Lavoratori domestici, è emergenza. Perché non bastano colf e badanti?

Il decreto flussi del 2023 prevede quote di ingresso anche per lavoratori domestici. È previsto l’ingresso di 9.500 unità per gli anni 2023, 2024 e 2025. Si tratta però di cifre irrisorie rispetto al fabbisogno. Secondo le stime potrà essere soddisfatta solo una domanda su 9.

Decreto flussi, pochi ingressi per lavoratori domestici

La popolazione italiana invecchia, gli impegni quotidiani impediscono di prendersi cura dei propri cari quando per le condizioni di salute o semplicemente per l’età hanno bisogno di essere accuditi per molte ore al giorno. Proprio per questo è in costante aumento la domanda di colf e badanti. L’Italia purtroppo per tali tipologie di mansioni non offre uno sbocco sufficiente e proprio per questo nella maggior parte dei casi sono assunte donne provenienti dall’estero.

Nonostante questo, la disponibilità è limitata. La domanda infatti è di 68.000 persone. I dati emergono dal rapporto Assindatcolf.

Quante badanti servono in Italia?

Nel solo 2022 1.328.000 persone hanno avuto necessità di personale straniero per l’assistenza familiare, circa 651.000 di badanti e oltre 677.000 di colf e baby-sitter.

Le previsioni non sono rosee, infatti si calcola che dal 2023 in poi il fabbisogno aumenterà a causa dell’invecchiamento della popolazione.

Nel 2025 il fabbisogno dovrebbe arrivare a 1.402.000 persone.

Proprio per questi motivi le associazioni di categoria hanno chiesto al Governo di aumentare le quote di ingressi per questa tipologia di lavoratori, ma ad oggi non vi sono risposte.

La richiesta di stranieri è dovuta soprattutto al fatto che questa tipologia di lavoratore accetta di avere nel salario anche vitto e alloggio e quindi viene fornita una disponibilità h24. Difficilmente si riescono a trovare italiani che fanno scelte così impegnative per quanto riguarda la qualità della vita e il godimento di tempo libero. Le strutture generalmente hanno costi più elevati, sebbene forniscano anche supporto di personale medico e infermieristico. Sono ancora pochi gli italiani che decidono di passare gli ultimi anni della propria vita in case di riposo, considerate un lusso.

Per l’Italia sta diventando una vera emergenza viste le numerose persone che hanno bisogno di assistenza.

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Esenzioni IMU, chi non deve pagare

È in scadenza la seconda rata dell’Imu, Imposta municipale unica o propria. Si tratta di una delle poche imposte che in Italia tocca il patrimonio ed è inutile dire che è a molti invisa. Ma non tutti devono pagarla. Ecco le esenzioni Imu.

Esenzione Imu abitazione principale

L’esenzione Imu principale è quella per l’abitazione principale, la stessa è assoggettata all’imposta solo nel caso in cui sia classificata al catasto come di lusso, cioè con assegnazione della categoria catastale

  • A/1 (abitazioni signorili);
  • A/8 (ville);
  • A/9 (castelli, palazzi di pregi artistici e storici).

In questo caso l’esenzione Imu per l’abitazione principale spetta anche le pertinenze.

Spetta l’esenzione anche nel caso di due coniugi che abbiano residenza in due immobili diversi intestati. Con la sentenza della Corte di Cassazione 209 del 2022 tale esenzione è stata estesa anche al caso in cui i due immobili siano nello stesso immobile.

Esenzione Imu per anziani, in quali casi spetta?

Spetta l’esenzione Imu anche per il proprietario ricoverato in struttura di lunga degenza. Per ottenere tale esenzione l’immobile non deve essere stato concesso in locazione a terzi soggetti.

Vi sono, infine, dei casi di riduzione Imu, ad esempio se l’immobile è concesso in locazione con contratto a canone concordato e per i pensionati residenti all’estero ma a condizione che siano residenti in un Paese con cui l’Italia ha stipulato una convenzione.

Ricordiamo che la scadenza della seconda rata è fissata al 18 dicembre 2023. Il termine ordinario è il 16, ma slitta al 18 perché il 16 è sabato.

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Imu 2023, quando spetta sconto al 75%?

