La mappa dell’ agroalimentare italiano nel mondo

L’ agroalimentare made in Italy nel mondo vale 36,7 miliardi di euro all’anno e cresce del 7,4%.

Per sapere dove va e da dove parte l’export, quali sono i maggiori mercati di sbocco e i prodotti più apprezzati, arriva la mappa L’ agroalimentare italiano nel mondo, realizzata dalla Camera di commercio di Milano e Coldiretti, con Promos, azienda speciale della Camera di commercio per le Attività Internazionali.

Agroalimentare italiano nel mondo: Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera concentrano la metà dell’export. Tutte le principali destinazioni sono in crescita, in particolare Stati Uniti (+19,7%) e Regno Unito (+8,6%). Ma i prodotti “made in Italy” raggiungono anche Giappone (al 10° posto), Canada (11°), Australia (16°) e Cina (17°).

E se la Germania e la Francia sono i primi acquirenti del nostro agroalimentare, per quasi tutti i prodotti, gli Stati Uniti eccellono per vini, acque minerali e olii, la Spagna per pesce fresco, la Grecia e le Filippine per alimenti per animali.

In forte crescita la Cina per latte, amidi, tè, caffè e vini, l’Arabia Saudita per frutti e prodotti da forno, l’Australia per pasta e piatti pronti, la Turchia per cioccolato, l’Ungheria per carne lavorata e conservata, la Polonia per pesce conservato, gelati e condimenti, il Belgio per acque minerali.

Tra i prodotti dell’ agroalimentare “made in Italy” più esportati vi sono i vini, che raggiungono i 5,4 miliardi di euro; vengono poi pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro, ma anche frutta e ortaggi lavorati e conservati con 3,4 miliardi di euro.

Gli aumenti più consistenti si registrano per acque minerali (+21,1%), alimenti per animali (+20%), prodotti non lavorati da colture non permanenti tra cui cereali, riso, ortaggi (+15,5%), tè e caffè (+11,2%).

I maggiori esportatori di agroalimentare in Italia sono Verona con 2,7 miliardi di euro, Cuneo con 2,5 miliardi e Parma con 1,6 miliardi. Milano è quarta con 1,5 miliardi. Seguono Bolzano, Salerno e Modena. Tra le prime venti posizioni la maggiore crescita tocca a Napoli (+24,6%), Firenze (+23,4%) e Bergamo (+22,7%).

Agroalimentare italiano in altalena

Dati contrastanti quelli dell’export agroalimentare italiano. I dati di agosto, infatti, sono confortanti da un lato e meno da un altro. Durante il mese, infatti, l’export agroalimentare tricolore è cresciuto del 13,5% anno su anno, mentre nei primi 8 mesi dell’anno la crescita (+3,5%) è stata di circa la metà rispetto a quella registrata nello stesso periodo del 2015. Rispetto a luglio 2016, però, il dato di agosto è nettamente positivo.

Nei primi sette mesi del 2016, l’export agroalimentare italiano ha toccato quota 16,9 miliardi di euro e in tutto il 2015 ha totalizzato 36 miliardi. Guardando ai singoli comparti, molto positivi il numeri del saccarifero (+19,9%) e del molitorio (+18.4%). Giù acque minerali (-9,9%), riso (-4,3%) e pasta (-3,9%).

Sul totale dell’ agroalimentare italiano esportato, il vino incide come voce maggiore, pesando all’incirca il 20%.

Il motivo di questi dati contrastanti va ricercato principalmente nelle dinamiche delle economie dei Paesi emergenti, come sottolinea anche un recente rapporto stilato da Unicredit.

Lo studio sottolinea come il made in Italy stia penetrando meno, rispetto a qualche anno fa, nei mercati emergenti più dinamici, specialmente per quanto riguarda il comparto.

Unicredit analizza il caso della Cina, Paese nel quale la quota di export dell’ agroalimentare italiano è solo all’1,3%, molto meno rispetto a quella di mercati per noi storici come Germania, Francia e Regno Unito.

