L’ enoturismo italiano cresce, ma…

L’offerta turistica italiana è ampia e variegata, non sempre all’altezza del prodotto che vende e quasi sempre incapace di fare sistema. Quest’ultimo è un punto dolente dell’Italia in generale, ancor più grave in settori che potrebbero dare al mercato turistico italiano una spinta importantissima. Come nel caso del cosiddetto enoturismo.

L’occasione per fare il punto su questo strepitoso segmento del turismo italiano è venuto dalla presentazione del 12esimo Rapporto sull’ Enoturismo, che si tenuta la scorsa settimana alla Bit di Milano, a cura delle Città del Vino.

I numeri dell’ enoturismo italiano nel periodo 2014-primo semestre 2015 sono incoraggianti e parlano di una crescita. Nel periodo considerato, infatti, il settore dell’ enoturismo ha fatto registrare una spesa per visite in cantina di circa 2,5 miliardi di euro, con un numero di turisti del vino superiore ai 10 milioni.

I dati del rapporto sono stati elaborati in base a un’indagine svolta su un campione di 80 aziende dall’Osservatorio Nazionale sul Turismo del Vino di Città del Vino, in collaborazione con l’Università di Salerno, e dicono che quando si parla di enoturismo è bene considerare non solo la visita e lo shopping in cantina, ma anche tutto l’indotto che intorno a esso ruota, in primis l’hospitality.

È questa, infatti, la ragione per cui il fatturato delle cantine legato all’ enoturismo e relativo al 2014 è di 214,5 milioni, con una proiezione a 242,5 per il 2015. Segno che il delta tra queste cifre e i 2,5 miliardi di cui sopra deriva in buona parte dall’indotto.

La spesa media dell’enoturista in Italia è di 193 euro, derivanti da acquisti di bottiglie, visite ai vigneti o alle cantine, degustazioni, pernottamenti ecc. Va da se che la spesa per l’acquisto di bottiglie è la voce più rilevante sul totale, pari a più del 70%, mentre le altre voci sono solo la parte residuale dell’indotto da enoturismo.

Il 12esimo Rapporto sull’ Enoturismo ha anche stilato un ritratto dell’enoturista tipo, del numero di arrivi e della capacità e propensione alla spesa di chi fa turismo per vino. A differenza dei fatturati i numeri degli arrivi sono meno aleatori: si parla infatti di oltre 10 milioni nel 2014, con una proiezione a quasi 14 milioni per il 2015. Numeri che tratteggiano un +31,7% per gli arrivi di turisti in cantina e un +32% per la spesa legata all’ enoturismo.

Si tratta quindi di un settore, quello dell’ enoturismo, dai numeri buoni ma dalle potenzialità di sviluppo illimitate, da spingere particolarmente in un periodo nel quale le tensioni geopolitiche in Paesi esteri a forte vocazione turistica, una generale ripresa dei consumi e l’amore degli italiani e degli stranieri per il vino di casa nostra sono condizioni ottimali per favorire l’afflusso enoturistico nel Paese. Tutto sta a intraprendere politiche di promozione efficaci e a imparare, almeno in settori chiavi per la nostra economia, a fare sistema. Fosse facile…

Le istituzioni a difesa del made in Italy

La lotta al cosiddetto italian sounding, ossia l’utilizzo di nomi che richiamano i prodotti agroalimentari del made in Italy per vendere in realtà cibo taroccato, parte anche e soprattutto nelle sedi istituzionali.

Ecco perché è importante la campagna di promozione strategica del cibo 100% made in Italy presentata nei giorni scorsi alla stampa a Montecitorio e promossa da Camera dei Deputati, ministero dello Sviluppo Economico e Assocamerestero.

Si tratta di un progetto che fa parte della strategia di promozione del made in Italy nella quale è impegnato da tempo il Governo proprio per contrastare il fenomeno dell’italian sounding e tutelare dalle frodi i consumatori stranieri. Una battaglia che ora può contare su un plafond di 7,5 milioni di euro nel triennio 2015-2017 messi a disposizione del sistema delle Camere di Commercio Italiane all’Estero.

