Iscro nella legge di bilancio 2024, aumentano i beneficiari

Cambiano i requisiti per accedere alla ISCRO, indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa. la legge di bilancio 2024 cambia i requisiti al fine di aumentare il numero dei beneficiari. Ecco le novità.

Da Iscro a Indennità di discontinuità reddituale

L’Iscro è rivolta ai titolari di partita Iva iscritti alla Gestione Separata INPS, si tratta di un aiuto volto a superare momenti di difficoltà nel lavoro. Con la legge di bilancio 2024 vengono però modificati i requisiti per accedere e diventa più semplice avere questo sussidio.

L’Iscro è stata introdotta in via straordinaria con l’emergenza Covid, di volta in volta è stato prorogato. Ora l’obiettivo è rendere questo sussidio strutturale e proprio per questo tra le ipotesi allo studio vi è anche il cambio del nome che dovrebbe essere “indennità di discontinuità reddituale”.

Nonostante il periodo Covid di emergenza, in realtà la misura non ha avuto molto successo, infatti nel 2021 sono state presentate 8.400 domande e il 40% delle stesse è stata respinta per assenza dei requisiti. Nel 2022 vi è stato un drastico calo delle domande a 2.500. Molto probabilmente lo scarso successo è dovuto a requisiti troppo rigidi.

Proprio per questo nel rendere al misura strutturale stanno cambiando proprio i requisiti.

Come cambia l’Iscro con la legge di bilancio 2024

In passato era possibile richiedere la misura nel caso di calo del reddito inferiore al 70% della media dei redditi da lavoro autonomo conseguiti nei due anni precedenti all’anno di riferimento. Cambia anche la soglia di reddito che permette di richiedere il sussidio, in precedenza era 8.650 euro mentre ora è portato a 12.000 euro.

L’assegno Inps dovrebbe restare di importo compreso tra 250 euro e 800 euro mensili corrisposti per un periodo massimo di 6 mesi.

Per poter presentare la domanda, la partita Iva dovrà essere stata attivata da almeno tre anni.

Non può avere accesso all’Iscro il titolare di partita Iva che percepisce un assegno pensionistico o assegno di inclusione. Potranno accedere all’agevolazione solo coloro che sono in regola con il versamento dei contributi previdenziali. Se nel periodo di erogazione del contributo la partita Iva viene chiusa, viene sospesa immediatamente l’erogazione.

L’aumento della platea dei beneficiari sarà compensato con un aumento della contribuzione Inps a carico degli iscritti alla Gestione Separata Inps di 0,35%.

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Come verificare la cancellazione di un’ipoteca? Guida Agenzia Entrate

L’ipoteca è una garanzia su un immobile in favore di un creditore, la stessa viene iscritta al catasto, ma al venir meno della ragione per la quale è stata iscritta deve essere cancellata. Molti contribuenti si chiedono come verificare che effettivamente l’iscrizione dell’ipoteca al catasto sia stata cancellata. A questa domanda risponde l’Agenzia delle Entrate.

Cosa succede quando viene iscritta un’ipoteca su un immobile?

Il caso più frequente di iscrizione di un’ipoteca su un immobile è quello della stipula del mutuo per l’acquisto di un immobile, in questo caso viene generalmente iscritta ipoteca sullo stesso immobile, o su altro immobile, a garanzia di un eventuale mancato pagamento delle rate del mutuo.

In questo caso se il debitore non paga il dovuto, la banca può iniziare una procedura di esecuzione forzata con vendita all’asta dell’immobile. Questo è solo uno dei possibili casi, le alternative possono essere diverse. L’ipoteca segue l’immobile, questo implica che se il proprietario vuole vendere l’immobile, l’acquirente acquisterà un bene ipotecato, l’iscrizione dei registri del catasto fa in modo che l’acquirente possa essere consapevole del vincolo sul bene. Naturalmente l’iscrizione di un’ipoteca su un immobile ne riduce il valore, allo stesso tempo rappresenta un ostacolo, un rischio. Questo è il motivo per cui vi è molto interesse, una volta estinto il debito a che l’ipoteca sia cancellata.

