei seggi elettorali e alle possibilità di guadagno di scrutatore durante le elezioni.

Pannelli solari: tutto quello che c’è da sapere e quanto si risparmia

Si parla sempre più frequentemente di impianti fotovoltaici e di energia rinnovabile, quindi anche di sistemi di energia a pannelli solari. Ma, cosa c’è da sapere su questo mondo in espansione che potrebbe agevolare usi e consumi del nostro futuro più immediato? Scopriamolo nella nostra guida.

Pannelli solari e impianti fotovoltaici, cosa sono

Dunque, un pannello fotovoltaico non è altro che una struttura piana composta da un insieme di celle fotovoltaiche collegate, tra di loro, in parallelo ed in serie. Queste celle sono ricoperte da un vetro protettivo che ha il compito di ottimizzare il rendimento del pannello, mentre esternamente  i bordi sono in alluminio per aumentare la solidità del prodotto.

Se c’è una differenza sostanziale tra pannelli solari e pannelli fotovoltaici, possiamo evidenziarla di seguito:

Se gli impianti fotovoltaici sfruttano i raggi solari per produrre energia elettrica, i pannelli solari termici utilizzano i raggi per scaldare l’acqua delle nostre case.

Come funzionano?

Il funzionamento di un pannello fotovoltaico può essere riassunto e catalogato nelle fasi che seguono:

  • Esposizione del pannello alla luce del sole
  • Trasferimento dell’energia del fotone agli elettroni presenti sulla cella di silicio
  • Creazione di energia elettrica all’interno del circuito;

Ma come ottimizzarne la funzione?

Occorre sapere che è molto importante fruire al meglio del posizionamento ed orientamento dei pannelli, per la loro ottimizzazione.

L’ orientamento ottimale dei moduli fotovoltaici è sempre diretto verso sud. Per poter orientarsi in questa posizione occorre tenere in considerazione l’ora del giorno, per orientarsi, siccome il sud corrisponde alla posizione del sole a mezzogiorno dell’ora solare.

Ad ogni modo, è molto importante prendere in considerazione altri due aspetti che elenchiamo di seguito:

  • L’orientamento e l’inclinazione del tetto della casa è un aspetto importante. Nel nostro paese, l’Italia ovviamente, di solito l’inclinazione ottimale dei pannelli fotovoltaici è tra i 30° e i 40°. Sotto questo aspetto bisogna sempre ricordare che qualora il tetto della casa fosse piano, ci sono delle apposite strutture per pannelli fotovoltaici che ci permettono di inclinare il pannello e garantire la massima performance.
  • Considerare gli agenti esterni che potrebbero condizionare la superficie dei pannelli, come pioggia e grandine.

Come orientarsi in base ai prezzi

I prezzi dei pannelli fotovoltaici vanno a dipendete dalla loro grandezza, ma anche dalla potenza e dalla tipologia.

Tre sono i tipi in vendita sul mercato, li vediamo di seguito:

  • Pannelli solari in silicio monocristallino
  • Pannelli fotovoltaici in silicio policristallino
  • Pannelli solari a film sottile

Potremmo dire che i moduli fotovoltaici in silicio amorfo rappresentano la scelta più economica tra i pannelli fotovoltaici, sebbene questa opzione presenti un basso rendimento termico pari al 6-10%; mentre i moduli fotovoltaici monocristallini presentano un costo più elevato e un rendimento termico che si aggira intorno al 13-17%;

Quali sono i benefici

Andiamo a vedere la sacca sostanziale di questa nostra guida sul mondo dei pannelli solari, ovvero i benefici.

