Cosa si intende per goodwill per un’azienda

Ogni impresa presente e operante sul mercato ha un valore intangibile che va sotto il nome di goodwill. Si tratta, nello specifico, del cosiddetto avviamento d’azienda che è originario quando questo valore intangibile viene creato e generato internamente.

Mentre si parlerà di avviamento d’azienda derivativo quando questo è riconducibile ad attività che sono state acquisite. Chiarito cosa si intende per goodwill per un’impresa, vediamo di chiarire e di approfondire pure tutti i principali aspetti che sono legati proprio all’avviamento d’azienda.

Cos’è per definizione la goodwill o avviamento d’impresa

Come valore intangibile, la goodwill o avviamento aziendale non è altro che il risultato di una differenza. Una differenza che in genere è positiva, e che è data dal valore in eccesso che emerge tra il valore di mercato di un’impresa, e la somma delle attività e delle passività.

Ma ci sono casi in corrispondenza dei quali la goodwill è negativa. E questo emerge, per esempio, quando un’azienda viene ceduta ad un valore che è inferiore a quello che è dato dalla somma delle sue attività e delle sue passività.

In quali casi emerge la goodwill come valore intangibile di un’azienda

La goodwill come valore intangibile di un’azienda emerge quando c’è un’operazione di cessione. In tal caso l’acquirente per rilevare l’impresa dovrà sborsare un maggior costo che è dato proprio dal valore attribuito all’avviamento aziendale. Nel quale può rientrare, prima di tutto, il valore del marchio, ma anche i brevetti, le relazioni con i dipendenti e con i fornitori, nonché la base di clienti che è stata acquisita.

In più, in base a quelli che sono i principi della contabilità internazionale, la goodwill a bilancio non può essere soggetta ad ammortamento, ma annualmente il valore dell’avviamento può essere comunque rivisto e corretto in presenza di cambiamenti.

Quali riferimenti per la goodwill nell’ordinamento giuridico italiano

Nell’ordinamento giuridico italiano non c’è nel codice civile un riferimento esplicito relativo all’avviamento. Ed è per questo che, come sopra accennato, il valore di avviamento emerge per un’impresa italiana quando si effettuano le operazioni di trasferimento, in tutto o in parte, delle quote societarie. Trattandosi di un valore intangibile e soggettivo, di conseguenza, le operazioni di cessione di un’azienda possono avvenire pure attraverso una sopravvalutazione del suo valore di avviamento. Il che comporterà per l’acquirente, nella fattispecie, l’assunzione di maggiori costi.

Email e account social: l’azienda può controllare quelli dei lavoratori?

Molto spesso ci si chiede quali sono i limiti di controllo sul proprio dipendente in azienda. Possono le e-mail e gli account social di un lavoratore essere controllati dal proprio datore di lavoro? Scopriamo qualcosa di più sull’argomento.

Controllo sul lavoratore, cosa c’è da sapere

Partiamo col dire che un dipendente aziendale dovrebbe esimersi dall’utilizzare social ed e-mail personale durante le ore di lavoro, sebbene una sbirciatina sia lecita concederla durante qualche pausa.

Ma dove finisce il limite di libertà e privacy per un dipendente? Può essere controllato dal proprio datore di lavoro?

Stando a normative giuridiche, il datore di lavoro può stabilire delle regole sull’uso del pc a scopo personale o su eventuali «distrazioni» durante il turno di lavoro. Tuttavia, il dipendente deve ben essere conscio dei rischi che corre. A tal proposito, l’azienda è obbligata a mettere a disposizione del lavoratore la propria policy con diritti e doveri e con la modalità in cui potranno essere fatti dei controlli su quello che il personale fa durante il giorno. Andiamo a scoprire nel dettaglio se e come l’azienda può verificare e-mail e social al lavoro.

Policy aziendali, cosa sono?

Quando si parla di policy aziendale si parla di un regolamento interno o noto come codice di condotta che sia in linea con quanto disposto dallo Statuto dei lavoratori e che va rispettato dentro e fuori il luogo di lavoro. Solitamente, viene consegnata al dipendente al momento dell’assunzione.

Quindi con la policy vige un duplice intento, quello di garantire una gestione efficiente del personale ed evitare che i dipendenti, con il loro comportamento durante la giornata di lavoro o in un contesto esterno possano nuocere all’immagine e agli interessi dell’azienda.

Dunque, la policy aziendale contiene le regole di comportamento dei dipendenti, andando a riassumere. E, quindi vi sono incluse anche quelle che riguardano l’uso di e-mail e social al lavoro che, come accennato, avviene con strumenti messi a disposizione dei dipendenti dal datore affinché possano svolgere la loro attività.

Cosa può controllare l’azienda

Andiamo, però, in merito alla questione a vedere cosa può effettivamente controllare l’azienda riguardo all’uso del computer del dipendente.

Dunque, possiamo dire che l’ azienda può entrare in maniera legittima nella casella di posta elettronica aziendale del lavoratore utilizzando la password che ha il diritto di chiedere a chi custodisce le parole chiave dei diversi account. Ma il datore non può in nessun caso controllare la posta privata del dipendente.