L’Imposta municipale unica, o propria, meglio conosciuta come Imu ha come presupposto il possesso di fabbricati, esclusa la prima casa, terreni ed aree edificabili. Vi sono però dei casi in cui anche su immobili ulteriori rispetto alla prima casa si possono ottenere agevolazioni, riduzioni e sconti.

Spetta lo sconto al 75% dell’Imu nel caso in cui l’immobile sia locato con contratto a canone concordato. Ecco come funziona.

Sconto aliquota Imu al 75% per gli immobili locati con canone concordato

Scade il 18 dicembre 2023 (la scadenza ordinaria sarebbe il 16 dicembre ma si tratta di un sabato) il pagamento del saldo Imu, ma non tutti sono tenuti al versamento dell’imposta, infatti, vi sono agevolazioni e sconti applicabili in casi specifici.

L’art. 1, comma 760, della legge n. 160 del 2019 prevede a partire dal 2020 la possibilità di ottenere la riduzione di un quarto l’IMU calcolata sull’immobile oggetto di locazione con un contratto a canone concordato ai sensi della Legge n. 431/1998.
L’agevolazione opera per i contratti di locazione sottoscritti applicando le regole dell’articolo 2 comma 3 della L. 431/98 redatti in conformità degli accordi territoriali conclusi tra le associazioni rappresentative dei proprietari e dei conduttori. La durata minima non può essere inferiore a tre anni con una proroga di due anni, inoltre l’importo dovuto deve essere in linea con gli accordi citati.
Lo sconto in oggetto si applica anche anche ai contratti stipulati con studenti universitari ex art. 5 comma 2 della L. 431/98 con durata compresa tra 6 mesi e 3 anni.

Come ottenere lo sconto Imu al 75% per il contratto di affitto con canone concordato?

Lo sconto Imu previsto per gli immobili dati in locazione con contratto a canone concordato si applica in modo automatico, non occorre quindi una specifica dichiarazione.
Una volta verificata l’aliquota stabilita dal Comune per l’Imu, il contribuente che si trova nelle condizioni indicate dalla legge deve calcolare l’imposta dovuta riducendo l’aliquota al 75% (la misura del 75% non può essere oggetto di modificazione da parte del Comune). Si ottiene quindi uno sconto del 25%.

Nel caso concreto, se l’aliquota scelta dal Comune è 1,06, è necessario calcolare il 75% della stessa, cioè 0,795. la stessa deve essere applicata alla base imponibile IMU. La stessa si ottiene dalla rendita catastale rivalutata del 5% X moltiplicatore Imu che dipende dalla categoria catastale.

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Bonus casa non utilizzati, scatta l’obbligo della comunicazione

Dal 1° dicembre 2023 i contribuenti attraverso la piattaforma messa a disposizione dall’Agenzia delle Entrate dovranno comunicare i bonus edilizi non utilizzati.

Come effettuare la comunicazione dei crediti inutilizzabili

Chi ha effettuato lavori edilizi utilizzando bonus casa, superbonus e altri incentivi in materia edilizia, nel caso in cui abbia optato per la cessione del credito o lo sconto in fattura e abbia nel cassetto fiscale dei crediti non utilizzati, deve provvedere a comunicare tale fatto all’Agenzia delle Entrate. La funzione sarà disponibile a partire dal 1° dicembre 2023. L’obbligo ricade sull’ultimo cessionario.

L’articolo 25 del Decreto Legge n. 104/2023 prevede l’obbligo di comunicare i crediti inutilizzabili, l’obbligo è diventato operativo con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate datato 23 novembre 2023. Dal 1° dicembre 2023 il sistema sarà operativo.

Le procedure da utilizzare sono diverse a seconda che trattasi di crediti tracciabili che, quindi, risultano essere dotati di un codice identificativo, secondo quanto previsto all’interno del comma 1-quater, del Decreto Legge n 34/2020 oppure crediti non tracciabili.

Nel primo caso nella comunicazione dei bonus edilizi e del superbonus utile per censire i crediti non utilizzabili deve essere inserito il protocollo telematico attribuito al momento della prima cessione e le rate annuali di tali importi.

