Bonus banda ultralarga da 300 a 2500 euro, ammessi anche professionisti e partite Iva

Anche i liberi professionisti, gli autonomi e le partite Iva sono stati ammessi al bonus banda ultra larga. Il relativo decreto ministeriale sul bonus per la connettività, che consente di ottenere i contributi per l’adesione ai servizi di internet ultra veloce, è stato pubblicato nei giorni scorsi nella Gazzetta Ufficiale. Anche le partite Iva e i professionisti, dunque, potranno richiedere il voucher che va da un minimo di 300 euro a un massimo di 2.500 euro. Le partite Iva si uniscono, pertanto, alle micro e piccole e medie imprese tra i beneficiari dei contributi.

Voucher banda ultralarga, quali sono i requisiti per chiedere il bonus?

I professionisti e le partite Iva che vorranno richiedere il bonus per la banda ultra larga, dovranno avvalersi dei servizi di connettività veloce offerti dagli operatori di telecomunicazione. La velocità della banda dovrà attestarsi da un minimo di 30 megabit per secondo a connessioni che superano i gigabit per secondo. Anche le partite Iva dovranno rivolgersi agli operatori delle telecomunicazioni accreditati alla gestione dei voucher da parte di Infratel Italia. La società è deputata a gestire le risorse per conto del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise).

Bonus banda ultra larga per i professionisti e partite Iva: passo avanti nella digitalizzazione

La possibilità di usufruire dei bonus per la connettività veloce rappresenta, dunque, anche per le partite Iva e i lavoratori autonomi un passo importante verso la transizione digitale. Inoltre, l’inclusione alla misura consente ai professionisti di cogliere un’importante opportunità sulla parità di accesso agli strumenti digitali e di ridurre il gap con le imprese in merito alla competitività sul mercato.

Voucher imprese per la connettività veloce, di cosa si tratta?

Già a partire dallo scorso 1° marzo le micro e le piccole e medie imprese possono richiedere il voucher per la banda ultralarga dall’importo minimo di 300 euro fino a un massimo di 2500 euro di aiuto. L’incentivo prevede l’erogazione del voucher alle imprese per gli abbonamenti a internet ultra veloce. I bonus sono erogati dal ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) sulla base del decreto del 23 dicembre 2021 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 33 del 2022), adesso modificato per includere anche le partite Iva e i professionisti. Il relativo comunicato di riferimento del Mise per l’attuazione della misura è quello del 28 febbraio 2022. Nel documento sono contenute tutte le informazioni per la richiesta del bonus.

Quali bonus possono richiedere le imprese e le partite Iva per le connessioni internet a banda ultra larga?

I voucher per la connessione internet a banda ultra larga hanno in importo minimo di 300 euro fino a un massimo di 2500 euro. Il contributo è previsto dalla Strategia nazionale di attuazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Gli abbonamenti alla banda ultra veloce delle micro e delle piccole e medie imprese devono avere una durata minima di 18 fino a una massima, ai fini del bonus, di 24 mesi. Il totale delle risorse messe a disposizione dal ministero per lo Sviluppo Economico ammontano a 608 milioni di euro. Per la domanda del voucher le micro e le piccole e medie imprese devono risultare regolarmente iscritte al Registro delle imprese.

Qual è l’importo del voucher per le connessioni a internet a banda ultra larga delle micro e Pmi?

Il voucher per gli abbonamenti alla banda ultra veloce può essere richiesto dalle micro e piccole e medie imprese, nonché dalle partite Iva e dai professionisti, a seconda delle necessità di connessione. Il servizio richiesto dovrà avere una velocità di download a partire da 30 megabit al secondo. Si può arrivare a velocità di un gigabit al secondo o anche di più. Il voucher base di 300 euro riguarda i contratti di abbonamento a internet ultra veloce da 30 megabit per secondo a 300 megabit per secondo (Voucher A1). Il Voucher A2 è richiedibile per velocità di connessione da 300 megabit per secondo fino a 1 gigabit per secondo. Si può richiedere un contributo anche per sostenere le spese di installazione del sistema di connessione.

Come si presenta la domanda per il bonus banda larga per le imprese e le partite Iva?

La domanda del voucher per la banda ultra larga può essere inoltrata dalle imprese dal 1° marzo 2022. Con la modifica del decreto, anche le partite Iva e i liberi professionisti potranno inoltrare richiesta di voucher. La scadenza è fissata al 15 dicembre prossimo. Le domande vengono inoltrate direttamente dagli operatori di telecomunicazione abilitati da Infratel Italia per realizzare gli interventi.

Contributo perequativo a partite Iva e professionisti: ecco come si calcola la perdita di almeno il 30%

Saranno circa 4,4 miliardi di euro le risorse a disposizione delle partite Iva, dei professionisti e dei lavoratori autonomi del contributi perequativo. Con la firma del decreto da parte del ministero dell’Economia e delle Finanze, attualmente si attende il provvedimento dell’Agenzia delle entrate per l’apertura della presentazione delle domande e dei relativi termini di scadenza. Si aspettano, inoltre, le istruzioni in merito alla piattaforma necessaria per l’invio dell’istanza stessa.

Contributi perequativo partite Iva, a chi andrà il fondo perduto?

Il meccanismo di assegnazione dei contributi alle partite Iva e ai professionisti si baserà su cinque scaglioni con percentuali di rimborso decrescente all’aumentare dei compensi e dei ricavi dei soggetti interessati. In particolare, potranno accedere al fondo perduto perequativo le partite Iva che siano residenti in Italia e che svolgano attività di impresa, arte o professione. Sono inclusi anche i soggetti che producono reddito agrario. Requisito fondamentale è il peggioramento del risultato economico di esercizio relativo all’anno 2020 di una percentuale pari ad almeno il 30% rispetto all’esercizio del 2019.

Fondo perequativo alle partite Iva, il sistema dei 5 scaglioni di reddito

Il calcolo di quanto spetterà a ciascuna partita Iva o professionista si basa sul meccanismo degli scaglioni di reddito. Ne sono previsti cinque da considerare come totale dei ricavi e dei compensi dei soggetti interessati. È importante precisare, come richiede la norma, che il contributo percepibile deve essere al netto degli aiuti già ricevuti. Il massimo del fondo perduto per ogni richiedente è pari a 150 mila euro. Nel dettaglio gli scaglioni sono i seguenti:

  • il 30% di aiuti andrà alle partite Iva e professionisti con compensi e ricavi fino a 100 mila euro;
  • il 20% dei contributi andrà alle partite Iva con ricavi e compensi tra 100 mila e 400 mila euro;
  • il 15% per ricavi tra i 400 mila e il milione di euro;
  • il 10% per ricavi tra un milione e 5 milioni di euro;
  • il 5% andrà ai soggetti con ricavi tra 5 e 10 milioni di euro.

