Un 2015 positivo per l’export del vino italiano

A Verona si sta celebrando, come ogni anno in questo periodo, il rito profano del Vinitaly. Come sempre accade, l’appuntamento clou per vitivinicoltura mondiale è anche l’occasione per fare il punto sul settore del vino made in Italy. Un punto positivo.

Secondo quanto riporta l’aggiornamento annuale dell’indagine sul settore vinicolo italiano e internazionale pubblicato dall’Area Studi Mediobanca in concomitanza proprio con il Vinitaly, il vino italiano continua a crescere all’estero.

L’analisi di Mediobanca è relativa a 136 società produttrici di vino con fatturato superiore a 25 milioni di euro, comprese 14 tra le maggiori imprese internazionali quotate con fatturato superiore a 150 milioni di euro. Emerge che lo scorso anno i ricavi hanno fatto segnare una discreta ripresa (+4,8%), principalmente grazie all’export, ma grazie anche alla vivacità del mercato italiano.

Lo studio di Mediobanca sottolinea anche il robusto aumento degli investimenti in vino, la contrazione del mercato asiatico e la decisa espansione di quello nordamericano, le buone prospettive per il 2016 e l’interessante performance dell’indice di Borsa mondiale del settore del vino.

Nel 2015 la crescita del fatturato dei maggiori produttori  italiani è stata sospinta dall’export (+6,5%) e dagli spumanti (+10%) che hanno venduto all’estero il 15,2% in più rispetto al 2014. Meno brillante ma comunque positivo il dato del vino non spumante (+3,7% complessivo, +5,1% l’estero). Il buon andamento di export e produzione ha anche stimolato gli investimenti: +37,2% nel 2015.

Per quanto riguarda i mercati esteri più forti, bene il Nord America, verso il quale l’export è cresciuto del 13,3% e ha fatto salire la quota di mercato dell’area per il nostro vino al 34%. Calo marcato dell’Asia, -10% e una quota di mercato ridotta a un misero 3,9%.

In tutto questo, sullo scacchiere mondiale il principale sbocco per l’export del vino italiano rimangono i Paesi Ue (51,5%), in crescita del 3,7%. Poco più del 3,2% che caratterizza la crescita delle esportazioni in Africa, Medio Oriente e Paesi Europei non Ue, che insieme fanno una quota di mercato del 9,1%; il restante 1,5% delle esportazioni è diretto in Sud America, dove crescono del 18,3%.

Pmi italiane al top per investimenti esteri

Ci lamentiamo tanto, noi italiani, del fatto che i grandi gruppi stranieri vengono a fare shopping da noi comprandosi le nostre aziende, e non ci accorgiamo di quanto le imprese italiane siano brillanti negli investimenti esteri. O magari ce ne accorgiamo solo quando a fare notizia sono i grandi nomi, come Lavazza che acquisisce la francese Carte Noire o Campari che punta Grand Marnier.

Gli investimenti esteri delle aziende italiane sono invece in larga parte in crescita, come sottolinea un’analisi del Centro Studi Impresa Lavoro, secondo la quale dagli anni Novanta gli investimenti esteri da parte di imprese italiane per acquisire il controllo o la partecipazione di aziende straniera, o per attivare una propria filiale all’estero sono stati maggiori degli investimenti esteri in entrata.

Secondo lo studio, lo scalino più marcato si è registrato a partire dal 2008, curiosamente (ma nemmeno troppo) in coincidenza con l’inizio della crisi economica; negli ultimi 7 anni la differenza tra gli investimenti esteri italiani e investimenti esteri indirizzati in Italia è passata dai 28,1 miliardi del 2007 agli 82,3 del 2008, ai 143,9 del 2014. Quest’ultimo è stato un anno importante anche sotto un altro aspetto: le imprese italiane hanno investito all’estero 547,6 miliardi contro i 403,7 miliardi investiti dalle aziende straniere in Italia.