Un contribuente chiede quindi all’Agenzia delle Entrate: Dopo che il creditore ha trasmesso la comunicazione di estinzione del debito, come si può verificare l’avvenuta cancellazione di un’ipoteca?

Comunicazione di estinzione del debito e verifica cancellazione ipoteca

Capita infatti di frequente che, nonostante sia stata trasmessa la comunicazione di estinzione del debito, passino dei mesi prima che si proceda all’effettiva cancellazione dell’ipoteca e non sono mancati casi in cui è stato necessario più di un sollecito.

L’Agenzia attraverso la rubrica FiscoOggi rende nota la procedura corretta che consente di arrivare alla cancellazione dell’ipoteca. Il primo passo è inviare telematicamente una comunicazione di estinzione del debito al competente ufficio di pubblicità immobiliare dell’Agenzia – Servizio di pubblicità immobiliare. Questo deve essere fatto dal creditore.

A questo punto per conoscere lo stato di lavorazione della pratica per la cancellazione dell’ipoteca è possibile procedere alla Interrogazione Registro delle Comunicazioni https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/schede/fabbricatiterreni/interrogazione-registro-delle-comunicazioni/scheda-info-interrogazione-registro-comunicazioni

In questo caso per accedere basta inserire il codice fiscale del debitore.

Si può accedere a questo servizio presso gli sportelli dei Servizi di Pubblicità immobiliare degli Uffici provinciali – Territorio, presentando l’apposito modello. In alternativa è possibile accedere attraverso la propria area riservata sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Per procedere in questo secondo caso è necessario avere a disposizione un identità digitale ( codice Spid o CIE).

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Bonus edilizi, beneficiario diverso da chi effettua il bonifico

Si possono ottenere le agevolazioni fiscali legate a bonus edilizi se il beneficiario della detrazione è diverso rispetto a colui che effettua il bonifico? Questa la domanda che un contribuente ha posto all’Agenzia delle Entrate che ha risposto attraverso la rubrica FiscoOggi.

Detrazioni bonus edilizi, si possono ottenere se l’ordinante bonifico è diverso dal beneficiario?

I bonus edilizi portano sempre un po’ di confusione nei contribuenti che di fatto hanno paura di perdere i benefici fiscali a causa di errori di tipo “burocratici” complice una normativa spesso nebulosa, caratterizzata da notevoli cambiamenti e fonti normative, anche di grado diverso, che si sovrappongono.

Nel caso in oggetto il contribuente sottolinea che i genitori devono eseguire lavori di recupero del patrimonio edilizio e di conseguenza intendono sfruttare le agevolazioni fiscali.

I genitori però non hanno un conto corrente, ma un libretto di risparmio, di conseguenza non possono effettuare bonifici. Si ricorda che per poter ottenere le agevolazioni fiscali è assolutamente necessario effettuare i pagamenti con strumenti tracciabili, come, appunto, i bonifici.

Il contribuente quindi chiede se è possibile effettuare il bonifico dal proprio corrente sebbene il beneficiario delle detrazioni fiscali sia il genitore.

Indicazioni dell’Agenzia delle entrate sul bonifico per detrazioni bonus edilizi

L’Agenzia delle Entrate risponde positivamente. Sottolinea che per poter ottenere le agevolazioni fiscali legate ai bonus edilizi, non è necessario che coincidano il beneficiario e l’ordinante del bonifico. Occorre però prestare attenzione nella compilazione e inserire tutti i dati che consentono di ottenere le detrazioni fiscali. In particolare nella circolare 17 del 2023 dell’AdE sono indicati i dati da inserire nel bonifico, cioè:

  • causale del versamento (da essa deve evincersi che il pagamento è effettuato per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio che danno diritto alla detrazione);
  • il codice fiscale del beneficiario della detrazione (che può essere anche diverso dall’ordinante il bonifico);
  • la partita Iva o il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.