Un 2016 da dimenticare per l’ olio di oliva

Il 2016 sarà un anno da ricordare, purtroppo in negativo, per alcune eccellenze dell’enogastronomia italiana. Non bastava la crisi del miele, la cui produzione è crollata del 70% rispetto all’anno precedente, anche sul fronte dell’ olio di oliva le notizie non sono buone.

Secondo Coldiretti, che ha analizzato i dati elaborati da Ismea/Unaprol, la produzione di olio di oliva in Italia è infatti scesa del 38%, a 298 milioni di chili, valore vicino ai minimi storici.

Per quello che può servire, non siamo l’unico Paese a fare i conti con la penuria di olio di oliva. Coldiretti segnala infatti che in Grecia siamo a -20% (240 milioni di chili) e in Tunisia a -21% (110 milioni di chili). La Spagna, che si conferma primo produttore al mondo di olio di oliva con 1400 milioni di chili, è in linea con la produzione dello scorso anno, mentre va forte la Turchia: +33% sul 2015 a 190 milioni di chili.

Al di là delle conseguenze pesanti per i produttori, anche i consumatori di olio di oliva in Italia risentiranno di questi cali che, a livello globale, saranno nel totale di circa il 9% a fine 2016. I prezzi sono infatti in aumento, come testimonia il +14% nel prezzo al litro dell’ olio di oliva extravergine registrato nell’ultima settimana, rispetto al 2015, alla borsa merci di Bari, la più autorevole in Italia.

Per quanto riguarda la produzione a livello territoriale, le previsioni Ismea/Unaprol parlano di un calo della produzione del 39% al Sud, del 29% al Centro e del 10% al Nord. Confermano, inoltre, al primo posto nella produzione nazionale di olio di oliva la Puglia, seguita dalla Calabria e dalla Sicilia.

Al netto delle condizioni meteo avverse o delle malattie che possono colpire gli ulivi, l’Italia ha tutto il potenziale necessario per tornare a livelli di produzione di olio di oliva che le competono. “Con l’approvazione del piano olivicolo nazionale – ha infatti ricordato il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvosi è aperto un percorso di crescita del vero Made in Italy sul quale fare leva per incrementare la produzione nazionale, sostenere attività di ricerca, stimolare il recupero varietale e la distintività a sostegno della competitività del settore. L’Italia può contare su oltre 250 milioni di piante di ulivo su oltre un milione di ettari di terreno coltivato con il maggior numero di olio extravergine a denominazione (44) in Europa e sul più vasto patrimonio di varietà d’ulivo del mondo (395) che garantiscono un fatturato al consumo stimato in 3,2 miliardi di euro nel 2015”.

Cibus e Slow Food insieme per Cibus Connect

Cibus è uno degli appuntamenti più importanti per far conoscere le eccellenze agroalimentari italiane nel mondo. Ecco perché ha una grande importanza la nascita di Cibus Connect 2017, un nuovo format nato dalla collaborazione tra Cibus e Slow Food e dedicato al Made in Italy in Italia. Il debutto di Cibus Connect 2017 è previsto per il 12-13 aprile 2017 alle Fiere di Parma.

Una nota di Cibus spiega come l’accordo tra le due realtà ha come obiettivo la valorizzazione, in Italia e nel mondo, delle competenze e delle esperienze maturate nel B2B con Cibus e nel B2C con il Salone del Gusto, organizzato da Slow Food dal 1996.

In sostanza Fiere di Parma Cibus e Slow Food mettono le rispettive esperienze e competenze al servizio delle aziende alimentari italiane, in modo che si possano affermare sempre più sempre meglio sui mercati nazionali e internazionali.

All’interno di Cibus Connect, oltre agli abituali espositori del salone, è previsto uno spazio apposito dedicato ai produttori selezionati, organizzato da Slow Food, con circa 100 produttori italiani legati all’associazione fondata da Carlo Petrini.

Le potenzialità inespresse dell’ agroalimentare italiano

Si è tenuto nei giorni scorsi a Roma un incontro tra Cia-Agricoltori Italiani e giornalisti esteri e stakeholder di settore per analizzare i mercati internazionali dell’ agroalimentare italiano e illustrare i progetti che la Cia sta realizzando per promuovere le eccellenze delle aziende agricole made in Italy su questi mercati.