Partite Iva, dove prendere i dati dei ricavi per il contributo perequativo?

I valori dei compensi e dei ricavi da prendere in considerazione per presentare la richiesta del contributi perequativo a fondo perduto devono essere presi dalle partite Iva interessate tra:

  • la dichiarazione dei redditi dell’anno 2020, già trasmessa entro la data del 30 settembre 2021;
  • analogamente, la dichiarazione dei redditi del 2019 già validamente presentata.

Il calcolo di quanto spettante deve essere al netto dei contributi già percepiti durante l’emergenza sanitaria ed economica da Covid-19. In particolare, le partite Iva dovranno sottrarre gli aiuti già ricevuti a partire da maggio 2020. Ci si riferisce ai contributi a fondo perduto dei decreti “Rilancio” e vari “Ristori” (tra l’autunno e la fine del 2020) e i più recenti decreti “Sostegni” dell’anno in corso.

Esempio di calcolo del peggioramento del minimo del 30% per la richiesta del contributo perequativo

Particolare attenzione deve essere prestata dalle partite Iva nella presentazione della domanda del contributi perequativo sul calcolo del peggioramento del 30% minimo. Ammettiamo che una società abbia subito il peggioramento del risultato economico dell’anno 2020 rispetto al 2019 di 50 mila euro. Supponiamo che questo peggioramento risulti, in termini percentuali, più del 30% che richiede come minimo il decreto del ministero dell’Economia. Ipotizziamo, inoltre, che la società abbia già percepito dei contributi dall’Agenzia delle entrate per i precedenti decreti pari a 25 mila euro. La stessa società ha percepito ricavi nel 2019 per 450 mila euro e dunque rientra nel terzo scaglione, ovvero con la percentuale del 15% per ricavi tra i 400 mila e il milione di euro.

Come si calcola il contributo perequativo spettante alla partita Iva?

La società interessata a ottenere il contributo perequativo deve necessariamente detrarre il fondo perduto già ricevuto dai precedenti decreti, anche questi per un peggioramento del proprio risultato d’esercizio.Sulla base dei dati che abbiamo a disposizione, l’azienda dovrà pertanto detrarre dai 50 mila euro del peggioramento 2020 rispetto al 2019 i 25 mila euro già percepiti. Il risultato ottenuto va moltiplicato per il 15%. Il contributo a fondo perduto spettante alla società del nostro esempio sarà pertanto di 3750 euro.

Calcolo contributo perequativo a favore delle partite Iva: il meccanismo avvantaggia gli autonomi

È interessante notare che la misura contenuta nel decreto del ministero dell’Economia va a vantaggio, per ciò che concerne la modalità di calcolo, della partita Iva. Infatti, la sottrazione di quanto già percepito in precedenza va fatta sulla perdita rilevata nel 2020 rispetto al 2019, e non sul contributo già ottenuto in precedenza. Ragione per la quale, se lo scomputo di quanto già ricevuto fosse andato a detrazione di quanto spettante per la perdita, la società non avrebbe ricevuto alcun contributo perequativo.

Fondo perduto perequativo, in attesa dell’apertura della piattaforma per la presentazione delle domande

Si tratta, tutto sommato, di un contributo perequativo a fondo perduto per le partite Iva e per i professionisti più generoso. È necessario fare attenzione nella costruzione della base imponibile, ovvero nello scomputare i contributi a fondo perduto già percepiti dal peggioramento del risultato economico e non dall’ammontare del nuovo contributo spettante. Non resta, dunque, che preparare le dichiarazioni dei redditi dei due anni oggetto di calcolo e procedere con i conteggi per essere pronti ai 30 giorni utili che partiranno dal momento in cui sarà attiva la piattaforma.

Reddito di cittadinanza, incentivo avvio attività di 4680 euro: l’Inps paga a due mesi dalla domanda

Il beneficio di 4680 euro per chi percepisce il reddito di cittadinanza e avvia un’attività lavorativa autonoma o un’impresa individuale o una società cooperativa spetta entro due mesi dalla presentazione della domanda. L’Inps eroga il beneficio in un’unica soluzione. L’Istituto previdenziale ha fornito ulteriori chiarimenti operativi con la circolare del 22 novembre 2021, la numero 175.

Incentivo ad avviare un’attività per chi percepisce il reddito di cittadinanza: qual è l’importo?

Nella circolare, l’Inps precisa i requisiti necessari ai percettori del reddito di cittadinanza per presentare la domanda di incentivi all’autoimprenditorialità. Il beneficio addizionale viene corrisposto per 6 mensilità e va ad aggiungersi all’importo del Reddito di cittadinanza. Il limite massimo dell’incentivo corrisponde a 780 euro per le 6 mensilità. L’incentivo spetta per un limite massimo di 4680 euro.

Reddito di cittadinanza, chi può presentare domanda per l’incentivo di avvio attività?

L’incentivo è legato alla fruizione del reddito di cittadinanza. Pertanto chi presenta domanda per l’incentivo deve percepire, come nucleo familiare, il reddito di cittadinanza. Può ottenere l’incentivo chi ha avviato, entro i primi dodici mesi dall’inizio della fruizione del reddito di cittadinanza, un’attività lavorativa autonoma o un’impresa individuale o abba sottoscritto una quota di capitale sociale di una cooperativa. Il rapporto mutualistico nella cooperativa deve avere a oggetto la prestazione di un’attività lavorativa da parte del socio.

Reddito di cittadinanza, chi non può presentare domanda per l’incentivo all’attività autonoma?

Diversamente dal punto precedente, chi presenta domanda di incentivo lavorativo al reddito di cittadinanza, non deve aver cessato, nei dodici mesi precedenti, un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o aver partecipato, come quota di capitale sociale, in una cooperativa. Inoltre, non può presentare domanda di incentivo chi ha già fruito del beneficio in questione.

Esempi di richiesta dell’incentivo per l’avvio di attività autonoma con reddito di cittadinanza

Poniamo il caso di un cittadino che abbia presentato domanda di reddito di cittadinanza e la stessa sia stata accolta il 15 gennaio 2021. Se inizia un’attività lavorativa autonoma il 20 marzo 2021, può ottenere il beneficio. In questo caso, infatti, l’attività lavorativa viene avviata nei primi 12 mesi di fruizione del reddito di cittadinanza. Se passa più di un anno tra l’inizio di fruizione del reddito di cittadinanza e l’inizio dell’attività lavorativa autonoma, l’incentivo non viene corrisposto. Ad esempio, se la domanda del reddito di cittadinanza viene accolta il 15 settembre 2020 e l’inizio dell’attività autonoma è fissato al 20 settembre 2021.

