Lavoro autonomo occasionale: quali sono le caratteristiche?

Il lavoro autonomo occasionale è una forma di prestazione lavorativa che prevede delle caratteristiche stabilite. Esistono dei limiti di reddito, un tempo anche di ore dedicate da rispettate.

Lavoro autonomo occasionale: com’è e come si definisce?

Il lavoro autonomo occasionale viene spesso utilizzato da chi vuole “arrotondare” lo stipendi con lavori facili e veloci. Non necessita dell’apertura o della chiusura della partita IVA. Ma in realtà, si può definire come che si obbliga a svolgere una prestazione, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio, dietro il pagamento di un compenso. Ma non si deve avere nessun vincolo di subordinazione, dipendenza o affini con il committente, se non per via appunto occasionale (Art.2222 del codice civile). Quando si svolge un’attività ripetuta per più di due o tre volte l’anno, per lo stesso committente, non si può più parlare di lavoro occasionale. Le condizioni quindi da rispettare sono:

  • mancanza di continuità e dipendenza. In altre parole è da escludere qualsiasi tipo di rapporto continuativo nel tempo tra i soggetti interessati. Ma ne anche nascondere, attraverso questa tipologia di lavoro, una prestazione di dipendenza o subordinazione;
  • mancanza di coordinamento della prestazione. Si fa riferimento al fatto che non si deve svolgere l’attività occasionale all’interno dei luoghi di lavoro del committente o essere parte del ciclo produttivo.

Lavoro autonomo occasionale: ai fini dell’Inps

L’art. 44, c. 2 del D.L. 269/03, convertito in L. 326/03, ha disposto l’iscrizione alla Gestione Separata, a decorrere dal 1° gennaio2004, dei lavoratori autonomi occasionali. Ma solo per redditi fiscalmente imponibili superiori a 5 mila euro nell’anno solare, considerando la somma dei compensi corrisposti da tutti i committenti occasionali.

Ciò significa che i primi 5 mila euro costituiscono una soglia di esenzione dall’obbligo contributivo. Si tratta, in dichiarazione, di redditi “diversi” dalla propria attività principale (art. 67, comma 1, lettera del TUIR). Il TUIR è il testo unico delle imposte sui redditi e regolamenta tutta la tassazione prevista per le società e persone fisiche.

Secondo questo testo, la base imponibile è ricavata come differenza tra i ricavi e i costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività. Mentre, l’imponibile previdenziale è costituito dal compenso lordo, detratte eventuali spese poste a carico del committente e risultanti dalla fattura. Tra le spese rientrano i costi sostenuti anche per trasferimenti, viaggio, vitto e alloggio.

Lavoro autonomo: il superamento della soglia di esenzione

Ai lavoratori autonomi occasionali si applicano le stesse regole dei collaboratori coordinati e continuativi. Cosa succede in caso di superamento della soglia? In caso di superamento della soglia di esenzione, i lavoratori devono iscriversi alla Gestione separata INPS, tranne nel caso in cui si parli di soggetti già iscritti.

Se la somma viene superata come sommatoria di più compensi, nello stesso mese, ciascun committente concorrerà in misura proporzionale, in base al rapporto tra il suo compenso ed il totale di quelli erogati nel mese. Pertanto, il consiglio è quello di verificare periodicamente l’ammontare dei compensi percepiti. Perché, come già detto, non può superare il valore di 5 mila euro annui.

Lavoro autonomo occasionale: è obbligatorio il contratto scritto?

In merito a questa disciplina, la legge, non indica l’obbligatorietà del contratto scritto. Anche se, la sottoscrizione di un accordo o contratto di lavoro regola, in maniera formale, il rapporto tra le parti. In altre parole vengono tutelati sia il committente che il lavoratore. Quello che suggeriamo è comunque si formalizzare sempre un accordo. Del resto non servono delle grandi cose, ma dei punti che potremmo definire fondamentali.

Ad esempio, il lavoro da svolgere, le tempistiche di consegna dell’incarico, l’ammontare del pagamento e le modalità con cui deve avvenire. Questo, se controfirmato dalle parti, rappresenta un modo di tutela nel malaugurato caso che il datore di lavoro, decida di non versare il compenso, a lavoro ultimato. Dal lato del datore di lavoro, permette di incaricare e verificare che il lavoro venga svolto secondo le modalità richieste. Formalizzare un accordo, è un consiglio che può tornare utili in casi come questo.

La ritenuta d’acconto nel contratto di lavoro autonomo occasionale

Il lavoratore che svolgere un lavoro autonomo e occasionale è soggetto alla ritenuta d’acconto del 20% del compenso lordo pattuito. Facciamo un esempio pratico: il compenso lordo è pari a 100 euro. Su questa somma deve essere trattenuta il 20%, cioè 20 euro. La differenza tra le sue somme darà l’importo netto spettante al lavoratore. Se invece, il soggetto supera la soglia dei 5.000 il reddito deve essere indicato nel quadro RL del modello P.F. (autonomi con partita IVA) oppure nel quadro D nel 730 (dipendenti).

La ritenuta di acconto deve essere applicata soltanto nel caso in cui il committente sia un sostituto di imposta, di cui all’articolo 23 del DPR n 600/73. In particolare, sono sostituti di imposta tutte le imprese (soggetti dotati di partita IVA) e le associazioni. Inoltre, per prestazioni di importo superiore a 77 euro, va applicata una marca da bollo da 2 euro. La marca può essere applicata telematicamente o fisicamente presso l’acquisto in una qualsiasi ricevitoria.

Decreto sostegni: arriva il condono delle cartelle, ma non per tutti.

Il decreto sostegni prevede un condono sulle cartelle esattoriali. Ecco le principali novità e chi potrà godere del sostegno, e chi invece verrà escluso.

Decreto sostegni: linee generali di sostegno

Il decreto sostegno è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale, ed è in vigore fin da oggi 23 marzo 2021. Il decreto legge 22 marzo n. 41 è quindi diventato legge. Nel testo vengono affrontate cinque arie tematiche di interesse primario: il sostegno alle imprese e all’economia, disposizioni in materia di lavoro, misure in materia di salute e sicurezza, enti territoriali e ulteriori interventi settoriali.

