Imbiancatura? Occhio alla città e all’artigiano

La primavera è la stagione ideale per dedicarsi ai lavori di ristrutturazione della casa. Il più semplice e comune è l’ imbiancatura, per la quale in Italia l’offerta di artigiani è ampia e variegata in tutte le città. Con il rischio, però, che i preventivi per un lavoro di imbiancatura possano variare sensibilmente da una città all’altra.

In effetti è quello che ha rilevato l’Osservatorio di ProntoPro.it, sito di ricerca di artigiani e professionisti, secondo il quale la spesa media nazionale per un lavoro di imbiancatura di un appartamento di 70 mq con pareti interne in buone condizioni di partenza è di 778 euro, con scostamenti importanti soprattutto verso l’alto.

Il preventivo per l’ imbiancatura varia soprattutto seconda del tipo di tinteggiatura richiesta, ma anche della città in cui si vive. Sulla base delle cifre medie necessarie a pagare il lavoro nei venti capoluoghi di regione presi in esame dall’Osservatorio, risulta che Roma è la città più cara: per un lavoro di imbiancatura secondo i parametri presi a campione, si spendono circa 940 euro.

Al secondo posto nella classifica dei costi c’è Milano. Nel capoluogo lombardo il lavoro dell’imbianchino costa in media 906 euro. Al terzo posto Trento, dove gli abitanti spendono il 9% in più rispetto alla media nazionale e, per un lavoro di imbiancatura del loro appartamento di 70 metri quadrati, spendono circa 850 euro.

Per quanto riguarda invece i capoluoghi dove l’ imbiancatura è meno cara, in fondo alla classifica ci sono Catanzaro (681 euro), Palermo (709) e Campobasso (712).

A marzo – commenta Marco Ogliengo amministratore delegato di ProntoPro.itla percentuale di chi, per evitare disastri con il fai da te, ha deciso di affidarsi a un professionista è cresciuta del 74% rispetto al mese precedente. La possibilità offerta dal web di ricevere e confrontare in tempi brevi i preventivi di diversi artigiani facilita la ricerca e la scelta e, ovviamente, aiuta a risparmiare”.

Made in Italy, quanto è costato l’ embargo alla Russia

Abbiamo più volte ricordato come l’ embargo economico applicato dall’Ue alla Russia dal 2014 abbia danneggiato più le economie dei Paesi esportatori verso Mosca anziché quella russa. Una conferma ulteriore arriva dall’Ufficio studi della Cgia, secondo in quale le sanzioni verso la Russia sono costate al made in Italy 3,6 miliardi di euro, con un export passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (-34%).

Secondo la Cgia, le regioni più danneggiate dall’ embargo sono Lombardia (-1,18 miliardi), Emilia Romagna (-771 milioni) e Veneto (-688,2 milioni) che insieme hanno totalizzato oltre il 72% del calo dell’export verso la Russia.

Analizzando i settori maggiormente danneggiati dall’ embargo verso Mosca, la Cgia ha rilevato che dei 3,6 miliardi di minori esportazioni, 3,5 vengono dal comparto manifatturiero. I settori nei quali i volumi di affari sono calati in maniera più significativa sono quelli dei macchinari (-648,3 milioni di euro), dell’abbigliamento (-539,2 milioni), degli autoveicoli (-399,1 milioni), delle calzature/articoli in pelle (-369,4 milioni), dei prodotti in metallo (-259,8 milioni), dei mobili (-230,2 milioni) e delle apparecchiature elettriche (-195,7 milioni).

Lucido e condivisibile il commento del coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo: “Anche alla luce degli attacchi terroristici avvenuti nei giorni scorsi a Bruxelles, è giunto il momento che l’Unione europea riveda la propria posizione nei confronti di Mosca. Rispetto al 2014, le condizioni geo-politiche sono completamente cambiate. Per ripristinare la pace nell’area mediorientale e per combattere le frange terroristiche presenti in Europa, la Russia è un alleato strategico indispensabile per il mondo occidentale. Proseguire con le misure restrittive nei confronti della Russia che, ricordo, scadranno il prossimo mese di luglio, sarebbe poco oculato e controproducente”.

