Conto corrente bloccato dall’Agenzia delle Entrate: quando può accadere?

Semmai dovesse capitarvi quella sensazione spiacevole di trovarvi col conto corrente bloccato è bene sapere alcune cose sulla questione. In questa rapida guida scopriremo quando può accadere e cosa fare eventualmente per risolvere la situazione del vostro conto corrente bloccato.

Conto corrente bloccato, cosa accade

In un periodo ancora in crisi economica e pandemica, l’Agenzia delle Entrate ha nel suo pieno diritto il potere di mettere mano sul conto corrente e bloccarlo, nei casi di indebitamenti. Cosa c’è da sapere in merito a questa incresciosa situazione, lo scopriamo nei prossimi paragrafi.

Dunque, quando si parla di pignoramento del conto corrente ci si riferisce a tutti quei soldi presenti in giacenza, sia accreditati come pensioni, sia come stipendi o semplicemente come risparmi. La fonte di provenienza non è quindi oggetto di eccezione, sarà sufficiente per l’Agenzia delle Entrate per mettervi mano e bloccare il conto corrente. Ogni somma è confiscabile, in caso di debiti insoluti.

Infatti, dal 2 novembre del 2021 e per tutti i mesi a seguire, l’incubo del “pignoramento” torna a bussare alla porta di milioni di italiani a seguito del via libera dato dal Governo Draghi all’Agenzia delle Entrate a riprendere in mano le procedure di notifica e riscossione.

Pignoramento e blocco del conto corrente: come funziona

Cosa accade, dunque, all’atto pratico a chi è in debito e si vede pignorare il conto corrente? La risposta è nel paragrafo che segue.

Qualora il debitore moroso non paga il debito entro 60 giorni dalla ricevuta notifica della cartella esattoriale, l’Agenzia delle Entrate ordinerà alla banca del debitore il blocco del conto corrente, per una somma che equivale all’ammontare del debito che non è stato riparato.

L’intestatario del conto riceverà un avviso, sempre dallo stesso Ente, mediante apposita comunicazione.

Quindi, ricapitolando la questione, è necessario non perdere tempo nel pagamento delle cartelle esattoriali.

Una volta superati i 60 giorni dalla notifica, se il debitore non provvede a regolarizzare la propria posizione debitoria l’Agenzia delle Entrate può disporre il blocco del conto corrente, con annessi risparmi, stipendi e pensioni.

Il conto corrente bloccato: cos’altro da sapere

Molti si chiedono, giustamente, se col conto corrente bloccato ci si vede perdere tutti i soldi su di esso.

La risposta è no. Fortunatamente, vi è una restrizione al prelievo forzoso sui soldi depositati presso la banca.

Se è vero che non è possibile sottrarsi dal potere del Fisco, lavoratori dipendenti, titolari di Partita IVA, pensionati e via dicendo, la legge pone un vincolo al potere assoluto dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Infatti, nel caso specifico, la normativa italiana stabilisce che in caso di pignoramento del conto corrente non tutti i soldi depositati possono essere trattenuti coattivamente.Una porzione delle disponibilità liquide deve essere lasciata ai debitori per poter tranquillamente far fronte alle necessità quotidiane.

In tal proposito i pensionati e i lavoratori e le lavoratrici dipendenti sono quelle categorie ad essere maggiormente tutelati dalla legge, a condizione che il debito da questi contratto non ecceda oltre misura.

Atto nullo nel blocco del conto corrente

Ma quando, invece ci si può tutelare e far diventare nullo l’atto a procedere del pignoramento e quindi del blocco del conto corrente?

Può capitare che l’Agenzia delle Entrate non svolga rigorosamente il suo lavoro, come segnalato da tanti contribuenti.

Le informazioni che sono contenute nell’atto di pignoramento potrebbero essere imprecise, carenti di dati ed informazioni sulla cartella esattoriale da pagare. Non sono rari i casi di notifiche di cartelle esattoriali in cui risulta solo l’ammontare del debito da pagare, senza i dati completi.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito al rischio e alle modalità di blocco del conto corrente, previa intervento dell’ Agenzia delle Entrate. Molto meglio non incappare in situazioni del genere e sdebitarsi per tempo.

Conto corrente che fa risparmiare di più: confrontiamo le offerte

Andiamo, in una rapida carrellata, nella nostra guida a confrontare alcune offerte tra le più vantaggiose proposte per aprire un nuovo conto corrente. Quali sono le opzioni più convenienti proposte, al momento dal mercato bancario? Vediamo in rapida successione quali offerte di conto corrente possono farvi risparmiare di più.

Conto corrente, di cosa si tratta

Innanzitutto, per chi non avesse ancora un conto corrente attivo e stesse pensando di aprirne uno, per porre al sicuro il proprio danaro, riassumiamo di cosa si tratta.

In maniera molto rapida ed esaustiva, possiamo dire che il conto corrente bancario altro non è che un mezzo di semplificazione per la gestione del denaro.

Nel conto corrente, il cliente deposita in banca il denaro, questa lo custodisce ed offre una serie di servizi, quali accredito dello stipendio o della pensione, pagamenti, incassi, bonifici, domiciliazione delle bollette, carta di debito, carta di credito, assegni.

Cosa sapere sui vantaggi del conto corrente

Innanzitutto, nella vasta gamma di opzioni di conto corrente che si possono trovare bisogna sapere come valutare i vantaggi.

Per poter ben scegliere un conto corrente occorre considerare diversi fattori, come i seguenti:

  • tipologia di accesso al conto (digitale o fisico);
  • canoni e costi di gestione e costi di commissioni (ma anche la possibilità di azzerarli, tipo accreditando lo stipendio o sottoscrivendo servizi aggiuntivi);
  • caratteristiche e funzionalità base ed extra;
  • costi eventuali per chiudere il conto.