Tra questi rientrano alcune misure importantissime: la proroga della cassa integrazione Covid, la certificazione unica prorogata al 31 marzo, l’esonero cartelle esattoriali ed aiuti in modo particolare ai lavoratori turistici, stagionali, del mondo dello spettacolo, sportivi ed associativi. Ma anche ristorazione e classi di lavoratori che hanno maggiormente risentito delle restrizioni imposte dallo stato. E’ stata anche prorogata la cassa integrazione Cisoa per i lavoratori agricoli, fino a 120 giorni dal primo aprile al 31 dicembre.

Decreto sostegni: il condono delle cartelle esattoriali

Per quanto riguarda il condono delle cartelle esattoriali, si è giunti ad una soluzione di compromesso tra i vari operatori economici. Come prima cosa è opportuno capire cosa si intende per “cartella esattoriale“. Una cartella esattoriale è un atto di intimidazione al pagamento, che si configura come un decreto ingiuntivo. Sono emesse dall’Agenzia delle entrate, sezione Riscossione, nei confronti dei cittadini che hanno dei debiti nei confronti dell’ente italiano.

La cartella esattoriale deve contenere il nome del debitore e titolare del procedimento di riscossione. Il credito che l’agenzia delle entrate vanta deriva da omessi pagamenti di tributi, sanzioni amministrative, imposte e crediti di natura previdenziale. A volte, però se i contributi non vengono pagati, questi si sommano fino a diventare somme davvero difficili da recuperare.

Decreto sostegni: il condono previsto da Draghi

Il Decreto sostegni prevede il condono di alcune cartelle esattoriali. Infatti, è prevista la cancellazione definitiva di multe, bolli e debiti fiscali non pagati. I debiti devono avere un valore non superiore a 5 mila euro e relative agli anni 2020-2021 per i soggetti con reddito inferiori a 30 mila euro. Pare che ci siano anche degli avvisi bonari per i soggetti che potrebbero usufruire di un’agevolazione per gli anni 2017-2018.

Soggetti che hanno subito una diminuzione del 30%, rispetto al 2019, e una proroga della riscossione coattiva fino al 30 aprile 2021. In merito alla rottamazione ter e saldo e stralcio, i termini di scadenza delle rate 2020, sono stati prorogati al 31 luglio e al 30 novembre, con una tolleranza di 5 giorni. Per il versamento vanno utilizzati gli stessi bollettini usati dall’Agenzia delle entrate- Riscossione.

Ma come funziona il condono?

Il condono è un atto di annullamento del debito. Infatti, verranno definitivamente cancellati atti fiscali fino a 5 mila euro del periodo 2020-2021 per i soggetti con redditi inferiori a 30 mila euro. Il limite del reddito, serve proprio ad aiutare tutti coloro che hanno avuto difficoltà economiche dovute a questo periodo di crisi economica.

E così, si è cercato di non agevolare anche chi più che la possibilità, non hanno la voglia di mettersi in regola. Secondo i calcoli con questo limite di reddito tuttavia verrà escluso solo il 17% dei potenziali interessati. Tuttavia, si parla di un provvedimento che riguarda circa 16 milioni di contribuenti. Sono escluse dal condono, le multe stradali e le sanzioni per condanne penali, danni erariali e recuperi di aiuti di Stato.

Superbonus 110%: le linee guida per accedere all’agevolazione

Il superbonus 110% è stato ben accolto dagli operatori del settore. Ma anche dai proprietari di immobili, che stanno sempre più valutando la possibilità di ristrutturare i loro beni. Di seguito, le linee guida per chiarire come funziona.

Superbonus 110%: cos’è?

Il superbonus 110% è un’agevolazione introdotta con il Decreto Rilancio. Prevede la possibilità di detrarre le spese sostenute, in tema di ristrutturazione, nel periodo che va da giorno 1 luglio 2020 al 30 giugno 2022. La detrazione è riconosciuta nella misura del 110% tra gli aventi diritto, da ripartire in 5 quote annuali. Le quote vengono suddivise in rate annuali di pari importo, entro il limite massimo detraibile dalla Dichiarazione dei Redditi.

Però c’è anche la possibilità di non richiedere l’agevolazione, ma di scegliere una strada diversa. Infatti, è possibile richiedere subito uno sconto in fattura praticato dal fornitore dei beni o del servizio. Inoltre, il contribuente può anche decidere di cedere il credito, derivante dalla detrazione, alla ditta che sta eseguendo le operazioni di ristrutturazione.

Superbonus 110%: gli interventi principali

Il superbonus 110% spetta in relazione ad alcuni interventi:

  • interventi di isolamento termico sugli involucri. Tra questi ad esempio rientra il cosiddetto “cappotto termico“. In questo caso sono previsti 50 mila euro per gli edifici unifamiliari o per gli indipendenti all’interno di ediici plurifamiliari. Mentre sono 40 mila euro per il numero di immobili, all’intero di un edificio composta da due a ad otto unità immobiliari. Ed infine 30 mila euro per edificio composto da più di otto unità;
  • sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale sulle parti comuni. Si tratta di interventi relativi alla sostituzione degli impianti: generatori di calore a condensazione, generatori di calore ad alta efficienza, sistemi ibridi e di microcogenerazione;
  • sostituzione di impianti di climatizzazione invernale sugli edifici unifamiliari o sulle unità immobiliari di edifici plurifamiliari funzionalmente indipendenti. La detrazione è calcolabile su un ammontare complessivo non superiore a 30 mila euro per singola casa. Rientrano anche le spese di smaltimento dei rifiuti;
  • interventi antisismici: la detrazione già prevista dal Sismabonus è elevata al 110% per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021. Questo tipo di attività vengono anche chiamati “Sismabonus”.

Alcune precisazioni sugli interventi antisismici

L’agenzia delle entrate precisa che: “I limiti delle spese ammesse all’ecobonus e al sisma bonus sostenute entro il 30 giugno 2022, sono aumentati del 50% per gli interventi di ricostruzione riguardanti i fabbricati danneggiati dal sisma nei comuni di cui agli elenchi allegati al decreto legge n. 189/2016 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 229/2016), e di cui al decreto legge n.39/2009 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/2009), nonché nei comuni interessati da tutti gli eventi sismici verificatisi dopo l’anno 2008 dove sia stato dichiarato lo stato di emergenza. In tal caso, le detrazioni sono alternative al contributo per la ricostruzione e si calcolano su tutte le spese necessarie al ripristino dei fabbricati danneggiati, comprese le case diverse dall’abitazione principale, con esclusione degli immobili destinati alle attività produttive. Nei comuni dei territori colpiti da eventi sismici verificatisi a partire dal 1° aprile 2009 dove sia stato dichiarato lo stato di emergenza, il sismabonus spetta per l’importo eccedente il contributo previsto per la ricostruzione“.