La crescita degli investimenti all’estero delle imprese italiane ha portato indubbi vantaggi alle stesse, ma anche benefici all’economia dei Paesi nei quali gli investimenti sono stati indirizzati. Un trend confermato anche dal rapporto dell’ICE Italia Multinazionale 2014, secondo il quale le filiali delle imprese multinazionali nei vari Paesi fanno registrare prestazioni superiori rispetto alle imprese domestiche.

Nuova linfa per l’ agroalimentare italiano

L’onda lunga del successo e dello stimolo all’ agroalimentare italiano innescata da Expo 2015 continua anche in questo 2016, come testimonia un altro importante accordo a sostegno della nostra agricoltura. È stato infatti firmato nei giorni scorsi a Roma un protocollo d’intesa fra UniCredit e il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf) per sostenere gli investimenti e favorire l’accesso al credito delle imprese che operano nel settore agroalimentare italiano.

L’intesa – dalla quale nasce il “Progetto UniCredit Mipaaf. Coltivare il futuro” – è stata sottoscritta nella sede del ministero dell’Economia e delle Finanze alla presenza di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Martina, ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Giuseppe Vita, presidente di UniCredit, e Gabriele Piccini, Country Chairman Italy di UniCredit.

L’agroalimentare è oggi un settore chiave dell’economia italiana con grandi opportunità di crescita – ha sottolineato Piccini -. Nel nostro Paese, infatti, sono oltre 760mila le imprese che operano nei settori dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca, generando un fatturato complessivo di 55 miliardi di euro. Oltre 70mila invece sono le imprese dell’industria alimentare con 130 miliardi di fatturato. Occorre sottolineare come tutta la filiera agroalimentare composta da un tessuto di piccole e medie imprese, anche attraverso il credito, possa lavorare sul fronte dell’organizzazione e dell’aggregazione”.

Il nuovo progetto si fonda su tre pilastri:

  • erogazione di nuova finanza per sostenere progetti e investimenti delle imprese del settore e agroalimentare italiano. UniCredit ha deciso di destinare a questo settore un apposito plafond di 6 miliardi nel triennio 2016-2018 per rispondere alle specifiche esigenze degli imprenditori. Inoltre, UniCredit lancerà a maggio il nuovo Agribond, una tranched cover dedicata alle imprese della filiera agricola, che, basandosi sulla garanzia pubblica fornita da ISMEA e sfruttandone l’effetto moltiplicatore, consentirà l’attivazione di nuove erogazioni inizialmente per 300 milioni di euro, replicabili nel tempo;
  • formazione e sviluppo delle conoscenze. Nasce infatti una Agri-Business School che poggia su tre macro aree tematiche: competenze di base, ovvero un percorso formativo per acquisire le principali conoscenze finanziarie; Export Management, che comprende sessioni formative dedicate a tematiche di internazionalizzazione; e Innovazione, che propone sessioni formative su tematiche di particolare attualità come la filiera corta, la tracciabilità e l’agricoltura di precisione;
  • “Smart Agriculture”. Per questo nasce “Value for Food”, l’iniziativa congiunta di UniCredit, Cisco Systems Italy (azienda leader nelle tecnologie del digitale) e Penelope Spa (azienda leader in tecnologia e know-how per il digitale nell’Agri-Food) rivolta a finanziare e realizzare programmi di evoluzione tecnologica delle aziende dell’ agroalimentare, che sappiano coniugare le esigenze di comunicazione e marketing territoriale, di efficientamento e automazione dei processi di filiera, di dematerializzazione e di digitalizzazione degli asset informatici. L’iniziativa mira a predisporre un’offerta di servizi alle aziende agricole – dalla formazione alle piattaforme digitali – sostenuta da un programma di finanziamento. Value For Food è lo strumento che consente la valorizzazione del proprio marchio e dell’immagine del Made In Italy (branding), la difesa dalla contraffazione diffusa dei prodotto (anticontraffazione), l’efficientamento dei processi produttivi garantendo la sinergia con i fornitori e i distributori (tracciabilità) e il vantaggio competitivo a livello internazionale.