Ovviamente, a queste valutazioni basiche, vanno a sommarsi altre considerazioni sui servizi da porre in valutazione per la scelta del conto corrente, come i seguenti:

  • costi di prelievi e versamenti ed eventuali commissioni per prelievi da sportello ATM di altre banche;
  • emissione e ricezione bonifici;
  • domiciliazione utenze;
  • possibilità di accredito stipendio o pensioni;
  • estratto conto;
  • comunicazioni banca;
  • carta debito base;
  • online banking;
  • possibilità di emissione e incasso assegni;
  • possibilità di aggiungere carte credito/debito;

Confrontiamo le offerte

Andiamo, dunque nello specifico a confrontare alcune delle offerte vantaggiose che le banche propongono per aprire un conto corrente.

CONTO ARANCIO ING

Il conto corrente Arancio ING è una opzione al 100% digitale con canone zero per il primo anno, vediamo in elenco le sue versatilità:

  • Apertura online e gratuita;
  • Canone zero per il periodo del primo anno, qualora si attivi il Modulo Zero Vincoli; alla scadenza del primo, anno il canone resta gratuito solo se vi si accredita lo stipendio (o la pensione) o avendo entrate di almeno 1.000 euro al mese, in caso contrario scatta un costo di 2 euro al mese;
  • Il costo di 34,20 euro annui di imposta di bollo per giacenze superiori a cifre di 5.000 euro;
  • Non vi è fruibilità al di fuori dell’online;
  • Prelievi a titolo gratuito con modulo Zero Vincoli, in caso contrario il costo è di 75 centesimi;
  • Bonifici SEPA gratuiti online o dal telefono, mentre il costo varia a 2,50 euro euro da telefono senza l’opzione Zero Vincoli;
  • Estratto conto gratuito online, 5,00 euro nella versione cartacea;
  • Carta Prepagata Mastercard virtuale;
  • Canone zero per carte di debito, 2,00 euro al mese, invece per carte di credito;
  • Modulo gratuito all’anno per gli assegni, con Zero Vincoli, 7,50 euro l’uno in caso contrario.

 

CONTO BANCA WIDIBA

Widiba è una banca digitale appartenente al Gruppo Monte Paschi di Siena. Il suo conto corrente Start è completamente digitale e va a presentare costi ridotti e canone azzerabile, vediamo nel dettaglio i servizi di seguito:

  • Apertura online e totalmente gratuita;
  • Canone zero per il primo anno, poi il costo passa a 3,00 euro al trimestre che potranno essere ridotti o azzerati ad alcune ulteriori condizioni;
  • Imposta bollo al costo di 34,20 euro annui per giacenze superiori a 5.000 euro
  • Presenza di filiale, oltre all’accesso online
  • Prelievi gratuiti se superano i 100,00 euro;
  • Bonifici gratuiti online, con costo invece di 3,00 euro da sportello MPS o altri sportelli italiani ed UE;
  • Estratto conto gratuito online, 1,60 euro per quello cartaceo;
  • Nessun canone per carte di debito, mentre il costo è 1,60 euro al mese per quelle di credito;
  • Possibilità di trading online;
  • PEC e firma digitale sono incluse.

CONTO CREDIT AGRICOLE

Il conto corrente Credit Agricole offre un conto adatto soprattutto a giovani e alle famiglie, ma anche PMI e professionisti, essendo completamente digitale, a canone azzerato e altamente personalizzabile, vediamo di seguito i servizi proposti:

  • Apertura: online, gratuita;
  • Canone zero;
  • Imposta bollo: 34,20 euro/anno per giacenze superiori a 5.000 euro;
  • Prelievi gratuiti presso sportelli Credit Agricole, 2,10 euro presso altri sportelli italiani;
  • Bonifici: gratuiti online, 2,00 euro da sportello Credit Agricole, 2,10 euro presso altri sportelli italiani e area Euro;
  • Estratto conto gratuito online, 0,85 euro cartaceo;
  • Utilizzabile online e previa filiale;
  • Pagamento c/c allo sportello;
  • Nessun canone per carte di debito, mentre il costo è 2,60 euro al mese per carte di credito con modulo Full;
  • POS incluso per categorie di professionisti e artigiani;
  • Cashback fino a 100 euro in buoni Amazon per aperture del conto effettuate entro il prossimo 18/04/2022

Conto corrente WEBANK

Andiamo, in ultimo, ma non per questo ultimo in graduatoria, a vedere l’offerta proposta da WeBank.

WeBank appartiene al gruppo di Banco BPM, ed è gestibile sia online che in filiale e fa maturare interessi sulle giacenze come un conto deposito, approfondiamo di seguito:

  • Apertura effettuabile online, totalmente gratuita;
  • Canone fisso di 2 euro al mese;
  • Prelievi a titolo gratuito in Italia e UE;
  • Bonifici gratuiti online, mentre 3,00 euro di costo previa sportello;
  • Estratto conto gratuito online, con costo invece di 1,25 euro per quello cartaceo;
  • Nessun canone per carte di debito, credito ed anche prepagata, ma costo di 12,00 euro all’anno per carte credito aggiuntive
  • Interessi annuali 0,10% lordo a deposito libero per cifre oltre 2.000 euro.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito ad alcune delle più vantaggiose offerte per aprire un conto corrente in questo 2022.

Busta paga e ROL: cosa sono e come si richiedono

Cosa sono i permessi ROL e come si richiedono, come si utilizzano in busta paga e tutto quello che c’è da sapere in merito. Nella nostra guida le risposte in merito alla questione.