Domanda incentivo attività lavorativa: è necessario fruire già del reddito di cittadinanza

Infine, è importante verificare che l’attività autonoma inizi nel periodo di fruizione del reddito di cittadinanza. Se l’attività lavorativa autonoma inizia in data anteriore a quella di accoglimento della domanda di reddito di cittadinanza, la domanda di incentivo all’attività lavorativa non viene accolta perché il nucleo familiare non risulterebbe in corso di godimento del reddito di cittadinanza. Ad esempio, l’inizio dell’attività lavorativa è fissato al 15 giugno 2021 e la domanda di reddito di cittadinanza è accolta in data 15 settembre 2021.

Quali attività avviare con l’incentivo al reddito di cittadinanza?

L’Inps, inoltre, sottolinea che le attività lavorative per le quale spetta l’incentivo devono corrispondere a quelle previste per l’anticipazione della Naspi. Rientrano in queste attività:

  • quelle professionali che vengono esercitate dai liberi professionisti;
  • le attività di impresa individuale nei settori del commercio, dell’artigianato o dell’agricoltura;
  • la costituzione di società unipersonali;
  • ingresso o costituzione in società di persone o di capitali.

Come comunicare l’avvio di un’attività autonoma con la fruizione del reddito di cittadinanza?

L’inizio dell’attività autonoma mediante incentivo legato alla fruizione del reddito di cittadinanza va comunicato:

  • entro 30 giorni dall’inizio mediante il modello “Rdc-Com Esteso“;
  • per le attività già avviate e comunicate, il modello deve essere ripresentato entro 15 giorni dalla fine di ogni trimestre di fatturazione.

Partite Iva, professionisti e autonomi, se chiudono l’attività rientrano nelle politiche attive del Gol

Anche i possessori di partita Iva, i liberi professionisti e gli autonomi, nel caso in cui dovessero chiudere l’attività, rientrerebbero nelle politiche attive del nuovo programma di Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol). L’inclusione di partite Iva e professionisti alle politiche attive arriva dalla legge di Bilancio 2022 che dedica un articolo alla situazione dei lavoratori autonomi. Il piano Gol è stato lanciato dal ministro del Lavoro Andrea Orlando per sostenere i disoccupati e le persone in cerca di occupazione per riqualificarsi e per accedere a un nuovo lavoro.

Programma Gol, l’obiettivo di assistenza all’inserimento lavorativo

Il programma Gol ha avuto una decisa accelerata il 21 ottobre scorso con la Conferenza tra Stato e regioni. L’obiettivo è quello di mettere a disposizione della collettività le “misure di assistenza intensiva all’inserimento occupazionale”. L’assistenza alle persone in cerca di occupazione avverrà mediante i servizi erogati dai centri per l’impiego e dalle entità autorizzate alle attività di intermediazione del lavoro.

Autonomi e professionisti nel programma Gol: apertura di uno sportello dedicato

I lavoratori autonomi e le partite Ive potranno beneficiare anche di uno sportello dedicato. In questo caso, l’obiettivo è quello di stipulare delle convenzioni non onerose con i collegi professionali, gli ordini e le associazioni previste dalla legge numero 4 del 2013. Un’ulteriore convenzione verrà stipulata anche con le associazioni più rappresentative a livello nazionale dei lavoratori autonomi. La provenienza degli autonomi può includere oppure no, chi proviene dagli albi professionali.

Cosa si prevede di fare per il lavoro con il programma Gol?

Il programma Gol seguirà 5 percorsi per il reinserimento lavorativo di chi sia rimasto senza occupazione. Il primo percorso è proprio quello di un nuovo inserimento lavorativo per i soggetti più vicini al mercato del lavoro. In questo ambito è prevista l’offerta anche di  servizi di orientamento e di intermediazione per l’accompagnamento al lavoro. Tuttavia, tra gli obiettivi vi è anche quello di aggiornamento professionale. Beneficiari saranno i lavoratori più lontani dal mercato ma in ogni modo in possesso di competenze spendibili. In quest’ottica, i servizi dedicati saranno quelli dei percorsi formativi di breve durata e dal contenuto professionalizzante.

Riqualificazione e inclusione dei lavoratori con il programma Gol

Il terzo percorso del programma Gol consiste nella riqualificazione. I servizi di questo percorso saranno dedicati ai lavoratori lontani dal mercato del lavoro e con competenze non adeguate alle opportunità del mercato stesso. Si punterà, dunque, alla formazione professionalizzante più approfondita. Determinati casi necessiteranno di un obiettivo di inclusione. Si tratta di situazioni più complesse, cioè in presenza di barriere ed ostacoli che vanno al di là dell’ambito lavorativo. Per questo obiettivo, oltre ai percorsi precedenti, si prevede di attivare anche la rete dei servizi territoriali che agiranno, a seconda dei casi, sul piano educativo, socio-sanitario, sociale, di conciliazione. Si tratterà, tutto sommato, di un intervento simile a quello assicurato dal Reddito di cittadinanza e prima ancora dal Reddito di inclusione.

Ricollocazione collettiva dei lavoratori con il programma Gol

Infine, con il programma Gol si punterà anche alla ricollocazione collettiva intesa come valutazione delle possibilità occupazionali all’interno di imprese in particolari condizioni di crisi. La ricollocazione collettiva individuerà anche le professionalità dei lavoratori coinvolti e il contesto territoriale per adottare la soluzione più idonea a superare la crisi aziendale stessa.

Legge di Bilancio 2022, tre mesi in più per la maternità delle professioniste e autonome

Oltre all’occupabilità dei lavoratori rimasti senza lavoro e dei professionisti e partite Iva che abbiano chiuso l’attività, dalla legge di Bilancio 2022 arrivano altre due novità che riguardano i lavoratori autonomi. Infatti, è inclusa nella Manovra di fine anche la possibilità di sostegno ai professionisti per la maternità. In particolare, le lavoratrici autonomi che abbiano dichiarato, nell’anno prima della maternità, un reddito non superiore ai 8145 euro, potranno avere accesso all’indennità relativa alla maternità per ulteriori tre mesi. Il periodo aggiuntivo deve essere pertanto sommato, e deve essere successivo, al periodo di maternità.

Professionisti, con la Manovra 2022 anche un nuovo fondo da 200 milioni di euro

Ultimo intervento nella Manovra 2022 specifico per i professionisti è quello dell’istituzione di un fondo  da 200 milioni di euro al fine di “definire i nuovi ordinamento professionali delle amministrazioni dello Stato stabiliti con la tornata contrattuale 2019-2021”.

Nuovo fondo perduto a chi esercita attività d’impresa, arte o professione: scadenza 13 dicembre

Si può presentare, a partire dal 14 ottobre e fino al 13 dicembre 2021, la domanda per accedere ai contributi a fondo perduto (Cfp). Il contributo è indirizzato a chi esercita attività di impresa, arte o professione e a chi sia titolare di reddito agrario. I contributi sono dovuti per le perdite subite a causa dell’emergenza economica e sanitaria derivante dalla Covid. Ammessi alla presentazione delle istanze sono gli imprenditori e le partite Iva che abbiano conseguito nel 2019 compensi o ricavi dai 10 ai 15 milioni di euro. Il contributo a fondo perduto è previsto dal comma 30 bis dell’articolo 1 del decreto 73 del 2021, “Sostegni bis”.