Sottolinea l’Agenzia delle Entrate che “il requisito richiesto dalla norma sulla titolarità del sostenimento della spesa risulta soddisfatto anche quando l’ordinante il bonifico è una persona diversa da quella indicata come beneficiario dell’agevolazione, ma solo quest’ultima potrà chiedere la detrazione” .

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Agricoltura, disponibili contributi a fondo perduto con il Fondo per l’innovazione

Sta per partire il Fondo per l’innovazione in agricoltura di Ismea, l’obiettivo è finanziare l’acquisto macchine e attrezzature innovative per l’agricoltura e la pesca nel settore primario. Il fondo prevede lo stanziamento di 75 milioni di euro per l’anno 2023, 2024 e 2025.

Chi può accedere al Fondo per l’innovazione in agricoltura

Il fondo per l’innovazione in agricoltura è rivolto a imprese:

  • agricole;
  • ittiche;
  • agromeccaniche.

Per le imprese ittiche è possibile ottenere l’accesso al Fondo per l’innovazione in agricoltura per investimenti di valore minimo di 10.000 euro, negli altri casi l’investimento minimo previsto è di 70.000 euro, mentre l’investimento massimo che può essere agevolato è di 500.000 euro.

Il bando prevede la possibilità di ottenere un contributo da un minimo del 22,5% fino al 95% dell’importo ammissibile in base all’entità dell’investimento e e la tipologia di impresa.

Fondo per l’innovazione in agricoltura, come funziona

Per ottenere l’agevolazione è necessario che l’investimento sia stato effettuato successivamente alla presentazione della domanda di accesso al Fondo, inoltre il macchinario acquistato deve essere nuovo, non si ottengono i benefici nel caso di leasing. Il bando stabilisce anche che le Pmi agricole e della pesca potranno usufruire di una garanzia Ismea per i finanziamenti che può arrivare fino all’80% del valore nominale del finanziamento bancario.

Per un’impresa agricola operante nel settore della produzione primaria, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli la percentuale di beneficio è così ripartita:

PMI AGRICOLE

  • fino a 100.000 75%
  • da 100.001 a 200.000 65%
  • investimenti da 200.001 a 300.000 55%
  • da 300.001 a 500.000 45%

Deve essere sottolineato che è prevista una quota dei fondi in favore delle zone alluvionate nel mese di maggio 2023, la stessa è di 10 milioni di euro per il 2023, 30 milioni di euro per il 2024 e 35 milioni di euro per il 2025.

Come presentare la domanda per accedere al Fondo

Per poter accedere al fondo è necessario presentare la domanda sul sito Ismea. La piattaforma sarà accessibile a partire dal 15 novembre 2023. Lo sportello telematico rimane aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.00 ad eccezione del primo giorno di apertura (dalle ore 12.00 alle ore 18.00).

Gli investimenti dovranno essere finalizzati ad ammodernare la produzione attraverso l’uso di tecnologie 4.0 per il risparmio dell’acqua e la riduzione dell’impiego di sostanze chimiche, nonché per l’utilizzo di sottoprodotti.

L’accesso al Fondo per l’innovazione in agricoltura è compatibile anche con altri aiuti di Stato, ma occorre prestare attenzione a non incorrere in doppio finanziamento per lo stesso investimento.

Le domande per l’accesso alle agevolazioni devono essere presentate presso il portale dedicato ISMEA all’indirizzo https://strumenti.ismea.it.

Per accedere al portale dedicato l’utente deve registrarsi; la procedura di accreditamento ha luogo esclusivamente tramite PEC.

Dopo la registrazione la piattaforma sarà accessibile.

Cessione del credito Superbonus, c’è tempo fino al 30 novembre per la remissione in bonis

L’Agenzia delle Entrate rende noto che per i contribuenti che vogliono avvalersi della cessione del credito per le spese Superbonus sostenute nel 2022 c’è tempo fino al 30 novembre 2023 per la remissione in bonis, cioè per rientrare nei termini previsti da legge. Ecco i dettagli.