ROL di cosa si tratta

Quando si parla di ROL si fa riferimento a dei permessi lavorativi presenti in busta paga, la loro finalità è quella di garantire al lavoratore maggior tempo da poter dedicare ai propri interessi ma servono anche a far fronte alle esigenze personali e familiari, evitando di ricorrere alle giornate di ferie e quindi di perdere il diritto alla retribuzione.

L’acronimo ROL sta per Riduzione Orario Lavoro.

Sostanzialmente, l’ammontare delle ore di ROL che spetta ad ogni singolo lavoratore cambia in relazione al contratto collettivo applicato in azienda, così come la modalità di fruizione.

Nei prossimi paragrafi andremo a vedere qualcosa in più in merito alla questione dei ROL.

A chi spettano i ROL e come richiederli

Andiamo, dunque a vedere qualcosa in più in merito ai permessi ROL in busta paga. Come è possibile richiederli e chi può averne diritto?

I permessi ROL spettano ai lavoratori dipendenti qualora essi siano a tempo determinato ed anche indeterminato, compresi i soci lavoratori nelle cooperative di produzione e lavoro.

Mentre i lavoratori parasubordinati e autonomi sono esclusi dalla possibilità di usufruire dei ROL, come loro anche tirocinanti e stagisti sono tagliati fuori da questo diritto.

Per concedere al dipendente l’utilizzo dei permessi ROL va dato adito al datore di lavoro la modalità, così come avviene per le ferie. Ad ogni modo, l’azienda deve tener conto delle esigenze personali del dipendente che non devono contrapporsi con quelle produttive del datore di lavoro.

In sostanza, la decisione di far fruire dei permessi ROL al dipendente può essere frutto di un’iniziativa del datore di lavoro ma anche far seguito ad una specifica richiesta fatta dal lavoratore di poterne usufruire ed assentarsi dal lavoro.

Permessi ROL, cosa occorre sapere ancora

In ultima analisi, andiamo a vedere cos’ altro c’è da sapere in merito ai permessi ROL, come ad esempio quando scadono e quanti ne spettano al dipendente.

I contratti collettivi possono fissare un tempo limite, quindi un termine, entro cui i permessi ROL devono essere consumati dai dipendenti. Ad esempio goderne entro una certa età o entro un determinato anno lavorativo.

In caso di residui di ROL alla scadenza, generalmente è prevista la liquidazione in busta paga senza che il lavoratore possa più godere dei ROL.

Ad ogni modo, viene concesso ai dipendenti la possibilità di chiedere la monetizzazione dei permessi ROL in busta paga, in ogni momento.

Per quanto riguarda il monte ore ROL spettante viene definito dai singoli contratti collettivi. Per esempio, stando al CCNL Commercio e terziario – Confcommercio al lavoratore spettano 56 ore annue per le aziende fino a 15 dipendenti, aumentate a 72 ore per le realtà con più di 15 dipendenti.

Mentre per CCNL Edilizia – industria, così come il CCNL Centri elaborazione dati, son previste 88 ore all’anno.

Retribuzione in busta paga dei ROL

In conclusione vediamo come funzionano i ROL in busta paga in questo ultimo paragrafo.

Per quanto concerne le ore di assenza a titolo di permessi ROL è spettante la stessa retribuzione riconosciuta al dipendente che svolge il lavoro regolarmente.

I compensi avendo natura retributiva per i permessi ROL costituiscono base imponibile sia ai fini contributivi che fiscali.

Ogni qualvolta che i permessi ROL vengono utilizzati od anche monetizzati sarà necessario darne evidenza in busta paga ed anche sul Libro Unico del Lavoro.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere in merito ai permessi ROL in busta paga per i dipendente che ne hanno diritto.

Truffe: come difendersi da Phishing e Smishing

Che cosa sono il Phishing e lo Smishing, questi singolari sistemi di truffa? E come difendersi per evitare di cadere nelle trappole? Scopriamolo in questa rapida guida sull’argomento.

Phishing, di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo col comprendere cosa si intende con il termine Phishing.

Con la parola Phishing si fa riferimento ad una truffa informatica che viene effettuata inviando un’e-mail con il logo contraffatto di un istituto di credito o di una società di commercio elettronico, in cui si invita il destinatario a fornire dati riservati (come il numero di carta di credito, password di accesso al servizio di home banking, ecc.), motivando tale richiesta con ragioni di ordine tecnico.

Come difendersi dalle truffe via mail?

La miglior difesa contro questo tipo di minaccia è senza dubbio la consapevolezza: soprattutto per quanto riguarda gli ambienti aziendali, dove molti account sono attivi ogni giorno ed allo stesso tempo – e non sono in pericolo solamente dati privati, ma anche informazioni di clienti e dell’impresa stessa – non ci si può permettere di esporsi. 
Il maggior pericolo, spesso si palesa nella cartella degli Spam, dove queste mail particolari trovano il loro approdo.

Smishing di cosa si tratta

Scopriamo, invece cosa si intende con il termine Smishing, altro sinonimo di possibile raggiro telematica.
Lo smishing non è altro che una forma di phishing che utilizza i telefoni cellulari come piattaforma di attacco. Il truffaldino mandatario compie l’attacco con l’intento di raccogliere informazioni personali, compresi il codice fiscale e/o il numero di carta di credito. Lo smishing viene attuato attraverso messaggi di testo o SMS, da cui deriva il nome “SMiShing”.

