Le istituzioni a difesa del made in Italy

La lotta al cosiddetto italian sounding, ossia l’utilizzo di nomi che richiamano i prodotti agroalimentari del made in Italy per vendere in realtà cibo taroccato, parte anche e soprattutto nelle sedi istituzionali.

Ecco perché è importante la campagna di promozione strategica del cibo 100% made in Italy presentata nei giorni scorsi alla stampa a Montecitorio e promossa da Camera dei Deputati, ministero dello Sviluppo Economico e Assocamerestero.

Si tratta di un progetto che fa parte della strategia di promozione del made in Italy nella quale è impegnato da tempo il Governo proprio per contrastare il fenomeno dell’italian sounding e tutelare dalle frodi i consumatori stranieri. Una battaglia che ora può contare su un plafond di 7,5 milioni di euro nel triennio 2015-2017 messi a disposizione del sistema delle Camere di Commercio Italiane all’Estero.

Un importante impegno economico che servirà a finanziare, durante il primo anno del progetto, alcune iniziative promozionali negli Stati Uniti, in Canada e in Messico con il coinvolgimento delle locali Camere di Commercio Italiane all’Estero.

Al centro di queste attività a sostegno del made in Italy ci saranno importatori, distributori, responsabili acquisti delle catene alberghiere, chef, food blogger, nutrizionisti, giornalisti di settore e opinion leader del mondo food.

Tutte queste figure coinvolte parteciperanno a iniziative come l’incoming di operatori del settore food in Italia, la formazione per gli operatori del settore food, l’incoming educational per gli opinion leader dei Paesi oggetto del progetto, eventi di promozione e piani di comunicazione a tutela e sostegno del made in Italy agroalimentare.

I dolci natalizi made in Italy vanno forte all’estero

Le festività di Natale sono tradizionalmente un momento d’oro per l’enogastronomia italiana, tanto sul mercato interno quanto, soprattutto, su quello estero, grazie alle buone performance delle esportazioni.

Spesso, però, si parla più di specialità come cotechini, zamponi, pasta fresca, vini e spumanti e meno dei dolci natalizi. Eppure la tradizione dolciaria italiana legata al Natale è variegata e fortissima, come ben sanno anche all’estero.

Se n’è accorta anche Confartigianato, che in una ricerca ha rilevato come, nell’ultimo anno, l’export di dolci natalizi italiani ha toccato un valore pari a quasi 310 milioni di euro (309,1, per la precisione), facendo registrare un +10,2% rispetto al 2014.

I più golosi e appassionati di dolci natalizi italiani sono i francesi: il paese d’Oltralpe ha totalizzato una spesa di 75,1 milioni di euro di dolci natalizi (il 24,3% del totale del nostro export). Seguono la Germania (53,8 milioni, 17,4% del totale esportato) e il Regno Unito (34,3 milioni, 11,1% del totale).

Se invece si analizzano gli incrementi percentuali dell’export di dolci natalizi italiani, si scopre che il boom è stato registrato Stati Uniti, +45,5% rispetto al 2014, seguiti dalla Germania (+32,1%), dall’Austria (+22,2%) e dalla Spagna (+15,6%).

E siccome l’Italia è un Paese di campanili, è bene sottolineare quali sono, secondo Confartigianato, le regioni che hanno registrato gli incrementi maggiori per l’export di dolci natalizi nel primo semestre 2015. Vince la Toscana (+18,4%), seguita da Campania (+14,8%), Veneto (+11,9%), Piemonte (+5,1%), Emilia-Romagna (+ 4,7%) e Lombardia (+1,%).

A tavola è un Natale made in Italy

A Natale si fa festa a tavola e anche in rete con i piatti della tradizione made in Italy, che rappresentano il 67% delle portate previste nei menù delle Feste. Pasta e dolci sono le pietanze più gettonate.

È quanto emerge da un’analisi della Camera di commercio di Milano e di Coldiretti Lombardia attraverso VOICES from the Blogs, spin-off dell’Università degli Studi di Milano su una base di oltre 20mila risposte on line.

