Pensione di vecchiaia, come cambia l’età di uscita dal 2022 al 2030

Arrivano novità sull’età di uscita della pensione di vecchiaia. Nei giorni scorsi, infatti, sono state rese note le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato in merito alla speranza di vita e alla possibilità che il requisito anagrafico della pensione di vecchiaia rimanga congelato fino al 2026. Il che significa che, per andare in pensione, serviranno 67 anni di età, unitamente a 20 anni di contributi, fino al 31 dicembre 2026. Poi l’età della pensione continuerà a salire ogni due anni.

Pensione di vecchiaia, età bloccata sicuramente a 67 anni fino al 31 dicembre 2024

La novità sulle pensioni di vecchiaia arriva dal Documento sulle tendenza del medio e del lungo periodo del sistema pensionistico, sociale e sanitario della Ragioneria Generale dello Stato. Il rapporto sintetizza l’andamento della speranza di vita e dei requisiti necessari per andare in pensione. Tali requisiti dovrebbero rimanere costanti anche nel biennio del 2025 e del 2026. Infatti, proprio nelle scorse settimane l’età della pensione di vecchiaia era stata confermata a 67 anni anche negli anni 2023 e 2024. Tale conferma è arrivata dal decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 ottobre 2021, poi reso operativo dall’Inps con la circolare numero 28 del 18 febbraio 2022. In base a quanto stabilito dal ministero, l’età della pensione di vecchiaia rimarrà congelata a 67 anni fino al 31 dicembre 2024.

Pensioni di vecchiaia nel biennio 2025 e 2026: ecco le tendenze della speranza di vita che fanno pensare al blocco età

Il congelamento dell’età della pensione di vecchiaia anche oltre il 2024 dovrà risultare dalle tendenze demografiche e della speranza di vita che verranno rilevate e confermate nei prossimi anni. Ad oggi, il Documento della Ragioneria Generale dello Stato costituisce una base solida per le proiezioni della speranza di vita. Il congelamento anche al 2025 e 2026 dell’età di uscita per la pensione deriverebbe dall’entrata nel calcolo della speranza di vita degli anni 2020 e 2021, segnati dal cambio di tendenza della mortalità a causa della pandemia da Covid-19.

Pensione di vecchiaia, a che età si potrà uscire da lavoro dal 2027 al 2030?

Per effetto del Rapporto della Ragioneria Generale dello Stato, dunque, l’età della pensione di vecchiaia dovrebbe tornare a salire solo a partire dal 1° gennaio 2027. E dovrebbe tornare ad aumentare ogni due anni a seconda delle stime sulla speranza di vita osservate nei prossimi anni. Per effetto delle stime pubblicate nel rapporto nei giorni scorsi, l’età della pensione di vecchiaia rimarrà costante fino al 31 dicembre 2026 a 67 anni. Poi, nei due anni del 2027 e 2028 dovrebbe salire di 2 mesi, decretando l’età di uscita a 67 anni e due mesi. Più consistente sarebbe l’aumento nel 2029 e 2030, quando si accederà alla pensione di vecchiaia all’età di 67 anni e 5 mesi, con un aumento di tre mesi.

Pensioni di vecchiaia, le proiezioni della Ragioneria Generale dello Stato negli anni dal 2030 al 2065

Peraltro, la Ragioneria Generale dello Stato ha stimato anche l’aumento dell’età per la pensione di vecchiaia nei decenni successivi al 2030. Per effetto delle stime pubblicate nel rapporto, per andare in pensione occorrerà l’età di:

  • 68 anni e due mesi a partire nel 2035;
  • 68 anni e sei mesi nel 2040;
  • 69 anni nel 2045;
  • 69 anni e 4 mesi nel 2050;
  • 69 anni e 9 mesi nel 2055;
  • 70 anni nel 2060;
  • 70 anni e 4 mesi nel 2065.

Pensioni anticipate, quanti anni di contributi serviranno per uscire da lavoro fino al 2026?

Se l’età della pensione di vecchiaia è ancora in bilico nel biennio 2025-2026, per la pensione anticipata fino al 31 dicembre 2026 serviranno:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini;
  • 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne.

Il blocco dei requisiti contributivi, a prescindere dell’età di uscita da lavoro, è stato decretato dal provvedimento numero 4  del 2019. Si tratta del decreto che ha istituito la quota 100. Per effetto del provvedimento, dunque, i contributi per le pensioni anticipate rimarranno congelati ancora per oltre quattro anni.

Pensione anticipata, come cambieranno i contributi per uscire da lavoro dal 2027?

Solo a partire dal 1° gennaio 2027 potranno cambiare gli anni di contributi richiesti per le pensioni anticipate. In particolare, il Documento della Ragioneria Generale dello Stato stima gli aumenti dei bienni:

  • 2027 e 2028: 43 anni di contributi per gli uomini, 42 per le donne;
  • 2029 e 2030: 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini, 42 anni e 3 mesi per le donne;
  • 2035: 44 anni di contributi per gli uomini, 43 anni per le donne;
  • 2040: 44 anni e 4 mesi di contributi per gli uomini, 43 anni e 4 mesi per le donne;
  • 2045: 44 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 43 anni e 10 mesi per le donne;
  • 2050: 45 anni e 2 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 2 mesi per le donne;
  • 2055: 45 anni e 7 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 7 mesi per le donne;
  • 2060: 45 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 10 mesi per le donne;
  • 2065: 46 anni e 2 mesi di contributi per gli uomini, 45 anni e 2 mesi per le donne.

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Riforma delle Pensioni, le trattative dopo l’incontro con i sindacati

Il nodo Riforma delle pensioni continua a tenere con il fiato sospeso i lavoratori. A seguito dell’ennesimo incontro con le parti sociali e i sindacati ecco cosa si ipotizza.

