Superbonus 110%, è applicabile se l’immobile è sede di attività?

Si possono applicare le agevolazioni fiscali del superbonus 110% per interventi su un immobile che è sede di attività di impresa, arte o professione? È questa la domanda frequente per vari professionisti e imprenditori in merito all’esecuzione dei lavori agevolabili al 110%. Il caso è quello di una villetta a schiera, con entrata autonoma e impianti indipendenti, di categoria catastale A/3, appartenente a un unico proprietario. Un quarto dell’immobile, adibito ad abitazione principale, si ipotizza rappresenti la sede dove il proprietario svolte attività professionale.

Quali tipologie di interventi ai fini del superbonus 110%?

La tipologia di interventi ipotizzabili per beneficiare del superbonus 110% riguardano la sostituzione dell’impianto di riscaldamento già esistente e il rifacimento del tetto. Quest’ultimo lavoro verrebbe portato a termine con l’installazione dell’impianto fotovoltaico. Inoltre, il proprietario vorrebbe eseguire lavori di isolamento termico, ovvero realizzare il cosiddetto “cappotto”.

Come valutare i lavori per i benefici del superbonus 110%?

Il primo intervento, consistente nella sostituzione dell’impianto di riscaldamento della villetta, rientra nel beneficio del superbonus 110%. Il decreto legge numero 34 del 2020, infatti, lo ammette tra i lavori cosiddetti “trainanti” disciplinati dal comma 1 lettera c) dell’articolo 119 del suddetto decreto. I due interventi consistenti nel rifacimento del tetto e del cappotto termico, a norma della lettera a) del comma 1 dell’articolo 119 dello stesso decreto, rientrano tra gli interventi trainanti purché incidano per non meno del 25% della superficie disperdente lorda dell’intera villetta.

Installazione dell’impianto fotovoltaico tra gli interventi trainati del superbonus

Gli interventi per l’installazione dell’impianto fotovoltaico, ai fini dei benefici fiscali del superbonus 110%, rientrano invece tra gli interventi trainati. Ciò significa che questi tipi di intervento devono essere eseguiti congiuntamente agli interventi trainanti, come nel caso in questione con la realizzazione del cappotto termico e della sostituzione degli impianti di riscaldamento esistenti. Per i limiti di spesa e per l’esecuzione di interventi di installazione di impianti fotovoltaici è necessario rifarsi al comma 5 dell’articolo 119.

Applicazione superbonus 110% a immobili sedi di attività: il decreto 34 del 2020

In linea generale, in caso di lavori svolti su immobili che costituiscano sede di attività professionale o di impresa è importante rifarsi sia a quanto previsto dal decreto 24 del 2020 che ai chiarimenti dell’Agenzia delle entrate. Secondo quanto prescrive il comma 9 dell’articolo 119 del decreto 34, infatti, chi effettua interventi che possono essere agevolati dal superbonus non deve agire nell’ambito di attività da lavoro autonomo o di impresa.

Interventi su sedi di attività: i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate

Un ulteriore chiarimento è arrivato dall’Agenzia delle entrate in merito all’applicazione del superbonus 110% su immobili sedi di attività. Nel caso in questione, la detrazione spetta, infatti, anche ai contribuenti persone fisiche che svolgano attività di impresa o di arte o di professione nel momento in cui gli interventi da effettuare siano inerenti a immobili appartenenti all’ambito “privatistico”. In altre parole, la regola generale vuole che l’applicazione del superbonus non avvenga per interventi su immobili strumentali all’attività professionale o di impresa. Inoltre, non sono agevolabili lavori su unità immobiliari costituenti l’aggetto dell’attività e i beni patrimoniali appartenenti all’impresa.

Unità abitative utilizzate a uso promiscuo: si applica il superbonus?

Secondo quanto chiarito, pertanto, dall’Agenzia delle entrate gli interventi sono agevolabili purché riguardanti unità immobiliari residenziali. Per le unità immobiliari utilizzate a uso promiscuo, in quanto utilizzate anche per attività di impresa o professionale, il proprietario può applicare le detrazioni del superbonus ma ridotte della metà. Pertanto il contribuente potrà beneficiare della misura ma con importi decurtati del 50%.

Nei modelli Redditi e Irap vanno indicati i contributi Covid?

Come vanno indicati i contributi ricevuti dalle imprese e dai lavoratori autonomi per l’emergenza Covid nei modelli dei Redditi e Irap? E’ importante rilevare che i contributi a fondo perduto vanno inseriti nella dichiarazione dei redditi. Tuttavia, la mancata indicazione nel quadro RS dell’importo delle indennità percepite dai contribuenti non comporta alcuna sanzione. La motivazione risiede nel fatto che la omessa indicazione non va a creare alcun pregiudizio al controllo dell’Agenzia delle entrate. Inoltre, i contributi rivevuti non implicano cambiamenti nella determinazione della base imponibile e, quindi, dell’imposta.

Come indicare gli aiuti Covid nel modello Redditi 2021

Nel modello dei redditi 2021, le indennità e i contributi ricevuti devono essere iscritti nei diversi quadri. In particolare, i quadri RF, RG, LM e RE per quanto attiene ai redditi. Il quadro RU, invece, deve essere utilizzato per i crediti d’imposta. L’iscrizione degli importi delle indennità e dei contributi a fondo perduto nella dichiarazione dei redditi 2021 delle imprese e degli autonomi che ne hanno beneficiato, con l’indicazione dei relativi codici, permette di garantire la non tassazione degli aiuti stessi.