Anche controllare costantemente la cronologia del proprio dipendente, sul computer può rivelarsi un abuso.

A tal proposito, la dignità e la libertà del lavoratore devono essere sempre e comunque salvaguardate, a meno di avere, ad esempio, dei concreti indizi su un’eventuale attività illecita del dipendente attraverso i dispositivi aziendali.

I social sono vietati al dipendente?

A tale questione, possiamo dire che si può in modo legittimo individuare preventivamente una lista di siti che possono essere visitati per motivi professionali, così come attuare un blocco su altri come, ad esempio, quelli che consentono l’accesso a social network o ad esempio servizi di messaggistica o di download. Una opzione che il datore può adottare pure per motivi di sicurezza, cioè per evitare che i dispositivi rimangano infettati da virus che possano compromettere la rete aziendale.

Quindi, come detto il controllo può riguardare anche l’accesso dei dipendenti ai social network.

Questo comporta non soltanto di accertarsi della frequenza con cui ci si collega a Facebook, o ad altri social network, ma anche per verificare il contenuto dei post pubblicati dai lavoratori, in modo da potersi tutelare da eventuali rischi che rovinino l’immagine dell’azienda.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla questione.

Passaggio generazionale azienda e neutralità fiscale

Al fine di favorire la continuità aziendale il legislatore ha previsto delle agevolazioni per il passaggio generazionale. Vi sono però delle limitazioni all’applicazione di tale principio e a sottolinearle è la Corte di Cassazione con l’ordinanza 33789 del 2021.

Neutralità fiscale nel passaggio generazionale

La normativa sul passaggio generazionale delle aziende mira a trasferire a soggetti terzi ( in passato solo eredi, oggi qualunque terzo) l’azienda senza applicazione di imposte e quindi in regime di neutralità fiscale. L’obiettivo è favorire la continuità aziendale e quindi assicurare un passaggio non traumatico da una gestione all’altra. Generalmente si vuole favorire la sopravvivenza di aziende solide che potrebbero essere danneggiate da un passaggio generazionale tassato con regole ordinarie. L’articolo 58 del TUIR, Testo Unico Imposte sul Reddito, prevede che “Il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa; l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa.”

Vi sono però dubbi interpretativi su tale norma in particolare nel caso in cui la donazione avviene non in favore di una persona fisica ma di una società.

Il caso concreto: passaggio generazionale in favore di SRL

Nel caso concreto un imprenditore cede con atto di donazione un ramo d’azienda del valore di oltre 177.000 euro a una SRL che aveva come socio al 50% la figlia del donante.

L’imprenditore intende tale donazione fatta in applicazione del principio di neutralità fiscale dell’articolo 58 del TUIR, ma l’Agenzia delle Entrate impugna l’atto ritenendo invece che i proventi conseguiti dalla SRL a titolo di liberalità debbano essere considerati sopravvenienze attive e conseguentemente tassati.

Naturalmente il contribuente decide di impugnare l’atto dell’Agenzia delle Entrate e la Commissione Tributaria Provinciale accoglie la posizione dell’Agenzia delle Entrate. La parte propone ricorso in secondo grado e la Commissione Tributaria Regionale accoglie invece la tesi del contribuente. Secondo questa la donazione doveva essere considerata come un passaggio generazionale anche se avvenuto tra un’impresa individuale e una Società. A questo punto è l’Agenzia delle Entrate a proporre un ulteriore appello in Cassazione e la Corte offre un’interpretazione in linea con quella della Commissione Tributaria Provinciale.

Secondo l’Agenzia delle Entrate la neutralità fiscale prevista dal comma 1 dell’articolo 58 del TUIR si applica esclusivamente quando il donatario è una persona fisica, mentre nel caso in cui il donatario sia una società o un imprenditore, trova applicazione l’articolo 58, ma comma 3 che tratta le plusvalenze e riconosce in capo al donatario, una sopravvenienza attiva, ex art. 88, comma 3, lett. b) .

Ordinanza 33789 del 12 novembre 2021 della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, in linea con l’Agenzia delle Entrate, afferma che in realtà la neutralità fiscale dell’articolo 58 comma 1 del TUIR si realizza esclusivamente in capo al donante, ma non in capo al donatario, infatti, la tassazione viene semplicemente rimandata in un secondo momento in quanto in caso di successiva cessione o vendita del ramo di azienda, le plusvalenze realizzate vengono tassate. Precisa però la Corte di Cassazione nell’ordinanza citata che nel caso in cui il donatario non sia una persona fisica ma una società trova applicazione l’articolo 88 comma 3 del TUIR, questo stabilisce che sono considerate sopravvenienze attive le liberalità. Lo stesso comma sottolinea che “Tali proventi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto”.

Tale trattamento differenziato a seconda che il destinatario della donazione sia una persona fisica o una società commerciale è dovuto al fatto che nel secondo caso non è possibile distinguere tra la sfera personale e quella imprenditoriale del soggetto che si vorrebbe beneficiare, in questo caso si tratta della figlia dell’imprenditore socia al 50% della SRL che dovrebbe beneficiare della liberalità.

