Come si fa una strategia di comunicazione?

Per comunicare l’azienda o l’attività ha necessità di creare un piano di comunicazione che sia efficace e ben strutturato. La strategia comunicativa ha come finalità quella di realizzare una comunicazione che possa essere il più possibile efficacemente coordinata con il brand dell’azienda, coerente e, soprattutto, studiata in modo da raggiungere e coinvolgere i clienti acquisiti e quelli potenziali. In generale, la comunicazione deve essere in linea con il modo in cui l’azienda voglia essere percepita e quali valori voglia esprimere, verso chi e in quale modo. 

Strategia di comunicazione per conquistare il cliente

All’interno del contesto aziendale, piccolo o grande che sia, la strategia di comunicazione rappresenta il piano per avere un buon approccio verso i clienti e per portare all’esterno la percezione e la reputazione aziendale. In altre parole, la strategia comunicativa dell’azienda può essere pensata come il biglietto da visita che l’azienda fornisce ai clienti già acquisiti o da conquistare. Ciò implica che la strategia possa essere il più possibile meticolosa, precisa e vincente: il modo in cui l’azienda si presenta può fare la differenza. 

Che cos’è il piano di comunicazione?

Il piano di comunicazione rappresenta il documento strategico che chiarisce e pianifica gli obiettivi della comunicazione stessa, le attività, le azioni, le scadenze e perfino il contesto nel quale opera l’azienda. Definire un piano di comunicazione coordinato e coerente aiuta l’azienda anche a raggiungere gli obiettivi individuati, questi ultimi, in maniera precisa e chiara. Nello specifico, il piano di comunicazione individua: 

  • il contesto nel quale l’azienda opera e comunica e, dunque, il settore, il mercato e i competitori; 
  • il target di riferimento; 
  • gli obiettivi che l’azienda ha intenzione di raggiungere; 
  • la strategia creativa della comunicazione; 
  • i mezzi di comunicazione che l’azienda adopererà; 
  • il programma delle attività;
  • i tempi stabiliti per le singole azioni; 
  • il budget che l’azienda mette a disposizione e come verrà ripartito; 
  • il controllo delle attività. 

Come realizzare una strategia di comunicazione: primo step, il piano di marketing

L’elaborazione di una strategia di comunicazione inizia dal piano di marketing. È necessario elaborare un documento nel quale siano stabiliti quali sono gli obiettivi a breve, medio e lungo termine e le linee guida. In tal senso, la strategia di comunicazione è strettamente interconnessa agli altri strumenti di marketing dell’azienda, andando a individuare esattamente a chi si rivolge l’azienda stessa, qual è la concorrenza e in quale contesto si va a operare. Da questo punto è necessario selezionare tutto con attenzione elaborando le leve di marketing e sviluppando un’identità visiva e un piano editoriale. È possibile parlare, a questo punto, delle 4C – consumatore, costo, convenienza e comunicazione, con l’aggiunta dell’eCommerce – a partire dalle quali nasceranno altre fasi dell’azienda con l’esterno, quali la posizione del brand, le relazioni con i clienti, l’attuazione di un piano editoriali, la previsione del budget e il controllo sui risultati ottenuti. 

La posizione del brand nella strategia di comunicazione 

Il secondo passaggio nella strategia di comunicazione è quello di procedere con un’accurata analisi della situazione interna ed esterna dell’azienda. Il che corrisponde a conoscere in maniera approfondita il brand, il target di riferimento, il mercato dove è inserita l’azienda, i concorrenti e le loro azioni. Inoltre, è fondamentale conoscere la posizione del brand, ovvero la posizione occupata da un brand (e dai rispettivi prodotti) nella mente dei consumatori sulla base della differenziazione rispetto alla concorrenza. Il brand positioning può riguardare le caratteristiche uniche dei prodotti, la comunicazione pubblicitaria, l’esperienza del cliente o l’identità di brand e i valori ad essa collegati. 

Piano di comunicazione: a chi rivolgersi?

Prima di decidere cosa comunicare, è opportuno stabilire a chi l’azienda si rivolge con la sua strategia. In altre parole, è necessario individuare il target di riferimento. A supporto, si potrebbe prendere in considerazione il modello di Buyer Personas, ovvero lo strumento attraverso il quale si rappresenta fittiziamente il cliente ideale dell’azienda. In tal senso, il modello prevede di individuare l’età anagrafica del potenziale cliente, l’istruzione, il potere d’acquisto, gli interessi, i gusti, i bisogni, i comportamenti e gli atteggiamenti. Il cliente che verrà idealizzato sarà il principale interlocutore della strategia di comunicazione aziendale. 