Superbonus 110%: gli interventi trainanti

Il Superbonus spetta anche a chi svolge dei lavori che potremmo definire “trainanti“. Ma sono contemplati solo se sono lavori legati a quelli principali, di cui abbiamo parlato nell’elenco precedente, tra questi:

  • efficientamento energetico rientranti nell’ecobonus;
  • eliminazione delle barriere architettoniche, per facilitare gli spostamenti dei portatori di handicap all’interno degli edifici;
  • installazione di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici;
  • installazione di impianti fotovoltaici, sugli edifici, connessi alla rete elettrica;
  • installazione contestuale o successiva di sistemi di accumulo integrati negli impianti solari fotovoltaici agevolati.

E’ bene fare una precisazione: l’agevolazione non spetta per tutti gli immobili in modo indifferenziato. Infatti, non possono richiederlo le unità immobiliari residenziali appartanenti alle categorie catastali A1 (abitazioni signorili), A8 (ville), A9 (castelli).

Chi può usufruire del superbonus 110%?

Possono aderire alle agevolazioni le seguenti catogorie:

  • le persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, arti e professioni;
  • i condomini per interventi su edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, anche se posseduti da un unico proprietario o in comproprietà da più persone fisiche. Per le parti in comune degli edifici, per i quali sono stati effettuati lavori per il 60% dell’intervento complessivo, la detrazione del 110% spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022;
  • gli istituti autonomi case popolari. In particolare, la detrazione spetta per interventi che riguardano immobili adibiti a edilizia residenziale pubblica;
  • le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di volontariato;
  • le associazioni sportive dilettantistiche, limitatamente alle parti di immobili adibiti a spogliatoi.

Superbonus 110%: i requisiti degli interventi ammessi

Ai fini dell’accesso ai requisiti degli interventi ammessi, devono essere soddisfatti due criteri. Il primo è che occorre rispettare i requisiti previsti dal decreto del Ministro dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e del Ministro dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 agosto 2020. Il secondo è che il miglioramento energetico deve essere pari a due classi energetiche dell’edificio. Il miglioramento energetico deve essere dimostrato attraverso l‘Ape (l’attestato di prestazione energetica). Tra l’ape ante interventi e quella post, come detto, ci deve essere un miglioramento di almeno due classi. Il documento deve essere rilasciato da un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo dei certificatori, della regione di appartenenza.

Esiste un’altarnativa alla detrazione?

La risposta alla domanda è si. Esistono infatti due alternative per i soggetti che hanno effettuato i lavori. La prima consiste in un contributo, sotto forma di sconto, sul costo finale del fornitore. Questi ultimi, si fanno carico della differenza di prezzo, ma ottengono uno credito d’imposta di pari valore. La seconda fa riferimento alla cessione del credito.

In altre parole, è possibile la cessione di un credito d’imposta corrispondente alla detrazione spettante, ad altri soggetti, invi inclusi gli istituti di credito e altri intermediatori finanziari. La cessione può essere operata nei confronti di: fornitori di beni e servizi necessari alla realizzazione dell’intervento, altri soggetti (imprese, professionisti o lavoratori autonomi) e istituti di credito e intermediazioni finanziari.

Partita IVA: come e quando chiuderla

Il lavoratore autonomo, se stanco della propria attività, può decidere di chiuderla. A causa della pandemia da Covid-19 sono molti i professionisti che hanno preso questa drastica scelta.

Partita IVA: il modello da compilare

Svolgere la professione da libero professionista o da freelance comporta l’apertura della partita IVA. Bastano pochi anni per capire se si è fatta la scelta giusta o meno. Nel primo caso, basta aderire al regime fiscale più conveniente e trarre soddisfazione della propria attività. Ma quando invece ci si rende conto che la scelta fatta è sbagliata, cosa fare? Una delle cose da fare è chiudere la partita IVA. Tuttavia, è necessario compilare il modello AA9/12 e presentarlo presso qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate.

Il modello deve essere consegnato entro 30 giorni dalla cessazione dell’attività. Inoltre, per presentare la cessazione d’inizio attività ai fini delle persone fisiche, i contribuenti devono avvalersi della Comunicazione Unica. La comunicazione unica, composta da un frontespizio e dalle diverse modulistiche, permette di compilare il modello AA9/12. Il tutto deve può anche essere inviato in via telematica o su supporto informatico del Registro delle imprese.

Come inviare il modello AA9/12?

Il modello AA9/12 può essere inviato all’Agenzia delle Entrate in modi differenti, messi a disposizione, dallo stesso Ufficio. E sono:

  • in un qualsiasi ufficio dell’agenzia delle entrate ed in duplice copia. Basta cercare nel sito dello stesso ente, per scoprire la sede dell’ufficio più vicino. E’ consigliabile chiamare e prenotare il proprio appuntamento per evitare estenuanti file d’attesa. E’ possibile anche presentare la documentazione tramite un delegato, ad esempio il proprio commercialista;
  • in via telematica tramite il proprietario della partita Iva o persona da lui incaricato. La data della dichiarazione si considera valida a fine ricezione da parte dell’Agenzia delle entrate.
  • tramite posta o raccomandata, allegando copia del documento d’identità valido. In questo caso si considera valido il giorno in cui sono state spedite. In altre parole, fa fede il timbro postale.

Partita IVA: quando è il momento di chiuderla?

Una cosa è certa: una persona non può alzarsi la mattina e chiudere in qualsiasi momento. Infatti, se ci sono delle operazioni non ancora cessate, e si aspettano delle fatture da pagare, non si può. Infatti, la partita IVA deve rimanere aperta, per permettere ai vari soggetti di fatturare tranquillamente i propri compensi.

