Bonus baby sitter per autonomi: ecco come funziona

Il bonus baby sitter per le mamme che lavorano è un ottimo aiuto. Permette di diminuire tutti i costi per la gestione dei figli. Ecco come funziona.

Bonus baby sitter: cos’è?

Il Bonus baby sitter è un contributo economico per le famiglie, i cui genitori lavorano, nonostante questo clima pandemico. Se i genitori possono svolgere il lavoro in modalità Smart working, nessun problema. Ma se i genitori sono a lavoro occorre qualcuno che possa stare a casa con i figli. L’agevolazione ha lo scopo, quindi, di permettere ai genitori di continuare a svolgere il proprio lavoro e nel frattempo garantire assistenza e sorveglianza ai propri figli.

La misura, già introdotta dal decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto Cura Italia) e rifinanziata dal decreto Rilancio e dal decreto Ristori Bis, consiste in un sostegno economico per acquistare servizi di baby sitting per figli minori di 14 anni. Inoltre, il bonus può essere utilizzato anche per iscrivere i ragazzi ai centri estivi, centri di cultura creativa, servizi per l’infanzia ed affini.

Bonus baby sitter: chi può richiederlo?

Il governo ha rinnovato la possibilità di richiedere il bonus baby sitter anche per il 2021. Grazie al decreto legge del 13 marzo 2021, potranno richiedere il bonus sia i lavoratori dipendente che autonomi. La risorsa finanziaria messa in campo è pari a 280 milioni di euro. In altre parole potranno richiede il contributo:

  • i lavoratori dipendenti che hanno la possibilità di usufruire di congedi retribuiti;
  • i lavoratori autonomi;
  • le forze del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, le forze dell’ordine e gli operatori sanitari

Il contributo per i servizi di baby sitting deve essere richiesto entro il 30 giugno 2021. Si potrà ottenere fino a 100 euro a settimana.

Bonus baby sitter: come viene erogato il contributo?

Il contributo viene erogato mediante il libretto di famiglia. Il libretto di famiglia è uno strumento che serve a retribuire prestazioni di lavoro occasionale. Inoltre, è un libretto nominativo prefinanziato, composto da voucher di 10 euro l’uno. Grazie ai voucher è possibile pagare, quindi, i servizi di baby sitter, badanti, colf, riparazione ed altre piccole riparazioni domestiche. Il libretto di famiglia è quindi indispensabile per accedere al bonus baby sitter.

Il Libretto di famiglia è stato introdotto dal decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50. L’INPS, attraverso la circolare n. 107 del 5 luglio 2017, ha fornito tutte i chiarimenti e le indicazioni operative per richiedere e usare il Libretto famiglia. Il bonus viene riconosciuto ai lavoratori autonomi non iscritti all’INPS.

Altre precisazioni sul bonus baby sitter

Il Bonus baby sitter non può essere cumulato con altri contributi. Ad esempio, non può richiedersi se già si prende il bonus per l’asilo nido. Attualmente non si sa se la misura possa essere usato anche per i pagamenti di prestazioni svolte dai familiari: i nonni per esempio.

Tuttavia, è bene ricordare che i redditi derivanti da prestazioni di baby sitting non sono sottoposti ad imposta fiscale. In altre parole, una baby sitter, non ha bisogno di dichiarare questa “entrata” nella propria dichiarazione dei redditi, se pagata tramite voucher INPS. Ovviamente la baby sitter deve essere fatta da persona fisica, e non come esercizio d’attività.

Bonus baby sitting: come richiedere il contributo

Al momento la possibilità di richiedere il buono non è iniziata. Ma se non ci sono cambiamenti, rispetto a quello passato, il contributo può essere richiesto in due modi. La prima è online, attraverso l’apposita applicazione web disponibile sul portale INPS (Prestazioni e servizi > Tutti i servizi > Ordine alfabetico > Bonus servizi di baby sitting). Oppure rivolgendosi ai servizi offerti gratuitamente dai patronati. Anche i propri commercialisti, nel caso di lavoratori autonomi, a volte offrono questo servizio. Si tratta di piccoli aiuti per le famiglie, ma che permettono di affrontare meglio le difficoltà che la pandemia da Covid-19 ha prodotto.