Chi può presentare domanda per i contributi a fondo perduto entro il 13 dicembre 2021?

Sulle modalità di presentazione della domanda per i contributi a fondo perduto di imprenditori, autonomi e titolari di reddito agrario è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la circolare numero 268440 del 2021. Dalla lettura del provvedimento se ne deriva che la presentazione delle istanze segue modalità molto simili alle domande presentate nei mesi scorsi per i contributi a fondo perduto a favore di contribuenti con ricavi o compensi entro i 10 milioni di euro.

Chi non può presentare domanda per il fondo perduto?

Esclusi dalla domanda del contributo a fondo perduto sono gli stessi soggetti che abbiano cessato l’attività alla data del 23 marzo 2021 o al 26 maggio 2021. La prima data vale per la richiesta dei contributi a fondo perduto del decreto Sostegni. La seconda scadenza è inerente alla sezione di richiesta del contributi Sostegni bis alternativo (e automatico).

Come si compila la domanda per il contributo a fondo perduto?

Le specifiche per la domanda dei contributi a fondo perduto sono contenute nella circolare dell’Agenzia delle entrate. La particolarità dell’istanza è che offre al richiedente la possibilità di modulare la richiesta scegliendo tra il beneficio previsto dal primo decreto Sostegni e quello previsto dal decreto Sostegni bis. Nel dettaglio, nel primo caso dovranno essere prese in considerazione le risultanze del 2019 rispetto al 2020. Nel secondo caso, invece, dovranno considerarsi le attività “stagionali” del decreto Sostegni bis sul periodo dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021 e dal 1° aprile 2019 al 31 marzo 2020.

Richiesta fondo perduto per l’ammontare medio mensile fatturato 2020 rispetto al 2019

Pertanto, il richiedente può procedere compilando solo la prima sezione dei requisiti richiesti nella domanda chiedendo solo il contributo previsto dal primo decreto Sostegni. Questa modalità può essere richiesta se l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi risulta inferiore di non meno del 30% dell’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del 2019. All’importo risultante dalla differenza deve essere applicata la percentuale del 20%, considerando comunque l’importo minimo di 1000 euro per le persone fisiche e di 2000 euro per tutti gli altri soggetti ammessi al beneficio. Con questa modalità potrebbero spettare, a determinate condizioni, anche i contributi a fondo perduto previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 1 del decreto legge numero 73 del 2021 (Sostegni bis).

Domanda di fondo perduto con il metodo del decreto Sostegni bis ‘alternativo’

L’altra modalità di richiesta dei contributi a fondo perduto prevede la compilazione solo della seconda sezione dei requisiti. In questo caso si fa richiesta solo del contributo del decreto Sostegni bis “alternativo”. È necessario far riferimento ai commi da 5 a 13 del decreto legge numero 73 del 2021. Accertata la perdita del 30% dell’ammontare medio mensile del fatturato del 2020 rispetto al 2019, l’importo del fondo perduto si ottiene applicando il 30% sulla differenza tra l’ammontare medio mensile dei corrispettivi e del fatturato relativi al periodo dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021 e lo stesso ammontare medio mensile del periodo dal 1° aprile 2019 al 31 marzo 2020.

Ulteriori dettagli della domanda di contributi a fondo perduto

All’interno della domanda sono da considerare anche le dichiarazioni che attestano:

  1. che non si sono superati i limiti degli aiuti di Stato;
  2. il voler ricevere i contributi direttamente sull’Iban del contribuente;
  3. oppure di volersi avvalere del credito di imposta da portare in compensazione attraverso il modello F24.

Domanda fondo perduto 2021, cosa avviene se si sbaglia la domanda?

La domanda deve essere presentata in via telematica anche avvalendosi di un intermediario abilitato. Cosa avviene se si dovesse inoltrare una domanda errata? Si può procedere, entro la scadenza del 13 dicembre 2021, con l’invio di una seconda istanza. La domanda più recente va a sostituire le istanze presentate precedentemente. Tale regola vige solo nel caso in cui non sia stato già effettuato il pagamento del contributo a fondo perduto. Oppure nel caso in cui non sia stato già comunicato l’importo da portare a credito d’imposta.

Green pass, tutto quello che c’è da sapere su come comportarsi dal 15 ottobre

Dal presentare il Green pass all’entrata in azienda a chi deve fare i controlli, dalla possibilità che il datore di lavoro chieda in anticipo se si ha il documento verde alle sanzioni previste e a chi le paga, dal blocco della retribuzione alla possibilità di chiedere le ferie, ecco tutto quel che c’è da sapere su come comportarsi dal 15 ottobre 2021.

Green pass, chi fa i controlli all’entrata del lavoro?

A fare le verifiche all’entrata a lavoro può essere direttamente il datore di lavoro. Si pensi, ad esempio, alle aziende e alle realtà più piccole. Diversamente il datore di lavoro indica addetti che dovranno controllare appositamente i Green pass all’entrata. Se il datore di lavoro svolge attività lavorativa all’interno dell’azienda si ritiene che egli stesso venga controllato. Non è escluso che l’azienda possa servirsi per il controllo del documento verde anche di vigilantes. E dunque di personale esterno.

Anche ai fornitori e ai liberi professionisti viene chiesto il Green pass?

Chiunque entri in realtà aziendali per svolgere un’attività lavorativa è sottoposto al controllo del Green pass. Pertanto, anche i fornitori o i liberi professionisti che si rechino in azienda dovranno esibire il documento verde. L’obbligo vige anche per chi entri a titolo di formazione o di volontariato. All’entrata può essere richiesto anche un documento di identità: la finalità è quella di accertare che chi esibisce il Green pass sia effettivamente la persona in regola con la vaccinazione o con il tampone.

Chi fa la sanzione in caso di comportamento irregolare sul Green pass?

La violazione dell’obbligo di Green pass deve essere segnalata dal datore di lavoro, anche sulla base dei controlli dei verificatori dell’azienda, ai prefetti. Per il lavoratore senza Green pass la sanzione va da 600 a 1500 euro. Ma è prevista anche la violazione del datore di lavoro nel caso in cui non abbia effettuato i dovuti controlli. Ad esempio, in caso di ispezione in azienda, se dovessero essere trovati a lavorare dipendenti senza Green pass (sanzione da 600 a 1500 euro), il datore di lavoro verrebbe sanzionato da 400 a 1000 euro.

Chi fa i controlli ai datori di lavoro?