Remissione in bonis per la comunicazione dell’opzione

Il decreto Cessioni, decreto 11 del 2023, ha portato molte novità nel campo del Superbonus, la più importante è il blocco della cessione del credito e dello sconto in fattura, vi sono però delle ipotesi in cui è possibile avvalersi ancora di questo strumento. La normativa Superbonus prevedeva che coloro che volevano esercitare la cessione del credito o lo sconto in fattura dovevano comunicare l’opzione entro il 31 marzo 2023.

In quel periodo vi sono però stati problemi con le piattaforme e di conseguenza molti non sono riusciti a effettuare la comunicazione dell’opzione, proprio per questo motivo è stata introdotta la remissione in bonis che prevede, dietro pagamento di una sanzione di 250 euro, la possibilità di esercitare l’opzione in ritardo, ovvero entro giovedì 30 novembre 2023.

Come esercitare la remissione in bonis e recuperare la cessione del credito

Il decreto Cessioni all’articolo 2-ter prevede la possibilità di inviarla, nel caso di omessa o tardiva presentazione dell’asseverazione di efficacia degli interventi per la riduzione del rischio sismico, a partire dalle spese sostenute nel 2022, entro il termine di presentazione della prima dichiarazione dei redditi, nella quale deve essere esercitato il diritto a beneficiare della detrazione della prima quota costante dell’agevolazione.

Nello stesso decreto l’articolo 2-quinquies prevede che se il contribuente vuole esercitare l’opzione di cessione del credito o dello sconto in fattura ma non ha rispettato il termine del 31 marzo 2023, può avvalersi della remissione in bonis inviando la comunicazione entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile, ossia entro il 30 novembre 2023.

Tale procedura può essere utilizzata per le spese sostenute nel 2022 e per le rate residue non fruite riferite alle spese sostenute nel 2020 e 2021.

Per esercitare l’opzione deve essere individuato un cessionario tra quelli ammessi, cioè banche, intermediari finanziari e imprese di assicurazione.

L’Agenzia ricorda che la remissione in bonis deve essere effettuata per ciascuna comunicazione di cessione del credito non effettuata nel termine del 31 marzo 2023. Inoltre, come previsto nella circolare 27 del 2023, nel caso in cui il contribuente abbia effettuato più comunicazioni, ma versato la sanzione di 250 euro una sola volta, il versamento delle ulteriori somme dovute, necessarie a perfezionare la remissione in bonis, può avvenire anche successivamente alla presentazione delle comunicazioni, purché sia eseguito entro lo stesso termine del 30 novembre 2023.

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Rottamazione quater, cosa succede se non si paga la prima rata

Il 31 ottobre 2023 è scaduto il termine del pagamento della prima rata, o unica rata, della rottamazione quater. Per effetto della tolleranza prevista di 5 giorni, è possibile effettuare il pagamento entro il 6 novembre senza conseguenze, ma cosa succede nel caso in cui non si dovesse rispettare neanche tale termine?

La decadenza dalla rottamazione quater per il mancato pagamento della rata

La rottamazione quater è una misura di pace fiscale introdotta dalla legge di bilancio 2023, prevede la possibilità di sanare la propria posizione con il Fisco versando gli importi dovuti indicati nella cartella di pagamento, ma senza sanzioni e interessi.

Nel caso in cui non sia rispettato il piano dei pagamenti vi è la decadenza. Cosa vuol dire?

La decadenza dalla rottamazione quater porta di nuovo a vita la vecchia cartella esattoriale. Questo implica che il contribuente dovrà versare gli importi originari comprensivi di sanzioni e interessi. Non solo, l’agente di riscossione potrà ricominciare le procedure di riscossione coattiva che possono prevedere diverse possibilità, come il pignoramento del conto corrente.