Autonomi e Rent to buy: un aiuto per comprare casa

Sei un lavoratore autonomo e vuoi comprare casa? Ma per la banca non sei molto “affidabile“, perché non hai uno stipendio fisso o un TFR? Una buona soluzione potrebbe essere il Rent to buy.

Autonomi & Rent to buy: alcune considerazioni iniziali

Quando sei un lavoratore autonomo e magari hai fatto l’apertura della partita iva da poco, comprare casa è impossibile. Un umiliante giro tra istituti di credito, che spesso non aiutano e che non concedono il mutuo. Così spesso si sceglie un affitto, invece di coronare il proprio sogno di comprare una casa. Ma a risolvere questo problema potrebbe esserci una soluzione: il Rent to buy.

Il rent to buy è una tipologia di contratto, introdotta nel nostro ordinamento dal Decreto Sblocca Italia (D.L. 133/2014 convertito in Legge 164/2014). Tramite questo accordo si possono avere due effetti positivi. L’inquilino entra in casa da affittuario e poi riesce ad acquistare casa. L’altro effetto è che, nel corso degli anni, si crea una sorta di “storico” della capacità contributiva e reddituale del richiedente. Per le banche il “curriculum” migliora e non si perde la casa che si vuole comprare.

Cos’è il Rent to buy e come funziona?

Attraverso il Rent to buy il proprietario consegna al promittente acquirente l’immobile. Quest’ultimo paga regolarmente l’affitto, riservandosi il diritto di comprarlo, allo scadere del periodo contrattuale. Non vi è obbligo di comprare la casa, ma sicuramente una convenienza, perché spesso una parte dei canoni viene sottratta al prezzo finale di acquisto. Nel nostro ordinamento giuridico, non c’è una disciplina solo dedicata a questo tipo di contratto.

Pertanto, rientra nella tipologia di contratti di godimento in funzione della successiva alienazione del bene. Ciò prevede la stipula dinnanzi ad un notaio e la trascrizione nei Registri immobiliari. Al momento dell’accordo tra le parti, vengono indicati tutti i passi da fare. Tra questi il prezzo del bene, che viene bloccato. Ma anche la durata entro cui l’inquilino può comprare la casa. Ed infine, il canone mensile da corrispondere: la parte che viene dedicata al’indennizzo per il godimento del bene e lo scomputo del prezzo finale.

Un esempio pratico di Rent to buy

A questo punto un esempio pratico di Rent to buy può essere utile. Il prezzo di vendita di un appartamento è di 100 mila euro. Il compratore ed il venditore, in sede di preliminare di vendita, regolano le clausole dell’accordo. Ad esempio, il potenziale acquirente versa al venditore 10 mila euro per dar vita al Rent to buy. Inoltre, va concordato anche il prezzo mensile da versare a pari a mille euro. Di cui 500 euro come indennizzo per la locazione del bene e gli altri 500 euro come scomputo del prezzo finale. La durata del contratto sarà di 5 anni, dopo di che il cliente può comprare la casa. Facendo due conti, cinque anni dopo quanto dovrà versare l’inquilino?

500 euro x 12 mesi x 5anni= 30. 000 100.000-30.000-10.000 (acconto)= 60.000

Una somma decisamente più bassa e più facilmente accordabile da una banca, anche come mutuo.

Autonomi & Rent to buy: i vantaggi dell’inquilino

Grazie al Rent to buy, il potenziale acquirente prende subito possesso della casa o dell’appartamento. Questa formula è molto indicata per chi non dispone immediatamente della somma necessaria per l’acquisto. Oppure per chi deve affrontare un mutuo, ma non è dipendente e non ha un reddito mensile costante. Uno di questi casi è proprio il lavoratore autonomo. Quest’ultimo può, quindi, dare una piccola somma al proprietario dell’immobile, e dare corso al Rent to buy.

Alla fine del periodo concordato l’autonomo potrà contrarre il mutuo. Ed il perché è semplice? Perchè sarà riuscito a dimostrare la sua capacità di pagare i “suoi debiti” e anche di aver creato quel famoso “storico della partita Iva“, che per anni deve restare aperta. La banca sarà, magari, più disposta a concedere il tanto desiderato mutuo. Ovviamente, si consiglia di mantenere un andamento quanto più costate possibile, delle entrate annuali.

Cosa succede se non si compra l’immobile?