I dati e le riflessioni emersi durante la discussione sul futuro all’estero dell’ agroalimentare italiano sono stati stimolanti. A partire da un dato. Se, da una parte, l’ agroalimentare italiano vanta quasi 6mila (5.847) tra cibi tradizionali e denominazioni di origine, i prodotti made in Italy originali che arrivano sulle tavole internazionali sono meno di 200.

Un potenziale inespresso che si riflette nei numeri dell’export, pari a circa 37 miliardi di euro ma che ne vale potenzialmente almeno 70. Pochi prodotti coprono più del 90% del fatturato dell’export agroalimentare italiano, che per 24 miliardi è generato dagli scambi con tre soli Paesi: Francia, Germania e Regno Unito.

Stando ai risultati di alcuni studi recenti, il 25% dei consumatori stranieri ritiene che i cibi della mondo agroalimentare italiano siano di qualità superiore rispetto ai propri; negli Usa, il il 43% dei consumatori vorrebbe più prodotti made in Italy nei supermercati e 3 su 4 di essi sono disposti a pagare di più un prodotto, purché sia garantito al 100% di agroalimentare italiano.

Mercati da aggredire e potenzialità inespresse, che rischiano di affossare, anziché esaltare l’ agroalimentare italiano, come il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino: “Ho il timore che, a forza di parlare solo di km zero, stiamo relegando le nostre produzioni di eccellenza alla vendita nei mercatini rionali, che complessivamente generano un fatturato inferiore al miliardo e mezzo di euro. Questa strategia limitata blocca, invece, un potenziale da almeno 70 miliardi di euro in export”.

Ed è un timore in parte fondato, visto che dall’incontro è emerso come il nostro Paese non ha saputo ancora attuare una strategia redditizia per aggredire i mercati stranieri. Un vuoto ancora più pericoloso perché riempito da quei prodotti che vengono spacciati per italiani ma che italiani non sono.

È così che il famigerato Italian sounding sottrae fatturato ai veri prodotti dell’ agroalimentare italiano, con perdite notevoli: si stima infatti che il falso alimentare valga nel mondo circa 60 miliardi all’anno.

Accordo governo-Alibaba a tutela dell’ agroalimentare italiano

Se, come recita un modo di dire famoso, gli italiani lo fanno meglio, si può anche dire che i cinesi, ciò che è italiano, lo fanno peggio. Parliamo, naturalmente, di contraffazione, specialmente di quella agroalimentare, che costa all’economia del nostro Paese svariati miliardi l’anno.

Ecco perché assume particolare importanza l’accordo firmato dal premier italiano, Matteo Renzi, e dal patron del gigante cinese dell’e-commerce Alibaba, Jack Ma, per combattere la contraffazione agroalimentare promuovendo le eccellenze made in Italy.

Si tratta di una collaborazione di lungo periodo che mira a sostenere il made in Italy e l’export italiano in generale, con un occhio di riguardo per l’agroalimentare. In questo modo, l’Italia è l’unico Paese che gode, per i propri prodotti Igp e Dop, della stessa tutela riservata ai brand commerciali presenti su Alibaba.

All’interno di questa intesa a difesa dell’ agroalimentare italiano, un posto di rilievo lo occupa il vino, con una vetrina ad hoc su Alibaba. Non è un dettaglio da poco, poiché l’export del vino italiano nel Paese del Dragone è ancora piuttosto debole se paragonato con quello del vino francese: le bottiglie provenienti da Oltralpe coprono infatti il 55% del mercato cinese, contro un misero 5% per quelle italiane.

Particolarmente entusiasta il ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina: “Un risultato eccezionale – ha dichiarato Martina in una nota -. Gli accordi con Alibaba rappresentano un punto concreto della nostra strategia di sostegno al made in Italy agroalimentare nel mondo, che sfrutta anche formule innovative per tutelare e promuovere i prodotti di qualità. Siamo riusciti a garantire ai nostri marchi geografici un livello molto alto di protezione sulla piattaforma cinese. Un risultato fondamentale che, in sede di WTO, inseguiamo da decenni e che invece sul web siamo riusciti a costruire in pochi mesi e con risultati eccezionali“.