La sanzione per il datore raddoppia in caso di recidiva. Inoltre, è ancora in discussione se la sanzione possa essere comminata per ciascun giorno di violazione. L’azienda può subire i controlli dall’Asl e dall’Ispettorato al lavoro. Inoltre, possono procedere con i controlli le forze di polizia, la polizia municipale e, in caso di necessità, anche le forze armate.

Chi sono i verificatori del Green pass in azienda?

Prima del 15 ottobre prossimo le aziende dovranno procedere con la scelta dei responsabili a verificare i Green pass. L’incarico deve avvenire mediante la delega scritta a cura del datore di lavoro e devono essere fornite anche le linee guida per svolgere al meglio il compito assegnato. Negli studi associati (di liberi professionisti) il responsabile è il legale rappresentante. Diversamente, il compito può essere assegnato anche a un addetto al controllo. In caso di irregolarità e di sanzioni comminate allo studio, è il legale rappresentante o chi sia stato investito del controllo a individuare il responsabile della violazione.

Green pass, l’azienda può chiedere al dipendente se ne è (sarà) munito in via preventiva?

Nel decreto “Capienze” degli ultimi giorni è stato indicato che, per ragioni organizzative, i datori di lavoro possano chiedere in via preventiva se i dipendenti sono muniti di Green pass (o, soprattutto, se lo saranno dal 15 ottobre). Ma rimane ovviamente assodato che il controllo del certificato verde debba avvenire solo a partire dal 15 ottobre prossimo e fino al 31 dicembre 2021.

Cosa avviene se il lavoratore non ha il Green pass?

I dipendenti senza Green pass sono considerati assenti ingiustificati. Ciò comporta la loro assenza dal lavoro e la sospensione della retribuzione, compresa anche la maturazione del Trattamento di fine rapporto. L’assenza ingiustificata comporta, altresì, la mancata copertura dei contributi ai fini pensionistici, l’esclusione dei giorni per le detrazioni fiscali, del trattamento integrativo, della spettanza dei permessi della legge 104 del 1992 e, in proporzione all’assenza, dell’assegno del nucleo familiare. La perdita di retribuzione avviene per tutte le giornate nelle quali il dipendente è sprovvisto di Green pass.

Senza Green pass, il datore di lavoro può mettere il dipendente in ferie?

Il lavoratore senza Green pass deve essere posto nella situazione di risultare come assente ingiustificato. Pertanto, il datore di lavoro non può mettere in ferie il dipendente senza il certificato. L’assenza ingiustificata rappresenta, pertanto, una diretta e automatica conseguenza della mancata esibizione del Green pass.

Controlli ai lavoratori in somministrazione e appalto

Si presume, inoltre, che la disciplina applicata ai lavoratori dipendenti dell’azienda venga applicata anche ai lavoratori in somministrazione. I controlli, in attesa di ulteriori chiarimenti, devono essere effettuati dall’azienda utilizzatrice. Lo stesso principio è valido nel caso in cui l’azienda edile ha anche dipendenti di un’altra impresa, nel caso di appalti. I controlli dell’impresa, dunque, si estendono anche ai dipendenti di altre imprese e, in generale, anche ai lavoratori autonomi che entrino nell’ambiente di lavoro per svolgere una prestazione lavorativa.

I clienti dei professionisti devono avere il Green pass?

Ancora in alto mare la risoluzione della questione se i clienti di uno studio professionale debbano esibire il Green pass per entrare. Ad oggi, infatti, il decreto di riferimento (il 127 del 2021) parla di controlli solo a carico dei lavoratori. Si attendono quindi novità sul punto che potrebbero arrivare in sede di conversione del decreto stesso.

Colf, badanti e babysitter, devono avere il Green pass?

Anche colf, badanti e babysitter devono avere il certificato verde. E deve essere la famiglia, in questo caso nelle vesti di datore di lavoro, a controllare la regolarità del Green pass. Per la famiglia, infatti, in caso di controlli e di mancava verifica del certificato verde del lavoratore domestico spetta la sanzione da 400 a 1000 euro. Per il lavoratore domestico la sanzione va da 600 a 1500 euro.

Green pass autonomi e professionisti, chi fa i controlli? Rebus clienti che entrano in studio

Anche per i lavoratori dipendenti e per i professionisti il Green pass sarà obbligatorio a partire dal 15 ottobre 2021. In questi ultimi giorni prima dell’entrata in vigore dell’obbligo, permangono tuttavia alcuni nodi irrisolti. Il primo riguarda il soggetto incaricato che farà le verifiche del Green pass e in che modo. Il secondo riguarda il rebus della clientela degli autonomi, in particolare per chi entra in uno studio professionale per domandare una prestazione lavorativa: dovrà avere il Green pass?

Professionisti e partite Iva: quando è obbligatorio il Green pass?

Pochi dubbi sull’obbligatorietà di avere il Green pass per i professionisti e per le partite Iva. Dal decreto 127 del 2021 emerge l’obbligatorietà per gli autonomi di essere muniti del documento verde ogni volta che si va a svolgere una prestazione lavorativa all’interno di un contesto aziendale. Dunque, all’ingresso dell’azienda, anche al lavoratore autonomo verrà richiesta, dal 15 ottobre prossimo, l’esibizione del Green pass. Questione già ampiamente dibattuta nelle scorse settimane e risolta quella dei professionisti che ricevano la clientela nel proprio studio. Anche in questo caso, il professionista deve avere il Green pass, anche se fosse l’unico lavoratore dello studio stesso.

Chi dovrà fare i controlli del Green pass in uno studio professionale?

Su chi dovrà invece effettuare le verifiche e definire le modalità operative riguardo al Green pass all’interno dello studio professionistico si attendono ulteriori chiarimenti. Ad oggi, è indubbio che entro il 15 ottobre tutti i datori di lavoro e i liberi professionisti dovranno definire come svolgere le verifiche del certificato verde, anche a campione. Non solo. Gli stessi dovranno individuare, mediante un atto formale, quali sono i soggetti incaricati dell’accertamento del possesso del Green pass e le possibili violazioni degli obblighi.

Studio professionale associato, a chi spetta fare le verifiche del Green pass?

Dalla norma generica, tuttavia, derivano alcuni dubbi. Innanzitutto, se in uno studio professionale il personale risulta dipendente, è abbastanza semplice individuare chi dovrà fare i controlli. Ovvero il professionista, che funge da datore di lavoro. Ma la questione si presenta più complessa per uno studio associato. In questo caso, si dovrebbe procedere con l’indicazione dei legali rappresentanti dello studio quali soggetti deputati a svolgere i controlli del Green pass. Lo stesso obbligo vige, peraltro, per i praticanti degli studi professionali. La loro figura potrebbe essere assimilata a quella dei dipendenti di un’azienda e, pertanto, con gli stessi obblighi di possedere il Green pass dal 15 ottobre prossimo.