La Corte di Cassazione ritiene che quindi nel caso in oggetto la SRL abbia solo la possibilità di scegliere tra la tassazione immediata nell’esercizio in cui i proventi sono incassati oppure in quote costanti per i successivi 4 anni.

Passaggio generazionale: la neutralità fiscale si applica sono tra impresa individuale e persona fisica

Riassumendo, nel caso in cui un imprenditore voglia ottenere i benefici fiscali inerenti il passaggio generazionale dell’azienda, la donazione della stessa o di un ramo della stessa non deve essere fatta in favore di un ente commerciale collettivo o una società, ma in favore di una persona fisica.

A questo punto occorre ricordare che le aziende agricole sono sottoposte a una normativa speciale, per saperne di più leggi l’articolo: Patto di famiglia per la continuità dell’azienda agricola

Cosa succede quando un minore eredita un’azienda?

I minori, come già visto in precedenza, possono ereditare dei beni, sia a titolo di successione testamentaria sia in caso di successione senza testamento. Quando si tratta di beni di facile gestione, tutto è più semplice, mentre possono esservi difficoltà nel caso in cui si tratti di un’attività commerciale, un’azienda. Ecco cosa succede quando un minore eredita un’azienda.

Ordinaria amministrazione e straordinaria amministrazione

La legge prevede che quando è necessario gestire beni dei minori, chi esercita la responsabilità genitoriale o i tutori devono occuparsi dell’ordinaria amministrazione, questa è inerente gli atti che non possono mettere a rischio il patrimonio del minore. Nel caso in cui invece gli atti possano mettere a rischio il suo patrimonio, i genitori per poter agire hanno bisogno dell’autorizzazione del giudice tutelare.

L’articolo 320 del codice civile in modo esplicito afferma che l’accettazione dell’eredità fa parte degli atti di straordinaria amministrazione. Da ciò discende la prima conseguenza, cioè il minore per poter ereditare un’azienda deve ottenere l’autorizzazione del tribunale previo parere del giudice tutelare. Il giudice concede l’autorizzazione quando ritiene che questa possa essere utile al minore. L’accettazione di eredità da parte del minore è sempre con il beneficio dell’inventario, questo implica che di eventuali debiti del de cuius, il defunto, il minore risponderà esclusivamente con i beni ereditati e non con beni propri.

Superato questo primo scoglio dobbiamo capire una volta che il minore è diventato proprietario dell’azienda chi ha il compito di gestirla e quali sono i limiti della gestione.

Minore eredita un’azienda: chi la gestisce?

Sempre l’articolo 320 stabilisce che il minore può essere autorizzato alla continuazione dell’esercizio di impresa, ma per poterlo fare deve ottenere prima l’autorizzazione del tribunale dietro parere favorevole del giudice tutelare. Al fine di tutelare l’attività stessa in attesa della decisione del tribunale è possibile l’esercizio provvisorio dell’attività stessa, ma previa autorizzazione provvisoria del giudice tutelare.

Già da questa prima fase emerge con tutta evidenza che il legislatore vuole tutelare l’interesse del minore e la produttività dell’impresa stessa, cioè la sua capacità di produrre reddito.

Come funziona la gestione dell’azienda del minore?

La gestione dell’azienda segue le regole ordinarie, quindi i genitori con responsabilità genitoriale si occupano dell’ordinaria amministrazione fino al compimento della maggiore età del figlio. In questo caso si parla anche di genitori in qualità di rappresentanti legali del minore. Per gli atti di straordinaria amministrazione, ad esempio chiusura dell’attività, alienazione della stessa o di un ramo, fusione, trasferimento dell’azienda, trasformazione, occorre l’autorizzazione del tribunale.

L’articolo 324 del codice civile invece stabilisce che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno anche l’usufrutto sui beni del figlio e i frutti sono destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione dei figli. Questo implica che i frutti possono essere utilizzati anceh per le esigenze dei fratelli di colui che ha ereditato.

Minore eredità un’azienda: quali sono i limiti all’usufrutto legale?

In base all’articolo 324 del codice civile, l’usufrutto sui beni del minore e quindi anche sull’azienda non nasce neanche nel caso in cui i genitori avevano manifestato il loro dissenso all’accettazione dell’eredità e di conseguenza la stessa sia stata accettata dal tutore su autorizzazione del tribunale. Nel caso in cui uno solo dei genitori era favorevole all’accettazione dell’eredità, solo a costui spettano i frutti. In base all’articolo 326 del codice civile l’usufrutto legale, cioè previsto per legge, come quello dei genitori sui beni del figlio, non può essere oggetto di alienazione, pegno o ipoteca, inoltre sullo stesso non possono trovare soddisfazione di creditori dei genitori.

Dei limiti sono previsti anche nel caso in cui il genitore esercente la potestà genitoriale passi a nuove nozze, in questo caso non può usare i frutti per le esigenze della famiglia, ma solo per le esigenze del minore mentre i restanti utili devono essere accantonati per i figli.

Naturalmente sugli atti compiuti dai genitori possono essere effettuati dei controlli, infatti l’articolo 330 del codice civile afferma che il giudice può pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale se questo viola o trascura i suoi doveri, inoltre può disporre l’allontanamento del figlio.