Come difendersi dallo Smishing

Attraverso un messaggio di testo l’hacker può tentare di raggiungere diversi tipi di risultati. Questo, come anticipato poco sopra, include il furto di dati personali dell’utente, spacciandosi per un rappresentante della sua banca o del gestore telefonico o in alcuni casi per compagnie di consegna pacchi, con apposito link fittizio su cui cliccare.

Può cercare, infatti, di far cliccare l’utente su un collegamento incluso nel messaggio di testo per connettersi al sito web di un surrogato della banca o dell’azienda falsificata e verificare un recente addebito sospetto o un pacco in arrivo. Qui potrebbe essere richiesto di chiamare il numero del servizio clienti, incluso per comodità nel messaggio di testo, per carpire informazioni personali.

Un altra tipologia di attacco smishing è un’offerta del provider che propone uno sconto su un servizio o un aggiornamento del telefono. Il messaggio esorta a cliccare sul collegamento fornito per attivare l’offerta. Una volta raggiunta la pagina web falsificata che riproduce il sito del provider, il sito chiede di confermare il numero di carta di credito, l’indirizzo e magari anche il codice fiscale.

Vediamo, di seguito alcune rapide informazioni per evitare di abboccare allo Smishing:

  • Considerare gli avvisi urgenti sulla sicurezza e i messaggi urgenti di riscatto di coupon, offerte e affari come campanelli d’allarme per un tentativo di hacking.
  • Nessun istituto finanziario o commerciante invierà un SMS in cui chiede di aggiornare le informazioni del conto o di confermare il codice del bancomat.
  • Non bisogna mai cliccare un link o un numero di telefono presenti in un messaggio di cui non si è sicuri.
  • Prestare attenzione ai numeri sospetti che non sembrano numeri di telefono reali, come ad esempio “5000”. Come sostiene Network World , questi numeri sono collegati ai servizi che inviano SMS direttamente dalle caselle di e-mail, che spesso sono usati dai truffatori per evitare di fornire il loro reale numero di telefono.
  • Evitare di conservare i dati bancari o della propria carta di credito sullo smartphone. Evitando ciò, i truffatori non le possono rubare neppure se immettono un malware nello smartphone.

Questo è quanto di più utile e necessario da sapere in merito alle pericolosità di Phishing e Smishing.

CDS cosa sono e come funzionano

In questa rapida guida entreremo nel mondo dei CDS, per capire di cosa si tratta e come funzionano questi particolari strumenti finanziari.

CDS, che cosa sono

Noti con l’acronimo CDS, i Credit Default Swap sono degli strumenti finanziari derivati, usati per gestire i portafogli dei titoli.

I credit default swap esistono dal 1994, grazie ad una idea di JP Morgan (multinazionale americana). Sono poi aumentati nei primi anni 2000. Mentre nella fine del 2007, l’ammontare in circolazione del CDS era di 62,2 trilioni di dollari, sceso a 26,3 trilioni di dollari entro la metà del 2010 e riferito a 25,5 miliardi di dollari all’inizio del 2012.

I CDS va aggiunto che non sono negoziati in borsa e non vi è alcuna segnalazione obbligatoria delle transazioni ad un’agenzia governativa.

Ma, andiamo nello specifico a capirne di più, in merito ai CDS.

Sostanzialmente, il credit default swap non è altro che un contratto derivato di credito tra due controparti. L’acquirente effettua pagamenti periodici al venditore, ricevendo in cambio un pagamento se uno strumento finanziario sottostante viene impostato su default o si verifica un evento di credito simile.

Va precisato che il Credit Default Swap può fare riferimento ad un’obbligazione specifica di prestito o obbligazione di “entità di riferimento”, in genere una società o un governo.

CDS, come funzionano

Andiamo, in maniera rapida ed esaustiva a sapere qualcosa in più di questi strumenti finanziari.

Nei casi di inadempienza, l’acquirente del CDS riceve un compenso e il venditore del CDS prende possesso del prestito insoluto. Ad ogni modo, chiunque può acquistare un CDS, pure i compratori che non possiedono lo strumento di prestito e che non posseggono interessi diretti assicurabili sul prestito, in tal caso si parla di CDS scoperti. Se esistono più contratti CDS in circolazione rispetto alle obbligazioni esistenti, troveremo un protocollo per tenere un’asta di un evento di credito; di solito, il pagamento ricevuto è inferiore al valore nominale del prestito.

Chi può usare i dati sui CDS?

Di norma, i dati sui CDS possono essere utilizzati dai professionisti finanziari, dalle autorità di regolamentazione ed anche dai media per poter visionare il modo in cui il mercato considera il rischio di credito, di qualsivoglia entità su cui è disponibile un CDS.

La maggior parte dei CDS sono documentati usando moduli standard redatti dall’International Swaps and Derivatives Association (nota come ISDA), sebbene vi siano diverse modalità. A parte gli swap di base single-name, possiamo trovare swap predefiniti per i pani (BDS), CDS su indici, CDS finanziati (noti come credit-linked ), ed anche credit default swap su prestiti (LCDS). Oltre alle società e ai governi, l’entità di riferimento può avere inclusa una società veicolo che emette titoli garantiti da attività.

Va aggiunto che i CDS possono essere utilizzati per creare posizioni sintetiche lunghe e corte nella specifica entità di riferimento. I CD Naked sono quelli che costituiscono la maggior parte del mercato dei CDS. Infine, i CDS possono essere utilizzati anche nell’arbitraggio della struttura del capitale.

Vediamo alcuni esempi di CDS

In ultimo andiamo a vedere qualche esempio per rendere più chiaro il concetto di funzione dei CDS.