Dipendente di uno studio professionale senza Green pass, va sospeso?

Sempre nell’ottica delle verifiche del possesso del Green pass, il dipendente di uno studio professionale senza Green pass va sospeso? Analogamente a quanto avviene per le aziende, in caso di non possesso del Green pass il dipendente dovrebbe seguire la medesima disciplina delineata dal decreto 127 del 2021, ovvero essere considerato “assente ingiustificato”? La risposta al dubbio sembrerebbe confermare quanto dovrà essere applicato all’interno delle aziende. E cioè che il dipendente dello studio professionale è obbligato a esibire il Green pass, come “chiunque svolga un’attività lavorativa all’interno del settore privato“.

Assenza ingiustificata all’interno di uno studio professionale

Nel caso specifico, dunque, sia i liberi professionisti che i loro dipendenti sono obbligati al possesso del Green pass per svolgere la prestazione lavorativa all’interno dello studio. O in qualsiasi situazione nella quale debbano fare ingresso in un’azienda o in una realtà lavorativa per svolgere la propria prestazione. Nel caso di non possesso, il dipendente risulterà assente ingiustificato con sospensione della retribuzione e diritto a conservare il proprio posto di lavoro. Il professionista senza Green pass rischia, invece, la sanzione variabile da 400 euro a 1000 euro.

Professionisti, può essere applicata la disciplina delle aziende fino a 15 dipendenti?

Peraltro, Pasquale Staropoli della Scuola di alta formazione della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, sulle pagine de Il Sole 24 Ore ha avanzato l’ipotesi che nei piccoli studi professionali si potrebbe applicare la normativa sul Green pass prevista per le aziende fino a 15 dipendenti. La disciplina, in questo caso, consentirebbe agli studi di procedere con sostituzioni temporanee, di pochi giorni, dell’assente ingiustificato perché non ha il documento verde.

Anche negli studi professionali il dipendente assente ingiustificato potrebbe essere sostituito?

Con le dovute premesse dell’attesa di ulteriori chiarimenti ministeriali su questa possibilità e su come agire, operativamente, per i controlli all’interno degli studi professionali, l’estensione della normativa delle aziende fino a 15 dipendenti ai liberi professionisti comporterebbe anche l’applicazione delle relative regole per la sostituzione dei dipendenti senza Green pass. Nei casi concreti, il lavoratore senza documento verde, assente ingiustificato, potrebbe essere sostituito da un nuovo addetto con contratto di somministrazione o a termine.

Dipendente senza di Green pass e sua sostituzione con contratti di 10 giorni

In tale situazione, dopo i primi 5 giorni di assenza ingiustificata, il datore di lavoro (o professionista, nel caso di estensione della disciplina per realtà fino a 15 dipendenti) potrebbe procedere alla sostituzione con contratto temporaneo di 10 giorni (rinnovabile, una sola volta, per ulteriori 10 giorni alla scadenza). L’interpretazione che va per la maggiore asserisce che il lavoratore assente, anche qualora dovesse mettersi in regola con il Green pass, dovrebbe attendere la scadenza dei 10 o 20 giorni di contratto del suo sostituto per rientrare a lavoro.

Green pass: i clienti dello studio professionale devono averlo?

Più complessa e, ad oggi, irrisolta è la questione relativa al possesso del Green pass dei clienti di uno studio professionale. Chi accede in uno studio va comunque controllato pur non essendo un lavoratore? Confprofessioni, sul punto, è in attesa di chiarimenti del ministero prima che si possano dettare linee guida su come comportarsi. Anche perché la realtà degli studi professionali si configura come estremamente eterogenea. Si pensi, ad esempio, agli studi medici e dentistici, all’interno dei quali non è possibile imporre il Green pass. Anche gli architetti del Cnappc sul punto si mostrano prudenti, ovvero attendono chiarimenti ministeriali. Intanto, nei confronti dei clienti, rimangono gli obblighi generici del controllo della temperatura e della mascherina all’interno di un “luogo chiuso”.

Redditi e pensioni: entro il 30 novembre la dichiarazione degli autonomi

Redditi e pensioni, dovranno presentare dichiarazione dei redditi entro il 30 novembre gli autonomi con meno di 40 anni contributivi. Ecco chi deve farla.

Redditi e pensioni: il messaggio dell’Inps

Redditi e pensioni del 2020 devono essere dichiarati per l’anno 2020. Secondo il messaggio n. 3154/2021 dell’Inps l’adempimento annuale è previsto entro il 30 novembre 2021 per alcuni soggetti. In particolare i titolari di pensione con decorrenza compresa entro l’anno 2020, i soggetti al divieto di cumulo parziale della pensione con reddito di lavoro autonomo, devo presentare la dichiarazione per i redditi da lavoro autonomo conseguiti nell’anno 2020.

I soggetti esclusi da questa dichiarazione

Non sono tenuti a presentare questa dichiarazione i soggetti titolari di pensione ed assegno di invalidità avente decorrenza entro il 31 dicembre 1994. Inoltre sono esclusi:

  • i titolari di pensione di vecchiaia;
  • i soggetti titolari di pensione di anzianità e di trattamento pensionistico a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima;
  •  titolari di pensione di vecchiaia liquidata nel sistema contributivo, in quanto dal 1° gennaio 2009 tale pensione è totalmente cumulabile con i redditi da lavoro;
  • i titolari di pensione o assegno di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, delle forme di previdenza esonerative, esclusive, sostitutive della medesima, delle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi con un’anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni.

Redditi/pensioni: alcuni approfondimenti

Alcune precisioni in tale materia sono importanti. L’articolo 10, comma 5, del D.lgs n.503 del 1992 stabilisce che i trattamenti pensionistici sono totalmente cumulabili con i redditi derivanti da attività svolte in programmi di reinserimento degli anziani in attività socialmente utili. Tuttavia devono essere attività promosse da enti locali o istituzioni private e pubbliche. Pertanto tali redditi non assumono alcun rilievo nell’applicazione del divieto del cumulo con la pensione ottenuta. Inoltre, la legge stabilisce che le indennità percepite per l’esercizio della funzione di giudice di pace sono cumulabili con i trattamenti pensionistici.

Il caso dell’inabilità

Il trattamento pensionistico di inabilità prevede che le quote di pensioni dirette di anzianità, invalidità, e assegni diretti di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, eccedenti l’ammontare minimo del Fondo pensioni, sono cumulabili con i redditi da lavoro. La misura è del 70%  e sono cumulabili nella misura del 50% con i redditi da lavoro dipendente; nel caso di reddito da lavoro autonomo le relative trattenute non possono, in ogni caso, superare il valore pari al 30% dei predetti redditi.