La classifica dei piatti di Natale made in Italy vede al primo posto pasta, ravioli e lasagne (13,4% dei commenti), poi il panettone (9%), al terzo il salmone (7,6%, intruso non italiano) e il brodo (7,4%), al quarto il pandoro (6,7%), al quinto l’arrosto, le lenticchie, il torrone e il cotechino, e al settimo datteri e zampone.

Il dolce indiscusso del Natale made in Italy è quindi il panettone, che raccoglie il doppio delle menzioni del suo diretto antagonista, il pandoro. Cotechino, zampone, lenticchie e datteri presentano un ridotto numero di commenti, anche perché più legati alla tradizione del cenone di Capodanno.

Le valutazioni sui menù di Natale made in Italy, spiega la ricerca Camera di commercio Milano/Coldiretti Lombardia, coinvolgono più le donne degli uomini: il 58% contro il 42%. Per quanto riguarda le offerte ai consumatori, a Milano un imprenditore su tre usa i social network per il proprio business, con una crescita del 5% nell’ultimo anno.

Quasi un italiano su quattro (37%) per le feste di Natale, secondo una ricerca Coldiretti/Ixè, farà shopping su internet e la rete si afferma anche come strumento per fare raffronti e per ricercare suggerimenti.

Alta qualità, legame con il territorio e ricerca dei piatti della tradizione made in Italy, spiegano Coldiretti Lombardia e Camera di Commercio, sono i criteri che guidano le scelte dei consumatori e i periodi delle feste sembrano rafforzare questa tendenza registrata, in genere, lungo tutto l’anno.

Agroalimentare italiano alla conquista dell’Iran

L’agroalimentare italiano non conosce frontiere e rimane, per la nostra economia, un formidabile gancio di traino. Lo sa bene Federalimentare, tanto che nei giorni scorsi il suo presidente, Luigi Scordamaglia, ha partecipato al Business Forum Italia-Iran a Teheran, una missione imprenditoriale nell’ex Persia guidata dal vice ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.

Non è un caso la scelta dell’ex Paese degli scià: nei primi otto mesi del 2015, infatti, l’export dell’ agroalimentare italiano verso l’Iran è cresciuto del 21,9% rispetto al 2014, per un controvalore di 11,08 milioni di euro. E i possibili sviluppi sono infiniti. Considerando il progressivo allentamento delle sanzioni economiche internazionali verso l’Iran, la diffusione di abitudini di consumo e di shopping simili a quelle occidentali e il potenziale bacino di consumatori (78 milioni di persone), l’ agroalimentare italiano nel Paese può ritagliarsi un ruolo di primo piano.

Del resto, lo scopo della missione a Teheran, alla quale non hanno partecipato direttamente le aziende italiane, è stato proprio quello di favorire l’ingresso dell’ agroalimentare italiano in Iran dopo la fine delle sanzioni internazionali, mettendo in atto delle efficaci politiche di import-export.

L’Iran, con una produzione agricola qualificata, ma non sufficiente a coprire i suoi fabbisogni alimentari – ha ricordato Scordamaglia -, potrebbe unirsi a quei Paesi che, dalla Russia all’Africa subsahariana, alla Cina, stanno già chiedendo alle nostre industrie di investire anche sui loro territori, di valorizzare in maniera lungimirante e non predatoria, come solo noi sappiamo fare, la loro produzione agricola, chiedendo di associare al made in Italy anche il made with Italy”.

E che l’ agroalimentare italiano sia, per la nostra economia, quasi come il petrolio, lo ha ricordato il presidente di Federalimentare concludendo che “l’obiettivo è che si verifichi in Iran quanto già accaduto con altri sbocchi importanti del Medio Oriente, come gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita, dove in appena dieci anni l’export del made in Italy ha raggiunto rispettivamente 170 e 137 milioni di euro, con tassi di crescita annuale del 40% circa“.