Limiti del tutore

Nel caso in cui i genitori non esercitino la responsabilità genitoriale, oppure siano venuti meno, l’amministrazione dei beni spetta al tutore, ma questo ha dei limiti diversi rispetto a quelli dei genitori. In questo caso si deve fare riferimento all’articolo 374 del codice civile il quale stabilisce che il tutore senza l’autorizzazione del tribunale non può provvedere a riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l’ordinaria amministrazione del suo patrimonio.

Naturalmente al tutore non si può riconoscere il diritto al godimento dei frutti prodotti dal bene del minore.

Per saperne di più sulla gestione dei beni del minore, leggi gli articoli:

Amministrazione e vendita beni di minori: come ci si deve comportare

Il minore emancipato: lavorare non basta per ottenere il riconoscimento

La trasformazione delle società: come e quando è possibile

La trasformazione delle società è possibile. Il procedimento di trasformazione e gli effetti che questo genera meritano un approfondimento.

La trasformazione delle società: cos’é?

Le società possono “trasformarsi”. Possono quindi mutare il tipo, la forma giuridica della società, seguendo alcune regole. Anche se con la trasformazione non vuol dire che la società smette di essere, ma solo che ne nasce una nuova da una pre-esistente. Una continuazione della storia della società, ma che cambia la sua personalità giuridica. Ed il patrimonio, le persone che vi lavorano i mezzi spesso passano alla nuova società per continuare la loro attività. Un esempio classico è la trasformazione di società in di persone in socità di capitali, magari perché sono diventate più grandi e maggiormente apprezzate sul mercato. Ma esiste anche il procedimento opposto.

La trasformazione delle società: il procedimento

La legge continua a prescrivere cha la decisione di trasformazione debba essere adottata nelle forme e secondo le regole previste per la modifica del contratto o dello statuto. Nel caso delle società di persone, (Articolo 2500 del c.c.) il socio che non vuole dare il proprio consenso, ha comunque il diritto al recesso. Mentre nelle società di capitali la trasformazione è rimessa all’assemblea straordinaria che delibera con la maggioranza prevista.

Ad esempio nel caso di trasformazione in società di persone è richiesto il consenso dei soci che, a seguito dell’operazione, vengono ad assumere un’illimitata responsabilità per le obbligazioni sociali. Se a trasformarsi in società di capitali è un consorzio, la decisione deve essere assunta dalla maggioranza assoluta dei consorziati. Mentre nelle società consortili e nelle associazioni riconosciute occorre la maggioranza richiesta dalla legge o dall’atto costitutivo. Infine nelle fondazioni dall’autorità governativa su preposta dell’organo competente.

L’atto di trasformazione: deve variare anche lo statuto

Affinché la modifica contrattuale possa produrre gli effetti desiderati è necessario che l’atto modificato rispetti le forme e il contenuto dell’atto costitutivo dell’ente nella quale si intende trasformarsi. Infatti l’articolo 2500 del c.c. dispone che “l’atto di trasformazione è soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato e alle forme di pubblicità relativa. Nonché alla pubblicità richiesta per la cessazione dell’ente che effettua la trasformazione“.

Naturalmente in ogni ipotesi di cambiamento, l’iscrizione al registro delle imprese, ne determina la personalità giuridica. Inoltre la decisione di trasformazione deve essere formalizzata per atto pubblico. Lo statuto deve contenere le indicazioni previste dalla legge per l’atto di costituzione del tipo adottato.

Altre indicazioni da rispettare

Il capitale sociale deve essere non superiore al valore effettivo del patrimonio dell’ente trasformato. Inoltre se la società si trasforma da persone a capitali, ciascun socio ha diritto all’assegnazione di un numero di azioni o quote ai soci o ai partecipanti.

Mentre se passano a società di capitali, le associazioni riconosciute, vale il principio della suddivisione del capitale sociale in parti uguali. Più complessa è, invece, l’ipotesi di assegnazione delle azioni a seguito di trasformazione delle fondazioni, per la quale la legge si limita a richiamare le eventuali regole espresse nei singoli atti costitutivi. Ma in mancanza si procede con le disposizioni dettate per l’ipotesi di devoluzione dei beni che residuano al termine del procedimento di liquidazione dell’ente.

Quali sono gli effetti per i soci della società

In merito agli effetti è importante il destino dei soci. Come già anticipato se la trasformazione ha luogo da una società con soci a responsabilità limitata in cui tutti i soci diventano illimitatamente responsabili, costoro assumono una responsabilità personale. Nel caso, inverso di trasformazione di società con soci a responsabilità illimitata in una società con soci a responsabilità limitata, la trasformazione non libera i soci dalla responsabilità per le obbligazioni sociali sorte prima del cambiamento.

Tranne nel caso in cui i creditori sociali abbiano acconsentito alla liberazione dei soci dalla responsabilità personale. Questo consenso si presume se i creditori, che hanno ricevuto regolare comunicazione, non abbiano negato espressamente la loco adesione nel termine di 70 giorni dal ricevimento della notifica. Infine, i soci illimitatamente responsabili sono assoggettati al fallimento, anche se la trasformazione è avvenuta, se le obbligazioni precedenti non sono state soddisfatte.