L’acquisto dell’immobile, da parte dell’inquilino, può avvenire tramite una somma privata dello stesso, oppure tramite il mutuo. Ma cosa succede se non si decide di comprare la casa? L’inquilino perderà tutto quello già versato. Comprese tutte le spese relative alla registrazione del contratto, notarili, di trascrizione ed iscrizione nei pubblici registri.

Infine, la legge stabilisce in tre anni la durata del Rent to buy. Anche se, le parti possono concordare una durata superiore e fino a 10 anni. Infine, rimane anche un’altra possibilità per non perdere tutto. Il conduttore ha anche la facoltà di nominare un terzo soggetto come previsto da tutti i contratti preliminari e cedere il contratto. Pertanto, facendoci due conti in tasca, la soluzione del Rent to Buy, può essere davvero una soluzione per i lavoratori autonomi.

Mutuo autonomi: quali sono le garanzie richieste?

Il mutuo sia per i lavoratori autonomi che i dipendenti è lo strumento che permette di poter comprare un immobile. Ma quali sono le garanzie richieste ad un autonomo?

Mutuo autonomi: cos’è il mutuo e come funziona

Il mutuo è un contratto con il quale una parte, detta mutuante (per esempio la banca), consegna ad un’altra parte, detta mutuataria (per esempio un lavoratore), un credito o presta una somma di denaro. Il debitore dovrà restituire la stessa somma di denaro, maggiorata degli interessi, allo scadere del termine stabilito.

Per questo motivo, spesso il mutuo viene pagato mensilmente, trimestralmente o semestralmente, per gli anni stabiliti al tasso previsto alla firma del contratta di mutuo. Tuttavia, il tasso di interessi a cui viene prestato il denaro, cambia in relazione all’istituto che concede il mutuo.

La rata permette, di spalmare nel tempo, questi ulteriori costi e permette al debitore di restituire la somma ottenuta. Inoltre, viene calcolata in base al reddito percepito, e nel caso di famiglie, anche al numero dei componenti della stessa.

Mutuo autonomi: il margine di rischio per la banca

Un lavoratore dipendente, con contratto a tempo indeterminato, rappresenta per la banca un reddito costante e certo. Mentre, nel caso di lavoratore indipendente, questa certezza potrebbe venir meno. Se da una parte lavorare autonomamente permette di svolgere un lavoro più dinamico, in cui è possibile scegliere gli orari.

Dall’altra parte, per la banca questo rappresenta un maggior margine di rischio. Questo perché, secondo l’istituto di credito, l’evento licenziamento del dipendente rappresenta qualcosa di più raro. Mentre, per l’autonomo non è così, può decidere di abbandonare il lavoro.

Anche e non è detto che sia così. Spesso dietro le spalle di un professionista vi è la realizzazione di un sogno. Ma anche anni di studio, di impegno, tirocini, per cui quel lavoro rappresenta l’unica fonte di reddito. E’ interesse del professionista mantenere e crescere nella sua professione.

Mutuo autonomi: il trattamento di fine rapporto

Il secondo punto di interesse in relazione al mutuo, è il trattamento di fine rapporto. Anche detto TFR, o liquidità, è una somma di accantonamento proporzionale alla retribuzione del lavorato dipendente. Viene corrisposta al lavoratore, a fine del rapporto, dal datore di lavoro.

Anche in caso di fallimento dell’impresa, il datore è tenuto a versare mensilmente il contributo in relaziona alla retribuzione. Anche in questo caso, si tratta di una garanzia per l’istituto di credito. Purtroppo, il meccanismo non funziona per i lavoratori autonomi. In altre parole, per i professionisti non si matura il TFR.

Questo rappresenta un altro fattore di rischio per la banca. Anche se, molti autonomi si creano dei propri fondi di accumulazione di capitali, per sfruttare nella fase finale della propria attività lavorativa.

Mutuo autonomi: come si possono superare le criticità?

Messe sotto la lente di ingrandimento le criticità per la banca, cerchiamo di capire com’è possibile superarle. Se la busta paga riporta il reddito mensile di un dipendente, come può fare il lavoratore autonomo, che non ha un reddito costante? La risposta potrebbe essere questa.

E’ possibile utilizzare il modello unico depositato presso l’Agenzia delle entrate. In caso di richiesta di mutuo, vengono richieste le ultime due precedenti, al periodo di domanda. A questo punto la banca valuta il rapporto tra la rara ed il reddito. Se nel caso di autonomi è pari al 30% dello stipendio, nel caso di mutuo per autonomi, tende ad abbassare questo rapporto.