La Cina è vicina e ha fame d’Italia

Che il mercato della Cina sia una potenziale miniera d’oro per l’agroalimentare italiano era cosa piuttosto nota. Ora, però, arrivano anche i numeri a confermarlo, e sono numeri di Coldiretti, per cui hanno tutta l’autorevolezza possibile.

Ebbene, secondo queste cifre, le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani in Cina sono cresciute del 298% dall’inizio della crisi e nel 2014 hanno letteralmente fatto il botto, con un giro d’affari di 367 milioni di euro.

Coldiretti ha elaborato questi dati relativi alla Cina sulla base dei dati Istat 2008 -2014, e ha presentato il relativo studio a Expo 2015 durante il Forum italo-cinese per la cooperazione nel settore agroalimentare, nel giorno in cui l’Esposizione ha “celebrato” la Cina.

E il trend positivo delle esportazioni agroalimentari verso la Cina continua anche nel 2015: nel primo trimestre di quest’anno sono aumentate del 4%, un valore che compensa in parte le perdite dovute al crollo dell’export in Russia a causa dell’embargo.

Ma che cosa ama del nostro agroalimentare il consumatore della Cina? Secondo Coldiretti, soprattutto i prodotti base della dieta mediterranea: pasta, olio extravergine d’oliva, ortofrutta, vino e spumanti, formaggi. Tra questi prodotti, lo spumante è diventata una vera e propria mania nel Paese del dragone, tanto che le esportazioni in Cina sono cresciute del 46% nel primo bimestre del 2015 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Sempre Coldiretti rileva poi come anche il flusso opposto – prodotti agroalimentari dalla Cina in Italia – nel 2014 sia stato significativo: 536 milioni di euro, -4% rispetto al 2013.

Federalimentare: recuperare il mercato russo

Il presidente russo Vladimir Putin è comparso a Expo 2015 e ha ricordato come le sacrosante sanzioni imposte alla Russia dalla comunità internazionale per la gestione della guerra con l’Ucraina siano un danno per le imprese di un Paese come l’Italia, che ha nel Paese degli zar un mercato di primissimo piano.

Non sono quindi casuali le parole dette, sempre a Expo 2015 nell’assemblea pubblica di Federalimentare da Luigi Scordamaglia, presidente della federazione dell’industria alimentare italiana, il quale ha affermato che per le imprese italiane del settore agroalimentare “il mercato russo è strategico e insostituibile e va recuperato a qualsiasi costo“.

Grazie all’Italia – ha proseguito il presidente di Federalimentare -, l’agroalimentare può essere un ponte di rilancio. L’auspicio è che l’incontro di oggi tra il presidente Putin ed il presidente del Consiglio Renzi, in un contesto così universale come Expo, possa riavviare il dialogo favorendo il ritorno delle eccellenze del food and beverage italiano sul mercato russo“.

Ma quali sono, secondo Federalimentare, le cifre che all’Italia costano le sanzioni contro la Russia? Nel 2013, ossia nell’ultimo anno prima che fosse imposto l’embargo, secondo Federalimentare la Russia era undicesima tra gli sbocchi dell’agroalimentare italiano, con una quota export di 562,4 milioni di euro (+24,4% sul 2012), pari al 2,2% dell’export alimentare italiano. Nel 2014 il calo dell’export agroalimentare in Russia è stato del 6% mentre, sottolinea allarmata Federalimentare, nel primo bimestre del 2015 le esportazioni sono crollate del 46,3%, con il settore lattiero-caseario di fatto scomparso: -97%.

Conclude il presidente di Federalimentare: “In meno di un anno, i limiti imposti a questo mercato sono costati alle nostre aziende alimentari circa 165 milioni di euro. Ma la perdita in valore assoluto di mancata esportazione è un dato trascurabile rispetto all’interruzione di un processo di scoperta e fidelizzazione che sta avvantaggiando la concorrenza e la contraffazione. In altre parole, non potendo accedere direttamente ai nostri prodotti, i russi stanno acquistando delle imitazioni. Per la prima volta, in Russia si sta affermando l’italian sounding. Se non si interviene al più presto, sarà difficile recuperare“.