I benefici che si ottengono dall’installazione di un pannello fotovoltaico sono molteplici e li riassumiamo di seguito:

  • Risparmio energetico: l’installazione di pannelli fotovoltaici può essere un investimento costoso all’inizio, ma i risparmi ottenuti da questa spesa sono visibili sin dalla prima bolletta. Oltretutto, l’energia prodotta in eccesso è possibile immetterla nella rete e “rivenderla” attraverso il servizio dello Scambio sul Posto. Di media in Italia, installando il giusto impianto fotovoltaico, si riesce a risparmiare tra il 60% e il 70% della propria spesa effettiva in energia elettrica, recuperando l’investimento in meno di 5 anni.
  • Sostenibilità: a differenza di altre fonti di energia, i pannelli solari permettono di generare energia pulita a Km0 salvaguardando l’ambiente.
  • Disponibilità: il sole è una fonte inesauribile di energia, e proprio per questo motivo si può generare anche nelle aree più remote del pianeta.
  • Compatibilità con altri tipologie di energia: infatti, molte abitazioni usano alternare l’energia fotovoltaica con fonti diverse di energia rinnovabile, così da potersi permettere la propria indipendenza energetica.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere e approfondire in merito al mercato, i benefici, le opzioni e i costi dei pannelli solari, in un mondo sempre più direzionato al risparmio energetico e la salvaguardia ambientale e climatica.

Quali lavori danno una pensione più alta

In un mondo che prigioniero è di pensioni sempre meno facili da raggiungere, tra aumenti di età lavorativa e posti di lavoro meno stabili, cerchiamo di scoprire in che modo si può ottenere una pensione più alta.

Pensione più alta, vi sono lavori specifici?

Molti si chiedono se ci siano lavori specifici con i quali si possano maturare pensioni più redditizie.

In realtà, l’incremento della nostra pensione non può prescindere da un periodo specifico di anni di lavoro e quindi dalla modalità dei contributi versati.

Un metodo molto importante, ad esempio è la ricongiunzione dei contributi.

La ricongiunzione dei contributi permette di riunire tutta la contribuzione accreditata in gestioni previdenziali differenti verso una sola cassa.

In questo modo si può ottenere, nella maggior parte dei casi una pensione più alta: fanno eccezione le ipotesi in cui vi sia una quota retributiva della pensione ed i periodi ricongiunti, risultando con un reddito medio imponibile esiguo, abbassino la retribuzione pensionabile.

Lavori usuranti, quali sono

Esistono, tuttavia i cosiddetti lavori usuranti che consentono di andare in pensione in anticipo erano i unicamente i seguenti prima della riforma delle pensioni 2022.

In pratica, coloro che hanno svolto un lavoro usurante e gravoso potranno andare in pensione con Quota 97, quindi:

  • con un’età minima di 61 anni e 7 mesi;
  • con 35 anni di contributi versati.

Vi è tuttavia un modo per ottenere una pensione più alta che andremo a vedere nel prossimo paragrafo.

Ottenere una pensione più alta: vediamo come

Vi è, come detto, un altra modalità per ottenere una pensione più alta ovvero andando a riscattare determinati periodi non lavorati, non utili ai fini della pensione.

Sarà necessario, nello specifico effettuare il riscatto dei contributi dei periodi seguenti:

  • i corsi di studio universitari (talvolta, è possibile accedere al riscatto agevolato degli anni di laurea);
  • tramite costituzione di rendita vitalizia, i contributi omessi e caduti in prescrizione;
  • i periodi di attività svolta con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa prima dell’obbligo contributivo presso la gestione Separata, cioè anteriori al 1° aprile 1996;
  • i periodi di interruzione o sospensione del rapporto di lavoro (per cause di interruzione e sospensione previste dalla legge, per periodi posteriori al 31 dicembre 1996 e per un massimo di 3 anni);
  • i periodi intercorrenti tra un rapporto di lavoro e l’altro nel caso di lavori discontinui, stagionali, temporanei successivi al 31 dicembre 1996;
  • i periodi di congedo per motivi famigliari
  • i periodi di inattività connessi a rapporti di lavoro part-time successivi al 31 dicembre 1996;
  • i periodi di occupazione in lavori socialmente utili ai fini della misura delle pensioni;
  • gli anni di praticantato effettuati dai promotori finanziari;
  • i periodi di servizio civile su base volontaria, dal periodo seguente al gennaio 2009;
  • i periodi di aspettativa per motivi gravi di stampo famigliare;

Pensione supplementare e supplemento di pensione

Vediamo, inoltre le opzioni di supplemento alla pensione.