Ma comunque deve sempre essere preso in esame e non è detto che non sia idoneo per la banca ai fini della concessione del credito. Inoltre, il lavoratore autonomo potrebbe essere proprietario di un immobile da mettere in garanzia. In questo caso, è evidente che la casa su cui viene iscritta l’ipoteca sia la principale fonte di garanzie per l’istituto di credito.

Altri consigli utili per i professionisti

A questo punto è meglio dare qualche consiglio ai professionisti che vogliono presentare la richiesta di mutuo. La banca tende a preferire i finanziamenti che riguardano gli immobili ad uso abitativo, piuttosto che quelli comprati per svolgere un’attività economica.

Il mercato dell’immobile residenziale è sempre stato il preferito agli istituti di credito, proprio perché tutti hanno bisogno di avere un luogo in cui vivere. Invece, un immobile commerciale potrebbe essere legato solo all’attività, smessa la seconda, l’immobile diventerebbe inutilizzato.

Un ruolo importante giocano anche le garanzie esterne. Tra queste è molto in uso la possibilità di avere un “garante“. Si tratta di una terza persona che si impegna, con il proprio patrimonio, a pagare le rate qualora il debitore risultasse inadempiente.

Il ruolo delle associazioni di categoria e le assicurazioni

Anche l’età del richiedente è una variabile importante. Un giovane, di solito, ha la possibilità maggiore di finire il suo debito, grazie alla sua maggiore speranza di vita. Ed infine, va valutato il ruolo delle associazioni di categoria. Infatti, esistono alcune associazioni tra professionisti che aiutano i propri iscritti, ponendosi come garanti.

Infine, sono ben viste anche le assicurazioni che vengono pagate quando si contrae un mutuo. Tra quelle obbligatorie e quelle consigliate c’è davvero una vasta gamma da poter scegliere. In questo caso, il consiglio è quello di affidarsi ad un consulente del credito esperto, capace di poter indirizzare il cliente verso l’istituto di credito migliore in merito alle esigenze del richiedente.

Carta nazionale servizi: cos’è e a cosa serve?

La Carta nazionale dei servizi o CNS è un dispositivo che contiene al suo interno una gamma completa di servizi utili alle imprese.

Carta Nazionale dei servizi: cos’è?

La Carta Nazionale dei Servizi o CNS è un dispositivo in formato Smart Card o Token USB, che contiene un certificato digitale di autenticazione personale. La CNS della Camera di commercio contiene un certificato di sottoscrizione della firma digitale. Il servizio viene emesso dall’ente Certificatore Aruba PEC S.p.A.

In realtà è una cartellina che contiene tutto il corredo per l’uso della CNS tra cui: le condizioni generali di contratto, i codici segreti: PIN, PUK, e CODICE UTENTE. Inoltre, quando si utilizza la carta viene sempre richiesto il PIN, e come una normale sim, con tre errori occorre l’inserimento del codice PUK. Se la CNS è in formato Smart Card è necessario dotare la propria stazione di lavoro di un lettore di carte, attraverso l’apposita sezione del sito www.card.infocamere.it. Per le CNS in formato Token USB non hanno bisogno di nulla.

Carta Nazionale dei servizi: quali sono i servizi offerti?

La Carte nazionale dei servizi offre l’opportunità di fare molte operazioni. Ad esempio, e forse il più importante, la possibilità di firmare digitalmente documenti informatici. Inoltre, il rappresentante legale di un’impresa può consultare gratuitamente:

  • statuti, atti e bilanci depositati;
  • schede di società;
  • visura ordinaria, storica e artigiana;
  • situazione dei pagamenti del diritto annuale;
  • Stato pratiche Registro delle imprese

Con la CNS rilasciata dalle Camere di Commercio, è possibile inoltre, come privati cittadini, collegarsi via Internet al sito dell’Agenzia delle Entrate (http://telematici.agenziaentrate.gov.it), registrarsi senza dover digitare tutti i propri dati e accedere così al sito per verificare lo stato della propria posizione fiscale.