Un 2016 promettente per la moda italiana in Cina

Nelle scorse settimane avevamo anticipato di come per la moda italiana in Cina, specialmente per quella di una fascia prezzo più accessibile, il 2016 si presenti come un anno molto promettente.

Dopo l’aumento record del 32% nel 2015, la moda italiana donna in Cina potrebbe crescere ancora nel 2016 di circa il 25%, soprattutto nel comparto del middle luxury, grazie ad una forte richiesta di capi di qualità ma a prezzo accessibile.

Una richiesta che arriva dopo un 2015 nel quale le top griffe della moda italiana hanno scontato una flessione sul mercato cinese, anche a causa di prezzi troppo elevati nella distribuzione locale, a volte superiori del 50% rispetto a quelli dei negozi italiani.

Un trend che commenta così Giacomo Gardumi, Ceo di Retaily Shanghai, società attiva nella diffusione della moda italiana sul mercato cinese: “La domanda cinese sta cambiando e analizzando i dati del primo bimestre si prevede una crescita di un ulteriore 25% nell’import cinese di moda italiana donna nel 2016, concentrato soprattutto nei capi italiani di qualità, ma di prezzo accessibile. Gli acquisti di moda italiana ormai interessano un ampio strato di cittadini cinesi, certamente benestanti, ma non miliardari”.

Seguendo questo trend, il gruppo di distribuzione cinese IFF, dopo aver selezionato negli scorsi mesi aziende della moda italiana per un possibile sbarco in Cina, aprirà una seconda fase di selezione durante gli Open Day del 4 e 15 aprile prossimi, in via Cerva 14 a Milano (per informazioni, marketing@retaily.it).

Nel corso della prima fase, oltre 100 aziende italiane hanno stretto accordi commerciali con IFFG, e circa 50 di queste entreranno nel primo concept store del gruppo, che aprirà a settembre 2016 a Shanghai.

Ai marchi italiani vengono proposti accordi commerciali della durata di 5 anni che prevedono l’acquisto di prodotto vincolato al rilascio di un’esclusiva distributiva estesa a tutto il territorio cinese. Gli investimenti sono a costo zero per le aziende italiane e IFFG garantisce prezzi più accessibili sul mercato cinese, vicini a quelli del mercato italiano.

Il Polo Meccatronica di Rovereto

È stato presentato nei giorni scorsi a Milano il Polo Meccatronica di Rovereto (TN), uno spazio comune per imprese, studenti e ricercatori. Un luogo dove produrre, ricercare, sperimentare prodotti innovativi e più efficienti, in grado di combinare la meccanica tradizionale con i più moderni sensori e sofisticati sistemi di prototipazione virtuale e controllo elettronico.

Il Polo Meccatronica di Rovereto si sviluppa su un’area complessiva di quasi 100mila metri quadrati ed è lo spazio ideale per imprese e centri di ricerca pubblici e privati. Una scommessa sulla quale la Provincia autonoma di Trento sta investendo oltre 80 milioni di euro: 20 per il nuovo edificio produttivo, inaugurato nel dicembre 2013, 24 per i laboratori, anello di congiunzione tra imprese e formazione, i cui lavori di realizzazione sono stati appaltati a gennaio 2016, mentre circa 36,5 milioni di euro saranno destinati a partire dal 2018 alla costruzione dei due nuovi edifici del polo scolastico, un istituto tecnico tecnologico ed un centro di formazione professionale.

Il Polo Meccatronica ha riscosso l’interesse di grandi aziende come Bonfiglioli, Ducati Energia, Dana e Carl Zeiss, ma ospita anche una quindicina di startup innovative ed Industrio Ventures, il primo acceleratore “hardware” d’Italia. 

In realtà, il Polo Meccatronica di Rovereto è più di una scommessa. In un panorama economico tutt’altro che facile, il settore della meccatronica registra infatti trend in continua crescita. In Italia, primo Paese al mondo per numero di prodotti della meccanica e meccatronica, il comparto meccatronico esprime il 15% del fatturato manifatturiero.