Un 2016 da ricordare per l’ agroalimentare italiano

Quando si parla di export made in Italy, c’è una voce che dà sempre soddisfazioni: quella dell’ agroalimentare italiano. Vale anche in questo 2016, come testimonia un’analisi di Coldiretti sui dati Istat relativi al commercio estero a maggio: +12,1% per i prodotto dell’ agroalimentare italiano che hanno varcato i confini nazionali.

Il dato consolida una crescita avviata già nel 2015 quando, anche sull’onda di Expo 2015, l’export dell’agroalimentare italiano aveva toccato la cifra record di 36,9 miliardi di euro in valore.

L’analisi di Coldiretti mostra che la crescita maggiore dell’export per l’ agroalimentare italiano si è registrata all’interno dell’Ue (+13,6%), mentre le esportazioni extra Ue sono cresciute meno ma sempre in modo sostenuto: +9,6%.

Al di fuori del Vecchio Continente, il principale mercato è sempre quello degli Stati Uniti, dove l’export di agroalimentare italiano è salito di oltre il 65%. Confortante il dato della Russia che, nonostante il crollo dovuto alle sanzioni economiche, importa ancora le delizie made in Italy in doppia cifra: +11,5%.

Soddisfatto il commento del presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo: “Non si è mai consumato così tanto Made in Italy alimentare nel mondo, certamente per le condizioni economiche positive dovute alla ripresa internazionale e ai tassi di cambio favorevoli su mercati importanti come quello statunitense, ma anche perché l’Italia ha saputo cogliere l’opportunità di Expo per raccontare al mondo il modello agroalimentare e i suoi valori unici”.

Coldiretti sottolinea infine come i dati sulle esportazioni per l’ agroalimentare italiano potrebbero essere ancora migliori se, a livello internazionale, si facesse di più e meglio per contrastare il tarocco alimentare che colpisce i nostri prodotti, soprattutto grazie all’utilizzo del cosiddetto italian sounding, ovvero l’impiego di nomi che ricordano quelli di prodotti italiani per commercializzare, invece, delle ciofeche. Un business annuo stimato in oltre 60 miliardi, circa il doppio del valore dell’export agroalimentare.

Embargo Russia, conto sempre più salato per il made in Italy

Sono ormai passati due anni dall’inizio dell’embargo economico verso la Russia, in seguito alla guerra di quest’ultima con l’Ucraina e il conto che si presenta al made in Italy è sempre più salato. Secondo Coldiretti questi due anni di sanzioni sono costati all’export del nostro Paese 7,5 miliardi rispetto ai valori che si registravano negli anni precedenti l’embargo.

Coldiretti sottolinea come l’agroalimentare è l’unico settore del made in Italy ad essere colpito direttamente dalle sanzioni, ma il blocco dell’import nel Paese di Putin ha trascinato con sé i prodotti di altri settori chiave del made in Italy, dalla moda ai mezzi di trasporto.

Coldiretti stima infatti che il solo nel settore del tessile e della pelletteria, i cui prodotti sono tradizionalmente amati dai russi, abbia registrato perdite per circa 2 miliardi negli ultimi due anni, mentre per i mezzi di trasporto il calo sia stato di circa ai 1,2 miliardi e di 600 per l’agroalimentare made in Italy.

Il danno per l’agroalimentare made in Italy è, secondo l’associazione dei coltivatori diretti, ancora più rilevante se si considera che nei cinque anni precedenti l’embargo, l’export del settore era cresciuto a tripla cifra in valore, +112%.

Oltre al danno, però, c’è anche la beffa. La sparizione dei prodotti agroalimentari italiani dal mercato russo ha consentito che si diffondessero sullo stesso mercato dei prodotti alimentari che imitano quello made in Italy ma che non hanno nulla a che vedere con essi, alimentando così il dannoso fenomeno del cosiddetto “Italian sounding” e creando ulteriore danno economico.