Operatori in contabilità ordinaria: il quadro RF

I soggetti economici che operano in regime di contabilità ordinaria sono tenuti a compilare il quadro RF. Nel quadro è necessario che le indennità ricevute, per non considerarle al pari dei ricavi, siano iscritte tra le varizioni in diminuzione. L’indicazione dei contributi a fondo perduto nel quadro RF non concorre, pertanto, alla formazione del reddito. E’ quanto prevedono gli articoli:

  • 25 del decreto legge numero 34 del 2020;
  • 59 del decreto legge numero 104 del 2020;
  • 1 del decreto legge numero 137 del 2020;
  • 2 del decreto legge numero 149 del 2020.

La variazione in diminuzione nel quadro RF degli aiuti ricevuti per l’emergenza sanitaria deve essere iscritta nel rigo RF 55 con il codice 83.

Contributi a fondo perduto per emergenza Covid: come indicarli nel modello RG?

Nel modello RG, che deve essere compilato dagli operatori commerciali che operano in contabilità semplificata, i contributi a fondo perduti devono essere indicati in due righi. Il primo è il rigo RG 10 mediante l’utilizzo del codice 27; il secondo è il rigo RG 22 e il codice da utilizzare è il 47.

Persone fisiche che svolgono attività autonoma e professionale: indicazione dei contributi a fondo perduto

Le persone fisiche che svolgono attività di lavoro autonomo, per i contributi ricevuti durante la fase di emergenza sanitaria, devono indicare gli importi nella colonna 1 del rigo RE 3. Tale indicazione non deve essere riportata nella colonna numero 2. In questo modo i contributi a fondo perduto, che non determinano la formazione del reddito, non vanno a intaccare gli altri proventi che risultano determinanti ai fini del reddito da lavoro autonomo e professionale.

Autonomi con partita Iva del regime forfettario: contributi Covid nella dichiarazione redditi 2021

I lavoratori autonomi ricadenti, invece, nel regime fiscale forfettario, insieme ai soggetti aderenti al regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e ai lavoratori in mobilità, devono iscrivere i contributi ricevuti nei seguenti righi:

  • nel rigo LM 2 della colonna 1;
  • nel rigo LM 33 della colonna 2.

Gli aiuti, infine, non devono essere indicati nella colonna numero 2.

Il modello Irap e le istruzione per la compilazione

Le modalità di compilazione del modello Irap in riferimento ai contributi ricevuti dalle imprese e dagli autonomi per l’emergenza sanitaria fanno capo all’articolo 1 bis del decreto legge numero 73 del 2021. Nell’articolo, convertito dalla legge numero 106 del 2021, si abroga il comma 2 dell’articolo 10 bis del decreto legge numero 137 del 2020. Quest’ultimo articolo costituiva il punto di riferimento per la corretta registrazione degli aiuti ricevuti. Infatti, l’articolo prevedeva la non concorrenza alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini Irap delle indennità e dei contributi di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza Covid. L’abrogazione dell’articolo comporta la necessità che le indennità ricevute non siano più subordinate al rispetto dei limiti e delle condizioni contenute nella comunciazione della Commissione europea del 19 marzo 2020.

Corretta iscrizione dei contributi Covid ricevuti ai fini Irap

Pertanto, i soggetti esercenti impresa, arte o professione, e i lavoratori autonomi che abbiano beneficiato di contributi e indennità non devono indicare il relativo importo:

  • nei quadri di determinazione del reddito di impresa;
  • nei quadri di determinazione del lavoro autonomo;
  • sui modelli dei redditi;
  • nei quadi per la determinazione del valore della produzione;
  • nel modello Irap.

In quest’ultimo modello, invece, tutti i soggetti sopra indicati possono usare il codice variazione in diminuzione 99 al posto del codice 16. Tutti i soggetti non devono, infine, compilare il prospetto relativo agli “Aiuti di Stato”.

I contributi regionali Covid a imprese e autonomi non sono soggetti a tassazione

I contributi per l’emergenza Covid-19, erogati dalle Regioni a imprese e autonomi, non sono soggetti a tassazione. A tal proposito, come per gli aiuti concessi dai governi Conte e Draghi, può essere applicato quanto previsto dall’articolo 10 bis del decreto legge numero 137 del 2020. La conseguenza è quella della non tassabilità dei contributi ricevuti.

Applicazione dell’articolo 10 bis del Dl 137 del 2020 per indennità e contributi

L’articolo 10 del decreto legge del 28 ottobre 2020, numero 137, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, poi convertito dalla legge numero 176 del 2020, ha precisato che “le indennità e i contributi di qualsiasi natura, riconosciuti in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini Irpef e Ires e non rilevano, ai fini della deducibilità, degli interessi passivi”.

Indennità e contributi a imprese e autonomi: aiuti in via eccezionale

L’articolo è dunque chiaro riguardo alla detassazione di qualsiasi aiuto a carattere nazionale o locale. Tuttavia, l’erogazione degli aiuti alle imprese e ai lavoratori autonomi deve essere effettuata in via eccezionale, proprio a seguito dell’emergenza sanitaria ed economica da coronavirus. I contributi e le indennità inoltre, specifica la norma, devono essere diversi da quelli esistenti precedentemente all’emergenza sanitaria stessa.