Il Polo Meccatronica di Rovereto si inserisce in un contesto regionale, quello del Trentino, nel quale operano nella filiera meccanica-meccatronica circa 800 aziende con 9.700 addetti. Un cluster che vede in particolare la presenza qualificata di aziende nell’automotive, nel comparto dei sistemi intelligenti e robotica, sensoristica ed automazione industriale.

Il Trentino – ricorda Alessandro Olivi, vicepresidente della Provincia autonoma di Trento e assessore allo Sviluppo Economico e Lavoro – si pone come un ecosistema dove la politica ha una sua progettualità, la pubblica amministrazione si dimostra efficiente e vicina a chi produce ed investe, e dove stanno pagando i massicci investimenti fatti in questi anni nella conoscenza come fattore di competitività. Siamo poi un territorio che sta tra due importanti flussi: vicino all’Europa e parte attiva di quel sistema produttivo italiano che gode di grande credibilità nel mondo. Per questo siamo oggi un ecosistema capace di dare delle risposte veloci, puntuali e serie alla nascita di una nuova manifattura intelligente orientata alla qualità”.

5 per mille, ecco le specifiche tecniche

Dopo i necessari tempi per la loro elaborazione, l’Agenzia delle Entrate ha licenziato le specifiche tecniche necessarie alla trasmissione telematica dei dati presenti nelle schede per scegliere la destinazione dell’8, del 2 e del 5 per mille dell’ imponibile Irpef per l’anno di imposta 2015.

Con un provvedimento ad hoc datato 6 aprile 2016, l’Agenzia delle Entrate ha quindi approvato l’iter tecnico che servirà a indirizzare le donazioni del 5 per mille e dei suoi “fratelli”, da parte di due soggetti ben precisi:

  • da parte dei CAF e dei professionisti abilitati che ricevono le buste contenenti la scheda di destinazione del 5 per mille, dell’8 e del 2 per mille da parte dei sostituti d’imposta in qualità di intermediari fiscali;
  • da parte dei soggetti esonerati dall’obbligo di presentare la dichiarazione, espresse nell’apposita scheda, approvata insieme al modello UNICO 2016 Persone Fisiche.

Per scaricare le specifiche tecniche relative alla trasmissione telematica dei dati di destinazione del 5 per mille, dell’8 e del 2 per mille, cliccare qui.

Italiani sempre più sedotti dal franchising

Nel 2015 si sono avvicinati con interesse al mondo del franchising 520mila italiani, nella speranza di avviare un’attività commerciale in affiliazione. È quanto comunica il Centro Studi del Salone Franchising Milano, che per la prima volta ha elaborato una stima del popolo dei potenziali franchisee, grazie a uno studio che ha incrociato i dati dei diversi siti di settore, del motore di ricerca Find Franchising, le ricerche delle associazioni di settore e un’analisi sui visitatori del Salone.

Il comparto del franchising ha fatturato, nel 2014, 23 miliardi di euro, grazie a una rete di vendita di 51mila punti vendita, che danno lavoro a 180mila persone. Se si sommano i 51mila imprenditori franchisee e i loro dipendenti, si arriva ad un totale di 230mila italiani che operano nel comparto, un numero che potrebbe aumentare visto che il franchising ha un trend di crescita importante.

Non tutti coloro che si avvicinano al franchising decidono poi di aprire un’attività, anche perché per iniziare servono un capitale iniziale di almeno 25-50mila euro, voglia di rischiare e doti imprenditoriali.

Il popolo dei franchisee, secondo lo studio del Centro Studi del Salone Franchising Milano, è composto per il 30% da giovani, per il 15% da persone tra i 45 e i 60 anni, per il 33% da donne. I settori merceologici più ricercati sono, nell’ordine: alimentare, abbigliamento, servizi alla persone, articoli per la casa, servizi alle imprese.