Secondo il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, “ancora una volta il settore agroalimentare è divenuto merce di scambio nelle trattative internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale. Si tratta di un costo insostenibile per l’Italia e l’Unione Europea dove sono crollati i prezzi dei prodotti che venivano tradizionalmente esportati in Russia provocando una crisi senza precedenti in settori sensibili come ad esempio quello del latte”.

Cibus, i numeri dell’edizione 2016

Si è chiusa la scorsa settimana con numeri da record a Parma la 18esima edizione di Cibus, la fiera internazionale dell’alimentazione organizzata da Fiere di Parma e Federalimentare, con 3mila aziende espositrici su 130mila metri quadri, 72mila visitatori di cui 16 mila operatori esteri e 2.200 top buyer (nel 2014 i visitatori erano 67mila, gli operatori esteri 13mila).

E’ la migliore edizione di sempre, che ha raccolto il testimone di Expo2015 – ha commentato Elda Ghiretti, Cibus Brand Manager – e ha visto il comparto agroalimentare italiano presentarsi con circa mille innovazioni di prodotto, pronte a conquistare i mercati esteri e recuperare posizioni sul mercato interno. Abbiamo notizia di un alto volume di affari conclusi o ben avviati, con la piena soddisfazione delle aziende e dei buyer esteri e italiani”.

Una vocazione alla promozione dell’agroalimentare italiano unito al B2B che ha trovato compimento anche nell’ultima giornata della fiera con la presentazione, nel salotto di Gdo Week/Mark Up, di Coop Italian Food s.p.a., una nuova società, guidata da Domenico Brisigotti di Coop Italia, che ha l’obiettivo di divenire il punto di contatto più qualificato tra i produttori alimentari italiani ed i player internazionali che intendono proporre il meglio dell’italian food. Coop mette in campo “reputazione e capacità di selezionare aziende e prodotti – ha spiegato Domenico Brisigotti, Ad di Coop Italian Food – per ricoprire le vesti di aggregatore dell’eccellenza alimentare nazionale e proporla ai singoli retailer internazionali nelle specifiche modalità richieste”.

L’appuntamento, ora, è per aprile 2017 con Cibus Connect, evento che comprende un forum internazionale con esperti di food and beverage da tutto il mondo ed una forma espositiva light finalizzata al matching con la grande distribuzione.

Perché gli italiani comprano italiano?

Quali sono le eccellenze italiane nel mondo? Facile, si pensa… Cibo, moda, auto, design. Vero solo in parte, almeno nella percezione e nelle scelte d’acquisto degli italiani stessi. Secondo quanto emerge dalla ricerca Global Brand-Origin Survey, realizzata da Nielsen su un campione di oltre 30mila persone in 61 Paesi, tra i quali l’Italia, il 71% dei nostri connazionali sceglie sì prodotti Made in Italy per frutta, verdura, pesce e carne, ma solo il 25% lo fa per la moda e l’abbigliamento.

È infatti di ben il 37% la quota di italiani che scelgono brand globali per l’abbigliamento o le calzature, e del 38% la quota di connazionali ai quali è del tutto indifferente da dove provenga ciò che si mettono addosso.

Entrando nel dettaglio dei numeri e degli articoli, per l’agroalimentare gli italiani preferiscono prodotti locali per latte (66%), pelati (61%), gelati (60%), acqua (54%), yogurt (52%), biscotti (48%), succhi di frutta (45%), latte in polvere per bambini (42%).

Per quanto riguarda le auto, altro settore nel quale gli italiani dovrebbero essere maestri di stile e design, il 58% dei connazionali sceglie brand globali. Tra gli altri competitor europei del settore auto, andiamo peggio dei francesi (il 31% di loro sceglie marchi globali) e dei tedeschi (28%).

Perché gli italiani scelgono italiano, quando lo fanno? Secondo Nielsen, in primo luogo per supportare l’economia locale (60%), poi per un senso di vicinanza al consumatore (50%) e di affidabilità (46%), per la qualità dei prodotti (30%), per la genuinità degli ingredienti (29%) o per un sano orgoglio nazionale 13%. Al di fuori dell’Italia e dei prodotti italiani, a livello globale quasi 6 intervistati su 10 acquistano prodotti locali per supportare il business nazionale.