Se in una specifica ora di un giorno preciso, l’assicurazione dal fallimento sul titolo obbligazionario della Repubblica Italiana viene scambiata a 255,5 punti base, significa che per sottoscrivere quell’assicurazione sul default dello stato dovemmo pagare il 2,56% dell’investimento nel titolo. Quindi, per poter assicurare 1 milione di euro investiti in BTP, sarà necessario investire 25.550 euro in CDS.

Andiamo a vedere un secondo esempio.

Supponendo che un investitore acquisti un CDS da AAA-Bank, in cui l’entità di riferimento è Risky Corp, l’ investitore, quindi acquirente della protezione, verserà pagamenti regolari a AAA-Bank, il venditore di protezione. In caso di inadempimento del debito da parte di Risky Corp, l’investitore riceve un pagamento una tantum da AAA-Bank e così viene risolto il contratto CDS.

Questo dunque è quanto di più essenziale ed utile da sapere in merito ai funzionamenti e alle specifiche finanziare di un CDS.

Sanzioni auto senza revisione: cosa si rischia

Gli automobolisti che circolano senza la revisione possono rischiare multe molto salate e non solo. Andiamo a vedere, nello specifico, nella nostra guida a quali sanzioni si va incontro in certe circostanze.

Revisione auto, di cosa si tratta

Andiamo, innanzitutto a specificare di cosa si tratta quando si parla di revisione, per coloro che ancora non posseggono un’automobile e stanno magari pensando di acquistarne una.

Con la revisione dell’auto si fa riferimento ad un controllo ben delineato e approfondito delle funzionalità della vettura.

Sostanzialmente, la revisione è una procedura imposta dalla casa automobilistica e deve essere effettuata a quattro anni dalla prima immatricolazione, per poi essere ripetuta ogni due anni. Il tagliando è una procedura imposta dalla legge e serve a garantire la massima sicurezza di ciascun veicolo, senza cadenze temporali prefissate.
In via eccezionale, la revisione potrebbe essere imposta anche in periodi diversi dalle scadenze normali appena viste; questo può accadere quando ci siano sospetti sul corretto funzionamento del veicolo. O, in casi in cui l’auto sia incidentata. Anche qualora sorgano dubbi sulla persistenza dei requisiti di sicurezza, come rumorosità ed inquinamento, si possono ordinare in qualsiasi momento la revisione di singoli veicoli.
In pratica, se la polizia dovesse notare che un veicolo presenta delle sospette anomalie (ad esempio: fumo nero dalla marmitta, particolare rumorosità nella marcia), può trasmettere la segnalazione alla Motorizzazione, la quale convocherà il proprietario del veicolo per effettuare una revisione straordinaria.

Revisione auto scaduta, cosa si rischia

Dunque, cosa si rischia quando la revisione auto è scaduta e non è stata effettuata nuovamente?

Secondo l’ articolo 80 del Codice della Strada è prevista per la violazione una sanzione amministrativa che varia dai 169 ai 680 euro: gli importi vengono raddoppiati se la revisione è stata omessa più di una singola volta.

Oltre alla sanzione, si incorre nel divieto di circolazione fino a revisione effettuata. Chi invece circola anche durante il periodo di sospensione, rischia una multa fino a 7.993 euro, inoltre, all’accertamento di questa violazione consegue la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo per un tempo di novanta giorni. In caso di reiterazione delle trasgressioni, si applica la sanzione accessoria della confisca del veicolo.

Insomma, non esattamente dei rischi da correre a cuor leggero per gli automobilisti.

Tuttavia, vi è una regola esclusiva che si applica nel caso in cui il veicolo sprovvisto di regolare revisione circoli in autostrada. Nel caso specifico, oltre al pagamento della sanzione da 173 a 694 euro, è sempre disposto il fermo del veicolo che verrà restituito al conducente, proprietario o legittimo detentore, ovvero a persona delegata dal proprietario, soltanto dopo la prenotazione per la visita di revisione.

Ma quanto costa la revisione dell’auto?

Partiamo col dire che il costo da pagare è 45 euro se la revisione viene effettuata presso la Motorizzazione Civile (con versamento da effettuare in anticipo su bollettino postale prestampato 9001), ma sale ad una quota di 66,88 euro se si utilizzano le officine private autorizzate.

Va aggiunto però un aumento di circa 9 euro, attuato nel corso del 2021 per decreto attuativo del Ministro dei Trasporti, attualmente ancora vigente.

Revisione falsa, cosa si rischia?

Vi possono essere casi truffaldini, di automobilisti che circolano con una revisione auto falsa, quindi non valida ed illegittima. Cosa rischia, in tal senso l’automobilista lo vediamo di seguito.

Possiamo, molto brevemente dire che coloro che producono agli organi competenti attestazione di revisione falsa sono perseguibili con sanzione amministrativa di una somma che varia da 430 a 1.731 euro. Da tale violazione deriva la sanzione amministrativa accessoria del ritiro della carta di circolazione.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito ai rischi che si incorrono nel non effettuare la revisione auto, una volta scaduta. Meglio, quindi tornare alla guida con tutti i requisiti del caso, prima di rischiare grosso.

Dichiarazione redditi 2022: tutti i consigli dell’ADE

Come ottemperare alla dichiarazione redditi 2022? L’ Agenzia delle Entrate (ADE) rivela alcuni consigli in merito alla questione e mette a disposizione una dichiarazione precompilata. Scopriamo di più in questa nostra rapida guida.

Consigli rapidi per la dichiarazione redditi 2022

Andiamo a vedere, di seguito alcuni rapidi consigli che la Agenzia delle Entrata mette a disposizione per chi si appresta, magari per la prima volta a effettuare la propria dichiarazione dei redditi, nel 2022 in corso.