Saipem, nuovo accordo in Iran

La fine del regime di sanzioni economiche nei confronti dell’Iran ha scatenato la corsa dei Paesi manifatturieri a riallacciare rapporti economici con il Paese. L’Italia, per una volta, si è mossa per prima e durante la recente visita del premier Renzi a Teheran, l’amministratore delegato di Saipem Stefano Cao e Ali Yadghar, suo omologo per la compagnia iraniana Razavi Oil & Gas Development, hanno firmato un memorandum of understanding su un importante progetto da sviluppare nel Paese.

Un bel colpo per Saipem, dal momento che il memorandum è relativo a una possibile collaborazione tra le due aziende per i lavori di sviluppo del giacimento Toos Gas Field Development Project, a circa 100 chilometri a nordovest della città di Mashhad. Il giacimento potrebbe essere una miniera d’oro per Saipem: si stima infatti che disponga di più di 60 miliardi di metri cubi di metano, con una capacità di produzione di circa 4 milioni di metri cubi di gas al giorno.

Il progetto di sviluppo su cui si sono accordati Saipem e la compagnia iraniana prevede la perforazione di 5 pozzi oltre a 2 opzionali, nonché la progettazione e la realizzazione degli impianti collegati all’estrazione, al trasporto e al trattamento finale del gas.

La missione di Saipem in Iran fa seguito a quella del gennaio scorso, all’indomani della fine delle sanzioni, quanto la società firmò altri accordi con la National Iranian Gas Company e con la Persian Oil & Gas Development Company, quest’ultimo per i lavori di ammodernamento e potenziamento delle due raffinerie nel Paese.

A Roma un evento per parlare di impresa e digitale

UniCredit ha organizzato a Roma una giornata per parlare di produttività aziendale, e-commerce, interazione con la Pa, turismo e formazione di competenze.

Il digitale, infatti, non è solo un nuovo canale di comunicazione, ma una nuova lingua con cui ripensare l’economia, il sociale, la vita delle persone. E la cosiddetta “digital life” è una realtà che oggi impone cambiamento e innovazione continui: un percorso ineludibile che però in Italia stenta ancora a decollare.

Per meglio approfondire le problematiche connesse alla digitalizzazione delle attività ed esplorare possibili sinergie e partnership con i propri interlocutori privati e pubblici, UniCredit ha dedicato il Forum dei Territori 2016 del Centro Italia al tema “Digitalizzare per crescere, competere e migliorare la qualità della vita”.

Il Forum è stato un momento di confronto propositivo tra management e qualificati protagonisti della vita economica del territorio su diversi temi nei quali il Gruppo ha realizzato specifici prodotti e soluzioni, nella convinzione che digitale è sinonimo di efficienza, trasparenza, crescita. Ma soprattutto che è la porta per il futuro del Paese.

I lavori si sono tenuti su cinque tavoli tematici differenti ai quali hanno preso parte manager, imprenditori e stakeholders del territorio. Nello specifico si è parlato di “Digitalizzazione e produttività aziendale”, “Il retail nell’era digitale”, “Pa Digitale”, “Viaggiatori digitali”, “Accompagnare il Paese sul digitale”.

La giornata si è chiusa con un momento di sintesi di quanto discusso nei vari tavoli con Gabriele Piccini, Country Chairman Italy, ed Enrico Giovannini, professore ordinario di Statistica Economica Università di Tor Vergata e presidente del Consiglio di Territorio Centro di UniCredit, oltre alle conclusioni di Federico Ghizzoni, ad del Gruppo.

Part-time agevolato per chi è prossimo alla pensione

Il ministro del Lavoro Poletti ha firmato nei giorni scorsi un decreto, introdotto da una norma della Legge di Stabilità 2016, per disciplinare le modalità di riconoscimento del part-time agevolato per i lavoratori prossimi alla pensione.

In sostanza, la norma prevede che i lavoratori del settore privato assunti full time e con contratto a tempo indeterminato, in possesso del requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia (pari a 20 anni di contributi) e che matureranno anche il requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018, possano concordare col datore di lavoro la trasformazione del proprio contratto in part-time.

La riduzione dell’orario di lavoro sarà tra il 40% e il 60% e questi lavoratori, ogni mese, riceveranno in busta paga, oltre alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse pari ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per la quota di orario non lavorato.

Oltre a questo, al lavoratore sarà riconosciuta la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata. In questo modo, al maturare dell’età pensionabile il lavoratore percepirà l’intero importo della pensione.