Il franchising è inserito nella rivoluzione del retail, tra nuove tecniche di vendita nei negozi e offerta on line, e attira la crescente attenzione di aspiranti imprenditori. Difficile stabilire l’attività precedente dei potenziali franchisee, ma in assenza di dati stratificati e analizzando le informazioni sui visitatori delle ultime 5 edizioni del Salone è possibile stimare in 23% il numero dei commercianti che vogliono cambiare attività, sommato a quello di ex commercianti, mentre l’11% è rappresentato da giovani in cerca di nuovo impiego, il 14% da 50enni che vogliono cambiare lavoro o lo hanno perso.

Secondo il Centro Studi, partecipare di persona al Salone è forse il modo migliore per avvicinarsi al franchising perché consente di realizzare in un solo momento le due fasi: quella di informazione e scelta del franchisor e quella del colloquio operativo col franchisor, quest’ultimo comunque un passaggio obbligato anche per tutti coloro che scelgono il franchisor su internet.

Come destinare il proprio 5 per mille

Dopo aver visto ieri quali sono gli enti che possono beneficiare del 5 per mille, oggi vediamo come effettuare, all’atto pratico, la scelta dell’ente cui destinare questa quota parte del proprio imponibile Irpef.

La scelta del beneficiario del 5 per mille 2015 va fatta in concomitanza con la dichiarazione dei redditi 2015, fatta attraverso il modello Unico, il modello 730 oppure sulla Certificazione Unica 2016.

Qualora il contribuente presenti il modello Unico, può esprimere la scelta dell’ente di suo gradimento con una firma nell’apposito riquadro corrispondente a una e una soltanto delle finalità cui destinare la quota del proprio 5 per mille. Vi sono alcune finalità per le quali il contribuente può indicare anche il codice fiscale del soggetto destinatario del beneficio.

Qualora il contribuente presenti il modello 730, può esprimere la scelta dell’ente di suo gradimento sul modello 730-1 con una firma nell’apposito riquadro corrispondente a una e una soltanto delle finalità cui destinare la quota del proprio 5 per mille. Anche in questo caso, il contribuente può indicare il codice fiscale del soggetto destinatario del beneficio.

C’è anche il caso di contribuenti che non presentano il modello Unico né il modello 730. Anche loro possono scegliere l’ente cui destinare il proprio 5 per mille utilizzando la Certificazione Unica 2016, grazie a una scheda inclusa nella CU che viene rilasciata dal sostituto d’imposta, compilata nella parte relativa al periodo d’imposta, ai dati del sostituto e a quelli del contribuente.

Enogastronomia made in Italy protagonista a Verona

Verona è sempre più crocevia dell’eccellenza made in Italy per il food e il beverage. In contemporanea con Vinitaly, alla Fiera di Verona si svolgerà infatti dal 10 al 13 aprile Sol&Agrifood, appuntamento di riferimento internazionale degli operatori del food alla ricerca di nicchie produttive di eccellenza, fatte di proposte tradizionali o innovative, ma comunque capaci di rispondere a richieste di fasce di mercato sempre più esigenti.

I prodotti del made in Italy maggiormente rappresentati sono l’olio extravergine di oliva, paste e prodotti da forno, birre artigianali, formaggi, cioccolata, caffè, conserve e condimenti, salumi, ma in Sol&Agrifood rientrano tutte le merceologie agroalimentari e ortofrutticole.

Diversa da una semplice fiera espositiva, la Rassegna Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità è un luogo dove il marketing si fa dando ai buyer l’opportunità di sperimentare l’uso dei prodotti, con cooking show, educational e degustazioni guidate, e nel quale i cuochi vanno a lezione. L’obiettivo è quello di fare cultura, teorica e pratica, perché le differenze tra le eccellenze presenti e i prodotti industriali devono essere capite e apprezzate.