Per i crediti non tracciabili il contribuente deve indicare gli estremi identificativi della rata annuale del credito relativo alla comunicazione di prima cessione o sconto in fattura.

Sia per i crediti tracciabili che per i crediti non tracciabili, il contribuente deve indicare la data nella quale l’ultimo cessionario è venuto a conoscenza dell’evento che ha determinato l’inutilizzabilità del credito. Al termine della trasmissione dei dati i crediti inutilizzabili saranno scalati dalla disponibilità del cessionario.

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Comunicazione crediti inutilizzabili per sequestro

All’Agenzia delle Entrate nelle Faq ha anche precisato che tale procedura non deve essere seguita nel caso in cui i crediti inutilizzabili, siano tali a causa di un sequestro. Precisa l’Agenzia che “il sequestro di tali crediti, infatti, viene comunicato dall’Autorità giudiziaria all’Amministrazione finanziaria che ne sospende tempestivamente la possibilità di utilizzo in compensazione, eliminandoli dal cassetto fiscale.

Precisa, inoltre che devono invece essere comunicati i crediti non utilizzabili a causa di errori procedurali che ne inibiscono l’utilizzo.

Non presento la dichiarazione dei redditi, quali sanzioni?

Entro il 30 novembre è possibile presentare la dichiarazione dei redditi con il modello Redditi Persone fisiche. Si tratta dell’ultimo termine utile per dichiarare i propri redditi ma cosa succede se non si presenta la dichiarazione dei redditi? Ecco le sanzioni previste.

Cos’è l’omessa peresentazione della dichiarazione dei redditi?

Si parla di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi quando la stessa la stessa non viene presentata entro 90 giorni dal termine ultimo per la presentazione. Se la dichiarazione viene presentata dopo il termine di scadenza, ma prima che siano trascorsi 90 giorni si parla invece di presentazione tardiva. Le conseguenze sono diverse perché ovviamente nel secondo caso vi è una minore gravità.

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Cosa succede se non presento la dichiarazione dei redditi?

In caso di omessa presentazione di dichiarazione dei redditi le conseguenze possono essere molteplici.

Il primo caso è quello in cui non viene presentata la dichiarazione, ma comunque il saldo dell’imposta Irpef da versare è pari a zero. Al verificarsi di questa ipotesi viene applicata la sanzione prevista nel primo comma dell’articolo 1 del decreto legislativo numero 471/1997 , cioè una multa di importo variabile tra 250 e 1000 euro. La sanzione è ridotta a un importo tra 150 euro e 500 euro se il contribuente provvede a presentare la dichiarazione entro il termine di scadenza per la presentazione della dichiarazione per il periodo di imposta successivo.

Tali sanzioni sono raddoppiate quando il soggetto passivo è obbligato per legge alla tenuta delle scritture contabili (titolari di partita Iva, esclusi i forfettari).

Omessa presentazione della dichiarazione in caso di imposta dovuta

Diverse sono le sanzioni applicate nel caso in cui dalla presentazione della dichiarazione omessa sarebbe derivato l’obbligo di versare l’Irpef. In questo caso trova applicazione la sanzione amministrativa dal 120% al 240% dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250.

Se la dichiarazione viene presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione per l’anno di imposta successivo, senza che siano prima iniziate attività di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria, le sanzioni sono ridotte a un importo compreso tra il 60% e il 120% dell’imposta dovuta. In nessun caso la sanzione può avere importo inferiore a 200 euro.

Non presento la dichiarazione dei redditi, è reato?

Le pene aumentano quando le imposte non versate in seguito a mancata presentazione della dichiarazione dei redditi sono superiori a 50.000 euro. In questo caso scatta l’ipotesi di reato penale punito con la reclusione da due a cinque anni. Stessa pena per chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro 50.000.

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Rottamazione quater, arriva la proroga dei termini?

Il 30 novembre è in scadenza la seconda rata della rottamazione quater, ma sembra prendere sempre più piede la possibilità di una proroga della scadenza.

Le scadenze della rottamazione quater

La prima rata della rottamazione quater è scaduta alla fine di ottobre, grazie alla tolleranza di 5 giorni è stato possibile pagarla fino al 6 novembre. Nonostante questo negli ultimi giorni vi sono stati problemi con la piattaforma, questo ha portato molti contribuenti a decadere dal beneficio.