Per effettuare in maniera più completa e corretta la dichiarazione precompilata 2022 che sarà disponibile a partire dal 30 aprile 2022 stiliamo una serie di consigli di seguito:

  • verificare i dati dei propri fabbricati e terreni
  •  comunicare al datore di lavoro i dati del coniuge e dei familiari a carico
  •  comunicare opposizione se non si vogliono rendere disponibili i dati sulle spese sanitarie 
  •  se non si vuol rendere disponibili i dati sulle spese universitarie comunicare l’opposizione
  •  se non si vuol rendere disponibili le rette per la frequenza degli asilo nido anche in questo caso comunicare l’opposizione
  •  se non si vuol rendere disponibili i dati relativi alle erogazioni liberali a favore degli enti del Terzo Settore comunicare l’opposizione
  •  Ed ovviamente, ancora, comunicare l’opposizione se non si vuol rendere disponibili i dati relativi alle spese scolastiche e alle erogazioni liberali agli istituti scolastici.

Queste sono delle direttive basiche per rendere al meglio la propria dichiarazione redditi 2022, ma cosa altro ancora c’è da sapere in merito alla questione?

Cosa è l’opposizione e come comunicarla?

Abbiamo visto nei passaggi sopra elencati che è necessario comunicare una opposizione in caso di volontà di non comunicare alcuni dati.

Ma, cosa si intende per opposizione e come comunicarla, lo scopriamo di seguito.

Ogni cittadino che ha compiuto i 16 anni di età (oppure chi ne fa le veci, in caso differente) può decidere di non rendere disponibili all’Agenzia delle Entrate alcuni dati e di non farli inserire nella precompilata della dichiarazione redditi. Di conseguenza, nel caso in cui si fosse fiscalmente a carico di un familiare, quest’ultimo non visualizzerà le relative informazioni su spese sanitarie e rimborsi per cui è stata fatta “opposizione all’utilizzo”.

Andiamo a vedere, di seguito come precedere, nello specifico per comunicare tale opposizione.

Per quanto riguarda le spese e i relativi rimborsi inerenti all’anno trascorso del 2021, l’opposizione può essere effettuata seguendo due differenti modalità:

  • A partire dal 16 febbraio fino al 15 marzo 2022, accedendo all’area autenticata del sito web dedicato del Sistema Tessera Sanitaria, tramite utilizzo di tessera sanitaria TS-CNS oppure tramite SPID. In questa modalità, sarà possibile consultare l’elenco delle spese sanitarie e selezionare le singole voci per le quali esprimere la propria opposizione all’invio dei relativi dati all’Agenzia delle Entrate per l’elaborazione della dichiarazione precompilata
  • Mentre dal primo ottobre 2021 fino all’ 8 febbraio 2022, lo si può fare comunicando direttamente all’Agenzia delle Entrate tipologia (o le tipologie) di spesa da escludere, dati anagrafici (nome e cognome, luogo e data di nascita), codice fiscale, numero della tessera sanitaria e relativa data di scadenza.

La suddetta comunicazione può essere effettuata in due modalità:

  • inviando una mail alla casella di posta elettronica dedicata opposizioneutilizzospesesanitarie@agenziaentrate.it
  • telefonando a un centro di assistenza multicanale (numero verde 800909696, 0696668907 da cellulare, +39 0696668933 dall’estero)

In ogni caso in cui si utilizza il modello è necessario allegare anche la copia del documento di identità.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere su quanto consigliato per la prossima dichiarazione redditi 2022.

Bonus stufe a pellet 2022: tutto quello che c’è da sapere

Prima che arrivi il prossimo inverno, è sempre bene prepararvisi al meglio. Quindi, magari andando a sapere qualcosa in più sulle stufe a pellet e sul bonus apposito del 2022, per scaldarsi in maniera più conveniente. Vediamo, dunque, tutto quello che c’è da sapere sul bonus stufe a pellet.

Bonus stufe a pellet 2022

Partiamo subito col dire che le stufe a pellet sono un modo efficiente, economico ed ecologico per riscaldare la propria casa. Hanno un ottimo rapporto resa/prezzo e anche quest’anno stanno prendendo sempre più piede in Italia, in sostituzione di altri combustibili più costosi e meno ecologici, come ad esempio il gas.

In linea di completamento, il pellet deriva dalla segatura. In pratica, questa segatura viene pressata e legata con una sostanza naturale, così da ottenere la tipica forma cilindrica. Il pellet rappresenta quindi una forma di combustione ecologica non tossica, come la legna, ma meno costosa.

Lo stato ha pensato bene a degli incentivi validi dal 2020. Tre sono i possibili incentivi, o meglio bonus stufe a pellet, di cui usufruire:

  1. Bonus ristrutturazione pari al 50%. Un bonus valido solo se insieme all’acquisto della stufa a pellet, si effettua anche un intervento di ristrutturazione sul proprio immobile. Si tratta di una detrazione fiscale IRPEF da chiedere in fase di dichiarazione dei redditi.
  2. Ecobonus 65%, al quale si può aderire se si acquista soltanto la stufa a pellet, quindi senza ristrutturazione della casa. Si tratta di una detrazione fiscale IRPEF da chiedere in fase di dichiarazione dei redditi.
  3. Sconto in fattura del 65%, per ottenere lo sconto immediato direttamente sul prezzo di acquisto, quindi non occorre fare la dichiarazione dei redditi per ottenere il bonus.

Inoltre vi è la possibilità di detrazione.