Piano di comunicazione, definire obiettivi, risultati e strategia creativa

Una strategia ottimamente strutturata deve tener conto degli obiettivi della comunicazione, che devono essere precisi, realistici, concreti e misurabili. Il che significa che dalle azioni di comunicazione occorre avere risposte certe a due domande: 

  • quale azione si vuole che i potenziali clienti compiano dalla strategia comunicativa? 
  • in che modo si possono misurare i risultati ottenuti per intervenire, eventualmente, e migliorare la strategia di comunicazione?

Come comunicare il brand aziendale e strategia creativa

Stabiliti gli obiettivi, è indispensabile elaborare la strategia creativa dell’azienda, ovvero la maniera nella quale si vuole comunicare il brand aziendale. In particolare, è necessario rispondere a quattro domande: 

  • quale messaggio si vuole comunicare? 
  • in quale maniera?
  • con quale linguaggio?
  • con quali mezzi di comunicazione?

Piano di comunicazione: crisi, monitoraggio e misura dei risultati

L’elaborazione di una strategia di comunicazione necessita di pianificazione dei tempi e dei modi nei quali le azioni comunicative devono essere realizzate. Per questo motivo è necessario elaborare delle linee guida di comunicazione che dovranno essere impartite e fatte proprie da tutti i soggetti coinvolti. In questo modo, il brand aziendale verrà facilmente e immediatamente riconosciuto. È altresì auspicabile prevedere situazioni di crisi, che dovranno essere immediatamente affrontate. La strategia comunicativa dovrà essere costantemente monitorata per analizzare i risultati ottenuti con le azioni fatte. In questo ambito, sono essenziali le analisi del sentiment e delle reazioni dei soggetti verso i quali sono dirette le azioni comunicative. Dai risultati del monitoraggio è possibile procedere con cambiamenti della strategia comunicativa per la migliore gestione del brand. In tal senso, è utile chiedersi: 

  • cosa ha funzionato?
  • cosa non ha funzionato?
  • come si possono migliorare le azioni?

Quali sono gli elementi più critici e gli errori da evitare nella stesura di un business plan?

Per il finanziatore o per l’investitore, il business plan rappresenta lo strumento dal quale raccogliere le varie informazioni di natura economica, strategia, finanziaria e di marketing. Dall’analisi del business plan deriverà la decisione di finanziamento. Dunque, sulla qualità del documento dell’azienda, sarà possibile esaminare:

  • cosa si vuole fare e quale idea ne è alla base;
  • quali risultati si vogliono raggiungere;
  • quali strategie e mezzi necessitano per conseguire i risultati prefissati.

Perché il business plan è importante?

Il business plan è pertanto il documento che riassume meglio l’idea imprenditoriale. Volendo sintetizzare i punti chiave della stesura del documento, è opportuno far riferimento:

  • all’analisi di mercato, e dunque ai fattori interni ed esterni, tra i quali i competitori, le variabili ambientali, il target e i fattori critici di successo;
  • al piano di azione di marketing;
  • al piano delle attività o planning;
  • al piano degli investimenti;
  • alla pianificazione e l’allocazione delle risorse umane da utilizzare;
  • ai nuovi modelli di valutazione e di finanziamento.

I vantaggi nella redazione del documento

È evidente che un business plan ben strutturato e completo, oltre a presentare con la massima professionalità la propria idea di business per ricevere finanziamenti, offre l’occasione di cercare e di sviluppare una strategia il più chiara possibile. Inoltre, il documento permette di monitorare e di implementare le azioni strategiche e di prevedere l’avvicinarsi di una crisi aziendale.

Quali sono i quattro elementi critici di un business plan

Tuttavia, affinché il business plan possa essere redatto in maniera completa e rimarcare gli obiettivi aziendali, è necessario tener presente di quattro fattori essenziali sui quali è necessario prestare la massima attenzione: ci si riferisce alle persone, alle opportunità, al contesto e alle possibilità.

Business plan, chi deve redigerlo?

Le persone che si occupano della stesura del business plan sono fondamentali. Difficilmente il documento viene redatto da una sola persona. Più frequentemente rappresenta, invece, il risultato del lavoro di un team di management eterogeneo e complementare in termini di background, di capacità manageriali e di conoscenze del settore. Pertanto, soprattutto nelle imprese di più grandi dimensioni, per arrivare a un piano di marketing ottimamente strutturato e completo, è indispensabile il lavoro dei reparti di comunicazione, di vendita e di produzione.