Con questa norma sperimentale, il ministero punta a promuovere l’uscita graduale dall’attività lavorativa dei lavoratori prossimi alla pensione

Il lavoratore che vuole beneficiare di questa procedura sperimentale come scivolo verso la pensione, deve prima richiedere all’Inps una certificazione che attesti il possesso dei requisiti contributivi, oltre alla maturazione del requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018. Una volta ottenuti stipulerà con il proprio datore di lavoro il cosiddetto “contratto di lavoro a tempo parziale agevolato”, dove il datore stesso indicherà la misura della riduzione di orario.

Professionisti, gli ingegneri sulla multa dell’Antritrust al Cnf

Ha fatto molto rumore, negli ambienti dei professionisti, la sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha confermato la multa da quasi un milione di euro inflitta al Consiglio nazionale forense dall’Antitrust.

Il Cnf è stato riconosciuto responsabile di aver violato le regole sulla concorrenza con l’adozione di due decisioni che limitavano l’autonomia dei professionisti: un parere con il quale avrebbe limitato l’impiego di un canale di diffusione delle informazioni e una circolare con la quale sarebbe stata reintrodotta la vincolatività dei minimi tariffari.

Tra i commenti più autorevoli segnaliamo quello di Armando Zambrano, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri: “Questa è una sentenza che va commentata su due piani differenti. Non c’è dubbio che sul mercato privato noi professionisti abbiamo un problema. Se nel settore pubblico la normativa consente di stabilire un corretto rapporto tra l’attività professionale prestata e il rispettivo valore economico, in quello privato l’abolizione delle tariffe ci ha privati di punti di riferimento. In tal senso è necessario un intervento e noi professionisti tecnici siamo pronti a fare la nostra parte”.

Tuttavia – ha proseguito Zambrano a nome dei professionisti della sua categoria – non chiediamo il ripristino dell’obbligatorietà dei corrispettivi, semplicemente perché allo stato occorre una forte apposizione anche ideologica a questa ipotesi, basata su un contestabile principio di ‘libera’ concorrenza. A nostro avviso la soluzione non sta nel ripristino della tariffa professionale ma nella definizione di standard di prestazione e di corrispettivi economici, in modo da orientare e garantire adeguatamente la committenza privata. Ciò proprio sulla scorta dell’esperienza già maturata nel settore pubblico e nel pieno rispetto della normativa sulla concorrenza e del principio di parità di trattamento”.

Vino, la Cina è lontana

Nei giorni scorsi si è fatto tanto clamore intorno all’incontro, tenutosi al Vinitaly, tra Jack Ma, fondatore della piattaforma cinese di e-commerce Alibaba, la più grande al mondo, e il premier italiano Matteo Renzi, per coinvolgere il colosso cinese in una grande operazione di promozione e vendita di vino italiano nel Paese del Dragone.

Clamore, a nostro avviso ben giustificato. Principalmente perché l’Italia, attualmente, non sfrutta quasi per nulla le potenzialità della Cina come mercato per il vino. Basti dire che la quota di mercato del vino italiano nel Paese è del 6%, contro il 55% di quello francese.

I margini di crescita sono quindi incalcolabili, specialmente se, come ha sottolineato in una nota Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor, nei primi due mesi dell’anno il vino in Cina ha fatto segnare un “+59% di import in valore in euro“. Un treno del quale però l’Italia sta sfruttando poco le potenzialità.

La nota di Nomisma sull’import di vino in Cina lo ha messo in luce, anche in rapporto all’incontro tra Renzi e Ma: “Nell’orizzonte della tumultuosa crescita cinese, l’Italia sta giocando un ruolo marginale da Cenerentola, e i margini per crescere sono elevati“. “La Cina – ha proseguito la nota – corre e noi rincorriamo, ecco perché è utile l’incontro con Alibaba Group“.

Nel 2015 la crescita del vino in Cina è stata tumultuosa – ha aggiunto Pantini -: il Dragone lo scorso anno è diventato il quarto mercato mondiale per importazione di vini, surclassando il Canada. La Francia resta padrone incontrastato tra i vini importati in Cina (+44%), e sempre nel 2015, crescono in particolare Australia (+22%) e Sud Africa (+2%)“.