Il discorso vale anche al contrario, cioè quando è il professionista che ancora non ha emesso fattura, o non ha incassato i propri compensi. Quando tutte le operazioni sono state concluse, la partita IVA può essere chiusa, senza alcun problema. Ma quanto costa? Per chiudere una partita IVA non è necessario avere alcun costo. Quello che va pagato è il professionista, ad esempio il commercialista, che si occupa di effettuare l’operazione.

Come si controlla che la partita IVA sia stata chiusa?

E’ possibile controllare che la propria partita IVA sia stata chiusa correttamente. Basta cliccare su uno dei seguenti link:

  • Agenzia delle entrate verifica partita IVA – per verificare se la partita Iva è di un soggetto autorizzato ad effettuare operazioni intracomunitarie;
  • Verifica codice fiscale Agenzia delle Entrate – Per controllare la validità di un codice fiscale si deve utilizzare il servizio.

Si ricorda che il contribuente deve aver provveduto anche a fare la Comunicazione presso la Cassa di appartenenza, se prevista. Inoltre, per i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS, non vi sono adempimenti particolari da dover eseguire.

Chiusura di ufficio di una partita IVA: quando avviene?

L’Agenzia delle entrate può decidere di chiudere la partita Iva d’ufficio. Questo avviene quando, in relazione ai dati in loro possesso, il contribuente non ha svolto alcun tipo di attività d’impresa, professionale o commerciale, nei tre anni precedenti. A stabilirlo è il provvedimento direttoriale del 3 dicembre 2019, per effetto del quale viene data attuazione all’art. 35 comma 15-quinquies del DPR n 633/72 (introdotto dal DLgs. n 175/2014 e modificato dal DL n 193/2016), il quale dispone la cessazione delle partite IVA dopo tre anni di inattività.

Anche in questo caso non sono previsti ulteriori costi da sostenere. La chiusura d’ufficio viene comunicata al soggetto tramite lettera raccomandata. Entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione, il contribuente può rivolgersi ad uno sportello dell’Agenzia delle entrate, per fornire chiarimenti sulla sua posizione. Sarà poi lo stesso ente a chiudere la partita IVA del soggetto.

Bonus baby sitter per autonomi: ecco come funziona

Il bonus baby sitter per le mamme che lavorano è un ottimo aiuto. Permette di diminuire tutti i costi per la gestione dei figli. Ecco come funziona.

Bonus baby sitter: cos’è?

Il Bonus baby sitter è un contributo economico per le famiglie, i cui genitori lavorano, nonostante questo clima pandemico. Se i genitori possono svolgere il lavoro in modalità Smart working, nessun problema. Ma se i genitori sono a lavoro occorre qualcuno che possa stare a casa con i figli. L’agevolazione ha lo scopo, quindi, di permettere ai genitori di continuare a svolgere il proprio lavoro e nel frattempo garantire assistenza e sorveglianza ai propri figli.

La misura, già introdotta dal decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto Cura Italia) e rifinanziata dal decreto Rilancio e dal decreto Ristori Bis, consiste in un sostegno economico per acquistare servizi di baby sitting per figli minori di 14 anni. Inoltre, il bonus può essere utilizzato anche per iscrivere i ragazzi ai centri estivi, centri di cultura creativa, servizi per l’infanzia ed affini.

Bonus baby sitter: chi può richiederlo?

Il governo ha rinnovato la possibilità di richiedere il bonus baby sitter anche per il 2021. Grazie al decreto legge del 13 marzo 2021, potranno richiedere il bonus sia i lavoratori dipendente che autonomi. La risorsa finanziaria messa in campo è pari a 280 milioni di euro. In altre parole potranno richiede il contributo:

  • i lavoratori dipendenti che hanno la possibilità di usufruire di congedi retribuiti;
  • i lavoratori autonomi;
  • le forze del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, le forze dell’ordine e gli operatori sanitari

Il contributo per i servizi di baby sitting deve essere richiesto entro il 30 giugno 2021. Si potrà ottenere fino a 100 euro a settimana.

Bonus baby sitter: come viene erogato il contributo?

Il contributo viene erogato mediante il libretto di famiglia. Il libretto di famiglia è uno strumento che serve a retribuire prestazioni di lavoro occasionale. Inoltre, è un libretto nominativo prefinanziato, composto da voucher di 10 euro l’uno. Grazie ai voucher è possibile pagare, quindi, i servizi di baby sitter, badanti, colf, riparazione ed altre piccole riparazioni domestiche. Il libretto di famiglia è quindi indispensabile per accedere al bonus baby sitter.

Il Libretto di famiglia è stato introdotto dal decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50. L’INPS, attraverso la circolare n. 107 del 5 luglio 2017, ha fornito tutte i chiarimenti e le indicazioni operative per richiedere e usare il Libretto famiglia. Il bonus viene riconosciuto ai lavoratori autonomi non iscritti all’INPS.

Altre precisazioni sul bonus baby sitter

Il Bonus baby sitter non può essere cumulato con altri contributi. Ad esempio, non può richiedersi se già si prende il bonus per l’asilo nido. Attualmente non si sa se la misura possa essere usato anche per i pagamenti di prestazioni svolte dai familiari: i nonni per esempio.

Tuttavia, è bene ricordare che i redditi derivanti da prestazioni di baby sitting non sono sottoposti ad imposta fiscale. In altre parole, una baby sitter, non ha bisogno di dichiarare questa “entrata” nella propria dichiarazione dei redditi, se pagata tramite voucher INPS. Ovviamente la baby sitter deve essere fatta da persona fisica, e non come esercizio d’attività.

Bonus baby sitting: come richiedere il contributo

Al momento la possibilità di richiedere il buono non è iniziata. Ma se non ci sono cambiamenti, rispetto a quello passato, il contributo può essere richiesto in due modi. La prima è online, attraverso l’apposita applicazione web disponibile sul portale INPS (Prestazioni e servizi > Tutti i servizi > Ordine alfabetico > Bonus servizi di baby sitting). Oppure rivolgendosi ai servizi offerti gratuitamente dai patronati. Anche i propri commercialisti, nel caso di lavoratori autonomi, a volte offrono questo servizio. Si tratta di piccoli aiuti per le famiglie, ma che permettono di affrontare meglio le difficoltà che la pandemia da Covid-19 ha prodotto.