Un logo per l’ agroalimentare italiano

Nella lotta senza quartiere alla contraffazione alimentare, adesso il made in Italy potrebbe avere un’arma in più. È stato infatti presentato nei giorni scorsi a Expo 2015 da parte del ministero delle Politiche Agricole, il “Segno unico distintivo del settore Agroalimentare italiano”, in pratica un logo unico e distintivo dell’ agroalimentare italiano.

Del resto, che l’ agroalimentare italiano sia una miniera d’oro anche e soprattutto per i taroccatori, lo testimoniano le cifre relative allo scorso anno. Nel 2014, infatti, l’ agroalimentare italiano ha registrato un valore di 34,4 miliardi di euro di export. Solo nel primo trimestre 2015 siamo già a 8,7 miliardi solo e l’obiettivo per il 2020 è di 50.

Con il logo unico del made in Italy presentato a Milano saranno marchiati i prodotti dell’ agroalimentare italiano che nascono in Italia, per evitare la confusione con i cloni che spopolano nel mondo e che sfruttano il cosiddetto “italian sounding” (nome simile a quello italiano) per mascherare una palese contraffazione.

Il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha così commentato l’iniziativa: “Il logo, insieme allo slogan ‘The extraordinary Italian taste’, servono a identificare subito le attività di promozione dei nostri prodotti attraverso un’operazione di riconoscibilità. Il fine è quello di creare un filo conduttore che leghi tutte le attività di promozione del vero prodotto italiano sullo scenario internazionale. Il nostro obiettivo è essere al fianco delle imprese che in questi anni hanno messo in campo energie, capacità di fare, passione, aziende che hanno consentito all’Italia di registrare una crescita del 70% dell’Export Agroalimentare negli ultimi 10 anni”.

Il logo e lo slogan saranno utilizzati, tanto sui prodotti dell’ agroalimentare italiano, quanto durante le fiere internazionali per la promozione nei punti vendita della grande distribuzione estera, a anche sui social media e nelle campagne di comunicazione e promozione in Tv e sui media tradizionali.

Imprese agricole, 50 milioni da Ubi e Bei

L’onda lunga di Expo 2015 e del suo focus su alimentazione e agroalimentare arriva anche alle banche e alle piccole e medie imprese agricole. Dopo che nei giorni scorsi abbiamo dato notizia di parecchi gruppi bancari che hanno stanziato fondi a supporto delle imprese agricole, ora ecco che anche il gruppo UBI Banca, insieme alla Banca europea per gli investimenti (Bei) fa lo stesso.

UBI e Bei guardano infatti alle imprese agricole con un accordo per il finanziamento di Pmi e Mid-Cap italiane attive nel settore dell’agroalimentare per 50 milioni di euro. In base all’intesa, saranno finanziati progetti del settore agricolo e dei comparti correlati, tra cui il forestale, la pesca e le produzioni alimentari.

L’importo finanziabile potrà raggiungere il 100% del costo di ciascun progetto, con un importo massimo di 12,5 milioni. Gli importi potranno essere richiesti dalle imprese agricole con durata massima fino a 15 anni per investimenti immobiliari agroindustriali e agroturistici e fino a 12 anni per gli altri progetti.

L’accordo in favore delle imprese agricole rientra nella nuova linea di credito da 400 milioni denominata “Agricolture SMEs & Mid Caps Loan” per l’agricoltura approvata lo scorso mese di aprile dalla banca dell’Unione europea.

Il gruppo UBI metterà inoltre a disposizione delle imprese agricole ulteriori risorse rispetto ai 50 milioni della Bei, in modo da aumentare il plafond complessivo per il settore agroalimentare.

L’iniziativa si inserisce nell’ambito dei rapporti consolidati tra Bei e il Gruppo UBI Banca e, stando a quanto comunica UBI, punta a rafforzare il supporto offerto al settore produttivo italiano e a contribuire all’avvio del processo di ripresa dell’economia italiana.