La seconda scadenza è invece fissata al 30 novembre quindi un solo mese di distanza rispetto alla prima. Se a ciò si aggiunge che le prime due rate sono le più importanti perché devono coprire il 10% del debito fiscale, appare evidente che vi possono essere difficoltà per i contribuenti.

Proprio per questi motivi da diversi fronti vi sono richieste di proroghe della scadenza della seconda rata al 31 gennaio 2024. Inoltre vi è la richiesta di concedere a chi non è riuscito a pagare la prima rata di recuperare ed evitare la decadenza. Questi due provvedimenti potrebbero portare maggiori entrate nelle casse dello Stato.

Proroga rottamazione quater, arrivano richieste da più fronti

La richiesta di proroga della scadenza della seconda rata della rottamazione quater arriva dall’associazione dei commercialisti, ancora prima era stato Ezio Stellato, Presidente del Cesfi (Centro Studi sulla Fiscalità Internazionale) a proporre la proroga della scadenza al Mef.

Il Presidente ANC, Marco Cuchel ha sottolineato che il calendario fiscale deve essere revisionato perché le troppe scadenze concentrate in brevi lassi di tempo stanno mettendo in difficoltà professionisti, imprese e comuni cittadini.

I tempi sembrano abbastanza stretti per poter procedere e andrebbero anche a discapito di chi ormai ha effettuato il versamento facendo affidamento sulla iniziale scaletta dei pagamenti. Il viceministro Maurizio Leo ha però sottolineato di essere favorevole alla modifica del calendario fiscale, “calibrando meglio i tempi in modo da rendere più agevole il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuente”.

Ricordiamo che per chi non riesce a seguire il piano dei pagamenti vi è la possibilità di modificarlo attraverso il servizio ContiTu che permette di scegliere quali cartelle esattoriali pagare e per quali optare per la decadenza.

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Lavoro, mancano lavoratori specializzati in questi settori

Il mercato del lavoro è ancora in sofferenza, sono 5,5 milioni i contratti programmati dalle aziende, ma mancano le coperture. Ecco i lavori più cercati e per i quali le aziende fanno fatica a trovare lavoratori specializzati.

Mercato del lavoro, quali professioni sono da coprire?

Se da un lato vi sono tante persone che cercano un lavoro e fanno fatica ad arrivare a fine mese, ci sono tante aziende che cercano personale e non riescono a trovarlo. Lo squilibrio tra domanda e offerta è determinato prevalentemente dal fatto che spesso chi cerca lavoro non ha un grado di istruzione adeguato alle mansioni disponibili, in altri casi le posizioni restano scoperte perché poco allettanti dal punto di vista economico. Il quadro della situazione è stato riassunto il Bollettino annuale 2023 del sistema informativo Excelsior, targato Unioncamere-Anpal.

A sorpresa i settori dove si assume di più sono quelli che richiedono un titolo tecnico-professionale e di istruzione e formazione professionale. Proprio le difficoltà emerse ci dicono che c’è ancora distanza tra l’offerta formativa delle scuole e le richieste delle aziende.

Le imprese hanno avuto difficoltà a trovare il 65,5% dei diplomati presso gli istituti ITS, le difficoltà aumentano per lavoratori con diploma tecnici specializzati nei percorsi dell’area meccanica. Difficoltà elevate ci sono anche nella ricerca di tecnici ITC Information and Communication Technologies) Tecnologie riguardanti i sistemi integrati di telecomunicazione.

Per quanto riguarda invece le posizione aperte per laureati, ci sono settori dove sicuramente vi è un eccesso e altri invece in cui c’è penuria, tra questi ultimi vi sono laureati in materie tecnico-scientifiche.

Le mansioni per cui non si trovano lavoratori

Tra le mansioni più difficili da coprire vi sono:

  • ingegneri dell’informazione;
  • personale infermieristico;
  • ostetriche;
  • tecnici delle costruzioni civili.
  • Non si trovano inoltre idraulici, elettricisti, farmacisti e tecnici programmatori.