Indenntà autonomi, imprese, arte e professione: non vanno indicate nel modello Aiuti di Stato

Rispetto a una prima interpretazione basata proprio sull’articolo 10 bis del Dl 137 del 2020, lavoratori autonomi, esercenti di attività d’impresa, arte o professione, che abbiano ricevuto indennità e contributi legati all’emergenza sanitiaria, non devono indicare il relativo importo nel modello dei redditi e nemmeno nella dichiarazione Irap. La novità è contenuta nell’articolo 1 bis del decreto legge numero 73 del 2021, introdotto dalla legge di conversione numero 106 del 2021. Tale articolo ha abrogato proprio il comma 2 dell’articolo 10 bis del decreto legge numero 137 del 2020. Nella norma era contenuta la necessità di indicare le indennità ricevute nel modello Aiuti di Stato.

Modello dei redditi, come va indicato il credito di imposta sulla sanificazione ambienti

Ulteriori indicazioni, pubblicate anche dall’Agenzia delle entrate in merito ai contributi ricevuti dalle imprese e dagli autonomi, riguardano il credito di imposta legato alla sanificazione degli ambienti di lavoro. Insieme al bonus locazioni previsto dal decreto “Rilancio”, questi crediti e indennità non devono essere riportati nel quadro RE del modello dei redditi. Non devono essere riportati, altresì, neppure nella dichiarazione Irap. L’unica indicazione prevista è nel quadro RU e nel prospetto Aiuti di Stato del quadro RS.

Bonus erogati dall’Inps non vanno nel prospetto ‘Aiuti di Stato’

In tema di indennità per l’emergenza Covid e dichiarazione dei redditi, l’Agenzia delle entrate è intervenuta anche sui contributi a fondo perduto. Per le indennità ricevute dalle Casse di previdenza private e dall’Inps, infatti, i beneficiari non devono procedere all’iscrizione nel prospetto “Aiuti di Stato”. In particolare, le somme versate come il bonus di 600 euro erogato dall’Inps agli iscritti alla previdenza di commercianti ed artigianti, non devono essere indicati nel prospetto degli “Aiuti di Stato”. La motivazione dell’Agenzia delle entrate risiede nel fatto che queste indennità non rappresentino aiuti fiscali automatici secondo quanto dispone l’articolo 10 del decreto ministeriale numero 115 del 31 maggio 2017.

Bonus affitti, il quadro RU per indicare gli aiuti ricevuti nel 2020

Con l’emergenza sanitaria, il legislatore ha previsto delle agevolazioni per sostenere autonomi e imprese dai danni causati dalla crisi. Una delle varie misure è stata il credito di imposta per i canoni di locazione pagati nell’esercizio dell’attività. Anche per il bonus affitti, dunque, è necessario indicare gli aiuti ricevuti nel quadro RU del modello.

Affitti, il primo bonus del 2020 da dichiarare nel quadro RU: il credito d’imposta per botteghe e negozi

Un primo aiuto sugli affitti, all’inizio della pandemia, è stato previsto dall’articolo 65 del decreto legge numero 18 del 2020. Il credito d’imposta per i canoni di locazione delle botteghe e dei negozi, è stato utilizzato dalle attività a partire dal 25 marzo 2020. Ai beneficiari è stato garantito un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo al solo mese di marzo 2020. Da segnalare che il credito d’imposta era ammesso limitatamente agli immobili rientranti nella categoria catastale C/1.

Attività che hanno beneficiato del credito di imposta sugli affitti a marzo 2020

Più nel dettaglio, il credito d’imposta è stato riconosciuto alle imprese che hanno dovuto chiudere l’attività per l’aggravarsi della situazione sanitaria in Italia. Il bonus, dunque, collegato al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, aveva sospeso le attività:

  • commerciali al dettaglio, a eccezione di quelle di generi alimentari;
  • ristorative;
  • dei servizi alla persona, come barbieri, parrucchieri, estetisti.

Il collegamento con il D.P.C.M. spiega anche l’esclusione di immobili di categoria catastale diversa dalla C/1, e dunque delle relative attività, al credito d’imposta sugli affitti.

Come si indica nel quadro RU il credito imposta affitti di marzo 2020

Chi ha percepito il credito d’imposta sugli affitti del mese di marzo 2020 adesso dovrà indicarlo nel quadro RU con il codice 11. L’importo da indicare nel rigo RU 5, alla colonna numero 3, è quello inerente alle spese sostenute nel corso del 2020. La compensazione si deve indicare nel rigo RU 6. Se è sopraggiunta la cessione del credito, va indicata nel rigo RU 9: in tal caso il cessionario non ha l’obbligo di compilare il quadro RU.

Bonus affitti 2020, il credito d’imposta istituito con il Dl 34 del 2020

I beneficiari del credito d’imposta istituito con il decreto legge numero 34 del 2020 sono stati sicuramente in numero più elevato. Il comma 1 dell’articolo 28 del provvedimento specifica che, al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza da Covid, ai soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione, con volume di ricavi o di compensi non oltre i 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello di entrata in vigore del decreto, è previsto un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili a uso non abitativo. L’immobile deve essere destinato allo svolgimento di attività industriali, commerciali, artigianali, agricole, turistiche oppure all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo.

Bonus affitti Dl 34, i periodi da considerare sono marzo, aprile e maggio 2020

Il credito d’imposta dell’articolo 28 del Dl 34/2020 spetta, altresì, alle strutture alberghiere e agrituristiche a prescindere dal volume di ricavi o compensi registrati nel periodo di imposta precedente. Ulteriori beneficiari del credito di imposta sono gli enti non commerciali e del terzo settore. Inoltre, rientrano anche gli enti religiosi civilmente riconosciuti. Il periodo di imposta previsto dal Dl 34 del 2020 deve essere considerato in riferimento ai mesi di marzo, aprile e maggio. Le strutture turistiche ricettive con attività stagionali devono far riferimento ai mesi di aprile, maggio e giugno 2020.