L’importanza della firma digitale

La firma digitale è un servizio molto importante. Questo perchè la firma digitale garantisce l’autenticità della firma dell’utente. Inoltre garantisce l’integrità del documento che non è stato sottoposto a modifiche di alcun tipo. Una volta apposta, il documento diventa non ripudiabile, cioè non può essere disconosciuto. Come se non bastasse, la carta nazionale è altre caratteristiche fondamentali, tra cui:

  • Sicurezza di accesso ai siti web delle Pubbliche Amministrazioni
  • Sicurezzaconfidenzialità nella consultazione dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni.

La firma digitale permette di poter risparmiare tempo e firmare documenti senza dover spostarsi. Del resto, viene rilasciata dalla stessa camera di commercio, l’ente presso cui si procede all’apertura della partita IVA.

Quali sono gli enti che possono rilasciare una carta?

La carta Nazionale dei servizi può essere rilasciata presso la camera di commercio di appartenenza. Per richiederla occorre avere un valido documento di riconoscimento. Inoltre, occorre essere in possesso di una mail su cui convalidare la procedura. In questa situazione di pandemia, sono molte le camere di commercio che permettono di prenotare il servizio presso gli sportelli.

E’ anche vero che la camera di commercio ha delegato anche alcuni enti specifici a poter effettuare lo stesso servizio. Consigliamo di visionare sempre l’elenco o chiamare la camera di commercio per conoscere i soggetti abilitati.

Carta Nazionale dei servizi: alcune caratteristiche del contratto

Quando si sottoscrive l’utilizzo di una carta nazionale dei servizi, si firma un vero e proprio contratto. All’interno vi sono i seguenti documenti:

  • Modulo di richiesta di rilascio della stessa carta;
  • condizioni generali del contratto;
  • manuali operativi
  • informativa privacy

La camera di commercio o il certificatore hanno il diritto di risolvere il contratto nel caso in cui l’utente violi le sue responsabilità nell’utilizzo della carta e dei manuali operativi collegati. Infatti, l’utilizzatore è obbligato a trattare e conservare tutti gli accessi.

Carta nazionale dei servizi: il certificato di autentificazione

Il dispositivo CNS rilasciato all’utente contiene un certificato di autenticazione per l’accesso ai sistemi informatici tenuti dalle Pubbliche amministrazioni. Il certificato emesso dalla Camera di commercio è in conformità con la normativa vigente del manuale operativo.

La carta ha una durata di tre anni, dopo di ciò va rinnovata, presso la camera di commercio e l’ente che lo ha richiesto. Anche in questo caso l’utente deve conservare scrupolosamente i dati della chiave segreta. Quest’ultima, infatti, è privata e personale, infatti non può essere ceduta a terzi o data in uso a terzi. Un consiglio è quello di attivare la carta a tutte le attività commerciali ed imprese, per permettere di avere in pochi minuti certificati importanti.

Regime forfettario 2021: cosa cambia rispetto all’ordinario?

Il Regime forfettario 2021 non dovrebbe prevedere modifiche sostanziali rispetto a quello dell’anno scorso. Ma è il regime fiscale più scelto, ed ecco il perchè.

Regime forfettario 2021: perchè è così scelto?

Il Regime forfettario è stato introdotto con la legge n.208 del 2015. Ma poi modificato dalla Legge n. 145/2018 e dal D.L. n 124/2019. Il regime forfettario prevede delle “agevolazioni” per tutti coloro che intendono aprire una nuova attività. Lo scopo è proprio quello di stimolare, i giovani imprenditori a creare nuove imprese. Per i suoi limiti e requisiti viene molto adottato dalle micro e piccole imprese, ma anche da coloro che svolgono attività professionali.

Ad esempio, agenti immobiliari, avvocati, assicuratori, agenti di commercio e similari. Il regime forfettario prevede il limite del raggiungimento del reddito. Pertanto, solo se si rimane entro i limiti di 65 mila euro, si può sfruttare questa opportunità. Inoltre, è possibile accedere a questo regime, qualora non si sono sostenute spese, per collaboratori o dipendenti, superiori a 20 mila euro. Nel caso di start-up questo non è un valore da prendere in esame, almeno all’inizio.