La scissione e la scorporazione d’azienda: il procedimento

La scissione e la scorporazione d’azienda sono state riviste dalla Riforma societaria del 2003. Ecco in che modo funzionano.

La scissione e la scorporazione di società: cosa sono?

La scissione è una divisione di una società che si verifica quando una società assegna l’intero, o parte, suo patrimonio a più società. Tuttavia le società possono essere preesistenti oppure di nuova costituzione. Inoltre il legislatore, nella riforma sulle società del 2003, ha disposto che la società scissa può “attuare il proprio scioglimento senza liquidazione”. Questo si verifica soprattutto quando viene ceduto l’intero patrimonio della società, che quindi continua a vivere nel corpo di un’altra.

Con la scorporazione una società conferisce una parte o tutte le sue attività produttive ad uno o più società, ottenendo un quantitativo di azioni pari al valore del conferimento. Ma proponendosi anche di gestire la partecipazione al capitale di questa società acquisita. Questa procedura è molto più frequente nelle società industriali.

Il procedimento da seguire per la scissione

Il procedimento di scissione prevede che l’organo amministrativo delle società partecipanti redige un progetto. Ebbene il progetto deve contenere “l’esatta descrizione degli elementi patrimoniali da assegnare a ciascuna delle società beneficiarie e dell’eventuale conguaglio monetario”.

Inoltre devono essere specificati i criteri di distribuzione delle parti o quote, indicando altresì il valore effettivo del patrimonio assegnato alle società beneficiarie. Anche se nel caso di scissione parziale va specificato la quota che rimane alla società iniziale. Ma può succedere che non tutti i soci siano d’accordo nella scissione dell’azienda. Affinché ci sia parità di trattamento i soci che non approvino questa operazione hanno il diritto a chiedere ed ottenere l’acquisto delle loro quote da parte degli altri soci.

Le varie tipologie di scissione

Esistono varie tipologie di divisioni delle società. Ad esempio la scissione si dice omogenea quando le società beneficiarie appartengono alla medesima categoria della società scissa. Mentre è eterogenea quando le società beneficiarie si presentano di diversa categoria.

Una cosa è certa da un punto di vista patrimoniale si realizza una suddivisione del patrimonio sociale.  Al riguardo, a seguito di tale operazione è possibile suddividere il patrimonio sociale mediante un suo trasferimento alle nuove società (in questo caso di parla di scissione in senso stretto) o a più società preesistenti (in tal caso si ha una scissione per incorporazione).

La costituzione della nuova società

La costituzione di nuove società, a seguito di una scissione, porta ad un problema particolare: se si può costituire una nuova società mediante l’approvazione del progetto di scissione. Il legislatore ha risolto la questione dicendo che alle società con unico azionista si ammette la costituzione, ma con una specifica disciplina.

Pertanto la necessità è che siano i soci della società scissa a deliberare, atti costitutivi e statuti della nuova società. Quindi se la scissione della società è come una mera modificazione dell’atto costitutivo della società originaria, viene da se che risulta più semplice affermare che la costituzione delle nuove società sarà determinata dalla delibera di scissione e da tutti i suoi elementi.

Altre tipologie previste

Oltre a quelle fin ora espresse, esistono altre differenti forme di scissione, che possiamo così riassumere:

  • proporzionale, quando le quote assegnate ai soci sono proporzionali a quelle possedute nella società scissa;
  • non proporzionale, quando le quote sono assegnate non modo differente nella nuova società rispetto alla precedente;
  • asimmetrica, quando  in cui alcuni dei soci della scissa non vedano attribuirsi quote della società beneficiaria ma solamente della stessa scissa.

Quali sono gli effetti?

La scissione produce effetti dal momento in cui avviene l’ultima delle iscrizioni dell’atto nell’ufficio del Registro delle  imprese in cui sono iscritte le società beneficiarie. Anche se è possibile prevedere una data successiva, tranne nel caso di scissione mediante la nascita di nuove società.

Al primo bilancio successivo alla scissione verrà applicato il principio della continuità dei valori contabili. Inoltre ciascuna società è solidamente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società a cui essi fanno carico. Però è anche vero che questa garantisce una doppia tutela per i creditori sociali, che saranno pagati.

Il magazzino: un’area strategica per tutte le imprese

Il magazzino è una parte dell’azienda che può non sembrare, ma ha un’elevata capacità strategica. Ecco alcune riflessioni in merito.

Il magazzino: la sua funzione strategica

Nelle imprese mercantili, ad esempio, il magazzino è costituito da merci, imballi, ed altri materiali. In questo tipo di aziende, la sua funzione di ricevimento materie prime e gestione del prodotto finito sono ben definite. Per questo motivo a volte le grandi imprese, hanno strutture diverse per queste due funzioni. Anche perché avendo a disposizione spazi per la conservazione, le aziende possono comprare le materie prime in grandi stock quando il “prezzo è favorevole“. Mentre frenare gli acquisti quando i prezzi sono troppo elevati, ma comunque senza mai fermare la produzione. E questa è la prima funzione strategica del magazzino, permette sempre di soddisfare la clientela, anche quando ci sono dei ritardi o difficoltà negli approvvigionamenti.