Si tratta a ben vedere di posizioni che possono fornire anche un buon riscontro economico e nonostante questo, sembra siano poco affascinanti per i giovani che preferiscono avere una formazione che porta in una direzione diversa rispetto a tali professioni.

Il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, ha precisato che il problema della irreperibilità di questi professionisti è dovuta alla incapacità di orientare i giovani nel momento in cui devono scegliere il percorso formativo da seguire.

Il problema delle assunzioni in Italia è ciclico, infatti nelle stagioni ad elevato interesse turistico le aziende lamentano la scarsità di personale da adibire a mansioni come camerieri, cuochi, addetti alla reception, guide turistiche.

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Ticket sanitario, quale reddito per non pagarlo?

Il Sistema Sanitario Nazionale può essere gratuito,  quindi si possono avere prestazioni mediche specialistiche ed esami strumentali e di laboratorio in modo gratuito. Ma vi sono casi specifici in cui si può ottenere l’esenzione dal ticket sanitario. Ecco quando non si paga.

Esenzione ticket per reddito

L’esenzione dal ticket sanitario, e quindi prestazioni sanitarie gratuite, si può ottenere solo in casi specifici e in particolare per motivi di reddito per motivi legati in maniera congiunta al fattore anagrafico e al reddito e infine per patologia. In questo ultimo caso si ottengono prestazioni gratuite solo relativamente a tale patologia, ad esempio un diabetico può ottenere dispositivi per la misurazione del diabete e insulina.

Ci soffermiamo ora sul caso di esenzione dal ticket per motivi economici.

Il welfare italiano prevede un sistema sanitario pubblico gratuito, o quasi, in particolare le prestazioni come analisi del sangue, esami diagnostici presso il servizio pubblico o presso privati convenzionati, visite mediche sempre tramite servizio pubblico sono rese dietro il pagamento di un ticket sanitario che può essere di diverso importo in base alla tipologia della prestazione. Nel caso in cui però la persona che deve ottenere la prestazione appartiene ad un nucleo con un reddito basso la prestazione si può ottenere gratuitamente.

Qual è il limite del reddito per ottenere l’esenzione dal ticket?

I casi sono diversi e per ognuno c’è un codice dedicato che deve essere inserito da chi prescrive la prestazione medica. Ecco la lista delle esenzioni ticket per reddito:

  • per bambini fino a 6 anni e ultra-sessantacinquenni, esenzione ticket con codice E02 con reddito del nucleo inferiore a 36.151,98 euro annui;
  • disoccupati e familiari a carico, reddito del nucleo familiare inferiore a 8.263,31 euro, elevati a 11.362,05 euro quando uno dei coniugi è a carico. Per ogni altro familiare a carico il limite del reddito deve essere aumentato di 516,46 euro. Il codice esenzione ticket in questo caso è E02;
  • titolari di pensione sociale o percettori di assegno sociale e familiari a carico, codice E03;
  • titolari di pensione minima di età superiore a 60 anni e familiari a carico. Codice esenzione ticket E04.

Per ottenere l’esenzione non basta dire al medico che effettua la prescrizione che si ha diritto a essa, occorre rivolgersi alla Asl di appartenenza alla Regione presentando un’autocertificazione del reddito e il documento di riconoscimento. L’Asl rilascerà un certificato provvisorio in scadenza il 31 marzo di ogni anno.

Gli over 65 non sono tenuti di anno in anno a chiedere il rilascio del certificato all’Asl, ma nel caso in cui il reddito cambi e quindi sia superato il limite, occorre comunicarlo all’Asl.

Effettuato questo passaggio, il codice viene inserito nella banca e nel momento in cui il medico compone la ricetta medica, il codice viene inserito in automatico.

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Il professionista può portare in deduzione la marca da bollo?

I professionisti quando emettono fattura o ricevuta per prestazioni occasionali, senza iva, di importo superiore a 77,47 euro sono tenuti ad applicare la marca da bollo del valore di 2 euro. Molti si chiedono se si può portare in deduzione tale spesa. Ecco come funziona.

La marca da bollo può essere portata in deduzione?