Punti critici di un business plan: le opportunità

Le opportunità da cercare e da valutare nella redazione di un business plan sono sempre due, ovvero la differenziazione e il potenziale di mercato. A seconda dei casi, il management dovrà decidere se conviene differenziare con prodotti o con linee di prodotti, oppure se il potenziale di mercato è tale da portare a una scelta estrema come, ad esempio, quella di uscire dal settore. Nello specifico, è indispensabile che l’analisi parta da tre differenti domande:

  • in cosa si differenziano i prodotti o servizi dell’azienda rispetto a quelli della concorrenza?
  • quali sono i punti di forza dell’azienda e quali i punti di debolezza?
  • come i concorrenti affrontano le problematiche comuni?

Il contesto nel piano di marketing

L’analisi del contesto nel quale opera l’impresa è fondamentale. Ci si riferisce a uno studio approfondito della concorrenza, dei competitori e, più in generale, al contesto che circonda l’azienda stessa. Pertanto, per le imprese che si affacciano sul mercato per la prima volta, è indispensabile definire quali sono le barriere per l’approccio alla produzione e vendita, le minacce e le opportunità. In questo step, è necessario definire anche quale sarà la domanda potenziale del prodotto o del servizio da parte del mercato, in termini dunque sia quantitativi che qualitativi. Utile, in questo contesto, è l’analisi dei dati del mercato e le possibili segmentazioni di domanda e offerta.

L’analisi degli scenari nel piano di marketing

Infine, in un business plan non possono mancare le possibilità, ovvero lo studio dei possibili scenari di mercato. L’analisi del contesto induce l’azienda, pertanto, a raccogliere il maggior numero di informazioni necessarie per individuare quali saranno gli sviluppi futuri del mercato. In questa fase, come nelle precedenti, è indispensabile partire dallo sviluppo dell’analisi Swot: nel quadrante dovranno essere indicati minuziosamente i punti di forza e quelli di debolezza dell’azienda, le minacce e le opportunità.

Business plan, errori da evitare: nessuna menzione per i concorrenti

Diversamente dagli elementi critici di un business plan è la lista degli errori comuni che si commettono nella redazione del documento. Innanzitutto un business plan non può partire dalla mancanza di menzioni dei concorrenti: la regola generale è che non si è mai, o quasi mai, in condizioni di monopolio. Ma anche in caso di oligopolio o di duopolio è indispensabile spiegare chi sono i concorrenti e in quali altri business sono coinvolti.

Documento di marketing, mancanza di chiarezza del vantaggio competitivo

Il vantaggio competitivo in un documento di marketing deve esserci sempre. La mancanza di questo fondamentale elemento comporterebbe la mancanza di senso del documento stesso. Analogamente, vanno sempre spiegati in volumi sia la quota di mercato che i relativi calcoli. Solo in seconda istanza si potrà indicare i valori delle quote di mercato in euro o dollari.

Valori e crescita aziendale nel piano di marketing

Sono altresì da evitare errori che riguardano la mancanza di accenni al processo di crescita organizzativa dell’azienda necessaria per sostenere l’aumento dei ricavi. Non prevedere una crescita non solo potrebbe indicare un approccio superficiale, ma indurrebbe ad abbassare la fiducia dei finanziatori nei confronti dell’azienda. Analogamente, non vanno fatte sopravvalutazioni dell’idea imprenditoriale e nemmeno proiezioni irrealistiche: gli obiettivi, ancorché ambizioni, devono sempre essere ragionevolmente realizzabili e a portata di mano. È consigliabile piuttosto avere un “piano B” che difendere con i denti una esagerata stima della crescita.

Business plan e conoscenza del bilancio

È altresì indispensabile che un piano di marketing strategico ben strutturato, sia accompagnato da riferimenti operativi, del “saper fare”. Chiaramente i dati economici e finanziari non devono essere sballati: la scarsa conoscenza del bilancio come strumento che descriva la realtà aziendale può generare errori grossolani e anche gravi, come il confondere il cash flow e i profitti.

Coerenza del business plan

In definitiva, il business plan deve essere un documento coerente, un disegno armonico nel quale convergono strategia aziendale, analisi del mercato e dei competitor e studio del contesto. Le incongruenze che si presentano a chi dovrà prendere visione del documento possono facilmente saltare all’occhio e decretarne l’archiviazione.

 

Tassazione e sgravi: alcuni effetti fiscali della legge di stabilità 2015

La legge di stabilità 2015, approvata due giorni prima di Natale, ha portato alcuni “regali” dal punto di vista della tassazione.