Detrazione IRPEF, quando è possibile

Sono due i tipi di bonus che prevedono la detrazione IRPEF:

  1. Bonus con ristrutturazione;
  2. Bonus senza ristrutturazione, solo con acquisto di stufa a pellet, senza lavori in casa.

Vediamo, nello specifico di cosa si tratta.

Detrazione con ristrutturazione

Si ha diritto ad una detrazione IRPEF del 50% della spesa (costo stufa a pellet + montaggio) nel caso in cui si effettuino lavori di ristrutturazione sul proprio immobile, che si tratti di manutenzione ordinaria, straordinaria o di restauro, su singolo immobile o su condominio. Il massimo di spesa è pari a 96.000 euro, ciò significa che si può ottenere una detrazione massima di 48.000 euro.

Il costo della stufa a pellet può rientrare nella spesa detraibile, necessariamente se si acquisti la stufa durante i lavori e che i lavori siano in regola (se la legge prevede particolari autorizzazioni come CILA, ecc.).

Detrazione senza ristrutturazione

Qualora la casa non sia in via di ristrutturazione, ma ci sia solo necessità di comprare la stufa a pellet, si può usufruire dell’ecobonus, che garantisce una detrazione IRPEF del 65% su costo e spese di installazione della stufa. Si può aderire a tale bonus solo se la stufa a pellet possiede tutti i seguenti requisiti in elenco:

  1. È almeno in classe 3 (rendimento minimo 85%);
  2. Non supera determinati limiti di emissione (stabiliti dal D. Lgs. n. 152/2006);

In ultimo, ma non ultimo, vi può essere una possibilità di sconto in fattura, andiamo a vedere come è attuabile.

Bonus con sconto in fattura

Per quanto riguarda i vantaggi visti fin adesso, consistono in una detrazione fiscale, quindi per ottenere il rimborso IRPEF pari al 50 o al 65% (a seconda che si sia chiesto il bonus ristrutturazione o senza ristrutturazione), si ottiene il rimborso tramite la dichiarazione dei redditi e con rate annuali. Quindi se per esempio si ha diritto a un rimborso IRPEF di 8.000 euro, allora si avranno 800 euro di rimborso all’anno.

C’è però un modo per ottenere subito il rimborso che spetta, grazie alla novità introdotta nell’estate 2019 e valida anche per l’acquisto di stufe a pellet per tutto il 2020: bonus stufe a pellet con sconto in fattura.

Occorre precisare una cosa: si può accedere a tale incentivo solo se il negoziante, ossia il venditore/installatore della stufa, aderisce a questa iniziativa. In pratica infatti, si tratta di una cessione di credito: il credito IRPEF a cui il cliente ha diritto (ossia il 65% del costo della stufa + installazione) lo si trasferisce al negoziante, il quale poi lo scarica per conto suo.

Quindi il negoziante andrà a scontare il 65% dalla fattura e a sua volta, compensando le tasse dovute con questo credito che gli è stato trasferito dal cliente.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alle possibilità di vantaggi e bonus stufe a pellet, in questo 2022.

Cartelle esattoriali: quali non si pagano più?

In questa rapida guida andiamo a vedere come comportarsi davanti all’arrivo delle cartelle esattoriali, per il calcolo finale da versare al Fisco.

Cartelle esattoriali: quali pagare e quali no

Spesso ci si ritrova davanti ad una combinazione di cartelle esattoriali differenti, alcune inerenti ad anni passati. E a tal proposito viene da chiedersi quali sono ancora attive a pagarsi e quali no.

Anche perché molto spesso viene inviata al debitore un’unica cartella di pagamento, senza il calcolo finale da sborsare. Vediamo quindi come comportarsi.

Può capitare, dunque, che molti italiani si trovino di fronte debiti riferiti a molti anni fa e che nessun ufficio si è mai preso la briga di cancellare senza un ordine di un tribunale. Talvolta, capita anche che qualcuno, per incompetenza o distrazione, paghi ciò che non è dovuto pagare. Ecco perché andremo a vedere dunque come fare questa semplice verifica.

Cartelle condonate, come funzionano

Innanzitutto, prima di andare ad indicare l’elenco delle cartelle che, a causa del decorso di tempo, non vanno più pagate, va ricordato che il Governo Conte ha condonato tutti i debiti iscritti a ruolo nel periodo che va dal 2000 al 2010 di importo fino a mille euro. Questi non vanno, quindi, pagati. La cancellazione dagli elenchi dell’Esattore è qualcosa che avviene automaticamente, senza richiesta del contribuente. Nella stessa cartella potremmo trovare riportati anche più ruoli, per cui il totale della cartella può superare mille euro: l’importante è controllare che il singolo tributo non sia superiore di mille euro.

Tutti i contribuenti possono usufruire e beneficiare del condono. Il condono ovviamente riguarda sia le cartelle prescritte che quelle non prescritte.

Estratto della cartella, come verificare

Ciascuna cartella di pagamento deve essere “motivata”, ovvero contenere un dettaglio nel quale sono indicati gli estremi delle imposte non versate. Vediamo i dati utili ai fini della questione di seguito:

  • il tipo di tassa (Imu, Irpef, Iva, bollo, ecc.) e il relativo codice;,
  • l’anno a cui il tributo non versato si riferisce ed in cui andava pagato;
  • gli oneri di riscossione e gli interessi
  • il numero di ruolo e la data in cui il ruolo è stato reso esecutivo;
  • l’importo del tributo iscritto a ruolo;
  • il nome dell’ente impositore (Agenzia Entrate, Comune, Regione, Inps, ecc.);
  • il responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo a cui rivolgerti.