Regime forfettario 2021: la differenza applicazione dei coefficienti

Il Regime forfettario, rispetto a quello ordinario, prevede una serie di vantaggi. Quando si apre un’attività nuova soprattutto, prima di scegliere il regime fiscale, è meglio fare delle opportune precisazioni. Nel regime ordinario, il reddito imponibile viene calcolato applicando alla somma dei ricavi, il coefficiente di riferimento dell’attività svolta. In generale, il valore di tali coefficienti oscilla tra il 40% e l’86%.

Invece nel regime forfettario, viene applicato, alla sommatoria dei ricavi, solo un’imposta pari al 15%. Se invece l’attività è di nuova apertura questa imposta scende al 5%. Anche se l’agevolazione al regime forfettario del 5% ha una validità temporale limitata: solo 5 anni. Ma occorre precisa che, in questo caso, bisogno avere anche altri requisiti:

  • non aver svolto attività d’impresa nei 3 anni precedenti;
  • la nuova attività non deve essere una continuazione di un’altra, nè sotto forma di dipendente o di lavoratore autonomo.

I vantaggi del regime forfettario 2021

Anche per quest’anno sono confermati i principali vantaggi del regime forfettario. Tra questi i principali sono:

  • I costi vanno calcolati in maniera forfettaria;
  • non si è soggetti applicazione dell’Iva in fattura;
  • Il reddito viene determinato secondo il regime di cassa;
  • non si è obbligati alla tenuta del registro di cassa;
  • non è prevista l’applicazione degli indici di sintetici di affidabilità;
  • la fatturazione elettronica NON è obbligatoria;
  • se si è titolari di partita IVA, ma non si hanno dipendenti, non si è obbligati agli adempimenti del sostituto d’imposta.

Approfondendo alcuni punti, si può benissimo dire che il reddito è solo la somma di tutti i ricavi percepiti. Così come stabilito dal Criterio di Cassa. Il pagamento delle imposte avviene con la Dichiarazione dei redditi, sia nel caso del 5% che del 15. L’unico limite è che le spese relative all’attività non possono essere “scaricate“. Al suo posto è previsto solo una deducibilità forfettaria, relativa al tipo di impresa svolta.

Cause di esclusione del regime forfettario: quali sono?

Le agevolazioni del regime forfettario però possono essere perse, al verificarsi di alcune condizioni. Tra queste: la residenza fiscale all’estero, il superamento della quota di 65 mila euro, coloro che si avvalgono dei Regimi speciali IVA, la partecipazione contemporaneamente all’attività in Partita IVA a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari. Inoltre, sono esclusi coloro che mettono fatture nei confronti del loro attuale datore di lavoro, oppure di quelle avuto nei due anni precedenti l’apertura dell’attività.

Il regime ordinario come funziona invece?

Il regime ordinario è applicato per le aziende, costituite in società di capitali o individuali che non hanno ricavi superiori a:

  • 400.000 euro per prestazione di servizi;
  • 700.000 euro per le altre attività

In questi casi la tassazione è legata alle aliquote Irpef, con scaglioni d’imposta compresi tra il 23% ed il 43%. Rispetto al forfettario però le spese sostenute, vanno considerate in riduzione del reddito complessivo. E’ obbligatorio l’uso della fatturazione elettronica e l’indicazione dell’Iva secondo la percentuale in vigore o in relazione al tipo di attività. Tra gli altri adempimenti da dover adottare:

  • la dichiarazione all’Agenzia delle Entrate ai fini IVA;
  • in versamento IVA trimestrale o mensile;
  • la tenuta dei libri e registri contabili con la relativa conservazione;
  • la compilazione del modello Isa, D.l. 50/2017.

Il regime ordinario semplificato: la soluzione di mezzo

Esiste poi un terzo regime, che corrisponde ad una via di mezzo tra quello forfettario e quello ordinario. In questo caso, è utilizzato da tutti quegli operatori del commercio che hanno un reddito è inferiore a 400 mila euro per prestazioni di servizi e 700 mila euro per attività di cessione di beni. Tuttavia, gli obblighi da rispettare sono:

  • gli adempimenti IVA da eseguire;
  • tenere il libro IVA con le operazioni passive ed attive;
  • tenere la contabilità attraverso la registrazione cronologica di tutti i pagamenti e gli incassi.

Infine è bene fare un’ ulteriore precisazione. Mentre il reddito della contabilità ordinaria è determinato in base al regime di competenza, in questo regime, avviene secondo il principio di cassa. Un consiglio è doveroso. Prima di scegliere il proprio regime fiscale è meglio affidarsi ad un esperto del settore, ad esempio un commercialista, che possa guidare verso una giusta soluzione.