In particolare il settore agroalimentare con le imprese agricole italiane rappresenta uno dei pilastri dell’economia nazionale, con un giro d’affari di oltre 240 miliardi di euro pari al 15% circa del Pil (comprendendo anche l’industria della trasformazione, distribuzione e ristorazione).

Da Expo 2015 finanziamenti alle imprese agricole

Lo hanno detto e ripetuto in tanti che Expo 2015 sarà anche un’opportunità per le chi fa business, sotto molti punti di vista. Anche sotto quello dei finanziamenti alle imprese. E, essendo il focus di Expo 2015 sull’alimentazione, quali realtà potranno fruire di questi finanziamenti alle imprese, se non quelle dell’agroalimentare?

Va infatti in questo senso l’accordo definito tra Intesa Sanpaolo e la Banca europea per gli investimenti per attivare una linea di credito da 150 milioni di euro di finanziamenti alle imprese piccole e medie del settore agroalimentare italiano.

Un plafond al quale si aggiungeranno altrettanti 150 milioni messi sul piatto dalla stessa Intesa Sanpaolo attraverso Mediocredito Italiano e altre banche del gruppo, per irrobustire i finanziamenti alle imprese agroalimentari.

L’accordo à stato presentato nei giorni scorsi proprio a Expo 2015, nel Padiglione di Intesa Sanpaolo, alla presenza del ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, dell’ad della Banca, Carlo Messina, e del vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco.

I finanziamenti alle imprese di Bei andranno, stando a quanto specificato nel progetto, alle aziende attive in tutte le filiere del sistema agroalimentare: da quello specializzate nelle produzioni alimentari, alle produzioni agricole, da quelle forestali a quelle ittiche.

Banane made in Italy? Sì, a Expo 2015

Expo 2015 è una grande vetrina sul mondo nella quale, lo sanno anche i sassi, il focus principale è sull’alimentazione. Alimentazione che significa anche e soprattutto materie prime, tra le quali la frutta e la verdura occupano un ruolo di primo piano e subiscono, più di altre, le conseguenze del cambiamento climatico. Un problema sul quale Expo 2015 non chiude gli occhi.

E un problema che porta con sé implicazioni insospettabili, come testimonia un’analisi della Coldiretti i cui risultati sono stati esposti in diretta nel padiglione che, a Expo 2015, ha l’associazione dei coltivatori diretti: in Italia, complice il cambiamento climatico, si comincia a produrre frutta esotica, dalle banane all’avocado. Inoltre, negli ultimi 30 anni il vino italiano è aumentato in media di un grado.

L’analisi di Coldiretti a Expo 2015 tiene conto del fatto che nove dei dieci anni più caldi della storia sono successivi al 2000: 2014, 2003, 2007, 2012, 2001, 1994, 2009, 2011, 2000 2008. Un filotto che, nel caso del vino, oltre all’innalzamento della gradazione, ha portato un anticipo della vendemmia anche di un mese rispetto a settembre e ha cambiato la distribuzione sul territorio dei vigneti, che tendono ad espandersi verso l’alto con la presenza della vite a quasi 1200 metri di altezza.

A Expo 2015 Coldiretti, tramite la sua analisi, ha anche messo in evidenza come si sia verificato nel tempo anche un importante spostamento della zona di coltivazione di alcune colture come l’olivo, che è arrivato sulle Alpi. L’esempio portato è quello della provincia di Sondrio e della Valtellina dove, negli ultimi dieci anni, la coltivazione dell’ulivo sui costoni più soleggiati è passata da zero a diecimila piante, per 30mila metri quadrati di terreno.

Estendendo la visione ad altre zone d’Italia, la Pianura Padana è diventata territorio ideale per la coltivazione di pomodoro da conserva e grano duro per pasta, mentre in Sicilia si coltivano avocado e banane.

E, raccontando a Expo 2015 della Terra che cambia, Coldiretti avverte che queste mutazioni mettono a rischio il patrimonio agroalimentare italiano, incidendo in molti casi sulla stagionatura dei salumi, sull’affinamento dei formaggi o sull’invecchiamento dei vini.