Autonomi e Rent to buy: un aiuto per comprare casa

Sei un lavoratore autonomo e vuoi comprare casa? Ma per la banca non sei molto “affidabile“, perché non hai uno stipendio fisso o un TFR? Una buona soluzione potrebbe essere il Rent to buy.

Autonomi & Rent to buy: alcune considerazioni iniziali

Quando sei un lavoratore autonomo e magari hai fatto l’apertura della partita iva da poco, comprare casa è impossibile. Un umiliante giro tra istituti di credito, che spesso non aiutano e che non concedono il mutuo. Così spesso si sceglie un affitto, invece di coronare il proprio sogno di comprare una casa. Ma a risolvere questo problema potrebbe esserci una soluzione: il Rent to buy.

Il rent to buy è una tipologia di contratto, introdotta nel nostro ordinamento dal Decreto Sblocca Italia (D.L. 133/2014 convertito in Legge 164/2014). Tramite questo accordo si possono avere due effetti positivi. L’inquilino entra in casa da affittuario e poi riesce ad acquistare casa. L’altro effetto è che, nel corso degli anni, si crea una sorta di “storico” della capacità contributiva e reddituale del richiedente. Per le banche il “curriculum” migliora e non si perde la casa che si vuole comprare.

Cos’è il Rent to buy e come funziona?

Attraverso il Rent to buy il proprietario consegna al promittente acquirente l’immobile. Quest’ultimo paga regolarmente l’affitto, riservandosi il diritto di comprarlo, allo scadere del periodo contrattuale. Non vi è obbligo di comprare la casa, ma sicuramente una convenienza, perché spesso una parte dei canoni viene sottratta al prezzo finale di acquisto. Nel nostro ordinamento giuridico, non c’è una disciplina solo dedicata a questo tipo di contratto.

Pertanto, rientra nella tipologia di contratti di godimento in funzione della successiva alienazione del bene. Ciò prevede la stipula dinnanzi ad un notaio e la trascrizione nei Registri immobiliari. Al momento dell’accordo tra le parti, vengono indicati tutti i passi da fare. Tra questi il prezzo del bene, che viene bloccato. Ma anche la durata entro cui l’inquilino può comprare la casa. Ed infine, il canone mensile da corrispondere: la parte che viene dedicata al’indennizzo per il godimento del bene e lo scomputo del prezzo finale.

Un esempio pratico di Rent to buy

A questo punto un esempio pratico di Rent to buy può essere utile. Il prezzo di vendita di un appartamento è di 100 mila euro. Il compratore ed il venditore, in sede di preliminare di vendita, regolano le clausole dell’accordo. Ad esempio, il potenziale acquirente versa al venditore 10 mila euro per dar vita al Rent to buy. Inoltre, va concordato anche il prezzo mensile da versare a pari a mille euro. Di cui 500 euro come indennizzo per la locazione del bene e gli altri 500 euro come scomputo del prezzo finale. La durata del contratto sarà di 5 anni, dopo di che il cliente può comprare la casa. Facendo due conti, cinque anni dopo quanto dovrà versare l’inquilino?

500 euro x 12 mesi x 5anni= 30. 000 100.000-30.000-10.000 (acconto)= 60.000

Una somma decisamente più bassa e più facilmente accordabile da una banca, anche come mutuo.

Autonomi & Rent to buy: i vantaggi dell’inquilino

Grazie al Rent to buy, il potenziale acquirente prende subito possesso della casa o dell’appartamento. Questa formula è molto indicata per chi non dispone immediatamente della somma necessaria per l’acquisto. Oppure per chi deve affrontare un mutuo, ma non è dipendente e non ha un reddito mensile costante. Uno di questi casi è proprio il lavoratore autonomo. Quest’ultimo può, quindi, dare una piccola somma al proprietario dell’immobile, e dare corso al Rent to buy.

Alla fine del periodo concordato l’autonomo potrà contrarre il mutuo. Ed il perché è semplice? Perchè sarà riuscito a dimostrare la sua capacità di pagare i “suoi debiti” e anche di aver creato quel famoso “storico della partita Iva“, che per anni deve restare aperta. La banca sarà, magari, più disposta a concedere il tanto desiderato mutuo. Ovviamente, si consiglia di mantenere un andamento quanto più costate possibile, delle entrate annuali.

Cosa succede se non si compra l’immobile?

L’acquisto dell’immobile, da parte dell’inquilino, può avvenire tramite una somma privata dello stesso, oppure tramite il mutuo. Ma cosa succede se non si decide di comprare la casa? L’inquilino perderà tutto quello già versato. Comprese tutte le spese relative alla registrazione del contratto, notarili, di trascrizione ed iscrizione nei pubblici registri.

Infine, la legge stabilisce in tre anni la durata del Rent to buy. Anche se, le parti possono concordare una durata superiore e fino a 10 anni. Infine, rimane anche un’altra possibilità per non perdere tutto. Il conduttore ha anche la facoltà di nominare un terzo soggetto come previsto da tutti i contratti preliminari e cedere il contratto. Pertanto, facendoci due conti in tasca, la soluzione del Rent to Buy, può essere davvero una soluzione per i lavoratori autonomi.

Mutuo autonomi: quali sono le garanzie richieste?

Il mutuo sia per i lavoratori autonomi che i dipendenti è lo strumento che permette di poter comprare un immobile. Ma quali sono le garanzie richieste ad un autonomo?

Mutuo autonomi: cos’è il mutuo e come funziona

Il mutuo è un contratto con il quale una parte, detta mutuante (per esempio la banca), consegna ad un’altra parte, detta mutuataria (per esempio un lavoratore), un credito o presta una somma di denaro. Il debitore dovrà restituire la stessa somma di denaro, maggiorata degli interessi, allo scadere del termine stabilito.

Per questo motivo, spesso il mutuo viene pagato mensilmente, trimestralmente o semestralmente, per gli anni stabiliti al tasso previsto alla firma del contratta di mutuo. Tuttavia, il tasso di interessi a cui viene prestato il denaro, cambia in relazione all’istituto che concede il mutuo.

La rata permette, di spalmare nel tempo, questi ulteriori costi e permette al debitore di restituire la somma ottenuta. Inoltre, viene calcolata in base al reddito percepito, e nel caso di famiglie, anche al numero dei componenti della stessa.