Modalità, quindi ulteriori per implementare la propria pensione.

Il supplemento di pensione può essere richiesto dopo un tempo di 5 anni dalla data di decorrenza della pensione o di un precedente supplemento. Qualora, invece, l’interessato abbia già compiuto l’età per la pensione di vecchiaia, può richiedere il supplemento dopo 2 anni, ma soltanto per una volta.

Tale supplemento è calcolato con gli stessi criteri previsti per le pensioni, pigliando considerazione la retribuzione e i contributi accreditati tra la data di decorrenza del trattamento e quella del supplemento da liquidare.

La pensione supplementare, invece è diversa.

Questa non è altro che una prestazione che si ottiene nel momento in cui il lavoratore possiede contribuzione versata in diverse casse e non in una sola, e che non abbia potuto accedere al cumulo, alla totalizzazione o alla ricongiunzione, e non abbia diritto ad un’autonoma pensione in una o più gestioni.

In tali casi, l’INPS liquida una prestazione, detta appunto pensione supplementare, che va ad aggiungersi alla pensione principale in pagamento, rendendo così l’assegno più alto.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere per poter ottenere una pensione possibilmente più alta.

Permessi per concorsi ed esami: come funzionano

Molto spesso ci si ritrova a svolgere una attività lavorativa e contemporaneamente dover proseguire il proprio percorso di studi universitari. Come funziona in questi casi la possibilità di ottenere permessi di lavoro per certe occasioni? Lo scopriamo in questa guida.

Permessi di lavoro, cosa c’è da sapere

Iniziamo col determinare la definizione di permesso di lavoro e vedere come e quando si applica.

Un permesso di lavoro non è altro che una richiesta fatta dal lavoratore al suo datore di lavoro, per sospendere la propria attività per un lasso di tempo stabilito in precedenza. Il permesso di lavoro può essere sia retribuito che non retribuito; questo dipende dalla tipologia del congedo che si richiede.

In questa nostra guida andiamo a vedere come usufruirne nel caso in cui bisogna sostenere degli esami di studio od anche, in taluni casi, dei concorsi per ulteriori lavori o cambio di impiego, ma con la modalità di retribuzione inclusa.

Permessi di lavoro retribuiti, per esami o concorsi

Possiamo subito dire che quasi tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro (meglio noti come CCNL) del settore pubblico prevedono 8 giorni l’anno di permesso per sostenere concorsi ed esami.

Il permesso è valido solo per il giorno stesso dell’esame e il lavoratore è tenuto a presentare una certificazione della Commissione esaminatrice, che sia debitamente timbrata e firmata, allegata alla richiesta di permesso.

A tal proposito bisogna occuparsi anche del permesso di lavoro per studio, quando il dipendente deve sostenere un esame.

E’ sempre più frequente che giovani lavoratori, infatti, siano ancora in vista di prendersi una laurea e quindi di dover sostenere esami di studio.

Vediamo, pertanto, nel prossimo paragrafo in merito, cosa c’è da sapere in merito ai permessi di lavoro per studio.

Permesso studio retribuito

Dunque, trattasi di un permesso retribuito fino ad un massimo di 150 ore, delle quali si può usufruire entro un determinato limite temporale (genericamente si tratta di un tempo di 3 anni). Questo ammontare di ore può aumentare a 250 nei casi in cui il lavoratore ne abbia bisogno per completare la scuola dell’obbligo. Quindi, nei casi in cui si tratti di lavoratori piuttosto giovani od anche persone in età avanzata che vogliano completare gli studi sospesi in tenera età, magari con le scuole serali.

Ma a chi spettano, quindi questi permessi di lavoro per studio?