Innanzitutto aumenta la tassazione sulla previdenza in generale: sui rendimenti dei fondi pensione, che passa dal 11,50% al 20%, sulla rivalutazione del TFR, dal 11% al 17%, sui rendimenti finanziari delle casse di Previdenza, dal 20% al 26%, sulle polizze vita che passano da 0% a 26%.

Secondo molte sentenze dei tribunali italiani e della Corte di Cassazione, le polizze vita sono strumenti assimilabili ai prodotti previdenziali quando hanno due caratteristiche: sono collegati ad un evento inerente la vita umana e prevedono un premio di maggiorazione per decesso all’età dell’assicurato. In pratica assumono la funzione di integrazione del reddito dei superstiti, beneficiari della polizza.

La tassazione dei rendimenti di tali polizze era pari a zero, nei confronti dei beneficiari, mentre con la nuova legge sono ora tassati ordinariamente al 26% con in più un effetto retroattivo ai rendimenti del 2014.

Rimangono, per il momento, escluse dall’asse ereditario e quindi esenti da imposte di successione o donazione, ma non credo che questo vantaggio rimanga ancora per molto tempo, considerando la media europea in tema di imposte di successione molto più elevata rispetto all’Italia e l’assenza o la scarsa presenza in Europa di esclusioni e franchigie. Ricordo che da noi la franchigia è di 1 milione di euro per erede.

Anche l’aumento della tassazione sui fondi pensione li rende meno appetibili e convenienti per i pensionandi. Considerando anche la scarsa trasparenza sulle gestioni dei medesimi e i rendimenti non esattamente brillanti, viene da pensare se esistono alternative per costruire un reddito supplementare da utilizzare al momento della pensione.

Stesso discorso vale per il TFR: aumentata la tassazione sulla rivalutazione, investire il proprio TFR in strumenti a carattere previdenziale, rimane un investimento utile ad integrare la pensione? Con la nuova legge viene data la possibilità ai lavoratori del settore privato (escluso quello agricolo e domestico) di incassare quanto versato e inoltre di ricevere in busta paga l’importo che l’azienda dovrebbe accantonare. Se queste somme venissero impiegate cum grano salis ed investite correttamente, potrebbero generare risultati integrativi della pensione molto più soddisfacenti rispetto ai tradizionali strumenti previdenziali, seppur appesantite dalla tassazione che in questo caso diverrebbe ordinaria e non più agevolata (ma sempre meno).

Lo Stato sicuramente ci guadagna, perché la tassazione è più elevata, ma forse anche il lavoratore può trarne dei vantaggi, se non fiscali, almeno per quanto riguarda libertà di utilizzo di quanto versato e rendimenti generati nel tempo. Chi aderisce alla previdenza complementare o versa il TFR alla medesima, è vincolato alle regole in materia pensionistica; difficoltà ad ottenere quanto versato se non per casi eccezionali, conversione in rendita almeno del 50% del versato (non viene restituito tutto il capitale a scadenza), e tabelle di conversione in rendita applicate dalle compagnie assicuratrici o dai fondi pensione, che pareggiano la rendita annuale con quanto versato mediamente dopo 18 anni (65+18=83 anni). Se il pensionato vive oltre, inizia a guadagnare qualcosa. Altrimenti, ci guadagna la compagnia o il fondo.

Una buona notizia: è invece aumentato a 30.000,00 euro l’importo massimo per la deducibilità ai fini IRES delle erogazioni liberali in denaro (effettuate in maniera tracciabile) in favore delle Organizzazioni No Profit di Utilità Sociale, aumentando al 26% la percentuale di detraibilità ai fini IRPEF.

Ma c’è il rovescio della medaglia, che è la nuova tassazione degli enti non commerciali, di cui fanno parte appunto gli enti No Profit, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato e i trust. In precedenza questi enti avevano una esenzione di imposta del 95%, pagavano quindi le imposte solo sul 5% degli utili distribuiti. Ora invece l’esenzione è ridotta al 22,76% e pagheranno quindi sul 77,24% degli utili. Retroattiva anche questa, a partire dal primo gennaio 2014. In pratica, se prima pagavano 27,5%*5%=1, 375%, ora pagano 27,5%*77,24%= 21,24%, che significa un aumento di oltre 15 volte l’imposta.

Inoltre, se gli enti hanno dei beneficiari individuati, l’aliquota sarà quella marginale e quindi mediamente 43% invece del 27,5%, con un ulteriore inasprimento per il contribuente.