Un importante impegno economico che servirà a finanziare, durante il primo anno del progetto, alcune iniziative promozionali negli Stati Uniti, in Canada e in Messico con il coinvolgimento delle locali Camere di Commercio Italiane all’Estero.

Al centro di queste attività a sostegno del made in Italy ci saranno importatori, distributori, responsabili acquisti delle catene alberghiere, chef, food blogger, nutrizionisti, giornalisti di settore e opinion leader del mondo food.

Tutte queste figure coinvolte parteciperanno a iniziative come l’incoming di operatori del settore food in Italia, la formazione per gli operatori del settore food, l’incoming educational per gli opinion leader dei Paesi oggetto del progetto, eventi di promozione e piani di comunicazione a tutela e sostegno del made in Italy agroalimentare.

La Cina è vicina e ha fame d’Italia

Che il mercato della Cina sia una potenziale miniera d’oro per l’agroalimentare italiano era cosa piuttosto nota. Ora, però, arrivano anche i numeri a confermarlo, e sono numeri di Coldiretti, per cui hanno tutta l’autorevolezza possibile.

Ebbene, secondo queste cifre, le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani in Cina sono cresciute del 298% dall’inizio della crisi e nel 2014 hanno letteralmente fatto il botto, con un giro d’affari di 367 milioni di euro.

Coldiretti ha elaborato questi dati relativi alla Cina sulla base dei dati Istat 2008 -2014, e ha presentato il relativo studio a Expo 2015 durante il Forum italo-cinese per la cooperazione nel settore agroalimentare, nel giorno in cui l’Esposizione ha “celebrato” la Cina.

E il trend positivo delle esportazioni agroalimentari verso la Cina continua anche nel 2015: nel primo trimestre di quest’anno sono aumentate del 4%, un valore che compensa in parte le perdite dovute al crollo dell’export in Russia a causa dell’embargo.

Ma che cosa ama del nostro agroalimentare il consumatore della Cina? Secondo Coldiretti, soprattutto i prodotti base della dieta mediterranea: pasta, olio extravergine d’oliva, ortofrutta, vino e spumanti, formaggi. Tra questi prodotti, lo spumante è diventata una vera e propria mania nel Paese del dragone, tanto che le esportazioni in Cina sono cresciute del 46% nel primo bimestre del 2015 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Sempre Coldiretti rileva poi come anche il flusso opposto – prodotti agroalimentari dalla Cina in Italia – nel 2014 sia stato significativo: 536 milioni di euro, -4% rispetto al 2013.

Federalimentare: recuperare il mercato russo

Il presidente russo Vladimir Putin è comparso a Expo 2015 e ha ricordato come le sacrosante sanzioni imposte alla Russia dalla comunità internazionale per la gestione della guerra con l’Ucraina siano un danno per le imprese di un Paese come l’Italia, che ha nel Paese degli zar un mercato di primissimo piano.

Non sono quindi casuali le parole dette, sempre a Expo 2015 nell’assemblea pubblica di Federalimentare da Luigi Scordamaglia, presidente della federazione dell’industria alimentare italiana, il quale ha affermato che per le imprese italiane del settore agroalimentare “il mercato russo è strategico e insostituibile e va recuperato a qualsiasi costo“.

Grazie all’Italia – ha proseguito il presidente di Federalimentare -, l’agroalimentare può essere un ponte di rilancio. L’auspicio è che l’incontro di oggi tra il presidente Putin ed il presidente del Consiglio Renzi, in un contesto così universale come Expo, possa riavviare il dialogo favorendo il ritorno delle eccellenze del food and beverage italiano sul mercato russo“.

Ma quali sono, secondo Federalimentare, le cifre che all’Italia costano le sanzioni contro la Russia? Nel 2013, ossia nell’ultimo anno prima che fosse imposto l’embargo, secondo Federalimentare la Russia era undicesima tra gli sbocchi dell’agroalimentare italiano, con una quota export di 562,4 milioni di euro (+24,4% sul 2012), pari al 2,2% dell’export alimentare italiano. Nel 2014 il calo dell’export agroalimentare in Russia è stato del 6% mentre, sottolinea allarmata Federalimentare, nel primo bimestre del 2015 le esportazioni sono crollate del 46,3%, con il settore lattiero-caseario di fatto scomparso: -97%.