Questi permessi di lavoro retribuiti spettano non soltanto ai dipendenti che ancora sono senza laurea e vogliono conseguirla, ma anche a coloro che vogliano conseguire un secondo titolo di studio. Il permesso viene assegnato al dipendente indipendentemente dal risultato ottenuto all’esame e anche dall’orario in cui verrà sostenuto il test. Si dovrà comunque in caso di richiesta, presentare eventuale documentazione al datore di lavoro che ne faccia richiesta.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi sia da sapere in merito alle possibilità e modalità di ottenere permessi di lavoro per conseguire esami o concorsi, senza correre il rischio di avere problemi col datore di lavoro e senza andare ad intaccare la propria retribuzione in busta paga.

 

 

Negozio online: quanto si paga di tasse

Aprire un negozio online è un qualcosa di abbastanza diffuso negli ultimi anni, ma per chi ancora non è riuscito a fare questo passo e sta pensando di farlo, cosa c’è da sapere in merito alle tasse da pagare? Lo scopriamo nella nostra rapida guida.

Le tasse da pagare per l’ E-commerce: come funzionano

Andiamo, dunque a vedere quali possono essere le tasse, ed il regime fiscale, da affrontare per svolgere una attività di e-commerce, quindi di negozio online.

Quando si parla di E-commerce si fa riferimento a qualsiasi attività di supporto ad un’attività commerciale, che sia svolta utilizzando la rete Internet.

Tramite il canale del Web si effettuano delle transazioni, ovvero delle vendite di beni e servizi, ma si possono anche distribuire online dei prodotti in formato digitale (come i libri o webinar a pagamento), fare operazioni finanziarie e di borsa, ed altre cose.

Per tutti questi motivi è previsto un pagamento di tasse per l’e-commerce.

In tal senso, le tasse devono essere pagate per la vendita di beni, anche se questa si realizza tramite e-commerce, ovviamente da un’attività commerciale.

Infatti, quando la cessione avviene in maniera abituale, svolta professionalmente e sistematicamente, essa produce un vero e proprio reddito d’impresa, va inoltre aggiunta l’ IVA, quindi va emessa ricevuta e fattura.

Tipologia di attività diretta e indiretta e regime fiscale

Una differenza da tenere conto è la tipologia di vendita dell’ E-commerce, che sia essa diretta o indiretta.

Con vendita diretta s’intende la distribuzione di prodotti e servizi al consumatore tramite la raccolta di ordinativi di acquisto generalmente presso il domicilio del consumatore e comunque fuori dagli esercizi commerciali, da parte di imprese che si avvalgono di incaricati alla vendita.

La vendita online indiretta avviene, invece, nel momento in cui l’utente definisce un accordo contrattuale tramite il web, per un bene immateriale o un servizio.

Una volta appurata la tipologia di vendita, andrà a cambiare l’applicazione dell’IVA.

In Italia si considerano soggette ad IVA, se rese a committenti non soggetti passivi d’imposta, le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici.

Ciò accade quando il committente è domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente senza domicilio all’estero e le prestazioni telecomunicazione e tele-radiodiffusione. Oppure, quando il committente è domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente senza domicilio all’estero e sempre che siano utilizzate nel territorio dell’Unione Europea.

Di controparte, la applicazione IVA riguardante le operazioni di commercio elettronico indiretto tra soggetti residenti in Italia è disciplinata dalle disposizioni contenute dal DPR n. 633/72.

Alle operazioni che si possono ricondurre al E-commerce indiretto, se il cliente è un “privato consumatore” si applica la disciplina delle vendite per corrispondenza. Per tale ragione, secondo la Risoluzione n. 274/E/2009 dell’Agenzia delle Entrate, le corrispondenti operazioni non sono soggette:

  • ad obbligo di emissione della fattura (elettronica o meno). A patto che la stessa non sia richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione della cessione.
  • ad all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante il rilascio dello scontrino o della ricevuta fiscale. Questo perché opera l’esonero di cui all’articolo 2, del DPR n. 696/1996.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alle basilari opzioni di tassazione per avviare e gestire una attività di commercio online, tramite un proprio negozio online.

Caldaia a condensazione: come funziona e quanto costa

In questa rapida guida andremo a scoprire preziosi consigli sulla caldaia a condensazione, quali sono le sue funzioni e quanto può costare averne una in casa, oltre ad altre curiosità da sapere. Andiamo ad approfondire la questione nei prossimi paragrafi.