Riforma delle Pensioni e taglio delle tasse,un aggiornamento

Pensioni e tagli delle tasse sono stati il tema principale del vertice tenutosi ieri sera tra governo e sindacati. Il Premier Draghi ha dimostrato apertura verso una riforma delle pensioni dettagliata e che punta ad una soluzione duratura. Tuttavia erano presenti anche i Ministri Brunetta, Franco ed Orlando e i rappresentanti dei sindacati come Cisl, Ui e Cgl.

E’ lo stesso Bombardieri della Uil a dichiarare che l’incontro si è mosso su due fronti: la riforma fiscale e la richiesta di indirizzare le risorse sul cuneo fiscale verso i lavoratori autonomi ed i pensionati. Mentre Sbarra della cisl, ha confermato l’impegno del governo per continuare a revisionare la Legge Fornero. Infine Landini della cgil, si dice soddisfatto di aver trovato un governo disposto al dialogo e alle trattative.

Vediamo le posizioni all’interno del confronto

La posizione del Governo sembra spingere verso il ritorno della Legge Fornero. Mentre i sindacati sembrano essere contro il ritorno alla stessa legge chiedendo di andare in pensione con i 62 anni di età, oppure di 41 anni di contributi. Ma nelle legge di bilancio, sembra che non ci siano le risorse necessarie ad attuare una riforma delle pensioni di questo tipo. Pertanto la partita è ancora tutta da giocare.

Si ricorda che, per completezza di informazioni, che la legge Fornero prevede due misure sul tema pensioni. La pensione di vecchiaia a 67 anni, che richiede almeno 20 anni di contributi versati e la pensione anticipata che permette l’accesso al raggiungimento del requisito contributivo, indipendentemente dall’età.

Altre opzioni in campo

Sul tavolo delle trattative c’è anche la proposta del Presidente dell’InpsPasquale Tridico. L’idea è andare in pensione a 62-63 anni d’età della sola quota contributiva dell’assegno. Mentre la fetta “retributiva” verrebbe erogata al raggiungimento della sogli di vecchiaia di 67 anni.

Infine la Lega aveva ipotizzato una possibilità di uscita con 63 anni d’età e un’anzianità contributiva di 41 anni. Una cosa è certa ancora nulla è definito, ma pare che le parti siano disposte a trattare e a trovare una soluzione definitiva. Infine, in merito agli ammortizzatori sociali, si prevede la proroga di un anno di Opzione donna e dell’Ape sociale in versione estesa ad ulteriori categorie di lavori gravosi. Vedremo gli ulteriori sviluppi in materia di riforma delle pensioni.

 

 

Scandalo pensioni, il 43% è sotto i mille euro

Sono 6,8 milioni, il 43% del totale, i pensionati che percepiscono meno di mille euro al mese e “assorbono circa il 20% della spesa annua complessiva. Tra questi, il 13,4%, pari a 2,1 milioni, si situa al di sotto di 500 euro” ha dichiarato il commissario straordinario del’Inps Vittorio Conti.

“Lo scorso anno – continua Conti – dei 14,3 milioni di pensionati Inps, cifra al netto dei beneficiari di pensioni assistenziali, 5 milioni hanno percepito una rendita media di 702 euro lordi mensili ed altri 1,2 milioni di soli 294 euro. La crisi e le sue mutazioni nel tempo stanno approfondendo ed esasperando problematiche sociali latenti con l’aggiunta di nuovi soggetti deboli: milioni di disoccupati e inoccupati giovani e meno giovani, famiglie prive di reddito stabile a rischio povertà ed esclusione sociale».

I valori medi delle pensioni erogate alle donne restano decisamente più bassi: 1.081 euro lordi mensili a fronte di 1.547 per gli uomini pur rappresentando il  il 54% del totale dei beneficiari. E che non ci vengano a raccontare che si tratta solo dell’ennesima coincidenza…

JM

Blocco delle indicizzazioni delle pensioni nel 2014

Appuntamento al 2014 con l’indicizzazione delle pensioni con importi superiori a tre volte il minimo.
Dall’anno prossimo, infatti, il tetto di adeguamento passerà a sei volte il minimo.

Enrico Giovannini, ministro del Welfare, ha assicurato che il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, introdotto dal Governo Monti per il biennio 2012-2013 con la Legge di Stabilità 2012, non verrà prorogato per il 2014.

Ciò conferma quanto previsto dalla Legge di Stabilità 2012, dove era stato precisato che non sarebbe stata applicata alcuna proroga.
Sembrava, in un primo momento, che il blocco sarebbe proseguito anche per il 2014, se non altro per reperire le risorse di cui il Governo è privo, ma Giovannini ha assicurato: “Il Parlamento ha previsto che dal 2014 il livello sei volte il minimo è quello sotto il quale non si possa bloccare l’indicizzazione. Io non ho nessuna intenzione di intervenire sotto quei livelli e non useremo il blocco dell’indicizzazione per fare cassa. Non l’ho mai pensato neppure lontanamente“.

Ad essere coinvolti, sono 600mila pensionati, che percepiscono nell’insieme 34 miliardi di euro, su un totale di 23,4 milioni di assegni per oltre 270 miliardi di euro.
Per le pensioni superiori ai 2.886 euro lordi, invece, il blocco potrebbe arrivare anche nel 2014 seppur con scopi diversi: si tratterebbe di una misura finalizzata a garantire l’equità sociale e non risorse per lo Stato.

La strada più facilmente percorribile sarà quella di applicare il blocco delle indicizzazioni solo alla parte eccedente 6 volte il minimo, con il benestare di Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro di Montecitorio: “Difendere il potere d’acquisto dei pensionati e correggere la riforma previdenziale è una delle priorità del PD“.

Vera MORETTI