La nota si chiude guardando alle prospettive di crescita dell’import di vino in Cina per il 2016: “Nel primo bimestre, secondo i dati Wine Monitor Nomisma, l’onda lunga della crescita cinese continua imperterrita, segnando un +59% di import in valore in euro. Tra i principali Paesi da dove la Cina continua ad importare di più spicca l’Australia (+108%), mentre l’Italia conferma il ritmo del 2015 (+15%)“.

Nasce l’Osservatorio del Vino. Finalmente…

Il Vinitaly che si chiude oggi a Verona non è solo un momento di presentazione e di degustazione delle novità del vino, ma anche e soprattutto un’occasione di studio, analisi e riflessione. Specialmente se si considera che la mancanza di dati certi del settore, i numeri che variano a seconda delle fonti, ufficiali e non, e dei metodi di rilevazione sono sempre stati per il vino italiano un grande punto di debolezza.

Fino a qualche anno fa, era impossibile conoscere la superficie esatta del vigneto italiano e quindi il potenziale produttivo del nostro paese, così come sono stati molti gli anni in cui i numeri della vendemmia erano così diversi tra i dati previsionali e quelli consuntivi diffusi dall’Istat, da creare difficoltà agli operatori del settore, con scompensi e disorientamento a livello commerciale, e imbarazzo alle istituzioni nazionali nei confronti della Ue.

L’incertezza statistica sul vino italiano era dovuta tanto alle difficoltà del sistema di rilevazione pubblico, quanto alla mancanza di un organismo ufficiale e rappresentativo che monitorasse il mercato sul fronte produttivo, commerciale e distributivo e potesse diffondere in modo organico e competente analisi aggregate delle statistiche ufficiali riguardanti il vino, monitorando le fonti interne e internazionali e raccogliendo in autonomia i dati dalle imprese.

Una lacuna che ha penalizzato il settore del vino italiano – imprenditori ed aziende in primis – considerata l’estrema importanza assunta dalla conoscenza dei numeri di un comparto economico, delle statistiche produttive, delle dinamiche e dei trend del mercato sia per il decisore pubblico, sia per l’imprenditore e l’impresa che devono quotidianamente confrontarsi con un mercato vivo e in costante e continua evoluzione.

Per colmare questa lacuna nasce l’Osservatorio del Vino. Un’iniziativa dell’Unione Italiana Vini, sviluppata in risposta alle esigenze delle imprese vitivinicole italiane, desiderose di colmare questo vuoto e di offrire una risposta attendibile, capace di supportare le strategie di marketing delle aziende. Obiettivo dell’Osservatorio del Vino è dare sia alla politica sia alla pubblica amministrazione un quadro corretto del mercato, necessario per poter operare scelte normative e di regolazione efficaci e adeguate.

L’Osservatorio istituzionalizza e rende organico il rapporto di collaborazione nato tra Unione Italiana Vini e Ismea oltre vent’anni fa, che dalle previsioni vendemmiali si allarga a tutta la sfera produttiva e di mercato del vino italiano nelle sue segmentazioni geografiche, a livello interno e relativa ai diversi mercati internazionali, per tipologia di vino, per canale distributivo.

L’analisi dell’Osservatorio del Vino si allarga all’esplorazione delle strategie di marketing collegate alle evoluzioni del mercato proposte dal WINE management lab della SDA-Bocconi, che ha maturato negli anni una lunga esperienza nello studio e nelle analisi delle strategie di marketing del vino italiano.

Inoltre, la struttura di analisi e monitoraggio dei trend del vino italiano si avvarrà, come partner tecnico, dei ricercatori del Wine Monitor di Nomisma, che interverranno con alcune analisi di dettaglio che completeranno il lavoro svolto da tecnici dell’Ismea.

Le fonti dell’Osservatorio saranno:

  • Dati trasmessi delle aziende;
  • Fonti ufficiali (Istat Agenzia delle Dogane, Commissione Europea, Eurostat, Monopoli di Stato OIV, ecc.);
  • Fonti internazionali relative ai diversi Paesi (Agenzie private di analisi quali Global Trade Atlas, Wine Intelligence, PWSR, ecc,).

Gli ambiti di ricerca saranno:

  • Dati vendemmiali e di produzione del vino italiano;
  • Analisi dell’andamento dei prezzi all’origine (per tipologie, aree prodotto, ecc.);
  • Analisi dell’andamento dei prezzi al consumo (per tipologie, aree geografiche, canali, ecc.);
  • Analisi delle vendite mercato interno per canale, tipologia, area geografica;
  • Analisi dei mercati internazionali (singoli, aggregati, per tipologia, per canale ecc.);
  • Survey sui consumatori di vino italiani e sulle abitudini di acquisto e consumo nel fuori-casa ;
  • On Trade Tracking – Monitoraggio delle vendite di vino nell’on-trade italiano (riservato alle imprese vinicole).