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La decadenza si verifica anche nel caso in cui non ci sia l’omesso versamento, ma il versamento parziale o insufficiente.

Per chi ha già effettuato il primo pagamento, si ricorda che la seconda rata è in scadenza al 30 novembre, anche in questo caso si applica la tolleranza di 5 giorni e di conseguenza si potrà effettuare il versamento entro il 5 dicembre senza il rischio di decadenza. Le rate successive sono 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2024.

In caso di decadenza dalla rottamazione quater perdo gli importi già pagati?

Cosa succede se ho pagato la prima rata, ma non riesco a terminare il piano dei pagamenti? Questo è il quesito che si pongono molti contribuenti che temono di perdere anche quanto già versato, con la prima rata o con le altre rate eventualmente pagate.

La soluzione a questo dilemma è data dall’articolo 1 comma 244 della legge 197 del 2022 ( legge di bilancio 2023) che stabilisce: relativamente ai debiti per i quali la definizione non ha prodotto effetti, i versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto a seguito dell’affidamento del carico e non determinano l’estinzione del debito residuo, di cui l’agente della riscossione prosegue l’attività di recupero.”

Ciò implica che le somme eventualmente già versate non sono perse.

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Concordato biennale e sanzioni fiscali dimezzate, le novità

Il concordato biennale, a lungo annunciato, è finalmente arrivato e porterà molte imprese a ottenere semplificazioni negli adempimenti e per i più fortunati anche un risparmio di imposta.

Concordato preventivo biennale

Il concordato preventivo biennale prende il via già dal 2024, i contribuenti avranno tempo fino al mese di aprile 2024 per aderire e avrà validità per due anni, con la possibilità di rinnovo per i successivi due anni.

Il concordato preventivo biennale prevede che Fisco e contribuente si mettano d’accordo sulle tasse da versare per due anni, indipendentemente dal reddito prodotto. L’accordo sarà basato sui dati emergenti dalle dichiarazioni degli anni precedenti.

Naturalmente può essere conveniente per i contribuenti che pensano di poter aumentare i loro redditi nei successivi due anni perché per loro vi è un risparmio di imposta. Diventa invece poco conveniente nel caso in cui negli anni oggetto di concordato biennale si ritrovino ad avere un reddito più basso perché pagano tasse maggiori rispetto a quelle che avrebbero pagato con il metodo ordinario di determinazione delle imposte.

Secondo le stime, il concordato biennale dovrebbe portare a un maggiore gettito in termini di cassa di 760,5 milioni: 748,1 l’anno prossimo e 12,3 milioni nel 2025. Tali stime però non entrano per ora nei conti.

Il vantaggio non è solo di tipo economico e prettamente legato alle imposte, ma è anche relativo ai controlli, infatti non dovendosi presentare dichiarazioni e visto che le tasse sono frutto di accordo, non vi sono controlli, accertamenti fiscali, verbali.

Non tutti potranno aderire al concordato preventivo biennale, sono esclusi coloro che non hanno presentato dichiarazione dei redditi anche per anche un solo anno dei tre presi come riferimento. Inoltre non potranno presentare istanza di adesione i contribuenti hanno avuto condanne per reati fiscali. Infine, sono esclusi i contribuenti che hanno un punteggio nelle dichiarazioni Isa inferiore a 8.

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Dialogo con il Fisco e sanzioni dimezzate

Il concordato preventivo biennale non è l’unica novità, infatti in caso di emissione di un verbale di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate è possibile avvalersi di un dialogo preventivo tra Fisco e contribuente che porterà a dimezzare le sanzioni. Per gli accertamenti il Fisco utilizzerà inoltre l’intelligenza artificiale che elaborerà i dati partendo dalla interoperabilità delle varie banche dati.

Ricordiamo infine che cartelle di pagamento e contestazioni potranno essere notificate anche presso il domicilio digitale.

In questo caso occorrerà però prestare attenzione alla decorrenza dei termini per la prescrizione che inizierà al momento in cui il gestore della posta certificata o del domicilio digitale comunicherà l’avvenuta consegna.