Come si registra il bonus affitti 2020 nel quadro RU

Attività e autonomi che hanno beneficiato del bonus affitti di marzo, aprile e maggio 2020 devono indicarlo nel quadro Ru. Il rigo di riferimento è Ru 5 alla colonna 3: qui si deve indicare l’ammontare del credito d’imposta spettante in riferimento ai canoni di locazione o di affitto relativi al periodo d’imposta oggetto della dichiarazione. In caso di cessione del credito d’imposta si deve indicare, invece, il rigo RU 9. In tale ipotesi, deve essere riportato nella colonna l’importo ceduto e comunicato all’Agenzia delle entrate tramite la procedura prevista. Non si deve compilare, in caso di cessione del credito d’imposta, la sezione VI B.

Credito di imposta nel rigo RU 5 per bonus affitti 2020: prospetto Aiuti di Stato

A differenza del primo bonus relativo a “botteghe e negozi”, il credito d’imposta previsto dal decreto legge 34 deve rispettare i limiti e le condizioni previste dal “Quadro temporaneo per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza Covid”. Quindi, l’ammontare del credito indicato nel rigo RU 5 deve essere anche inserito nel prospetto “Aiuti di Stato” che si trova nel quadro RS. In questo caso, è necessario andare al rigo RS 401 e utilizzare il codice 60.

Chi ha partita Iva può prendere la disoccupazione?

Chi possiede la partita Iva può chiedere la disoccupazione? La domanda è di interesse dei  lavoratori autonomi, dei liberi professionisti e degli imprenditori e riguarda la possibilità che possano fare domanda dell’indennità Inps per la perdita dell’occupazione con una posizione di partita Iva già aperta ed operativa. Ma riguarda anche i casi di una partita Iva latente, che non produca redditi. Nella generalità delle situazioni, ed escludendo il nuovo ammortizzatore sociale Iscro introdotto dalla legge di Bilancio 2021 a favore proprio dei lavoratori a partita Iva, la disoccupazione spetta solo ai lavoratori dipendenti e ai collaboratori.

Casi in cui il lavoratore autonomo con partita Iva può chiedere la disoccupazione

Tuttavia, chi ha una partita Iva non è escluso in partenza dall’indennità di disoccupazione Naspi. Ad esempio, può presentare domanda di disoccupazione il lavoratore alle dipendenze che perda il proprio lavoro e che abbia anche la partita Iva. È necessario invece che i collaboratori che abbiano partita Iva prestino maggiore attenzione nel momento in cui, alla cessazione del contratto, richiedano la Dis-coll, ovvero la relativa indennità di disoccupazione. 

Autonomi e collaboratori, chi può chiedere la disoccupazione?

Dunque, per rispondere alla domanda se un lavoratore autonomo possa richiedere la disoccupazione Naspi, la risposta è negativa se l’unica attività del richiedente è quella per la quale ha aperto la posizione di partita Iva, ovvero si tratti dell’unica attività di lavoro da libero professionista, da autonomo oppure da imprenditore. Nel caso in cui, invece, oltre all’attività in proprio, il richiedente è anche dipendente allora è possibile fare domanda di indennità di disoccupazione. 

Indennità di disoccupazione Naspi: quali sono i requisiti per ottenerla?

L’indennità di disoccupazione Naspi spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto, involontariamente, l’occupazione. Sono compresi gli apprendisti, i soci lavoratori delle cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le stesse cooperative e il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato. Sono ammessi alla disoccupazione anche i dipendenti delle Pubbliche amministrazioni con contratto a tempo determinato (esclusi, invece, se il contratto è a tempo indeterminato).

Rientrano tra gli esclusi alla prestazione Inps anche gli operai agricoli sia a tempo determinato che indeterminato, i lavoratori extracomunitari per i lavori stagionali, i lavoratori che abbiano maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata, i lavoratori con assegno ordinario di invalidità. 

Redditi da lavoro autonomo: compatibilità con la Naspi

Chi rientra nei requisiti per ottenere la Naspi ed ha anche la partita Iva per attività in proprio può dunque fare richiesta di disoccupazione. La Naspi non è incompatibile nemmeno nel caso in cui si apra una partita Iva in un momento successivo a quello si fa domanda disoccupazione. In tal caso la Naspi non viene né sospesa e nemmeno decade, ma è necessario prestare attenzione sull’eventuale reddito che derivi dall’attività per la quale si è aperta la partita Iva. Infatti, la Naspi viene conseguentemente ridotta. 

Riduzione disoccupazione Naspi per chi svolge attività con partita Iva

Più nel dettaglio, la riduzione della Naspi opera nel caso in cui chi percepisce la disoccupazione svolge anche un’attività in forma autonoma dalla quale si generi un reddito annuo corrispondente a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti. Tali detrazioni sono calcolate ai sensi di quanto quanto prevede l’articolo 13 del Testo Unico delle Imposte sui redditi (TUIR), ovvero determinate in 4.800 euro.

In tal caso, l’indennità Naspi spettante si riduce dell’80% dei redditi previsti, in rapporto al periodo che intercorre tra la data di inizio dell’attività e la data in cui è determinata la fine del godimento della Naspi stessa o, se antecedente, entro la fine dell’anno. Se l’attività autonoma produce un reddito superiore al limite fissato dal TUIR, ovvero oltre ai 4.800 euro lordi annui, il richiedente decade dalla Naspi in quanto l’Irpef lorda risulta inferiore alle detrazioni per i redditi da lavoro autonomo. 