Il magazzino nelle imprese industriali

Nelle imprese industriali la presenza di scorte è maggiore. Infatti ci sono le scorte delle materie prime, sussidiari, componenti o semi lavorati. Ma anche occorre l’immagazzinamento di prodotti finiti o sotto prodotti destinati alla vendita. In queste imprese sarà necessario dividere gli spazi in aree funzionali. Nelle imprese industriali la funzione del magazzino consente, da un lato di svincolare l’andamento temporale della produzione in relazione agli approvvigionamenti e, dall’altro, nel definire i ritmi di produzione. Tutto deve muoversi in sincronia. Inoltre è sempre consigliabile una scorta di prodotti finiti per dare un andamento uniforme alla produzione, ma per rispondere sempre alla clientela, se le previsioni di vendita siano mero rosee della realtà. Ma senza esagerare, per non incorre in costi del non venduto troppo elevati che gravano sul bilancio d’esercizio.

Le imprese di servizi

Nelle imprese di servizi il ruolo del magazzino diventa molto marginale. Proprio perché in questo tipo di società manca proprio la componente degli approvvigionamenti, e quella di vendita di un prodotto fisico. Ad esempio, se un impresa di servizi si occupa di trasporti in auto, o noleggio, il magazzino potrebbe riguardare più che altro olio del motore, o pezzi di ricambio. Quindi la sua incidenza è davvero molto irrisoria nella vita aziendale. Tuttavia però fare una piccola scorta di quei materiali che possono essere utili alla continuità aziendale non è cosa sbagliata. E di conseguente questo potrebbe avere un’altra funzione strategica: cioè offrire sempre i propri servizi, senza dover interrompere anche quando ci sono dei periodi di picchi di domanda.

Ma come si struttura un magazzino?

La struttura e l’organizzazione di un magazzino possono differire sia tra imprese di diversi settori merceologici, ma anche all’interno dello stesso settore. Infatti vi sono aziende che hanno magazzini situati in un solo luogo, ed altri che li hanno in luoghi diversi, a volte anche sparsi nel mondo. Tuttavia la le aree fondamentali sono tre:

  • l’area di ricevimento delle materie prime;
  • lo stoccaggio;
  • l’area spedizione.

Nell’area di ricevimento delle merci si cerca di agevolare quanto più possibile lo scarico delle merci. Mentre nell’area dello stoccaggio si ha la conservazione dei prodotti. Infine l’area spedizione è quello spazio in cui i prodotti vengono prepararti per la consegna o per la spedizione. Tutti questi passaggi sono poi curati sul piano amministrativo-contabile dal personale addetto.

Come avviene il controllo delle scorte?

Il controllo delle scorte prevede di definire il livello della scorta per capire qual’è il punto di riordino delle materie prime. Ma non solo, perché i responsabili del magazzino devono sempre conoscere due elementi:

  • l’entità delle scorte;
  • la durata del loro ciclo di rinnovo, cioè il tempo in cui i beni restano all’interno del locale.

Un parametro molto usato per questo tipo di controllo è l’indice di rotazione delle scorte. Si tratta del numero delle volte in cui avviene il completo rinnovo degli stock in un determinato periodo di tempo.

Il valore delle rimanenze di magazzino

Altra problematica aziendale è quella delle rimanenze di magazzino. Sono le materie prime, i semilavorati, i prodotti finiti o le merci che devono essere valutate al costo di acquisto o di produzione, ovvero al valore di realizzazione desumibile dal mercato. Per valutare il valore delle scorte si prende come punto di riferimento l’art. 2426 del Codice Civile. Secondo questo articolo le immobilizzazioni devono essere valutate al costo di acquisto o di produzione. Mentre le rimanenze possono essere valutate secondo tre metodi:

  1. la media ponderata;
  2. Fifo (first in-first out) primo ad entrare- primo ad uscire;
  3. Lifo (las in-first out) ultimo ad entrare -primo ad uscire.

Ma qual’è quello più corretto? In realtà dipende molto dalle scelte aziendali e dal tipo di impresa. Il metodo Fifo consiste nel valorizzare gli scarichi del magazzino a partire dai primi carichi effettuati, ad esempio: il giorno 15 di ogni mese si ricevono merci da un fornitore, che vengono poi rivendute. Mentre il metodo Lifo definisce il valore delle scorte partendo dalla supposizione che vengano venduti prima i beni acquistati più recentemente.

Perdita aziendale: come si può procedere alla copertura?

La perdita aziendale non è altro che un risultato negativo del conto economico. Ecco come le aziende possono procedere per sanarla.

Perdita aziendale: cosa si può fare?

Si definisce perdita di bilancio l’eccedenza del totale delle componenti reddituali negative su quelle positive, emergente dal conto profitti e perdite relativo all’esercizio in considerazione. Una situazione che ovviamente rappresenta un segnale di allarme per l’imprenditore. Mentre nelle secondo l’articolo 2446 per le S.p.A. e S.a.p.a, e articolo 2482-bis per le S.r.l. in presenza di perdite ci sono degli obblighi particolari. Infatti se si parla di una perdita che riduca il capitale sociale di oltre 1/3, gli amministratori devono convocare l’assemblea dei soci e capire le strategie da adottare. Tuttavia ci sono dei modi diversi di agire, ma devono essere valutati attentamente.