Caldaia a condensazione, di cosa si tratta

Un buon sistema di riscaldamento per le nostre case è quello della caldaia a condensazione, vediamo nello specifico come funziona e di cosa si tratta.

Le caldaie a condensazione utilizzano il gas per funzionare e sfruttano il calore generato dalla combustione per scaldare l’acqua calda, sia quella utile per il riscaldamento si l’ acqua calda sanitaria. La tecnologia coinvolta al suo interno permette di non disperdere il calore durante l’espulsione dei fumi di scarico.

Per poter comprendere al meglio il funzionamento di una caldaia a condensazione, occorre prima di tutto sottolineare che tale tipologia di caldaia utilizza degli impianti realizzati con dei materiali estremamente resistenti, quali ad esempio l’acciaio inox.

La scelta di questo materiale è dettata dal fatto che l’acidità delle condense potrebbe danneggiare e corrodere le tubature dei tradizionali impianti. Il riscaldamento dell’acqua che va ad essere immessa nella più moderna caldaia a condensazione avviene sfruttando un bruciatore a premiscelazione, il quale favorisce una emissione minore di monossido di carbonio ed al tempo stesso va ad aumentare l’efficienza della caldaia stessa. Se non bastasse, va aggiunto che i fumi di scarico non sfruttano il tiraggio del camino ma vengono espulsi da un ventilatore, situato nella parte superiore del bruciatore.

Caldaia a condensazione: i costi

Ma quali possono essere, dunque, i costi di una caldaia a condensazione, da impiantarsi dentro casa?

Diciamo, in linea di massima che il costo di una caldaia a condensazione può partire dai 500 Euro fino a raggiungere e superare i 2.000 Euro di esborso. Ad ogni modo, il vantaggio di comprare un apparecchio del genere può rivelarsi nel risparmiare sulla bolletta del gas e nell’andare ad aumentare l’efficienza dei consumi di acqua calda e riscaldamenti nel proprio appartamento.

Per fare un esempio più pratico dei costi, va detto che un modello da 18 kW di potenza, consigliatissimo per un appartamento da 100 mq, andrà a costare fra i 1.000 ed i 3.000 euro (Iva compresa), ma come detto rispetto alle caldaie normali quelle a condensazione possono abbattere la spesa per il gas, anche del 20-25%, il che per un appartamento di 100 mq può significare un risparmio annuo di circa 150-200 euro.

Occorre aggiungere, a questi costi, circa un 250-500 euro per l’installazione da parte di un operatore specializzato, variabile anche a seconda dei vari attacchi da effettuare e dal tipo di lavoro da compiere, il quale rilascerà al cliente la necessaria certificazione di conformità.

Detrazione per acquisto caldaia

Vi sono possibili detrazioni in merito all’acquisto di una caldaia? A questa domanda, molto utile al consumatore che vuole mettersi un impianto a caldaia in casa, diamo una risposta di seguito.

Vi è in tal senso un bel bonus caldaia che viene in soccorso, ma vediamo rapidamente a chi spetta.

La detrazione in questa circostanza è del 65% e spetta a chi sostituisce impianti di climatizzazione invernale con caldaie a condensazione appartenenti alla classe A, con l’installazione integrata di Valvole di termoregolazione evolute, di classe V, VI o VIII. Pompe di calore.

La classe A è determinata dalla potenza della caldaia.

Questo, dunque è quanto di più necessario ci possa essere da considerare e conoscere in merito alla possibilità e alla volontà di installare nella propria casa una caldaia a condensazione, in merito a funzionalità dell’impianto e ai probabili costi di spesa iniziale e ammortizzazione successiva.

Come aprire uno shop online

Fare attività di vendita online, ormai, è un fattore decisamente in voga, ma come si fa ad aprire uno shop online e cosa comporta in termini pratici? Lo scopriamo nella nostra rapida guida.