Partita Iva aperta prima della domanda di disoccupazione

La prestazione Naspi, ancorché ridotta, si conserva solo se il soggetto beneficiario comunica all’Inps il reddito presunto annuo derivante da attività autonoma con partita Iva. Nel caso in cui è presente l’iscrizione alla Gestione separata Inps, oppure l’attività autonoma è preesistente alla data di cessazione del rapporto di lavoro che ha generato la disoccupazione, è necessario che il richiedente lo indichi nella domanda di Naspi. L’interessato deve necessariamente indicare nella domanda anche il reddito annuo che prevede di conseguire dallo svolgimento dell’attività autonoma, anche se pari a zero. 

Disoccupazione e modello Naspi Com in caso di reddito da attività autonoma

Il lavoratore autonomo che presenti domanda di disoccupazione Naspi, ricorrendone le condizioni, potrà comunicare all’Inps il reddito annuo previsto anche successivamente all’istanza. In particolare, entro un mese dall’invio della domanda Naspi, potrà comunicare il reddito autonomo presunto attraverso il modello Naspi Com. Il caso è molto simile anche per l’apertura della partita Iva in un momento successivo alla presentazione della domanda di Naspi.

In tal caso, è previsto che entro un mese dall’inizio dell’attività il richiedente ne dia comunicazione tramite modello Naspi Com con l’indicazione del reddito presunto. La mancata comunicazione nei termini indicati dell’inizio o di svolgimento di un’attività lavorativa autonoma, nonché del reddito presunto anche se pari a zero, comporta la decadenza della Naspi. Gli iscritti alla Gestione separata Inps che svolgono attività autonoma devono indicare, annualmente, il reddito presunto. 

Collaboratori con partita Iva e domanda di Dis-coll

Diverso è il caso di partita Iva e Dis-coll. Per percepire l’indennità riservata ai collaboratori non è consentito avere una partita Iva, anche se la posizione non dovesse produrre redditi. Pertanto, un collaboratore coordinato e continuativo, anche a progetto, che abbia perso involontariamente un’occupazione e che sia iscritto in via esclusiva alla Gestione separata Inps, può chiedere l’indennità di disoccupazione purché preliminarmente proceda con la chiusura della partita Iva.

La stessa posizione, tuttavia, può essere aperta dopo la presentazione della domanda: il collaboratore che percepisca la Dis-coll e che intraprenda un’attività lavorativa di impresa individuale, parasubordinata o autonoma dalla quale si generi un reddito annuo corrispondente a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti (4.800 euro) dovrà darne comunicazione all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività.

Riduzione disoccupazione Dis-coll per attività autonoma con partita Iva

In tal caso, l’importo della Dis-coll viene ridotto dell’80% del reddito previsto, rapportato al periodo intercorrente tra la data di inizio attività e quella in cui finisca il periodo di pagamento dell’indennità di disoccupazione o, se antecedente, dalla data di fine anno. Se l’attività era preesistente alla presentazione della domanda di disoccupazione, il richiedente dovrà comunicare all’Inps, già all’atto della presentazione dell’istanza di Dis-coll, il reddito annuo che presume di produrre dall’attività stessa. 

 

Lavoro autonomo e libera professione: quali differenze?

Per comprendere la differenza tra coloro che svolgono un lavoro autonomo e quelli che esercitano la libera professione, è bene precisare chi sono codesti.

In tema di lavoratori, le due principali categorie sono rappresentate dagli autonomi e dagli subordinati. I primi, sono per l’appunto svincolati dalle direttive di un datore di lavoro, diversamente dai secondi.

I lavoratori autonomi godono di ampia libertà nel loro raggio d’azione, strategia e organizzazione del lavoro spettano a loro, fermo restando l’obbligo di garantire la prestazione al committente. Di contro, rispetto ai lavoratori subordinati sono decisamente meno tutelati. Infatti, gli autonomi non beneficiano delle garanzie tipiche di un dipendente, come le ferie, la cassa integrazione, l’assegno di disoccupazione e altre.

I liberi professionisti fanno parte della categoria dei lavoratori autonomi, in quanto, il loro operato è svincolato da un datore di lavoro e devono solo garantire la prestazione al cliente che ha commissionato loro.

A questo punto, qualcuno potrebbe chiedersi quali siano le differenze tra coloro che compiono un lavoro autonomo e quelli che esercitano la libera professione. Ebbene, i liberi professionisti sono quasi sempre iscritti a un ordine e la prestazione da loro offerta è prevalentemente di tipo intellettuale. Inoltre, devono adempiere a una serie di doveri, per esempio aggiornarsi costantemente sulla disciplina di competenza tramite dei corsi specifici, oppure hanno l’obbligo assicurativo per i rischi derivanti dalla professione.

Ma entriamo nel dettaglio, scoprendo quali sono le caratteristiche dei liberi professionisti e le loro responsabilità.

Qui puoi scoprire chi sono i lavoratori autonomi e in quali categorie di suddividono.

Liberi professionisti: le principali peculiarità

Il libero professionista fa parte della categoria dei lavoratori autonomi, non compie un lavoro manuale ma offre una prestazione di natura intellettuale. La persona che esercita una libera professione ha una preparazione di alto livello nella materia di sua competenza, frutto di un importante percorso di studio, che mette al servizio dei suoi clienti in cambio di un corrispettivo.