La ragione del provvedimento è stata motivata con l’equiparazione tra tassazione degli enti non commerciali e quella delle persone fisiche, che appunto pagano mediamente il 43% di aliquota. Però non si comprende la ratio, perché le persone fisiche possono utilizzare gli utili e i dividendi per le finalità che ritengono opportune, mentre gli enti no profit devono reinvestire gli utili per i fini istituzionali e non possono utilizzarli diversamente. Di fatto gli enti No Profit reinvestono gli utili in favore dei propri assistiti o dei beneficiari dell’ente, rimettendo in circolo il risultato generato. Quindi perché equipararli alle persone fisiche?

La retroattività invece non si applica allo sconto sull’Irap di imprese e professionisti, che decorre dal 2015. Potrà essere scalato interamente il costo dei soli lavoratori a tempo indeterminato, esclusi quindi collaboratori a progetto, collaboratori e tutti i lavoratori assunti con contratti a tempo determinato. Sono esclusi gli enti non commerciali.

Ma si tornano però ad applicare le aliquote IRAP del 2013, più elevate rispetto al 2014, aumentando nuovamente dal 3,5% al 3,9% l’aliquota base, questa con effetto retroattivo al 2014. Viene annullato quindi il beneficio concesso lo scorso anno, che non entra in vigore. Chi ha già anticipato, dovrà integrare sulla base della nuova aliquota. Abbiamo scherzato, insomma!

Sempre il bastone e la carota, non c’è verso di cambiare. Se c’è una agevolazione da un lato, subito spunta un aumento dall’altro. Ci sarà un credito di imposta in compensazione, aumentato al 10% dell’imposta lorda, per chi non ha dipendenti; è stato introdotto per bilanciare lo svantaggio di non poter utilizzare il taglio IRAP per i dipendenti per chi non ne ha.

Il bonus IRPEF di 80 euro in busta paga diventa, da credito d’imposta precedente, una detrazione per l’azienda e diventa strutturale, non più provvisorio.

E’ ovvio che più dipendenti, assunti a tempo indeterminato, ha un’azienda, maggiore sarà il vantaggio fiscale, che però, decorrendo dal 2015, diventerà effettivo solo a partire dai versamenti del 2016. Quindi tocca tirare la cinghia anche per il 2015!

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tecniche di hedging per le aziende

Le aziende che utilizzano materie prime, di qualunque genere, possono tutelarsi dai rischi di variazione dei prezzi delle medesime attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. I derivati sono nati proprio per questo preciso scopo, fissare un prezzo, una quantità e una data di consegna del bene,  tutelando venditore e acquirente.

Il bene oggetto del contratto si definisce “sottostante”. Per evitare di impegnare troppi capitali, il derivato serve anche ad impegnare le controparti con un esborso ridotto di denaro, rispetto al valore della quantità complessiva del bene in oggetto.

Coprirsi dal rischio aiuta le imprese a raccogliere più facilmente capitale sul mercato. Attraverso le tecniche di hedging le imprese sono in grado di ridurre i costi di raccolta di capitale esterno, con la conseguenza di essere avvantaggiate rispetto ad altri competitor.

Le più recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in particolare rispetto alla copertura del rischio sui tassi di cambio e sul prezzo delle commodities, avvalorano questa ipotesi: le imprese che decidono di adottare tecniche di hedging su ricavi e costi operativi sono significativamente più favorite nel raccogliere capitale sul mercato, sia sotto forma di debito, che di equity.

L’abbattimento del rischio, ottenuto riducendo la volatilità dei flussi di cassa, consente innanzitutto di ridurre il costo del capitale. Inoltre la decisione di ricorrere a tecniche di hedging rappresenta un “buon segnale” rispetto agli

investitori, che apprezzano la maturità manageriale dell’impresa ritenendola più capace di affrontare eventuali crisi di liquidità e di gestire in modo più professionale i propri investimenti.

In questo momento di crisi industriale e di incertezza creditizia, coprirsi dal rischio – attraverso contratti derivati – può quindi costituire un vantaggio competitivo non indifferente.

Gli studi professionali che sono in grado di aiutare l’azienda ad acquisire questo vantaggio, sono senz’altro pochi e quindi ricercati da quei potenziali clienti che abbiano la lungimiranza di comprenderne i benefici.

Inoltre, lo studio professionale che propone un servizio di copertura dal rischio è valutato positivamente anche dai clienti meno attenti a queste problematiche, in quanto si evidenzia loro un problema e si fornisce la soluzione contemporaneamente. Può essere anche un’occasione per ottenere contatti da nuovi clienti.