Modalità di presentazione della domanda

Per presentare la dichiarazione dei redditi il pensionato può accedere alle prestazioni e servizi Inps attraverso il sito www.inps.it. Tuttavia l’accesso è possibile attraverso il sistema Spid, carta nazionale dei servizi, o carta di identità elettronica. A questo punto occorre cliccare sulla voce “Prestazioni e servizi” e selezionare “Dichiarazione Reddituale- RED semplificato”. Nel successivo pannello occorre scegliere la Campagna di riferimento: 2021 (dichiarazione redditi per l’anno 2020). Inoltre qualora i soggetti risultassero inadempienti è prevista sanzione. Questa ha un importo pari somma annua della pensione percepita cui si riferisce la dichiarazione mancante. La somma sarà prelevata direttamente dall’Inps competente sulle rate di pensione dovute al trasgressore.

Partite Iva, atteso in GU il nuovo contributo a fondo perduto: ecco le attività e i codici Ateco interessati

È atteso in Gazzetta Ufficiale il nuovo contributo a fondo perduto per le partite Iva e le attività rimaste chiuse per l’emergenza Covid. Il provvedimento decreterà le modalità di accesso al contributo: il presupposto è la chiusura per almeno 100 giorni nel periodo dal 1° gennaio al 25 luglio 2021.

Presentazione domanda contributi a fondo perduto partite Iva: in attesa indicazione Agenzia entrate

Il decreto, adottato di concerto dal ministero dello Sviluppo economico e quello dell’Economia, individua le partite Iva beneficiarie del fondo perduto disponendo aiuti per 140 milioni di euro. L’aiuto verrà erogato direttamente dall’Agenzia delle entrate sul conto corrente bancario o postale da indicare nella domanda. Le indicazioni per la domanda del contributo a fondo perduto saranno contenute in un provvedimento che verrà adottato dall’Agenzia delle entrate entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale.

Requisiti per presentare domanda contributi a fondo perduto

Oltre alla chiusura per 100 giorni della propria attività, tra i requisiti per presentare domanda del nuovo contributo a fondo perduto figura l’appartenenza della propria attività a uno dei codici Ateco beneficiari della misura. La correlazione della propria attività a uno dei 27 codici Ateco destinatari degli aiuti deve essere in corso di validità alla data del 26 maggio 2021.

Nuovi contributi a fondo perduto, quali sono gli importi degli aiuti?

Differenti sono gli aiuti alle discoteche, sale da ballo, night club e simili. Identificati con il codice Ateco 93.29.10, le attività avranno come requisito della chiusura un lasso di tempo più lungo. Infatti, i 100 giorni di chiusura dovranno essere compresi tra il 1° gennaio e il 23 luglio 2021. Inoltre, l’importo erogato ai soggetti autonomi rientranti in questo codice Ateco può arrivare a 25 mila euro per una dotazione complessiva prevista di 20 milioni di euro.

Importi contributi a fondo perduto: importi da 3 mila a 12 mila euro

Le altre risorse per i contributi a fondo perduto sono ripartite tra gli altri codici Ateco in base agli importi seguenti:

  • aiuti per 3 mila euro per gli autonomi con ricavi e compensi fino a 400 mila euro. Il periodo di riferimento è il periodo d’imposta del 2019;
  • contributi per 7.500 euro per ricavi e compensi da 400 mila a un milione di euro;
  • aiuti di 12 mila euro per lo scaglione successivo, ovvero per ricavi nel 2019 superiori a 1 milione di euro.

Il contributo minimo è di 3 mila euro nel caso in cui le domande siano in eccesso rispetto alle risorse messe a disposizione. In questa situazione, si procedere con una rimodulazione degli aiuti.

I codici Ateco e le attività che possono richiedere il nuovo contributo a fondo perduto

Ecco dunque, a eccezione delle discoteche e simili di cui abbiamo indicato già il codice Ateco, le altre attività destinatarie dei contributi a fondo perduto. Nel dettaglio:

  • 47.78.31 relativo al commercio al dettaglio di oggetti d’arte (incluse le gallerie d’arte);
  • 49.39.01 sulle gestioni di funicolari, ski-lift e seggiovie se non parte dei sistemi di transito urbano o suburbano;
  • 56.21.00 per catering per eventi e banqueting;
  • 59.14.00 per attività di proiezione cinematografica.

Aiuti Covid ad attività di eventi,  corsi e artistiche

Tra le attività autonome che svolgono corsi ed eventi, destinatarie dei nuovi aiuti a fondo perduto, troviamo:

  • 79.90.11 per i servizi di biglietteria per eventi;
  • 82.30.00 relativo all’organizzazione di convegni e fiere;
  • 85.51.00 per i corsi sportivi e ricreativi;
  • 85.52.01 per i corsi di danza;
  • 90.01.01 per le attività nel campo della recitazione;
  • 90.01.09 per altre rappresentazioni artistiche;
  • 90.02.09 per le altre attività di supporto alle rappresentazioni artistiche.

Contributi a fondo perduto ad attività dello spettacolo, palestre e discoteche

Tra le attività destinatarie di aiuti Covid si ritrovano quelle addette alla gestione di teatri, settori dello spettacolo e di impianti sportivi. Nel dettaglio:

  • 90.04.00 per la gestione di teatri, sale da concerto e altre strutture artistiche;
  • 91.02.00 relativo alle attività di musei;
  • 91.03.00 sulla gestione di luoghi e monumenti storici e attrazioni simili;
  • 92.00.02 per la gestione di apparecchi che consentono vincite in denaro;
  • 92.00.09 per le altre attività connesse con le lotterie e le scommesse;
  • 93.11.10 sulla gestione di stadi;
  • 93.11.20 per la gestione di piscine;
  • 93.11.30 per la gestione di impianti sportivi polivalenti;
  • 93.11.90 per la gestione di altri impianti sportivi non altrimenti classificati;
  • 93.13 relativo alla gestione di palestre;
  • 93.21 inerente i parchi di divertimento e parchi tematici;
  • 93.29.10 le discoteche, sale da ballo night-club e simili;
  • 93.29.30 per le sale giochi e biliardi;
  • 93.29.90 per le altre attività di intrattenimento e di divertimento non altrimenti classificati;
  • 96.04 sui servizi dei centri per il benessere fisico;
  • 96.09.05 per le organizzazione di feste e cerimonie.

Quanti contributi si pagano con una partita Iva?

I titolari di partita Iva sono soggetti al pagamento dei contributi all’Inps o alla Cassa previdenziale di appartenenza. La contribuzione è legata ai soggetti che esercitano un’attività commerciale oppure professionale, in forma autonoma o associata. I contributi previdenziali, per chi vuole aprire una partita Iva o per chi già esercita in proprio, rappresentano una quota consistente delle uscite, pari mediamente a circa un quarto dei redditi annuali.

Contributi previdenziali, pagamento all’Inps o alla Cassa professionale?