Conclude il presidente di Federalimentare: “In meno di un anno, i limiti imposti a questo mercato sono costati alle nostre aziende alimentari circa 165 milioni di euro. Ma la perdita in valore assoluto di mancata esportazione è un dato trascurabile rispetto all’interruzione di un processo di scoperta e fidelizzazione che sta avvantaggiando la concorrenza e la contraffazione. In altre parole, non potendo accedere direttamente ai nostri prodotti, i russi stanno acquistando delle imitazioni. Per la prima volta, in Russia si sta affermando l’italian sounding. Se non si interviene al più presto, sarà difficile recuperare“.

Italian Quality Experience, vetrina italiana per Expo 2015

Battezzato nei mesi scorsi Italian Quality Experience, il progetto istituzionale per contribuire a presentare in modo efficace l’Italia a livello internazionale in occasione dell’Expo 2015 ha ora il proprio sito.

ItalianQualityExperience.it è infatti la piattaforma web promossa dal sistema delle Camere di Commercio nazionali per presentare le eccellenze italiane nell’agroalimentare in vista dell’appuntamento milanese.

Sul sito di Italian Quality Experience le imprese, i territori e i prodotti dell’eccellenza italiana sono presentati al pubblico e mettono in mostra le eccellenze di alcuni dei settori più dinamici del made in Italy quali meccanica, industria e agroalimentare.

Al momento sono oltre 700mila le imprese registrate sito di Italian Quality Experience, che raccoglie anche informazioni anche su aree protette, cultura e turismo italiano. Le registrazioni sono sempre aperte alle imprese che vogliono esserci: basta che inseriscano il proprio codice fiscale e un indirizzo e-mail e otterranno uno spazio web da popolare con le informazioni fondamentali e necessarie per qualificare i propri prodotti. Attraverso il sito, inoltre, le Camere di Commercio italiane e all’estero promuovono una vasta campagna di comunicazione per diffondere l’iniziativa a livello mondiale.

Agroalimentare, 2,2 miliardi per le imprese

A sostegno di investimenti nei settori agricolo e agroalimentare, nell’ambito del quattordicesimo forum internazionale della Coldiretti, in collaborazione con lo Studio Ambrosetti, il ministro Maurizio Martina ha presentato il programma di mobilitazione per il settore da almeno 2,2 miliardi nel biennio 2015-17. Gli obiettivi del piano messo a punto dal ministero sono: potenziare la produttività, aumentare la capacità produttiva, favorire l’internazionalizzazione, accrescere la competitività, far nascere start-up e creare nuova occupazione. Il piano intende sfruttare la leva pubblica come moltiplicatore di quella privata. L’Iniziativa imprenditoriale è sempre nelle mani delle aziende che scelgono dove e come investire, lo Stato interviene solo a titolo di garanzia o di supporto.

«Siamo arrivati a questo importante risultato – ha dichiarato il ministro Martina – dopo un lungo lavoro di analisi delle risorse e delle opportunità dei due istituti. Ora possiamo mettere a sistema un volume complessivo di sostegno agli investimenti con una dotazione finanziaria certa e già disponibile. Siamo ogni giorno al lavoro – aggiunge il ministro – per costruire gli strumenti più idonei ad accompagnare le imprese nel futuro e questo piano dimostra che è possibile investire in agricoltura e agroalimentare. Dopo il varo della Legge di stabilità, è un segnale forte nella direzione della crescita e dello sviluppo».

JM

Agroalimentare in pericolo a causa dell’Italian Sounding

Per contrastare il fenomeno, sempre più diffuso e preoccupante, dell’Italian Sounding, denominazione usata per indicare la pratica imitativa che, in tutto il mondo, mette a rischio la credibilità del Made in Italy.

In particolare, il concetto di Italian Sounding è riferito all’agro pirateria, che riguarda la contraffazione dei prodotti più tipici della gastronomia italiana, a cominciare dal Parmigiano Reggiano, diventato, in una bruttissima copia, Parmesao.

Il “gioco” dei produttori e distributori di presunto cibo italiano è semplice: utilizzare un nome che vagamente riconduce all’Italia per attirare i consumatori, soprattutto stranieri, amanti della cucina del Belpaese.