Da ricordare che la maggior parte delle materie prime è quotata in Borsa e quindi le aziende che le utilizzano possono coprirsi dal rischio. A titolo di esempio posso citare oro, argento, palladio, nichel, rame, grano, caffè, cotone, carne di maiale, succo d’arancia, petrolio…

Inoltre possono essere coperte le variazioni dei tassi di cambio tra euro ed altre valute. Ricordo che le materie prime sono quotate in dollari Usa ed è quindi necessario coprirsi anche dal rischio cambio euro/dollaro.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Novara: E.V.A.E.T e imprese insieme a Feicon Batimat 2012

L’E.V.A.E.T. ha preso parte, per la prima volta, alla “Feicon Batimat”, la fiera più importante di tutto il Sud America dedicata all’edilizia. La manifestazione, che ha frequenza annuale ed è giunta quest’anno alla 20a edizione, si è svolta dal 27 al 31 marzo 2012 presso il Centro Espositivo Anhembi di San Paolo (Brasile).

All’evento erano presenti sei aziende novaresi – Fiore S.p.a., Nicolazzi S.p.a., Nuova Osmo Soc. Unip., Porta&Bini S.r.l., Rubinetterie Fratelli Frattini S.p.a. e Te-Sa S.r.l. – inserite all’interno della collettiva italiana formata da una trentina di realtà imprenditoriali e coordinata da diverse Camere di Commercio attraverso le proprie Aziende Speciali.

L’area espositiva novarese, pari a 66 metri quadri, è stata molto frequentata; come per le precedenti edizioni, la fiera ha richiamato un numero decisamente elevato di visitatori: nel 2011 la presenza di importatori, distributori, costruttori e architetti ha superato le 125mila unità, un risultato che si intende consolidare promuovendo una più ampia partecipazione di espositori esteri.

“Nonostante la concomitanza con altri eventi di richiamo, l’iniziativa ha avuti esiti favorevoli sia in termini di partecipazione che di gradimento delle imprese – commenta Gianfredo Comazzi, presidente dell’E.V.A.E.T. – offrendo la possibilità di allacciare nuovi contatti e di concretizzare quelli già avviati. Il mercato brasiliano offre grandi opportunità, ma richiede strategie di internazionalizzazione che tengano conto delle sue caratteristiche, a cominciare dai dazi doganali: continueremo quindi a presidiare quest’area attraverso missioni e fiere che agevolino un inserimento fruttuoso per le imprese novaresi”.

Fonte: camcom.gov.it

Bergamo si fa in cinque

di Alessia CASIRAGHI

Parole d’ordine formazione, internazionalizzazione e sviluppo. Sono i tre obiettivi a cui punta Bergamo Sviluppo, l’azienda speciale della Camera di commercio di Bergamo, che per il 2012 ha aperto cinque nuovi bandi di concorso per assegnazione di contributi a favore delle imprese.

Il focus numero uno riguarda le imprese artigiane e la formazione. Il bando previsto mette a disposizione delle aziende del territorio che faranno richiesta voucher per un ammontare totale di 127mila euro.

Più cospicuo, pari cioè a 297mila euro, l’ammontare dei contributi destinati invece alle azioni di supporto all’analisi finanziaria delle imprese e ai rapporti con il sistema creditizio. L’obiettivo è la realizzazione di un programma di assistenza e consulenza interno all’azienda che contribuisca al consolidamento delle strutture finanziarie dell’impresa stessa.

Il terzo bando punta invece alla competitività aziendale. Bergamo Sviluppo metterà a disposizione delle imprese 178mila euro da utilizzare per realizzare interventi di formazione che devono avere come scopo il rafforzamento professionale ed occupazionale dei lavoratori interni all’azienda stessa.
Puntare all’estero e all’avanzamento tecnologico dei principali competitor.

Il quarto bando ha come obiettivo l’internazionalizzazione delle imprese: programma di assistenza e consulenza, implementazione dei processi di revisione del proprio business, ricerca mirata ai trend esteri. Le aziende che guardano all’estero potranno contare sui finanziamenti stanziati da Bergamo Sviluppo, per un ammontare complessivo di 508mila euro.

Il quinto bando riguarda invece lo sviluppo d’impresa, il consolidamento e l’accrescimento competitivo dell’azienda sullo scenario nazionale. Record la cifra stanziata per le piccole e medie imprese: 1 milione e 610mila per l’accrescimento competitivo delle aziende.