Shop online, come aprirlo e come funziona

Dunque, per aprire un negozio online non servono ingenti capitali. Sia per quanto riguarda gli investimenti sia per gli adempimenti necessari all’avvio di un negozio online le spese sono più esigue rispetto a quelle utili per l’apertura di un negozio fisico su strada.

Tuttavia, se pur non siano richieste licenze o requisiti professionali particolari, per far sì che il proprio e-commerce funzioni occorre saper aprire uno shop accattivante, con prodotti e servizi innovativi e di tendenza, magari con un format capace di differenziarsi, per quanto possibile, dalla concorrenza presente online.

Cosa serve per aprire uno shop online

Sostanzialmente, per aprire un negozio online non occorre una location fisica.

In tal senso sarà sufficiente lavorare da casa, o da un piccolo ufficio in coworking (in smart working), eliminando conseguentemente anche i passaggi necessari alla scelta di una location fisica, con relativi costi che ne conseguono.

Per quel che concerne le dotazioni di base sarà sufficiente disporre di uno o più PC o computer, una connessione internet, fax e telefono, una stampante nonché software di gestione, ed un magazzino da cui attingere i prodotti che si vendono.

Di importanza fondamentale, per l’apertura di un negozio online sarà la pianificazione e la creazione di un format originale e concorrenziale sul web.

In tal senso, per aprire un negozio online sarà indispensabile, in primis, individuare e studiare la propria fetta di mercato.

Riuscire a definire un mercato specifico, puntando magari su nicchie o su prodotti particolarmente inclini alle proprie passioni e conoscenze, sarà molto utile nel rendere il proprio e-commerce competitivo ed affidabile, battendo la concorrenza.

Assieme a questo passaggio, sarà bene scegliere la gamma di prodotti da offrire nel proprio negozio online, insieme al reperimento di fornitori capaci di offrire prezzi concorrenziali, buona celerità nelle spedizioni, merce di qualità ed ovviamente affidabilità.

Come ultimo, ma non ultimo step, una volta creato il sito e-commerce sarà necessario dedicarsi all’acquisto di un hosting, ovvero del servizio che permette di posizionare su internet il negozio online. Insieme a questo step sarà di fondamentale importanza mettere in atto strategie di promozione, posizionamento e comunicazione online che contribuiscano ad un passaparola rapido e ad un’acquisizione più rapida di clientela.

Come creare uno shop online monoprodotto

Nei casi in cui si volesse vendere un solo prodotto o servizio su internet, tutto diventa più semplice.

Non occorre un sito web e-commerce con un catalogo, tanto meno occorre una logistica particolarmente complessa.

Quello che occorre è soltanto una pagina web dedicata specificamente alla vendita di quel prodotto o servizio, altresì detta landing page.

Questa pagina, supportata da una pubblicità ben fatta sui motori di ricerca o sui social network, viene progettata, sviluppata e comunicata esclusivamente per vendere online quel prodotto o servizio.

È uno strumento molto utilizzato ad esempio da scrittori che vendono il loro ultimo prodotto artistico, da aziende informatiche che intendono distribuire un nuovo software o da situazioni affini.

Partita IVA e altri requisiti da conoscere

Molti si chiedono se sia necessario aprire una partita IVA per aprire uno shop online.

Diciamo subito che per poter vendere online ed essere in regola, la Partita Iva è un requisito obbligatorio.

Quindi, vanno considerate delle tempistiche e delle opportunità da cogliere, ma è necessario affidarsi a professionisti che lo fanno di mestiere, senza lasciarsi convincere dal primo che passa.

Molto spesso per aprire uno shop online, è necessario registrarsi – con relative credenziali – a siti che permettono di appoggiarsi al proprio store di riferimento, come accade ad esempio su Amazon ed ebay, in modo da svolgere la propria attività di vendita (in alcuni casi di merce da collezionismo o di oggetti usati) in controllo e gestione per conto di un marchio esterno.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alle modalità per aprire uno shop online.

Permessi retribuiti per lavoro: ecco quanti e quali sono

In questa rapida ma esaustiva guida andremo a vedere come funziona il mondo dei permessi di lavoro, quali possono essere retribuiti e quanti sono quelli che si possono utilizzare.