Il professionista, ad esempio il medico, nell’emettere una fattura per prestazione specialistica può decidere di applicare la marca da bollo e imputarla al cliente, in questo caso deve specificare tale imputazione sulla fattura. Il costo potrà essere portato in detrazione dal cliente con le spese sanitarie (nel caso di prestazione medica).

In alternativa il professionista può lasciarla a proprio carico, in questo secondo caso si può portare in deduzione tale costo?

La prima cosa da sottolineare è che al momento dell’acquisto della marca da bollo, questa non viene considerata un costo di impresa ma deve essere registrata tra i “valori di cassa” (ossia sono assimilati alla cassa). Al momento dell’utilizzo effettua una nuova registrazione.

Il reddito professionale di un professionista è determinato dalla differenza tra i ricavi/compensi e i costi sostenuti, deve però trattarsi di costi inerenti all’attività. Sicuramente la marca da bollo da apporre sulla ricevuta/fattura può essere considerata un costo strumentale inerente.

Dal punto di vista contabile, nel momento in cui si utilizza il valore bollato per se stesso, dovrà rilevare il relativo costo. A livello fiscale, il costo sostenuto è interamente deducibile dal reddito professionale.

Come portare in deduzione la marca da bollo

Naturalmente occorre avere un documento che dimostri tale spesa, di conseguenza il volume di acquisti di marche da bollo deve rispecchiare in proporzione il volume dei documenti legali emessi. Per dedurre questo tipo di spese, deve essere fornita una documentazione giustificativa, cioè una ricevuta emessa dalla rivendita di generi di Monopolio, tabaccheria o altro, per l’acquisto delle marche.

Tra i valori bollati che possono essere portati in deduzione vi sono anche i francobolli, ad esempio se utilizzati per comunicare con i propri clienti.

Naturalmente chi opera in regime forfettario o dei minimi non potrà effettuare tale deduzione perché i costi sono determinati non con il metodo analitico, ma con il metodo “a forfait”.

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Rottamazione quater, chi ha dimenticato la prima rata può pagarne due insieme?

La domanda corre sui social, e non solo: se ho dimenticato di pagare la prima rata della rottamazione quater posso recuperare pagando entro il termine della seconda scadenza entrambe le rate? Ecco cosa succede a chi dimentica le scadenze.

Decadenza dalla rottamazione quater

La rottamazione quater è prevista nella legge di bilancio 2023 ha permesso di rottamare le vecchie cartelle esattoriali accumulate nel tempo senza versare le sanzioni. Una volta ammessi alla rottamazione quater i pagamenti devono avvenire nelle scadenze previste dal piano rateale e purtroppo in caso di dimenticanza vi è la decadenza dalla rottamazione quater.

La decadenza comporta il ripristino delle vecchie cartelle esattoriali con sanzioni e interessi. Le somme eventualmente già pagate, ad esempio nel caso in cui la prima rata sia pagata e si dimentica la seconda o una successiva, sono scomputate dal totale da versare. Le somme versate di conseguenza non si perdono.

La prima rata della rottamazione quater era in scadenza il 31 ottobre, ma in forza della tolleranza prevista di 5 giorni, e a causa delle festività, il termine per il pagamento è slittato fino al 6 novembre 2023. La seconda rata è in scadenza al 30 novembre e può essere fatto slittare fino al 5 dicembre 2023.

Trascorsi tali termini vi è decadenza. Molti però stanno chiedendo anche attraverso i social se possono recuperare pagando insieme le prime due rate. La risposta è “No”, chi non ha pagato la prima rata della rottamazione quater è ormai decaduto e non può recuperare.

Perché molti chiedono se possono recuperare il pagamento della prima rata della rottamazione quater?

La notizia di un possibile ripristino della rottamazione quater per chi non ha pagato la prima rata si è diffusa perché Ezio Stellato, Presidente del Cesfi (Centro Studi sulla Fiscalità Internazionale) ha proposto al Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e al Vice Ministro del Mef, Maurizio Leo la possibilità di far rientrare nella rottamazione coloro che non sono riusciti a effettuare il versamento a causa di problemi tecnici determinati dalla piattaforma messa a disposizione per il versamento.

A tale proposta non è però stato dato esito positivo, di conseguenza per ora non c’è alcuna possibilità di rientrare in caso di decadenza per il mancato versamento della prima rata.

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