Le aziende del territorio bergamasco interessate potranno presentare la loro domanda di adesione e partecipazione al bando fino al 2 marzo 2012. Le domande dovranno essere presentate direttamente all’Ufficio Protocollo di Bergamo Sviluppo, via Zilioli n. 2, Bergamo o spedite all’indirizzo email bergamosviluppo@bg.legalmail.camcom.it.

Per ulteriori informazioni è possibile visitare il sito della Camera di Commercio di Bergamo.

Creare una nuova impresa: basta 1 euro!

di Alessia CASIRAGHI

Se potessi avere mille lire al mese…cantava alla fine degli anni ’30 Gilberto Mazzi. Oggi, quel ritornello, parafrasato, suonerebbe all’incirca così ‘se potessi avere un euro al mese, basterebbe per aprirmi una nuova società’.

Da oggi infatti, basta un euro in tasca per dare vita ad una nuova azienda. E’ quanto stabilito dall‘articolo 3 del decreto per le liberalizzazioni del Governo Monti, che consente a tutti gli under 35 di creare un impresa a un euro.

La nuova delibera è contenuta nel decreto sulle semplificazioni, promosso dal ministro per la Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi. Vita più facile per i nuovi rampanti giovani imprenditori under 35 .

La nuova Srl semplificata prevista dal decreto Patroni Griffi non richiede infatti l’intervento del notaio, ma basterà rivolgersi al registro delle imprese della Camera di Commercio per la sua effettiva registrazione. Inoltre è esente da diritti di bollo e di segreteria, ma soprattutto non impone il vincolo di stanziare un capitale minimo di 10mila euro, sostituto dal vincolo simbolico di un euro.

Ma come costituire una Srl semplificata a un euro?

Primo passo: redigere un atto costitutivo, nella modalità della scrittura privata, con il supporto di un avvocato o di un commercialista (niente notaio!), per mettere nero su bianco il proprio progetto.
L’atto costitutivo dovrà contenere nomi e indicazioni anagrafiche dei soci, denominazione sociale, quota di partecipazione di ciascun socio, norme relative al funzionamento della società, persone a cui è affidata l’amministrazione, sede della società e ammontare del capitale sociale. E qui sta la novità: potrà trattarsi anche solo di un euro.

Secondo passo: entro 15 giorni dalla firma, l’atto costitutivo dovrà essere depositato presso l’Ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stata stabilita la sede della nuova azienda.

La nuova Srl semplificata è esclusa poi dal pagamento di qualsiasi spesa di segreteria o di bollo. Inoltre, l’ufficiale del registro, una volta accertate tutte le idoneità, dovrà provvedere entro e non oltre 15 giorni ad iscrivere la nuova azienda. Tutto più semplice, tutto più veloce. Nel caso tale iscrizione non avvenisse infatti, il giudice del registro, su richiesta dei soci, potrà iscrivere la nuova società per decreto.

Unica avvertenza: una volta che i soci della Srl semplificata supereranno tutti l’età di 35 anni, sarà necessario, con la massima tempestività, registrare la trasformazione della società in Srl normale.

Appello a Monti: accelerare i pagamenti per le Pmi

Piccole e medie imprese italiane sempre più strette dalla morsa dei ritardi nei pagamenti e dal rischio del fallimento. Unazienda su 10 in Italia, secondo quanto rivelato dal l‘Osservatorio sulla rischiosità commerciale di Cribis D&B, è a rischio declassamento per l’insostenibilità degli oneri nei confronti dei propri fornitori.

La Cgia di Mestre chiede un intervento immediato ed efficace da parte del presidente del Consiglio Mario Monti, affinchè intervenga in prima persona per accelerare l’iter della Direttiva emanata dalla Comunità Europea contro i ritardi nei pagamenti. Le piccole e medie imprese, denuncia Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, “a seguito della diminuzione del credito erogato dalle banche, non sono ormai più’ in grado di fronteggiare la crisi”.

E sono i dati a confermare l’ipotesi peggiore. Tra la stretta creditizia (-1,24% di prestiti erogati nel 2011 dalle banche), l’aumento dei ritardi nei pagamenti (+ 38 giorni negli ultimi 3 anni) e l’incremento dei fallimenti (+ 60,5% negli ultimi 4 anni), le piccole e medie imprese in Italia sono condannate.

“I ritardi nei pagamenti tra la Pubblica amministrazione italiana e le imprese private – continua Bortolussi – sono aumentati in questi ultimi 3 anni di 38 giorni. Secondo una recente elaborazione della Cgia, attualmente la Pa paga i suoi fornitori con un ritardo medio di 90 giorni. Se teniamo conto che le aziende italiane avanzano quasi 70 miliardi di euro dallo Stato italiano e il nostro Paese e’ maglia nera in Europa per i tempi medi di pagamento”.