Permessi retribuiti per lavoro: una carrellata

Eccoci di fronte ad una vera e propria guida esaustiva sul mondo dei permessi di lavoro. Nei prossimi paragrafi andremo a vedere quali sono e quanti sono i permessi che permettono una retribuzione.

Solitamente, nei contratti di lavoro troviamo due tipologie di permessi retribuiti diversi, entrambi devono essere indicati in busta paga: i ROL (Riduzione Orario di Lavoro) e le ex festività.

Inoltre, ci sono sia per i lavoratori del comparto privato che pubblico delle speciali tipologie di permessi retribuiti riconosciuti per particolari necessità, come nei casi in cui occorre assentarsi dal lavoro per sostenere un esame all’Università oppure quando si è subito il lutto di un familiare.

Tuttavia, vi sono anche dei permessi di lavoro che non sono retribuiti, ma che consentono l’assenza dall’impiego al lavoratore.

Vediamo nei prossimi paragrafi quali sono, nello specifico.

Permessi retribuiti: quante ore si possono prendere

Quante sono le ore di permesso che si possono ottenere, in via di retribuzione, sul lavoro? Questa è una delle domande più frequenti per i lavoratori.

Sostanzialmente, le ore di permessi retribuiti che spettano ai dipendenti prevedono per tutti i CCNL (Contratti Collettivi Nazionali Lavoro) le 32 ore derivanti dalle ex festività, ma risultano invece variabili i permessi retribuiti che si differenziano non solo per tipo di contratto, ma anche in base alle dimensioni della azienda.

Per conoscere in maniera specifica i permessi retribuiti che spettano al dipendente si dovrà quindi fare riferimento al CCNL, in modo da inquadrare in modo preciso la propria situazione.

Permessi retribuiti: quali sono

In questo paragrafo andiamo a vedere, in maniera elencata, quali sono i permessi retribuiti sul lavoro.

Questi permessi sono periodi temporali duranti i quali è concesso al dipendente, per particolari circostanze, di assentarsi dal lavoro senza che gli venga meno la retribuzione.

Trattasi di permessi che il lavoratore richiede in base alle sue necessità che non sempre è possibile accordare facilmente a quelle del datore di lavoro.
Datosi che i permessi e le ferie non goduti dovranno essere liquidati in busta paga, andando quindi a gravare sul bilancio aziendale.

Quelli che seguono sono tutti i permessi retribuiti possibili:

  • Ex festività
  • Lutto o grave infermità
  • Riduzione orario lavoro (ROL)
  • Partecipare a concorsi o esami
  • Motivi di studio
  • Donazione di sangue e midollo osseo
  • Cariche pubbliche elettive
  • Impiegati nei seggi elettorali
  • Motivi personali (non necessariamente specificati)
  • Matrimonio
  • Genitorialità imminente
  • Assistenza familiari con handicap

Ad ogni modo, va sempre sottolineato che i permessi retribuiti sono un’istituzione differente dalle ferie ed è diritto di ogni lavoratore avere a disposizione dei giorni in cui assentarsi dal lavoro senza perdere né il posto di lavoro tanto meno la retribuzione.

Alcuni permessi di lavoro, nello specifico

Vediamo, molto rapidamente, alcuni dei permessi di lavoro elencato, con qualche dettaglio in più.

Come funzionano, ad esempio le ore di permesso e le ex festività?

Si tratta di giorni di permesso che spettano quando una delle ex festività non più riconosciute dal nostro ordinamento cadono in un giorno lavorativo.

Come ad esempio, il 19 marzo (San Giuseppe) o l’ Ascensione (39° giorno dopo Pasqua).

Come funzionano i permessi per un concorso o esame?

Il permesso, in questi specifici casi, è valido solo per il giorno esatto dell’esame ed il lavoratore sarà tenuto a presentare una certificazione della Commissione esaminatrice, debitamente timbrata e firmata, allegata alla richiesta di permesso.

Questo, dunque è quanto di più necessario ed esaustivo da sapere in merito ai possibili permessi di lavoro retribuiti.