Mutuo autonomi: il margine di rischio per la banca

Un lavoratore dipendente, con contratto a tempo indeterminato, rappresenta per la banca un reddito costante e certo. Mentre, nel caso di lavoratore indipendente, questa certezza potrebbe venir meno. Se da una parte lavorare autonomamente permette di svolgere un lavoro più dinamico, in cui è possibile scegliere gli orari.

Dall’altra parte, per la banca questo rappresenta un maggior margine di rischio. Questo perché, secondo l’istituto di credito, l’evento licenziamento del dipendente rappresenta qualcosa di più raro. Mentre, per l’autonomo non è così, può decidere di abbandonare il lavoro.

Anche e non è detto che sia così. Spesso dietro le spalle di un professionista vi è la realizzazione di un sogno. Ma anche anni di studio, di impegno, tirocini, per cui quel lavoro rappresenta l’unica fonte di reddito. E’ interesse del professionista mantenere e crescere nella sua professione.

Mutuo autonomi: il trattamento di fine rapporto

Il secondo punto di interesse in relazione al mutuo, è il trattamento di fine rapporto. Anche detto TFR, o liquidità, è una somma di accantonamento proporzionale alla retribuzione del lavorato dipendente. Viene corrisposta al lavoratore, a fine del rapporto, dal datore di lavoro.

Anche in caso di fallimento dell’impresa, il datore è tenuto a versare mensilmente il contributo in relaziona alla retribuzione. Anche in questo caso, si tratta di una garanzia per l’istituto di credito. Purtroppo, il meccanismo non funziona per i lavoratori autonomi. In altre parole, per i professionisti non si matura il TFR.

Questo rappresenta un altro fattore di rischio per la banca. Anche se, molti autonomi si creano dei propri fondi di accumulazione di capitali, per sfruttare nella fase finale della propria attività lavorativa.

Mutuo autonomi: come si possono superare le criticità?

Messe sotto la lente di ingrandimento le criticità per la banca, cerchiamo di capire com’è possibile superarle. Se la busta paga riporta il reddito mensile di un dipendente, come può fare il lavoratore autonomo, che non ha un reddito costante? La risposta potrebbe essere questa.

E’ possibile utilizzare il modello unico depositato presso l’Agenzia delle entrate. In caso di richiesta di mutuo, vengono richieste le ultime due precedenti, al periodo di domanda. A questo punto la banca valuta il rapporto tra la rara ed il reddito. Se nel caso di autonomi è pari al 30% dello stipendio, nel caso di mutuo per autonomi, tende ad abbassare questo rapporto.

Ma comunque deve sempre essere preso in esame e non è detto che non sia idoneo per la banca ai fini della concessione del credito. Inoltre, il lavoratore autonomo potrebbe essere proprietario di un immobile da mettere in garanzia. In questo caso, è evidente che la casa su cui viene iscritta l’ipoteca sia la principale fonte di garanzie per l’istituto di credito.

Altri consigli utili per i professionisti

A questo punto è meglio dare qualche consiglio ai professionisti che vogliono presentare la richiesta di mutuo. La banca tende a preferire i finanziamenti che riguardano gli immobili ad uso abitativo, piuttosto che quelli comprati per svolgere un’attività economica.

Il mercato dell’immobile residenziale è sempre stato il preferito agli istituti di credito, proprio perché tutti hanno bisogno di avere un luogo in cui vivere. Invece, un immobile commerciale potrebbe essere legato solo all’attività, smessa la seconda, l’immobile diventerebbe inutilizzato.

Un ruolo importante giocano anche le garanzie esterne. Tra queste è molto in uso la possibilità di avere un “garante“. Si tratta di una terza persona che si impegna, con il proprio patrimonio, a pagare le rate qualora il debitore risultasse inadempiente.

Il ruolo delle associazioni di categoria e le assicurazioni

Anche l’età del richiedente è una variabile importante. Un giovane, di solito, ha la possibilità maggiore di finire il suo debito, grazie alla sua maggiore speranza di vita. Ed infine, va valutato il ruolo delle associazioni di categoria. Infatti, esistono alcune associazioni tra professionisti che aiutano i propri iscritti, ponendosi come garanti.

Infine, sono ben viste anche le assicurazioni che vengono pagate quando si contrae un mutuo. Tra quelle obbligatorie e quelle consigliate c’è davvero una vasta gamma da poter scegliere. In questo caso, il consiglio è quello di affidarsi ad un consulente del credito esperto, capace di poter indirizzare il cliente verso l’istituto di credito migliore in merito alle esigenze del richiedente.

Carta nazionale servizi: cos’è e a cosa serve?

La Carta nazionale dei servizi o CNS è un dispositivo che contiene al suo interno una gamma completa di servizi utili alle imprese.

Carta Nazionale dei servizi: cos’è?

La Carta Nazionale dei Servizi o CNS è un dispositivo in formato Smart Card o Token USB, che contiene un certificato digitale di autenticazione personale. La CNS della Camera di commercio contiene un certificato di sottoscrizione della firma digitale. Il servizio viene emesso dall’ente Certificatore Aruba PEC S.p.A.

In realtà è una cartellina che contiene tutto il corredo per l’uso della CNS tra cui: le condizioni generali di contratto, i codici segreti: PIN, PUK, e CODICE UTENTE. Inoltre, quando si utilizza la carta viene sempre richiesto il PIN, e come una normale sim, con tre errori occorre l’inserimento del codice PUK. Se la CNS è in formato Smart Card è necessario dotare la propria stazione di lavoro di un lettore di carte, attraverso l’apposita sezione del sito www.card.infocamere.it. Per le CNS in formato Token USB non hanno bisogno di nulla.

Carta Nazionale dei servizi: quali sono i servizi offerti?

La Carte nazionale dei servizi offre l’opportunità di fare molte operazioni. Ad esempio, e forse il più importante, la possibilità di firmare digitalmente documenti informatici. Inoltre, il rappresentante legale di un’impresa può consultare gratuitamente:

  • statuti, atti e bilanci depositati;
  • schede di società;
  • visura ordinaria, storica e artigiana;
  • situazione dei pagamenti del diritto annuale;
  • Stato pratiche Registro delle imprese

Con la CNS rilasciata dalle Camere di Commercio, è possibile inoltre, come privati cittadini, collegarsi via Internet al sito dell’Agenzia delle Entrate (http://telematici.agenziaentrate.gov.it), registrarsi senza dover digitare tutti i propri dati e accedere così al sito per verificare lo stato della propria posizione fiscale.