La copertura delle perdite: i diversi modi

La copertura della perdita d’esercizio può avvenire secondo le seguenti modalità:

  • utilizzo parziale o totale delle riserva volontaria;
  • rinvio della perdita all’esercizio successivo;
  • riduzione del capitale sociale;
  • reintegro da parte dei soci.

La riserva volontaria è un accantonamento volontario di somme. Essa fa si che tutto l’utile conseguito e non distribuito, viene utilizzato come autofinanziamento. In altre parole nel momento in cui si registra una perdita, questa riserva viene usata per coprirla, senza intaccare il capitale sociale. Mentre il rinvio della perdita all’esercizio successivo può essere fatta quando la perdita non riduce il capitale sociale di oltre 1/3. Ma anche nel caso in cui la perdita riduce il capitale sociale di oltre 1/3, ma non al di sotto del limite minimo legale e l’assemblea convoca gli opportuni provvedimenti per questa “sospensione”.

La riduzione del capitale come copertura delle perdite

Durante la vita societaria possono esserci dei momenti di down che possono portare alla riduzione del capitale sociale. Tuttavia la diminuzione può essere virtuale o reale. Le diminuzioni virtuali o senza rimborso non danno luogo a uscite di mezzi finanziari. Pertanto la riduzione del capitale sociale si accompagna a una variazione di un’altra parte ideale del netto, coprendo così la perdita. Invece le diminuzioni reali o con rimborso provocano un’uscita di mezzi finanziari. Quindi a una riduzione del capitale, corrisponde una diminuzione del patrimonio netto. Queste possono dipendere da rimborsi proporzionali delle quote di tutti i soci o recesso, morte di più soci. Con le diminuzioni virtuali i soci deliberano la copertura della perdita, attraverso la copertura della riduzione proporzionale alle quote dei singoli soci, mentre restano invariate le percentuali che esprimono le corrispondenti partecipazioni.

L’aumento di capitale e l’ingresso di nuovi soci

I soci possono anche decidere di aumentare il capitale sociale attraverso degli aumenti virtuali o reali. Gli aumenti virtuali si realizzano mediante il trasferimento contabile di riserve a capitale sociale e determinano un incremento delle quote di partecipazione dei singoli soci. Anche se questo tipo di aumento viene deliberato:

  • quando le riserve hanno raggiunto livelli molto elevati rispetto al capitale sociale;
  • per ingresso di nuovi soci;
  • quando è prevista una trasformazione aziendale in un’altra forma giuridica per la quale è richiesto un capitale sociale di un minimo ammontare obbligatorio.

Mentre gli aumenti reali corrispondono ad un aumento del patrimonio netto. Questo può avvenire attraverso il reintegro da parte dei soci vecchio o nuovi. Quando l’aumento di capitale deriva da nuovi conferimenti possono verificarsi ipotesi differenti. I soci decidono di aumentare le proprie quote in misura proporzionale senza variare i rapporti procedenti; oppure in misura non proporzionale, con variazione di equilibri.

Perdita aziendale: l’apporto di nuovi soci

E’ possibile coprire la perdita aziendale attraverso i conferimenti di nuovi soci. Questo dipende da due  fattori: la misura della partecipazione del nuovo socio e il valore da attribuire alla società nel momento dell’operazione. I nuovi sono vi possono entrate ad esempio, acquistando delle azioni o delle quote. Ma l’azienda deve predisporre un bilancio straordinario che contabilizza l’operazione.  Ma in merito a questo punto è meglio chiarire che non si possono emettere nuove azioni fino a che quelle già in circolazione non siano interamente liberate. Ciò significa che prima che l’assemblea deliberi l’aumento del capitale, devono essere stati versati tutti i decimi delle azioni in circolazione. Certo è che le aziende preferiscono evitare le perdite d’esercizio, anche perché sono spesso indice che qualcosa non sta andando come dovrebbe. Quindi azioni correttive devono essere prese in maniera pronta e risolutiva.

 

Eredità azienda di famiglia, ecco come gestire il passaggio generazionale

Per un’azienda di famiglia, nell’ambito del diritto successorio, è possibile gestire in Italia il passaggio generazionale da vivi? La risposta è affermativa in quanto, a partire dal 2006, nel nostro Paese, ed in particolare nell’ordinamento giuridico, sono stati introdotti i cosiddetti patti di famiglia.

Il patto di famiglia, nello specifico, permette all’imprenditore, che in genere è il capofamiglia, di trasferire da vivo la proprietà dell’azienda ad uno o più discendenti. Senza che, in questo modo, possano poi esserci delle contestazioni in sede di eredità.

Come funzionano i patti di famiglia per gestire ai sensi di legge il passaggio generazionale

Il patto di famiglia, essendo in tutto e per tutto un atto pubblico, si stipula dinanzi al notaio, e sancisce il trasferimento dell’impresa di famiglia con effetto immediato. Pur tuttavia, il capofamiglia che detiene tutte le quote dell’impresa non può presentarsi dal notaio da solo. Ma devono essere presenti pure e comunque almeno tutti coloro che sono i potenziali e legittimi beneficiari. Per esempio, nella stipula di un patto di famiglia deve essere presente il coniuge ed i figli. Come se in quel momento non si dovesse far altro che aprire la successione.