E non si tratta solo di proporre prodotti di bassa qualità e scarso sapore, ma soprattutto di una vera e propria frode alimentare, tanto da richiedere un serio monitoraggio, poiché il fenomeno è costantemente in ascesa.

Per limitare, e in futuro evitare, il danno che questa pratica sta portando al Made in Italy, in termini di export e di fiducia da parte dei consumatori, sono chiamate in causa le istituzioni di governo e le istituzioni locali, che devono incrementare ciascuna quei metodi risultati più efficaci per contrastare il fenomeno della contraffazione alimentare.

In primo luogo, servono maggiori controlli sull’origine del prodotto, ma anche maggiori controlli da parte degli organi di vigilanza; sistemi di tracciatura automatica; sanzioni più severe; maggiori risorse umane dedicate allo smascheramento della contraffazione alimentare; collaborazione tra organi pubblici e privati; certificazioni di qualità; brevetti; marchi aziendali e collettivi e riconoscimenti quali Dop, Igp.

Il consumatore, da canto suo, può aiutarsi nell’acquisto ricorrendo alle sue conoscenze ma anche rivolgendosi al gestore del negozio e, se necessario, agli organi competenti.

La contraffazione è un reato penale e come tale va perseguito dalla legge, che in materia lo tratta seguendo i seguenti articoli: Art. 473 e Art 474.
A questo proposito anche la Guardia di Finanza offre diversi consigli per fare attenzione a non compiere acquisti che potrebbero frutto di contraffazione:

  • Porre molta attenzione agli acquisti fatti tramite Internet.
  • Diffidare delle vendite porta a porta.
  • Valutare sempre attentamente il rapporto qualità/prezzo (se un olio extravergine di oliva è venduto a poco dovrebbe sempre far insospettire)
  • Controllare sempre attentamente le etichette e la conformità della confezione, che non sia ammaccata, che l’etichetta sia chiara e leggibile e che l’inchiostro non sia cancellato.

Vera MORETTI

I marchi agroalimentari italiani sempre più in mani straniere

Il Made in Italy sta diventando sempre più straniero, anche nel settore agroalimentare.

Dall’inizio di questa situazione di difficoltà, infatti, è arrivato a 10 miliardi il valore dei marchi storici dell’agroalimentare italiano che sono passati in mani straniere.
Ultimo della lista è pasta Garofalo, venduto agli spagnoli.

L’antico Pastificio Lucio Garofalo, infatti, ha siglato un accordo preliminare per l’ingresso nella propria compagine azionaria, con il 52% del capitale sociale, di Ebro Foods, gruppo multinazionale che opera nei settori del riso, della pasta e dei condimenti, quotato alla Borsa di Madrid.

Ma, come detto anche dal presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, si tratta di uno dei tanti, preceduto in ordine di tempo da Bertolli, acquisito dal fondo statunitense CVC Capital Partners, dopo che lo storico marchio era già stato venduto all’Unilever per poi essere acquisita dal gruppo spagnolo SOS.

Tra le cessioni che avevano più sollevato polemiche e polveroni, c’era stata anche quella della storica Pasticceria Confetteria Cova al colosso francese LVMH e soprattutto dell’azienda vinicola Casanova La Ripintura di Greve in Chianti, passata in mani cinesi.

Ma l’elenco è purtroppo ben più lungo, e comprende anche marchi leggendari per il nostro Made in Italy, come Riso Scotti, diventato per il 25% di proprietà dello spagnolo Ebro Foods, ma anche Gancia, casa storica per la produzione di spumante, che è per il 70% dell’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard.

A questo proposito, Roberto Moncalvo ha dichiarato: “I grandi gruppi multinazionali che fuggono dall’Italia della chimica e della meccanica investono invece nell’agroalimentare nazionale perché, nonostante il crollo storico dei consumi interni, fa segnare il record nelle esportazioni grazie all’immagine conquistata con i primati nella sicurezza, nella tipicità e nella qualità. Si è iniziato con l’importare materie prime dall’estero per produrre prodotti tricolori. Poi si è passati ad acquisire direttamente marchi storici e il prossimo passo è la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero. Un processo di fronte al quale occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”.