L’importanza della firma digitale

La firma digitale è un servizio molto importante. Questo perchè la firma digitale garantisce l’autenticità della firma dell’utente. Inoltre garantisce l’integrità del documento che non è stato sottoposto a modifiche di alcun tipo. Una volta apposta, il documento diventa non ripudiabile, cioè non può essere disconosciuto. Come se non bastasse, la carta nazionale è altre caratteristiche fondamentali, tra cui:

  • Sicurezza di accesso ai siti web delle Pubbliche Amministrazioni
  • Sicurezzaconfidenzialità nella consultazione dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni.

La firma digitale permette di poter risparmiare tempo e firmare documenti senza dover spostarsi. Del resto, viene rilasciata dalla stessa camera di commercio, l’ente presso cui si procede all’apertura della partita IVA.

Quali sono gli enti che possono rilasciare una carta?

La carta Nazionale dei servizi può essere rilasciata presso la camera di commercio di appartenenza. Per richiederla occorre avere un valido documento di riconoscimento. Inoltre, occorre essere in possesso di una mail su cui convalidare la procedura. In questa situazione di pandemia, sono molte le camere di commercio che permettono di prenotare il servizio presso gli sportelli.

E’ anche vero che la camera di commercio ha delegato anche alcuni enti specifici a poter effettuare lo stesso servizio. Consigliamo di visionare sempre l’elenco o chiamare la camera di commercio per conoscere i soggetti abilitati.

Carta Nazionale dei servizi: alcune caratteristiche del contratto

Quando si sottoscrive l’utilizzo di una carta nazionale dei servizi, si firma un vero e proprio contratto. All’interno vi sono i seguenti documenti:

  • Modulo di richiesta di rilascio della stessa carta;
  • condizioni generali del contratto;
  • manuali operativi
  • informativa privacy

La camera di commercio o il certificatore hanno il diritto di risolvere il contratto nel caso in cui l’utente violi le sue responsabilità nell’utilizzo della carta e dei manuali operativi collegati. Infatti, l’utilizzatore è obbligato a trattare e conservare tutti gli accessi.

Carta nazionale dei servizi: il certificato di autentificazione

Il dispositivo CNS rilasciato all’utente contiene un certificato di autenticazione per l’accesso ai sistemi informatici tenuti dalle Pubbliche amministrazioni. Il certificato emesso dalla Camera di commercio è in conformità con la normativa vigente del manuale operativo.

La carta ha una durata di tre anni, dopo di ciò va rinnovata, presso la camera di commercio e l’ente che lo ha richiesto. Anche in questo caso l’utente deve conservare scrupolosamente i dati della chiave segreta. Quest’ultima, infatti, è privata e personale, infatti non può essere ceduta a terzi o data in uso a terzi. Un consiglio è quello di attivare la carta a tutte le attività commerciali ed imprese, per permettere di avere in pochi minuti certificati importanti.

Regime forfettario 2021: cosa cambia rispetto all’ordinario?

Il Regime forfettario 2021 non dovrebbe prevedere modifiche sostanziali rispetto a quello dell’anno scorso. Ma è il regime fiscale più scelto, ed ecco il perchè.

Regime forfettario 2021: perchè è così scelto?

Il Regime forfettario è stato introdotto con la legge n.208 del 2015. Ma poi modificato dalla Legge n. 145/2018 e dal D.L. n 124/2019. Il regime forfettario prevede delle “agevolazioni” per tutti coloro che intendono aprire una nuova attività. Lo scopo è proprio quello di stimolare, i giovani imprenditori a creare nuove imprese. Per i suoi limiti e requisiti viene molto adottato dalle micro e piccole imprese, ma anche da coloro che svolgono attività professionali.

Ad esempio, agenti immobiliari, avvocati, assicuratori, agenti di commercio e similari. Il regime forfettario prevede il limite del raggiungimento del reddito. Pertanto, solo se si rimane entro i limiti di 65 mila euro, si può sfruttare questa opportunità. Inoltre, è possibile accedere a questo regime, qualora non si sono sostenute spese, per collaboratori o dipendenti, superiori a 20 mila euro. Nel caso di start-up questo non è un valore da prendere in esame, almeno all’inizio.

Regime forfettario 2021: la differenza applicazione dei coefficienti

Il Regime forfettario, rispetto a quello ordinario, prevede una serie di vantaggi. Quando si apre un’attività nuova soprattutto, prima di scegliere il regime fiscale, è meglio fare delle opportune precisazioni. Nel regime ordinario, il reddito imponibile viene calcolato applicando alla somma dei ricavi, il coefficiente di riferimento dell’attività svolta. In generale, il valore di tali coefficienti oscilla tra il 40% e l’86%.

Invece nel regime forfettario, viene applicato, alla sommatoria dei ricavi, solo un’imposta pari al 15%. Se invece l’attività è di nuova apertura questa imposta scende al 5%. Anche se l’agevolazione al regime forfettario del 5% ha una validità temporale limitata: solo 5 anni. Ma occorre precisa che, in questo caso, bisogno avere anche altri requisiti:

  • non aver svolto attività d’impresa nei 3 anni precedenti;
  • la nuova attività non deve essere una continuazione di un’altra, nè sotto forma di dipendente o di lavoratore autonomo.

I vantaggi del regime forfettario 2021

Anche per quest’anno sono confermati i principali vantaggi del regime forfettario. Tra questi i principali sono:

  • I costi vanno calcolati in maniera forfettaria;
  • non si è soggetti applicazione dell’Iva in fattura;
  • Il reddito viene determinato secondo il regime di cassa;
  • non si è obbligati alla tenuta del registro di cassa;
  • non è prevista l’applicazione degli indici di sintetici di affidabilità;
  • la fatturazione elettronica NON è obbligatoria;
  • se si è titolari di partita IVA, ma non si hanno dipendenti, non si è obbligati agli adempimenti del sostituto d’imposta.