Solitamente, il libero professionista è iscritto a un albo, registro o elenco: come gli avvocati, i medici, gli ingegneri, i commercialisti, ecc. Iscriversi all’albo professionale del proprio ordine è necessario per poter esercitare la propria attività, altrimenti non può offrire in modo valido la propria prestazione né pretendere una retribuzione per la sua effettuazione. Violare questo obbligo, spesso costituisce reato, basti pensare ai casi in cui qualcuno ha offerto prestazioni di tipo medico, senza essere iscritti all’albo relativo o addirittura senza aver effettuato il percorsi di studi adeguato e il conseguimento dei titoli obbligatori.

Esercitare la libera professione non comporta necessariamente l’apertura di una partita IVA.

I liberi professionisti devono essere iscritti alla propria cassa previdenziale, in quanto non versa i contributi all’INPS ma alla cassa previdenziale del proprio ordine. Essi devono rispettare delle regole deontologiche imposte dalla propria attività, diversamente, incorrono in sanzioni da parte del proprio ordine.

Le responsabilità del libero professionista

Nonostante il libero professionista abbia la libertà di organizzare il proprio lavoro come più ritiene opportuno, senza seguire le indicazioni del cliente, deve adempiere alla prestazione richiesta da quest’ultimo. Il libero professionista deve svolgere il lavoro che gli è stato commissionato con diligenza.

Infatti, la sua responsabilità consiste non nell’obbligazione del risultato, ma nell’obbligo dei mezzi utilizzati per raggiungere lo scopo. Per esempio, un avvocato può anche non riuscire a raggiungere il risultato sperato dal suo cliente, ma a patto che l’esito del suo lavoro sia stato svolto con diligenza. In caso contrario, può essere costretto a pagare il risarcimento del danno al proprio cliente.

Conclusioni

Riassumendo, i liberi professionisti sono lavoratori autonomi, ma con una serie di doveri a cui far fronte e una serie di norme da seguire obbligatoriamente. I lavoratori autonomi, infatti, non hanno l’obbligo di iscriversi a un albo professionale, seguire le regole del proprio ordine o provvedere alla contribuzione in una cassa previdenziale privata. Inoltre, una parte di loro non svolge una professione di natura intellettuale.

 

Bonus baby sitter per autonomi: ecco come funziona

Il bonus baby sitter per le mamme che lavorano è un ottimo aiuto. Permette di diminuire tutti i costi per la gestione dei figli. Ecco come funziona.

Bonus baby sitter: cos’è?

Il Bonus baby sitter è un contributo economico per le famiglie, i cui genitori lavorano, nonostante questo clima pandemico. Se i genitori possono svolgere il lavoro in modalità Smart working, nessun problema. Ma se i genitori sono a lavoro occorre qualcuno che possa stare a casa con i figli. L’agevolazione ha lo scopo, quindi, di permettere ai genitori di continuare a svolgere il proprio lavoro e nel frattempo garantire assistenza e sorveglianza ai propri figli.

La misura, già introdotta dal decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto Cura Italia) e rifinanziata dal decreto Rilancio e dal decreto Ristori Bis, consiste in un sostegno economico per acquistare servizi di baby sitting per figli minori di 14 anni. Inoltre, il bonus può essere utilizzato anche per iscrivere i ragazzi ai centri estivi, centri di cultura creativa, servizi per l’infanzia ed affini.

Bonus baby sitter: chi può richiederlo?

Il governo ha rinnovato la possibilità di richiedere il bonus baby sitter anche per il 2021. Grazie al decreto legge del 13 marzo 2021, potranno richiedere il bonus sia i lavoratori dipendente che autonomi. La risorsa finanziaria messa in campo è pari a 280 milioni di euro. In altre parole potranno richiede il contributo:

  • i lavoratori dipendenti che hanno la possibilità di usufruire di congedi retribuiti;
  • i lavoratori autonomi;
  • le forze del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, le forze dell’ordine e gli operatori sanitari

Il contributo per i servizi di baby sitting deve essere richiesto entro il 30 giugno 2021. Si potrà ottenere fino a 100 euro a settimana.

Bonus baby sitter: come viene erogato il contributo?

Il contributo viene erogato mediante il libretto di famiglia. Il libretto di famiglia è uno strumento che serve a retribuire prestazioni di lavoro occasionale. Inoltre, è un libretto nominativo prefinanziato, composto da voucher di 10 euro l’uno. Grazie ai voucher è possibile pagare, quindi, i servizi di baby sitter, badanti, colf, riparazione ed altre piccole riparazioni domestiche. Il libretto di famiglia è quindi indispensabile per accedere al bonus baby sitter.

Il Libretto di famiglia è stato introdotto dal decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50. L’INPS, attraverso la circolare n. 107 del 5 luglio 2017, ha fornito tutte i chiarimenti e le indicazioni operative per richiedere e usare il Libretto famiglia. Il bonus viene riconosciuto ai lavoratori autonomi non iscritti all’INPS.

Altre precisazioni sul bonus baby sitter

Il Bonus baby sitter non può essere cumulato con altri contributi. Ad esempio, non può richiedersi se già si prende il bonus per l’asilo nido. Attualmente non si sa se la misura possa essere usato anche per i pagamenti di prestazioni svolte dai familiari: i nonni per esempio.

Tuttavia, è bene ricordare che i redditi derivanti da prestazioni di baby sitting non sono sottoposti ad imposta fiscale. In altre parole, una baby sitter, non ha bisogno di dichiarare questa “entrata” nella propria dichiarazione dei redditi, se pagata tramite voucher INPS. Ovviamente la baby sitter deve essere fatta da persona fisica, e non come esercizio d’attività.