I legittimari, nell’ambito della stipula di un patto di famiglia, possono rinunciare in tutto o in parte alle quote spettanti dell’impresa di famiglia. Oppure possono ottenere, sempre in ragione delle quote spettanti, la liquidazione da parte degli altri legittimari. Una liquidazione che può essere in denaro ma anche in natura. Ovverosia, ricevendo altri beni al posto del cash.

Eredità azienda con patto di famiglia, cosa può succedere all’apertura della successione?

All’apertura della successione, il patto di famiglia stipulato in vita dinanzi al notaio ha piena efficacia. Pur tuttavia, potranno presentarsi nuovi legittimari a chiedere la loro parte spettante. Per esempio, i nuovi figli ma anche un nuovo coniuge. In tal caso, cosa succede? Nella fattispecie, riporta il sito Internet del Consiglio Nazionale del Notariato, i nuovi legittimari avranno il diritto a chiedere la liquidazione in denaro o in natura della parte che spetta loro ai sensi di legge.

Come e quando un patto di famiglia si può sciogliere oppure si può modificare

Sempre in presenza di un notaio, l’atto pubblico che è rappresentato dal patto di famiglia può essere modificato oppure può essere sciolto. In particolare, con la modifica del patto di famiglia originario si va e stipulare, sempre tramite un atto pubblico, il nuovo patto di famiglia. Oppure, se nel patto di famiglia originario è previsto, i legittimari possono pure esercitare il diritto di recesso.

Ma per farlo, con una comunicazione e quindi con una dichiarazione agli altri contraenti il patto di famiglia, servirà sempre la presenza del notaio. Dal punto di vista prettamente normativo, l’istituto giuridico che è rappresentato dal patto di famiglia è disciplinato in Italia dalla Legge numero 55 del 14 febbraio del 2006. Ed anche dal codice civile in corrispondenza degli articoli che vanno dal 768-bis al 768-octies.

Successione d’azienda, ecco tutto quello che c’è da sapere per gestire il passaggio

Quella della successione d’azienda è operazione che è sempre molto delicata, e che spesso può avere delle ricadute anche rilevanti sul piano fiscale. In linea generale, per la successione d’azienda le complessità da affrontare, tra l’altro, sono quelle legate pure al tipo di azienda per la quale c’è da gestire la successione.

Dalla successione d’azienda nel caso di ditta individuale alla successione d’azienda nel caso di società di persone, e passando per la successione d’azienda in caso di società di capitali. Inoltre, cosa accade se per la successione d’azienda gli eredi sono più di uno? Ecco allora tutto quello che c’è da sapere per gestire il passaggio.

Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla successione d’azienda

Quando una o più persone ereditano un’aziende causa morte, a valere è il cosiddetto principio di neutralità fiscale. In pratica, i valori di carico dell’azienda nei riguardi degli eredi sono gli stessi di quelli fiscalmente riconosciuti al de cuius.

Inoltre, supponendo la continuazione aziendale, cosa succede se gli eredi di un’azienda sono più di uno? In tal caso questi ai sensi di legge costituiscono una società di fatto che, entro un anno, dovrà poi essere regolarizzata. Ovverosia, andando a costituire una società di capitali oppure una società di persone.

La successione d’azienda in caso di ditta individuale

In caso di ditta individuale, in assenza di testamento, tutti gli eredi sono soci con le quote paritarie. Il passaggio è automatico anche se magari uno degli eredi non è interessato all’attività. Entro un anno, come sopra accennato, la società deve essere regolarizzata con un atto costitutivo. Altrimenti si rischiano delle sanzioni pesanti specie se nella successione d’azienda in caso di ditta individuale ci sono inseriti in patrimonio degli immobili.

La successione d’azienda in caso di società di persone

Per la successione d’azienda in caso di società di persone, per esempio una S.N.C., la situazione potenzialmente si complica in base alle caratteristiche della compagine societaria. E precisamente se trattasi di una S.N.C. che è composta da due soci, oppure di una S.N.C. con figli e con o senza estranei, ovverosia soci senza vincoli di parentela.

Inoltre, per la successione d’azienda in caso di società di persone si guarda sempre ai patti sociali che sono stati stipulati. Per esempio, nei patti sociali di una S.N.C. possono essere state inserite delle clausole di continuazione anche obbligatorie in caso di decesso di uno dei soci. Così come possono essere presenti pure delle clausole di successione che sono automatiche.

La successione d’azienda in caso di società di capitali

Per la successione d’azienda in caso di società di capitali, il principio generale è quello della libera circolazione delle partecipazioni mortis causa. Pur tuttavia, ai sensi di legge, questo principio generale può essere bypassato tramite il testamento oppure in base ai contenuti dello statuto. Per esempio, nelle società per azioni in genere nello statuto c’è la cosiddetta clausola di gradimento. Un diritto di opzione, sostanzialmente, per l’acquisizione delle quote dell’azionista defunto a favore degli soci superstiti.