Regime forfettario 5%: requisiti e costi nel 2021

Il Regime forfettario al 5% è un’agevolazione interessante, soprattutto per le Start-up. Ecco i requisiti ed i costi previsti per il 2021.

Regime forfettario 5%: chi può accedere?

Il regime forfettario ordinario prevede un’agevolazione del 15% sul reddito. Ma l’imposta sostitutiva scende al 5% quando si tratta di nuove attività. Inoltre, gli altri requisiti da dover avere sono:

  • non aver esercitato nei tre anni antecedenti l’apertura della nuova partita IVA, attività professionale o d’impresa, artistica , anche in forma familiare o associata;
  • se si porta avanti, un’attività con diverso proprietario, il reddito dell’anno precedente non deve essere superiore a 65 mila euro;
  • limite di 30 mila euro di reddito derivante da lavoro dipendente;
  • l’attività non deve costituire una mera prosecuzione di una precedente, se svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo.

Se si hanno tutti questi requisiti, si potrà aderire al regime agevolato del 5% per i primi cinque anni di attività. Superati, quindi dal sesto anno in poi, il regime forfettario prevede un’agevolazione del 15% sul reddito.

Regime forfettario 5%: alcune precisazioni

Secondo il comma 65 alla lettera a) della legge 190/2014 è opportuno fare delle precisazioni. Le persone fisiche che intraprendono l’esercizio di imprese, arti o professionisti possono avvalersi del regime forfettario. Per far ciò basta la dichiarazione di inizio attività di cui all’articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n.633 e successive modifiche.

Inoltre, i contribuenti persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni non devono aver conseguito ricavi, compensi, non superiori a 65 mila euro. Questo regime non può essere applicato nemmeno da coloro che abbiamo svolto la stessa attività, nella qualità anche di socio nei tre anni precedenti. Il periodo va calcolato sulla base dell’anno solare e non di quello relativo al periodo d’imposta.

Regime forfettario 5%: il proseguimento dell’attività

In relazione al proseguimento dell’attività, questa non deve essere in alcun modo proseguimento di un’impresa già in essere. Lo scopo è quello di eludere i “furbetti” delle agevolazioni. Infatti, non sono da considerare tutti quei comportamenti che prevedono solo il cambiamento della ragione sociale. In altri termini, l’attività deve essere totalmente nuova.

Con l’apertura della nuova attività, va anche aperta la partita Iva, e presentata la dichiarazione di adesione al regime forfettario. Se però la comunicazione di adesione non è stata presentata si può fare anche successivamente. Infatti, deve essere presentata una dichiarazione di variazione dei dati, revocando l’eventuale diversa opzione effettuata. Inoltre, laddove l’impresa familiare prosegua l’attività in precedenza svolta dal collaboratore familiare il regime fiscale di vantaggio può essere applicato.

E’ possibile disapplicare il forfettario?

Come già detto allo scadere dei cinque anni, il regime di tassazione sale al 15%. I contribuenti che devono applicare il regime forfettario hanno la possibilità di disapplicarlo. Si potrà così optare per la determinazione delle imposte sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).

Questa scelta deve essere comunicata barrando l’apposito campo in relazione alla dichiarazione annuale IVA.  L’omessa comunicazione è punibile con una sanzione amministrativa da 250 a 2000 euro.

L’applicazione del regime è valida per almeno tre anni successivi. Trascorso tale periodo l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la scelta operata. Il regime finanziario al 5% è applicabile per altro sono una volta, non può essere applicato con semplice intermittenza dell’attività.

Partita Iva 2021: regimi, procedure e costi

Aprire una partita Iva, anche nel 2021, prevede una serie di adempimenti. Di seguito tutta la procedura, i regimi ed i costi da sostenere.

Partita Iva 2021: codice Ateco e partita IVA

Aprire una partita Iva non è mai stato un’operazione particolarmente difficile. Più che altro prima di aprirla, occorre avere una visione completa dell’attività per cui viene aperta. Infatti, una volta presa la decisione, questa viene dichiarata al Fisco.