Bonus baby sitting: come richiedere il contributo

Al momento la possibilità di richiedere il buono non è iniziata. Ma se non ci sono cambiamenti, rispetto a quello passato, il contributo può essere richiesto in due modi. La prima è online, attraverso l’apposita applicazione web disponibile sul portale INPS (Prestazioni e servizi > Tutti i servizi > Ordine alfabetico > Bonus servizi di baby sitting). Oppure rivolgendosi ai servizi offerti gratuitamente dai patronati. Anche i propri commercialisti, nel caso di lavoratori autonomi, a volte offrono questo servizio. Si tratta di piccoli aiuti per le famiglie, ma che permettono di affrontare meglio le difficoltà che la pandemia da Covid-19 ha prodotto.

Mutuo autonomi: quali sono le garanzie richieste?

Il mutuo sia per i lavoratori autonomi che i dipendenti è lo strumento che permette di poter comprare un immobile. Ma quali sono le garanzie richieste ad un autonomo?

Mutuo autonomi: cos’è il mutuo e come funziona

Il mutuo è un contratto con il quale una parte, detta mutuante (per esempio la banca), consegna ad un’altra parte, detta mutuataria (per esempio un lavoratore), un credito o presta una somma di denaro. Il debitore dovrà restituire la stessa somma di denaro, maggiorata degli interessi, allo scadere del termine stabilito.

Per questo motivo, spesso il mutuo viene pagato mensilmente, trimestralmente o semestralmente, per gli anni stabiliti al tasso previsto alla firma del contratta di mutuo. Tuttavia, il tasso di interessi a cui viene prestato il denaro, cambia in relazione all’istituto che concede il mutuo.

La rata permette, di spalmare nel tempo, questi ulteriori costi e permette al debitore di restituire la somma ottenuta. Inoltre, viene calcolata in base al reddito percepito, e nel caso di famiglie, anche al numero dei componenti della stessa.

Mutuo autonomi: il margine di rischio per la banca

Un lavoratore dipendente, con contratto a tempo indeterminato, rappresenta per la banca un reddito costante e certo. Mentre, nel caso di lavoratore indipendente, questa certezza potrebbe venir meno. Se da una parte lavorare autonomamente permette di svolgere un lavoro più dinamico, in cui è possibile scegliere gli orari.

Dall’altra parte, per la banca questo rappresenta un maggior margine di rischio. Questo perché, secondo l’istituto di credito, l’evento licenziamento del dipendente rappresenta qualcosa di più raro. Mentre, per l’autonomo non è così, può decidere di abbandonare il lavoro.

Anche e non è detto che sia così. Spesso dietro le spalle di un professionista vi è la realizzazione di un sogno. Ma anche anni di studio, di impegno, tirocini, per cui quel lavoro rappresenta l’unica fonte di reddito. E’ interesse del professionista mantenere e crescere nella sua professione.

Mutuo autonomi: il trattamento di fine rapporto

Il secondo punto di interesse in relazione al mutuo, è il trattamento di fine rapporto. Anche detto TFR, o liquidità, è una somma di accantonamento proporzionale alla retribuzione del lavorato dipendente. Viene corrisposta al lavoratore, a fine del rapporto, dal datore di lavoro.

Anche in caso di fallimento dell’impresa, il datore è tenuto a versare mensilmente il contributo in relaziona alla retribuzione. Anche in questo caso, si tratta di una garanzia per l’istituto di credito. Purtroppo, il meccanismo non funziona per i lavoratori autonomi. In altre parole, per i professionisti non si matura il TFR.

Questo rappresenta un altro fattore di rischio per la banca. Anche se, molti autonomi si creano dei propri fondi di accumulazione di capitali, per sfruttare nella fase finale della propria attività lavorativa.

Mutuo autonomi: come si possono superare le criticità?

Messe sotto la lente di ingrandimento le criticità per la banca, cerchiamo di capire com’è possibile superarle. Se la busta paga riporta il reddito mensile di un dipendente, come può fare il lavoratore autonomo, che non ha un reddito costante? La risposta potrebbe essere questa.

E’ possibile utilizzare il modello unico depositato presso l’Agenzia delle entrate. In caso di richiesta di mutuo, vengono richieste le ultime due precedenti, al periodo di domanda. A questo punto la banca valuta il rapporto tra la rara ed il reddito. Se nel caso di autonomi è pari al 30% dello stipendio, nel caso di mutuo per autonomi, tende ad abbassare questo rapporto.

Ma comunque deve sempre essere preso in esame e non è detto che non sia idoneo per la banca ai fini della concessione del credito. Inoltre, il lavoratore autonomo potrebbe essere proprietario di un immobile da mettere in garanzia. In questo caso, è evidente che la casa su cui viene iscritta l’ipoteca sia la principale fonte di garanzie per l’istituto di credito.

Altri consigli utili per i professionisti

A questo punto è meglio dare qualche consiglio ai professionisti che vogliono presentare la richiesta di mutuo. La banca tende a preferire i finanziamenti che riguardano gli immobili ad uso abitativo, piuttosto che quelli comprati per svolgere un’attività economica.

Il mercato dell’immobile residenziale è sempre stato il preferito agli istituti di credito, proprio perché tutti hanno bisogno di avere un luogo in cui vivere. Invece, un immobile commerciale potrebbe essere legato solo all’attività, smessa la seconda, l’immobile diventerebbe inutilizzato.

Un ruolo importante giocano anche le garanzie esterne. Tra queste è molto in uso la possibilità di avere un “garante“. Si tratta di una terza persona che si impegna, con il proprio patrimonio, a pagare le rate qualora il debitore risultasse inadempiente.