L’Osservatorio avrà anche un output pubblico, con statistiche agli organi di informazione relative a dati aggregati dei principali trend di mercato, e uno riservato alle imprese associate all’Unione Italiana Vini che aderiscono all’Osservatorio, le quali potranno ricevere elaborazioni statistiche mirate a singoli prodotti e segmenti di mercato sulla base dei dati di volta in volta trasmessi dalle imprese stesse.

Meno vino prodotto, più vino esportato

Il vino italiano, protagonista in questi giorni al Vinitaly di Verona, fa registrare performance incredibili sotto il profilo dell’export, come abbiamo visto ieri, specialmente in rapporto alla quantità di vino prodotto.

Emerge dalla prima analisi su 50 anni di storia del vino italiano elaborata da Coldiretti, che sottolinea come in 50 anni la quantità di vino made in Italy venduto all’estero è cresciuta di quasi otto volte in volumi, nonostante la produzione sia calata del 30%.

Nello specifico, nel 1966 venivano esportati 257 milioni di litri di vino italiano, diventati 50 anni dopo 2 miliardi di litri (+687%), pari a circa il 20% dell’export mondiale. Parallelamente, la produzione di vino italiano è passata in mezzo secolo da 68,2 milioni di ettolitri ai 47,4 milioni di ettolitri.

Più vino esportato, meno prodotto, ma di migliore qualità, come testimonia il fatto che proprio nel 1966 nacque la prima Doc (la Vernaccia di San Gimignano) e che, in 50 anni, il peso delle doc sulla produzione enologica italiana è passato dal 2 al 32% e il primato europeo conquistato dal nostro Paese nella classifica del numero di vini a indicazione geografica: 73 Docg, 332 Doc e 118 Igt.

La riduzione di un terzo della produzione in 50 anni è stata accompagnata, in Italia, dalla riduzione a un terzo dei consumi annui medi pro capite, passati dai 111 litri del 1966 ai 37 di oggi. Anche in questo caso, secondo Coldiretti, il calo in quantità è stato compensato da un aumento di qualità: gli italiani bevono meno ma meglio.

I risultati di questa analisi sono stati ben sintetizzati dal presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo: “In mezzo secolo il vino è assurto a prodotto-simbolo del passaggio, ancora in corso non solo tra le vigne, ma in tutto il sistema produttivo italiano, da un’economia basata sulla quantità ad un’economia che punta invece su qualità e valore, scommettendo sulla sua identità, sui legami col territorio, sulle certificazioni d’origine. La decisa svolta verso la qualità ha messo in moto nel vino un percorso virtuoso in grado di conciliare ambiente e territorio con crescita economica e occupazionale“.

Polizze vita miste, chiarimenti delle Entrate su imposta e imponibile

La Legge di Stabilità 2015 ha apportato delle modifiche al regime fiscale cui sono sottoposte le somme percepite dai beneficiari di polizze vita in caso di premorienza dell’assicurato.

Ora è intervenuta l’Agenzia delle Entrate che, con la circolare n. 8/E dell’1 aprile 2016, ha fornito dei chiarimenti sull’applicazione della nuova disciplina introdotta dalla Legge di Stabilità sulla fiscalità dei premi delle polizze vita.

Nello specifico, le somme percepite da polizze vita a decorrere dall’1 gennaio 2015 non godono più dell’esenzione Irpef totale, ma riguardano solo copertura del cosiddetto “rischio demografico”, ossia la differenza tra durata della vita di una persona e durata media della vita della popolazione.

Con questa precisazione, rimangono totalmente esenti Irpef esclusivamente le polizze vita “temporanee caso morte”, ovverosia quelle per le quali la copertura del rischio demografico è del 100%.

Qualora invece vi siano delle polizze vita miste, con al loro interno anche una componente finanziaria, rimane esente Irpef solo il capitale legato al rischio demografico. Per quanto riguarda la quota restante del premio, i capitali corrisposti legati a contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione sono considerati redditi di capitali per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito dagli eredi e quello dei premi pagati dal beneficiario.