Approfondendo alcuni punti, si può benissimo dire che il reddito è solo la somma di tutti i ricavi percepiti. Così come stabilito dal Criterio di Cassa. Il pagamento delle imposte avviene con la Dichiarazione dei redditi, sia nel caso del 5% che del 15. L’unico limite è che le spese relative all’attività non possono essere “scaricate“. Al suo posto è previsto solo una deducibilità forfettaria, relativa al tipo di impresa svolta.

Cause di esclusione del regime forfettario: quali sono?

Le agevolazioni del regime forfettario però possono essere perse, al verificarsi di alcune condizioni. Tra queste: la residenza fiscale all’estero, il superamento della quota di 65 mila euro, coloro che si avvalgono dei Regimi speciali IVA, la partecipazione contemporaneamente all’attività in Partita IVA a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari. Inoltre, sono esclusi coloro che mettono fatture nei confronti del loro attuale datore di lavoro, oppure di quelle avuto nei due anni precedenti l’apertura dell’attività.

Il regime ordinario come funziona invece?

Il regime ordinario è applicato per le aziende, costituite in società di capitali o individuali che non hanno ricavi superiori a:

  • 400.000 euro per prestazione di servizi;
  • 700.000 euro per le altre attività

In questi casi la tassazione è legata alle aliquote Irpef, con scaglioni d’imposta compresi tra il 23% ed il 43%. Rispetto al forfettario però le spese sostenute, vanno considerate in riduzione del reddito complessivo. E’ obbligatorio l’uso della fatturazione elettronica e l’indicazione dell’Iva secondo la percentuale in vigore o in relazione al tipo di attività. Tra gli altri adempimenti da dover adottare:

  • la dichiarazione all’Agenzia delle Entrate ai fini IVA;
  • in versamento IVA trimestrale o mensile;
  • la tenuta dei libri e registri contabili con la relativa conservazione;
  • la compilazione del modello Isa, D.l. 50/2017.

Il regime ordinario semplificato: la soluzione di mezzo

Esiste poi un terzo regime, che corrisponde ad una via di mezzo tra quello forfettario e quello ordinario. In questo caso, è utilizzato da tutti quegli operatori del commercio che hanno un reddito è inferiore a 400 mila euro per prestazioni di servizi e 700 mila euro per attività di cessione di beni. Tuttavia, gli obblighi da rispettare sono:

  • gli adempimenti IVA da eseguire;
  • tenere il libro IVA con le operazioni passive ed attive;
  • tenere la contabilità attraverso la registrazione cronologica di tutti i pagamenti e gli incassi.

Infine è bene fare un’ ulteriore precisazione. Mentre il reddito della contabilità ordinaria è determinato in base al regime di competenza, in questo regime, avviene secondo il principio di cassa. Un consiglio è doveroso. Prima di scegliere il proprio regime fiscale è meglio affidarsi ad un esperto del settore, ad esempio un commercialista, che possa guidare verso una giusta soluzione.

Regime forfettario 5%: requisiti e costi nel 2021

Il Regime forfettario al 5% è un’agevolazione interessante, soprattutto per le Start-up. Ecco i requisiti ed i costi previsti per il 2021.

Regime forfettario 5%: chi può accedere?

Il regime forfettario ordinario prevede un’agevolazione del 15% sul reddito. Ma l’imposta sostitutiva scende al 5% quando si tratta di nuove attività. Inoltre, gli altri requisiti da dover avere sono:

  • non aver esercitato nei tre anni antecedenti l’apertura della nuova partita IVA, attività professionale o d’impresa, artistica , anche in forma familiare o associata;
  • se si porta avanti, un’attività con diverso proprietario, il reddito dell’anno precedente non deve essere superiore a 65 mila euro;
  • limite di 30 mila euro di reddito derivante da lavoro dipendente;
  • l’attività non deve costituire una mera prosecuzione di una precedente, se svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo.

Se si hanno tutti questi requisiti, si potrà aderire al regime agevolato del 5% per i primi cinque anni di attività. Superati, quindi dal sesto anno in poi, il regime forfettario prevede un’agevolazione del 15% sul reddito.

Regime forfettario 5%: alcune precisazioni

Secondo il comma 65 alla lettera a) della legge 190/2014 è opportuno fare delle precisazioni. Le persone fisiche che intraprendono l’esercizio di imprese, arti o professionisti possono avvalersi del regime forfettario. Per far ciò basta la dichiarazione di inizio attività di cui all’articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n.633 e successive modifiche.

Inoltre, i contribuenti persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni non devono aver conseguito ricavi, compensi, non superiori a 65 mila euro. Questo regime non può essere applicato nemmeno da coloro che abbiamo svolto la stessa attività, nella qualità anche di socio nei tre anni precedenti. Il periodo va calcolato sulla base dell’anno solare e non di quello relativo al periodo d’imposta.

Regime forfettario 5%: il proseguimento dell’attività

In relazione al proseguimento dell’attività, questa non deve essere in alcun modo proseguimento di un’impresa già in essere. Lo scopo è quello di eludere i “furbetti” delle agevolazioni. Infatti, non sono da considerare tutti quei comportamenti che prevedono solo il cambiamento della ragione sociale. In altri termini, l’attività deve essere totalmente nuova.

Con l’apertura della nuova attività, va anche aperta la partita Iva, e presentata la dichiarazione di adesione al regime forfettario. Se però la comunicazione di adesione non è stata presentata si può fare anche successivamente. Infatti, deve essere presentata una dichiarazione di variazione dei dati, revocando l’eventuale diversa opzione effettuata. Inoltre, laddove l’impresa familiare prosegua l’attività in precedenza svolta dal collaboratore familiare il regime fiscale di vantaggio può essere applicato.

E’ possibile disapplicare il forfettario?

Come già detto allo scadere dei cinque anni, il regime di tassazione sale al 15%. I contribuenti che devono applicare il regime forfettario hanno la possibilità di disapplicarlo. Si potrà così optare per la determinazione delle imposte sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).

Questa scelta deve essere comunicata barrando l’apposito campo in relazione alla dichiarazione annuale IVA.  L’omessa comunicazione è punibile con una sanzione amministrativa da 250 a 2000 euro.

L’applicazione del regime è valida per almeno tre anni successivi. Trascorso tale periodo l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la scelta operata. Il regime finanziario al 5% è applicabile per altro sono una volta, non può essere applicato con semplice intermittenza dell’attività.