Legge Bilancio 2024, testo bollinato arriva in Parlamento. Ultime notizie

Arrivato l’accordo sulla legge di Bilancio 2024, il testo bollinato dalla Ragioneria dello Stato e firmato dal Presidente della Repubblica è arrivato in Parlamento con alcune modifiche, Forza Italia e Lega non presenteranno emendamenti, ecco le principali novità.

Trattative sulla legge di Bilancio 2024

Snellire le procedure è la parola d’ordine e proprio per questo fin dalla presentazione della prima bozza il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha chiesto alla maggioranza di non presentare emendamenti. Accordo non accolto da Forza Italia e Lega che su alcuni punti della manovra non erano d’accordo.

Ore frenetiche di trattative per arrivare alla quadra con alcune novità importanti rispetto alla bozza iniziale presentata. La prima novità importante del nuovo testo riguarda la cedolare secca sugli affitti brevi che sale al 26% ma solo dalla seconda alla quarta casa. Per chi destina agli affitti brevi (fino a 30 giorni) la prima casa l’aliquota resta al 21%.

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Aiuti alle famiglie numerose e madri lavoratrici

Confermato il pacchetto previsto per le famiglie con:

  • bonus asilo nido per nati dal 1° gennaio 2024 in nuclei familiari con Isee non superiore a 40.000 euro e un figlio di età inferiore a 10 anni, bonus fino a 2.100 euro l’anno;
  • esonero del 100% della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, ma solo per lavoratrici madri di almeno 3 figli;
  • fringe benefit aumentati a 1.000 euro per il 2024, 2000 euro per per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati.

Confermata, infine, la detassazione per il lavoro notturno ne settore alberghiero, comprese strutture termali.

Legge di bilancio 2024, torna la Quota 103, ma modificata

Importanti novità vi sono anche sul nodo pensioni, infatti proprio su questo vi erano molti malumori in maggioranza. Sparita Quota 104, si torna a Quota 103, ma con forti penalizzazioni, infatti l’importo mensile calcolato con il contributivo e quindi con una perdita netta sull’assegno per chi decide di andare in pensione prima e tetto all’ammontare dell’assegno pensionistico (2.250 euro lordi). Il tetto viene però meno al compimento dei 67 anni di età, cioè alla maturazione del requisito anagrafico previsto dalla legge Fornero.

Confermati anche il taglio del canone Rai da 90 a 70 euro e il bonus sociale elettrico per il primo trimestre 2024.

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Tari e abbandono rifiuti, ora è reato penale

Si parla spesso della Tari, tassa sui rifiuti e come essa sia commisurata all’effettivo costo che i comuni sostengono per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Si sa che non pagare la Tari espone a sanzioni e che, nel caso in cui il Comune non fornisca il servizio, i contribuenti possono ottenere il risarcimento. Ciò di cui si parla poco è la legge 9 ottobre 2023 n. 137 (di conversione del dl 105/2023) ha infatti riformulato le punizioni previste dall’articolo 255 del d.lgs 152/2006 a carico di “chiunque” abbandoni i rifiuti: un passaggio epocale dalla sanzione amministrativa all’ammenda penale per l’abbandono rifiuti.

Abbandono rifiuti: da illecito amministrativo a reato penale

La disciplina vigente fino al 10 ottobre era contenuta negli articoli 255 e 256 del decreto legislativo 152 del 2006. Il primo punisce chi abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette in acque superficiali o sotterranee in violazione delle disposizioni di riferimento dello stesso d.lgs 152/2006. In questo caso si applicava una sanzione amministrativa di importo compreso tra 300 a 3 mila euro (aumentata fino al doppio per i rifiuti pericolosi). L’articolo 256 prevede invece sanzioni più gravi nel caso in cui tale comportamento sia tenuto da aziende. In questo caso la sanzione prevista è di tipo penale arresto fino a 2 anni più ammenda fino a 26 mila euro in caso di rifiuti pericolosi.