Risulta importante chiarire fin dall’inizio che i contributi possono essere pagati all’Inps o alla Cassa previdenziale. Nel primo caso, sono tenuti al pagamento gli artigiani, i commercianti e i professionisti che non hanno una cassa previdenziale. A quest’ultima sono tenuti al pagamento dei contributi i professionisti iscritti a un albo o a un ordine professionale.

Contributi previdenziali: quali differenze in base all’attività che si esercita

I contributi da versare, all’Inps o alla Cassa previdenziale, non sono uguali per tutte le categorie di lavoratori autonomi. L’importo da versare, infatti, dipende da quale attività si svolga e a quale delle grandi categorie si rientri tra:

  • artigiani;
  • commercianti;
  • lavoratori autonomi senza Cassa previdenziale;
  • autonomi con Cassa previdenziale.

Contributi previdenziali di artigiani e commercianti

Rientrano nella categoria degli artigiani i lavoratori in proprio la cui attività è rivolta alla produzione di beni o di servizi. Esempi di artigiani si ritrovano negli idraulici, nei falegnami, negli elettricisti, nei pasticceri e gelatai, nei massaggiatori, nei parrucchieri ed estetisti, nei fotografi. I commercianti, invece, svolgono la propria attività autonoma acquistando e vendendo beni di consumo.

Contributi Inps fissi e a percentuale per gli artigiani e i commercianti

I contributi Inps che pagano gli artigiani e i commercianti partita Iva sono fissi e a percentuale. I contributi fissi sono sempre dovuti, indipendentemente dai compensi percepiti annualmente dalle due categorie. Se un artigiano, nell’anno di riferimento, non percepisce redditi, deve comunque versare all’Inps i contributi. La somma da versare è comunicata, anno per anno, proprio dall’Inps con apposita comunicazione. Per l’anno 2021 gli artigiani devono versare contributi fissi per 3.836 euro, mentre i commercianti 3.850 euro.

Artigiani e commercianti, quando si pagano i contributi fissi e i contributi a percentuale

Artigiani e commercianti pagano l’importo stabilito dall’Inps per i contributi fissi in quattro rate annuali. Il primo pagamento deve avvenire entro il 16 maggio, il secondo entro il 20 agosto, il terzo entro il 16 novembre e l’ultimo entro il 16 febbraio dell’anno successivo. Tuttavia, se il reddito annuale delle due categorie supera i 15.953 euro, si dovranno pagare anche i contributi a percentuale.

Partite Iva, contributi Inps a percentuale: quanto si paga?

Sono due essenzialmente le soglie di reddito per i pagamenti a percentuale di artigiani e commercianti con partita Iva. Tutte le percentuali vanno pagate per la parte di reddito che eccede i 15.953 euro. Le percentuali variabili, dunque, vanno ad aggiungersi ai contributi fissi da pagare all’Inps.  In particolare:

  • per redditi da 15.953 euro fino a 47.379 euro, gli artigiani nel 2021 pagano il 24%, i commercianti il 24,09%;
  • per redditi oltre la soglia dei 47.379 euro gli artigiani pagano il 25% e i commercianti il 25,09%.

Esempi di pagamento di contributi Inps per artigiani e commercianti

Se un contribuente, artigiano o commerciante con partita Iva, ha un reddito annuale di 11.000 euro, dovrà pagare i contributi fissi non superando la soglia minima di 15.953 euro. Il pagamento deve avvenire entro le 4 scadenze fissate annualmente. Se, invece, il reddito è pari a 26.000 euro, oltre ai minimi contributivi stabiliti annualmente, la partita Iva (ad esempio, un artigiano) dovrà pagare il 24% sulla differenza tra 26.000 euro e 15.953 euro (10.047 euro), pari a 2.411 euro.

Partite Iva, totale dei contributi Inps da versare tra fissi e a percentuale

Il totale dei contributi dovuti dall’artigiano sono pari a 3.836 euro di contributi fissi più 2.411 euro di contributi a percentuale, per un complessivo di 6.247 euro. Se il reddito è elevato, i contributi da pagare dall’artigiani possono essere molto più alti. Ad esempio, se il reddito da dichiarare è pari a 60.000 euro, oltre ai contributi fissi di  3.836 euro, l’artigiano dovrà pagare:

  • il 24% sulla differenza tra 47.379 euro e 15.953 euro, pari a 7.452 euro;
  • il 25% sulla differenza tra 60.000 euro e 47.379, pari a 3.155 euro;
  • il totale dei contributi che l’artigiano dovrà versare è pari a 3.836 euro più 7.452 euro più 3.155 euro, ovvero 14.443 euro di contributi previdenziali Inps.

Scadenze del pagamento dei contributi Inps a percentuale

I contributi a percentuale, a differenza di quelli fissi, hanno due scadenze: la prima al 30 giugno, la seconda al 30 novembre. Inoltre, artigiani e commercianti hanno massimali contributivi, oltre i quali non si pagano contributi. Per il 2021 il massimale fissato dall’Inps è pari a 103.055 euro. Eventuali redditi eccedenti questo massimale non sono soggetti ad alcun contributo previdenziale.

Contributi Inps dei lavoratori con partita Iva e senza Cassa previdenziale

I lavoratori autonomi con partita Iva e senza l’iscrizione a una Cassa previdenziale di appartenenza, hanno l’obbligo dell’iscrizione alla Gestione separata Inps. Dall’iscrizione ne deriva l’obbligo del pagamento dei contributi previdenziali che per il 2021 sono pari al 25,98% dei redditi dell’anno di riferimento. Rispetto agli artigiani e ai commercianti, i lavoratori autonomi come freelance e liberi professionisti senza albo a titolo di esempio, non pagano i contributi Inps fissi. L’importo da pagare, dunque, è in proporzione a quanto si guadagna. Tuttavia, è importante raggiungere il tetto minimo dei 15.953 euro fissati dall’Inps. Infatti, al di sotto di questa somma, l’Inps non accredita l’anno di contributi utile ai fini della pensione. Il massimale è fissato, invece, a 103.055 euro per il 2021.

Partite Iva con Cassa previdenziale autonoma: quali contributi?

I calcoli e i contributi fatti per artigiani, commercianti e autonomi con partita Iva ma senza albo o ordine professionale, non valgono per i professionisti appartenenti a una Cassa previdenziale. Ad esempio, gli avvocati hanno la propria Cassa previdenziale, come anche gli ingegneri, i giornalisti e gli architetti. Per il calcolo dei contributi da versare è necessario, pertanto, far riferimento alle regole e ai calcoli della propria Cassa previdenziale di appartenenza. Solo in mancanza di una Cassa previdenziale, come ad esempio avviene per i consulenti aziendali, sono da applicare le regole dei lavoratori autonomi con partita Iva ma senza Cassa.