Il ruolo delle associazioni di categoria e le assicurazioni

Anche l’età del richiedente è una variabile importante. Un giovane, di solito, ha la possibilità maggiore di finire il suo debito, grazie alla sua maggiore speranza di vita. Ed infine, va valutato il ruolo delle associazioni di categoria. Infatti, esistono alcune associazioni tra professionisti che aiutano i propri iscritti, ponendosi come garanti.

Infine, sono ben viste anche le assicurazioni che vengono pagate quando si contrae un mutuo. Tra quelle obbligatorie e quelle consigliate c’è davvero una vasta gamma da poter scegliere. In questo caso, il consiglio è quello di affidarsi ad un consulente del credito esperto, capace di poter indirizzare il cliente verso l’istituto di credito migliore in merito alle esigenze del richiedente.

Certificazione Unica autonomi 2021: nuovi codici 12 e 13

Per la Certificazione Unica 2021 ci sono importanti novità a partire dai termini di trasmissione e di consegna che slittano di un paio di settimane, e passando per nuovi codici per gli autonomi. Nel dettaglio, così come previsto dal cosiddetto decreto ‘Sostegni’, i termini di trasmissione all’Agenzia delle Entrate, e di consegna ai diretti interessati della Certificazione Unica, slittano dal 16 marzo al 31 marzo del 2021.

Nuovi codici 12 e 13 Certificazione Unica autonomi 2021, ecco come e quando inserirli

Nel modello di Certificazione Unica 2021, la novità relativa ai codici 12 e 13 riguarda i lavoratori autonomi nella sezione dati fiscali relativa alla ‘Certificazione lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi‘ in corrispondenza del campo numero 6.

Con il codice 12 che si riferisce ai soggetti che applicano il regime forfettario. E precisamente per i compensi, non assoggettati alla ritenuta d’acconto, percepiti dal professionista che adotta il regime forfettario, e che poi dovranno essere inseriti nella dichiarazione dei redditi.

Mentre il codice 13, sempre nel campo 6 della sezione ‘Certificazione lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi‘ del modello di Certificazione Unica 2021, si riferisce alla dichiarazione di compensi che, nel rispetto dei requisiti previsti, godono di esenzione da ritenuta per il periodo che è compreso tra il 17 marzo ed il 31 maggio del 2020.

L’esenzione da ritenuta, introdotta con il cosiddetto Decreto Liquidità, ha previsto per il lavoratore autonomo di chiedere, in via opzionale, la corresponsione dei compensi al lordo della ritenuta con successiva autoliquidazione. Ma a patto di rispettare le seguenti due condizioni:

  • Ricavi o compensi, relativi all’anno 2019, inferiori alla soglia dei 400 mila euro;
  • Assenza di costi sostenuti per lavoro dipendente o assimilato nel mese precedente.

Il codice per l’autoliquidazione, utilizzando il modello di pagamento unificato F24, è rappresentato dal codice tributo ‘4050’ che l’Agenzia delle Entrate ha istituito con la Risoluzione numero 50/E riportante la data del 7 settembre del 2020.

Certificazione Unica autonomi 2021, il regime sanzionatorio

Da parte del sostituto d’imposta, la trasmissione e la consegna della CU 2021 è un adempimento da rispettare entro i termini previsti, altrimenti scattano le sanzioni.

In particolare, le sanzioni sono calcolate nella misura di 100 euro per ogni certificazione tardiva, omessa o errata. Pur tuttavia, la sanzione non scatta se c’è ravvedimento entro un termine massimo di 5 giorni dalla scadenza.

Bonus 1000 euro Decreto Sostegni: a quali lavoratori è destinato?

Il Dl Sostegno è un provvedimento molto atteso, in particolare dalle piccole e medie imprese e le Partite IVA, nonché i lavoratori del settore turistico, gravemente danneggiato dall’emergenza Covid. Al momento, quasi certamente, esso dovrebbe prorogare la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti e dovrebbe estendere i ristori a una platea di beneficiari molto ampia.

In particolare, per gli stagionali e per il comparto turistico dovrebbe essere rinnovato il bonus di 1000 euro, che probabilmente sarà erogato per tre mensilità. Quali saranno i lavoratori destinatari del bonus del valore di 1000 euro? Con molta probabilità, le categorie di lavoratori interessate dal beneficio economico di 1000 euro saranno le stesse individuate dal Dl Agosto. Eccole elencate nello specifico:

  • lavoratori stagionali dei settori del turismo e degli stabilimenti termali;
  • lavoratori in somministrazione dei settori del turismo e degli stabilimenti termali;
  • lavoratori dello spettacolo;
  • lavoratori a tempo determinato dei settori del turismo e degli stabilimenti termali.
  • lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali;
  • lavoratori intermittenti;
  • lavoratori autonomi occasionali;
  • lavoratori incaricati alle vendite a domicilio.

Pertanto, la domanda potrebbe essere presentata non solo dagli stagionali in possesso dei requisiti richiesti, ma anche dalle sue elencate categorie di lavoratori. I soggetti interessati alla presentazione della domanda potranno provvede a farlo sia autonomamente mediante l’accesso al portale dell’Inps o in alternativa, mediante Caf o Patronati. Al momento, la finestra sul sito dell’Inps non è ancora attiva per inoltrare la domanda, in quanto il Dl Sostegno non è ancora stato approvato. Le credenziali di accesso ai servizi Inps sono le seguenti: vecchio Pin di accesso Inps; Spid di livello 2 o superiore; Carta di identità elettronica 3.0 (CIE); Carta nazionale dei servizi (CNS).