Visitata nel 2015 da quasi 15mila operatori esteri provenienti da 80 nazioni su un totale di oltre 64mila visitatori, Veronafiere realizza ogni anno per Sol&Agrifood un’attività di incoming di delegazioni commerciali estere, coadiuvata quest’anno da ICE-Italian Trade Agency con i finanziamenti del Piano per la promozione straordinaria del made in Italy del ministero dello Sviluppo economico.

Ai buyer esteri vengono proposti incontri b2b con le aziende espositrici nell’Area Polifunzionale e la partecipazione ai cooking show e alle degustazioni di presentazione dei prodotti nell’Agorà.

Alle tradizionali aree tematiche dedicate alle birre artigianali, a Cheese Experience e al caffè con Taste of Coffee, si aggiunge quest’anno il nuovo spazio tutto made in Italy Salumi e Biodiversità, realizzato con l’Accademia delle 5T e in collaborazione con il Comune di Parma, unica città italiana a fregiarsi, dal dicembre 2015, del riconoscimento dell’Unesco di “città creativa per la gastronomia”.

Sol&Agrifood è, per l’olio extravergine di oliva di qualità, la fiera di riferimento a livello internazionale. Presenti, oltre alle tante aziende made in Italy con un’offerta di olii fortemente territoriali, anche le collettive istituzionali di Marocco e Croazia.

All’olio extravergine sono legate molte delle attività di degustazione e formazione, come Find the fake (Scova l’intruso), il minicorso con prova di assaggio comparativa tra i veri olii extravergine di oliva di alta qualità italiana e un olio di scarsa qualità, organizzato da Unaprol.

Infine gli olii extravergini di oliva, in particolare quelli che hanno ottenuto la gran menzione del concorso Sol d’Oro, sono protagonisti, assieme ai giovani cuochi della Federazione Italiana Cuochi, delle finali della Jam Cup, il primo Trofeo Junior Assistant Master della Fic. A fronteggiarsi in cooking show, i 16 concorrenti selezionati nei mesi precedenti. A loro il compito di cucinare piatti adatti alla tipologia di fruttato dell’olio che verrà loro assegnato.

Potevano forse mancare dei cuochi in questo grande appuntamento dedicato al made in Italy?

5 per mille, chi può beneficiarne

Sono i molti ormai ad aver preso la buona abitudine di destinare il 5 per mille del proprio imponibile Irpef a iniziative sociali, ma non tutti, probabilmente, sanno come è nata l’idea.

Come spesso accade in Italia, nasce come una normativa che avrebbe dovuto essere sperimentale, con la legge Finanziaria (l’attuale legge di Stabilità) del 2006. Originariamente il contribuente, nel momento in cui compilava la propria dichiarazione dei redditi, poteva destinare il proprio 5 per mille solo a enti no-profit che si occupassero di finanziamento della ricerca sanitaria, finanziamento della ricerca scientifica e delle università, volontariato, Onlus, associazioni di promozione sociale o di altre associazioni autorizzate.

A differenza delle donazioni effettuate da privati a questi soggetti, con il 5 per mille non sono previsti maggiori oneri a carico del contribuente; oneri che, invece, sono a carico del Fisco, poiché il 5 per mille lega una parte del gettito dell’Irpef alle finalità che il contribuente vuole sostenere, sottraendolo allo Stato.

Con il passare del tempo, visto che il piatto si dimostrava ricco, la platea di quanti aspiravano al gettito del 5 per mille ha cominciato a ingrossarsi e sono cambiate sia le modalità di iscrizione per gli enti, sia le modalità di ripartizione della quota, sia la tipologia di enti beneficiari.

Ora, il contribuente, oltre alle categorie di cui sopra, può destinare il 5 per mille del proprio imponibile Irpef anche a nuovi soggetti:

  • sostegno di organismi privati delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici;
  • sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal Coni a norma di legge, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale;
  • sostegno delle attività sociali svolte dal proprio comune di residenza.

Vedremo domani come effettuare la scelta del 5 per mille sulla dichiarazione dei redditi.