L’importante novità portata dalla legge 137 del 9 ottobre 2023 è determinata nel fatto che c’è una modifica all’articolo 255 e ora anche l’ abbandono rifiuti da parte dei privati diventa reato penale con l’applicazione di una ammenda da 1.000 a 10 mila euro in caso di rifiuti non pericolosi, aumentata fino al doppio in caso di pericolosi.

Abbandono dei rifiuti reato penale, ma cambia l’onere della prova

Deve però essere precisato che se da un punto di vista prettamente tecnico vi è un aumento delle pene, dal punto di vista probatorio/fattuale cambiano molte cose. Infatti per la sanzione di tipo amministrativo opera una presunzione legale di colpa posta a carico del presunto trasgressore, cui spetta l’onere di superarla per non soccombervi.

Nel momento in cui si è di fronte a un reato penale in sede di giudizio spetta a chi ha applicato la sanzione dimostrare il fatto, inoltre si applica l’articolo 533 del codice di procedura penale che prevede che il giudice pronunci sentenza di condanna solo nel caso in cui l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio.

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Contributi Inps, aumentano per queste partite Iva

Brutte notizie per alcuni contribuenti partite Iva, aumentano per loro i contributi Inps, la misura è contenuta nella bozza della legge di Bilancio 2024. Ecco per quali contribuenti aumentano i contributi Inps e di quanto aumentano.

Contributi Inps, aumentano per queste categorie

I lavoratori autonomi che non hanno una cassa di pertinenza, ad esempio per gli avvocati c’è la Cassa Forense, sono tenuti ad iscriversi alla Gestione Separata Inps e a versare a questa i contributi previdenziali, in questo modo hanno una copertura previdenziale e per la pensione. Questa categoria di lavoratori molto ampia e variegata ora ha anche una forma di tutela nel caso in cui dovessero esservi dei problemi economici, si tratta della ISCRO, Indennità di continuità reddituale e operativa, la stessa viene pagata attraverso le risorse della Gestione Separata Inps.

Con l’articolo 31 della legge di Bilancio 2024 viene estesa la corresponsione dell’Iscro ai lavoratori con redditi fino a 12.000 euro, a questo ampliamento della platea corrisponde anche un aumento dei contributi Inps per gli iscritti alla Gestione Separata. Stabilisce l’articolo 31 della bozza della legge di Bilancio per far fronte all’aumento della platea dei beneficiari dell’ISCRO, sia disposto un aumento dell’aliquota pari allo 0,35% a partire dal 1° gennaio 2024.

Per effetto di questa disposizione l’aliquota dei contributi Inps passa a l’aliquota dei contributi Inps arriverà a 26,07%.

Chi può percepire l’Iscro?

Ricordiamo che possono beneficiare dell’indennità Iscro gli iscritti alla Gestione Separata al verificarsi di queste condizioni:

  • non essere titolari di trattamento pensionistico diretto;
  • non essere assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie;
  • aver conseguito, nell’anno precedente rispetto alla presentazione della domanda, un reddito inferiore almeno al 70% rispetto alla media dei redditi prodotti nei due anni precedenti;
  • non percepire l’assegno di inclusione;
  • essere in regola con i versamenti dei contributi previdenziali;
  • essere titolari attiva da almeno tre anni, alla data di presentazione della domanda;
  • aver dichiarato, nell’anno precedente alla presentazione della domanda, un reddito non superiore a 12.000 euro.

A quanto ammonta l’Iscro?

L’indennità non può avere importo inferiore a 250 euro e importo superiore a 800 euro. Si calcola in misura pari al 25% su base semestrale, della media dei redditi da lavoro autonomo dichiarati dal soggetto nei due anni precedenti all’anno precedente alla presentazione della domanda. Non si può continuare a percepire l’Iscro nel caso in cui nel frattempo si percepisca un reddito da pensione o si decida di chiudere la partita Iva.

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