Vera MORETTI

Cibus 2014, vetrina dell’agroalimentare italiano

Apre oggi a Parma Cibus 2014, la fiera internazionale dell’alimentare italiano che resterà aperta fino all’8 maggio. Un’edizione che si presenta forte e chiara sotto il segno del made in Italy. La richiesta di cibo italiano, infatti, sta rapidamente crescendo da ogni angolo del pianeta e la produzione tricolore sta cercando di uscire dalla classificazione di prodotto di nicchia per diventare un prodotto di largo consumo, arrivando sugli scaffali della grande distribuzione estera.

Ecco perché l’edizione 2014 di Cibus vedrà 2700 aziende alimentari italiane tra gli espositori, che si faranno conoscere dai circa 10 mila operatori commerciali attesi a Parma (dei 65mila globali) e provenienti da 115 Paesi. Quest’anno I Paesi “Focus” della fiera saranno Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera e Benelux in Europa; Stati Uniti, Canada, Brasile, Giappone e Russia nel resto del mondo. Naturalmente, un’attenzione particolare sarà riservata ai Paesi del mercato del Sud Est Asiatico, vera frontiera tutta da esplorare e conquistare.

E proprio per conquistare i mercati esteri, le aziende alimentari hanno messo a punto centinaia di nuovi prodotti che saranno presentati a Cibus 2014 per la prima. L’aumento di questi nuovi prodotti è un altro dato che testimonia dello sviluppo della fiera biennale di Parma, passata dai 2100 espositori del 2010 ai 2300 espositori del 2012, fino ai 2700 dell’edizione 2014.

Anche in questa edizione di Cibus 2014, l’esposizione dei prodotti sarà affiancata da convegni, eventi, degustazioni e workshop. Per quanto riguarda i convegni, si va dalla presentazione in dettaglio del padiglione “Federalimentare4Expo” di Federalimentare e Fiere di Parma a EXPO 2015, alla Assemblea annuale dei soci di Federalimentare; dal convegno della Fondazione Barilla sul “Milan Protocol” al convegno di Assocarni sulle certificazioni Halal; dal convegno sulla grande distribuzione estera “Promuovere il Made in Italy” del Gruppo Food a “Quale futuro per la promozione delle vendite”, di Nielsen e Università di Parma. Insomma, cibo e business sempre al centro, per un settore vitale per l’economia e le Pmi italiane.

Complementare a Cibus 2014, si terrà la 5° edizione di “Pianeta Nutrizione & Integrazione”, il forum interdisciplinare sulla sana nutrizione con seminari di medici e società scientifiche e una sezione espositiva di prodotti alimentari salutistici. Per finire, come prevede la moda di questi ultimi anni, anche Cibus avrà il suo “fuori salone”, “Cibus Land”, con degustazioni, spettacoli ed eventi di ogni tipo nelle strade di Parma, oltre una grande lounge “After Cibus” riservata a visitatori ed espositori all’interno del palazzo del Governatore.

Se l’economia italiana deve ripartire dalle proprie eccellenze, Cibus 2014 è uno degli appuntamenti da non perdere.

Un milione di euro contro i falsi nell’agroalimentare

L’agroalimentare veneto rappresenta un’importante risorsa non solo regionale, ma anche nazionale, soprattutto se si pensa al valore dell’export.

Solo il comparto agroalimentare veneto, infatti, è valutabile, a livello di esportazioni, attorno ai 2,7 miliardi di euro, dei quali oltre 1,3 derivanti dal solo settore vitivinicolo, nel quale il Veneto da solo copre il 30 per cento di tutto l`export nazionale.

Si tratta di cifre considerevoli, ma che potrebbero essere ancora più elevate se non ci fossero i falsi, ormai proposti in tutti i mercati mondiali. Valpolicella e radicchio sono tra le vittime più illustri.

Proprio per far fronte a questo problema, che danneggia non solo l’immagine ma anche la professionalità delle imprese agricole e agroalimentari regionali, la Giunta ha proposto al Consiglio di utilizzare nel prossimo triennio un milione di euro complessivo di finanziamenti, già destinati al settore primario e alla tutela dei consumatori per sostenere azioni legali nei Paesi dove si verifichino casi di falsi e truffe ai danni dei prodotti veneti a marchio.

Vera MORETTI