Ciò avviene proprio attraverso il Codice Ateco. Tuttavia, si tratta di uno strumento di classificazione delle attività economiche. E’ stata adottata dall’Istituto Nazionale di statistica in Italia, al fine di effettuare rilevazioni statistiche in materia economica. La lista completa è scaricabile sul sito istituzionale dell’ISTAT.

La procedura per aprire la partita Iva prevede la comunicazione presso l’Agenzia delle entrate dell’inizio della propria attività. Entro 30 giorni dal primo giorno di lavoro, il modello di inizio attività. E’ la stessa Agenzia delle Entrate ad attribuire il numero di partita IVA. Si tratta di un codice di 11 cifre univoco. Infatti, le prime 7 collegano l’attività al titolare, altre 3 al codice identificativo dell’Agenzia delle entrate e l’ultima cifra ha la funzione di controllo.

Partita IVA 2021: come presentare la dichiarazione di inizio attività

Fino ad oggi non sono state apportate modifiche alla Legge di bilancio 2021. Pertanto la procedura prevede la presentazione del modello di inizio attività. In particolare, le persone fisiche che svolgono attività d’impresa (ditte individuali) devono utilizzare il modello AA9/12, mentre le società devono presentare il modello AA7/10. Nella dichiarazione di inizio attività vanno inserite le seguenti informazioni:

  • dati anagrafici;
  • la sede dell’attività;
  • il codice Ateco relativo all’impresa.

I soggetti che NON sono tenuti all’iscrizione presso il Registro delle imprese, possono protocollare la loro richiesta presso gli uffici. La domanda può essere presentata sia personalmente, che tramite un intermediario, come ad esempio un commercialista. Inoltre, è possibile utilizzare la posta elettronica dell’ente o quella tradizionale. In questo caso, è opportuno allegare la fotocopia del proprio documento e della tessera sanitaria.

L’iscrizione al Registro delle imprese in camera di commercio

Le imprese hanno bisogno di iscriversi presso il Registro delle imprese. Si tratta di un registro pubblico ed informatico che contiene tutte le informazioni sulle stesse. L’iscrizione funziona come una pubblicità giuridica, con gli stessi effetti, nei confronti dei terzi.

Inoltre, il registro viene tenuto presso la Camera di Commercio, ma è consultabile anche in via telematica. Per iscriversi occorre aver svolto tutti gli obblighi di legge, come ad esempio il deposito del capitale sociale. Insieme a questi dati viene depositato anche lo statuto societario. Non sono tenuti a questo step, tutte le attività professionali come medici oppure avvocati. Anche se devono iscriversi qualora svolgano l’attività in regime di impresa.

Partita Iva 2021: i diversi regimi fiscali da scegliere

Quando si apre una partita Iva, si ha deve fare una scelta: tra regime forfettario e ordinario. Il regime forfettario è una tassazione che prevede il pagamento di una percentuale sul reddito. La percentuale è pari al 15%. Anche se questo valore scende al 5%, per le start-up e per un periodo non superiore a 5 anni. Inoltre la percentuale si applica per redditi fino a 65 mila euro.

Ma attenzione l’attività deve essere completamente nuova. In altre parole, per almeno i tre anni precedenti, non si è dovuto svolgere attività d’impresa o professionale. Ed infine, non si è assoggettati alla contribuzione IVA. Per chi non aderisce al regime forfettario, si apre la strada del regime ordinario. I contribuenti in questo regime sono obbligati all’utilizzo della fatturazione elettronica, la tenuta dei registri contabili Irap, Ires ed Irpef.

Quanto costa aprire una partita IVA e altri costi correlati

Per aprire una partita IVA i costi dipendono dal regime fiscale scelto. In linea di massima è gratuita. Anche se molto dipende dalla parcella del professionista a cui ci si affida per l’operazione. I costi relativi potrebbero essere inerenti all’acquisto del servizio di Firma digitale. Oppure scegliere tra i servizi aggiuntivi offerti dalla Camera di commercio di appartenenza. Oltre ai passi precedentemente svolti, è opportuno anche stare attenti alla cassa previdenziale, se prevista.

Quindi, aprire una partita IVA non ha costi esosi. Infine, quando si apre una partita IVA attenzione anche ad aprire la posizione contributiva INPS ed INAL per l’assicurazione sul lavoro. L’apertura di partita IVA non necessita di ulteriori costi di rinnovo, fino a che non venga disposta le pratiche per la relativa chiusura.