In caso, il contribuente avesse ricevuto un’ intimazione di pagamento (ovvero con cui è sollecitato un pagamento che si sarebbe dovuto già fare entro 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale e che non è stato eseguito) si vedrà anche:

  • il numero della o delle cartella/e di pagamento non versate;
  • la sua data di notifica.

Qualora non riusciate a trovare tali dati o si fosse smarrita la cartella si potrà chiedere un estratto di ruolo online o allo sportello in cui troverai tutti i dettagli che ti servono.

Alla fine della fiera, ciò che più è importante per stabilire quali cartelle non si pagano più è la data di riferimento dell’imposta o la data di notifica dell’ultima cartella, in caso di intimidazione.

Se la data supera i termini specifici, vuol dire che si è formata la prescrizione e che quindi non sarà dovuto pagare nulla. Il tutto però a condizione che nel frattempo non abbiate mai ricevuto una raccomandata con un sollecito, la quale avrebbe l’effetto di interrompere i termini e farli decorrere da capo.

Alcuni esempi di termine in scadenza

Per quanto riguarda la data Irpef, ad esempio, se la cartella di pagamento indica che non è stato pagato l’Irpef, non sono da pagare le somme che si riferiscono a più di 10 anni da quando è stata ricevuta la cartella stessa. Se invece si tratta di una intimazione di pagamento, devono essere decorsi 10 anni dalla notifica della cartella.

Per quanto riguarda, invece Imu, Tasi e Tari, sono di competenza comunale e come tutte le imposte locali cadono in prescrizione dopo un tempo di cinque anni.

Questo, dunque, è quanto di più utile e necessario da sapere in merito alla questione delle cartelle esattoriali.

Cartelle esattoriali: cosa sono, cosa si rischia e come pagarle a rate

Per i contribuenti, le cartelle esattoriali sono sempre un brutto carico pendente per le proprie economie. Cosa si rischia se non si pagano, quando e come si possono pagare a rate, ma soprattutto cosa sono realmente le cartelle esattoriali. Lo scopriamo nella nostra guida.

Cartelle esattoriali: di cosa si tratta

Le cartelle esattoriali non sono altro che un atto con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione chiede il pagamento delle somme che risultano a debito del contribuente dopo un controllo effettuato dall’ente creditore.

Sostanzialmente, il contribuente quando si vede recapitare una cartella esattoriale ha due opzioni:

la prima è quella di saldare l’importo richiesto, magari facendo domanda di pagamento a rate. La seconda opzione è quella di fare ricorso al giudice di pace entro 30 giorni dalla notifica.

Per ottenere la pace fiscale, tutte le informazioni su come pagare le cifre dovute per la rottamazione ter e il saldo e stralcio si trovano sul sito dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, e sul bollettino allegato alla “Comunicazione delle somme dovute”.

Come pagare a rate le cartelle esattoriali

Dal 2022, ovvero da quest’anno, è attuabile il pagamento a rate con il decreto Milleproroghe.

In sostanza, con tale decreto si è concessa la possibilità ai contribuenti decaduti dalla pace fiscale di chiedere una nuova rateizzazione degli importi da pagare. Questa possibilità è dedicata ai decaduti prima del periodo di sospensione del decreto Cura Italia, ovvero quel primo provvedimento emergenziale che ha bloccato i versamenti che erano dovuti dall’8 marzo 2020 fino al 31 agosto 2021.

Dunque, la nuova rateizzazione va a prevedersi per tutte le domande presentate dal 1° gennaio al 30 aprile 2022.

Come pagare le cartelle esattoriali

Il raggiungimento della pace fiscale va ottenuto con una serie di procedure che permettono al contribuente indebitato, con contenzioni pregressi di chiudere le cartelle in modo agevole, senza dover pagare sanzioni e interessi.

Le modalità per pagare sono diverse. In primo luogo, l’importo da pagare è quello riportato nei bollettini contenuti nella “Comunicazione delle somme dovute”.

bollettini di pagamento si possono scaricare semplicemente dal sito dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, accedendo alla propria area riservata. Ulteriore opzione di pagamento, che non prevede l’uso di pin e password è quella di richiedere una copia della “Comunicazione delle somme dovute”.

Per poter effettuare il pagamento del bollettino allegato alla “Comunicazione delle somme dovute” del saldo e stralcio o della rottamazione-ter si possono scegliere le opzioni di seguito:

  • il servizio “Paga on-line”, disponibile sia sul sito dell’AdeR che sull’app EquiClick permette di usare i canali telematici delle banche, di Poste Italiane e di tutti gli altri Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP) aderenti al nodo pagoPA;
  • pagare presso uno sportello fisico.

Cosa si rischia se non si pagano le cartelle esattoriali

Moltissimi contribuenti – anche quelli ancora senza alcun debito – si chiedono cosa succede se non si paga la cartella esattoriale di Equitalia?

In sostanza, il debitore ha 60 giorni di tempo, dalla ricevuta notifica dell’atto, per pagare la cartella. Scaduti questi termini, il rischio è di incorrere nell’intimazione di pagamento fino al pignoramento.

Bisogna ricordare che in Italia non è previsto il carcere per chi non paga i debiti, neanche se il creditore è la stessa Agenzia delle Entrate. Nel nostro ordinamento, diversamente da altri, chi non paga i creditori commette un inadempimento contrattuale e non un reato, e per questo non ci sono conseguenze penali.

Nei casi in cui si fosse nullatenenti il rischio è ancora più lieve, datosi che un soggetto non può essere obbligato ad adempiere ad una prestazione per lui impossibile. Quindi, nessuna sanzione amministrativa, nessuna sanzione penale, ne tanto meno segnalazioni alla Centrale Rischi.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alle cartelle esattoriali.