Ritardi nei pagamenti che sono molto spesso l’anticamera del fallimento dell’azienda. Dal 2007 ad oggi i fallimenti sono aumentati i del 60,5%, toccando nel 2011 quota 11.615. Un’azienda su tre denuncia di aver portato i libri in tribunale a causa dei forti ritardi nei pagamenti subiti.

E il sistema creditizio e bancario? Come sostiene la piccola e media imprenditoria in Italia?

A causa dell’ aumento dell’inflazione del 3%, le imprese artigiane hanno registrato una contrazione dei prestiti pari a -1,24% e per le quasi società non finanziarie, le piccole società come le snc o le sas, l’aumento e’ stato solo dello 0,31%.

E’ andata meglio all’impresa pubblica, ch ha visto erogati crediti con +26,11%. Per le altre imprese private gli impieghi sono invece aumentati del +5,08%.

Se l’imprenditore straniero fa impresa

Hanno in media 33 anni, si trovano prevalentemente al Nord – con un tasso record nella provincia di Prato – e riescono a offrire occupazione ad almeno 5 dipendenti. Chi sono? Gli immigrati imprenditori, una realtà sempre più in crescita nel Bel Paese e che, secondo un rapporto stilato da Cnel possono offrire una valida via d’uscita dalla crisi.

Perchè? Innanzitutto perchè la resistenza delle piccole imprese allo shock della crisi economica si deve anche “alla progressiva sostituzione di imprenditori autoctoni con imprenditori immigrati”. Metà degli imprenditori stranieri si dichiara infatti “abbastanza ottimista” riguardo al futuro della propria attività, Primi fra tutti i commercianti d’abbigliamento e gli imprenditori edili.

Ma qual è l‘identikit dell’imprenditore migrante? Arrivato in Italia a 24 anni, dopo una formazione nel Paese di origine, ha trovato impiego prima come dipendente, avviando solo successivamente un’attività imprenditoriale. Il 77% ha fondato da sé l’azienda, il 21% l’ha rilevata, il 2% l’ha ereditata.

Gli imprenditori stranieri in Italia sono 628mila, e sono concentrati soprattutto nelle province del Nord e nelle aree dei distretti industriali. La maggior parte, il 64,5%, è titolare di impresa con un occupazione media di 4,7 dipendenti, mentre il 35,5% è un lavoratore autonomo, senza alcun dipendente,

Ma il dato più interessante della ricerca riguarda il fatto che molto spesso sono gli imprenditori immigrati ad assumere dipendenti italiani: “La media generale è un posto di lavoro per italiani ogni due imprenditori stranieri” rivela la ricerca di Cnel.

“Le loro attività non richiedono un’elevata dotazione di capitale, alta è infatti la capacità di autofinanziamento, resa possibile da un periodo lungo di occupazione come dipendente”. Il 66,8% degli intervistati ha dichiarato di non ha avuto bisogno di capitali di terzi, mentre il 10,6% ha coinvolto familiari e parenti nella nascita dell’impresa.

Ultimo capitolo: l’integrazione con il tessuto economico nazionale. Il 66,5% degli imprenditori migranti ha clienti italiani, mentre il 77,3% si rivolge a ditte fornitrici italiane. I comparti in cui si riscontra una maggior osmosi sono quelli della meccanica e dei trasporti, mentre si riduce per quanto riguarda l’abbigliamento.

Il 16% degli imprenditori mantiene stretti rapporti d’affari col Paese d’origine, e il 14% ha la cittadinanza italiana. Ma quali sono le richieste più diffusa tra i nuovi imprenditori migranti? Il diritto di voto e la possibilità di usufruire delle agevolazioni pensionistiche, tornando a vivere però nel Paese di origine.

Alessia Casiraghi

Articolo 8: è scontro in Parlamento

C’è aria di tempesta in Parlamento dopo l’approvazione dell’articolo 8 della manovra finanziaria che prevede la possibilità di derogare con i contratti aziendali e territoriali ai contratti nazionali e alla legge.

In materia di licenziamento, eccezion fatta per quello discriminatorio, per gravidanza o matrimonio, le modifiche apportate dalla maggioranza in commissione Bilancio al Senato all’articolo 8 del decreto, prevedono la possibilità di licenziare anche tramite un accordo a livello aziendale o territoriale, raggiunto a maggioranza dai sindacati più rappresentativi.
In contrapposizione con quanto previsto dall‘articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e in particolare la legge 300 del 1970 che impone, per le aziende sopra i 15 dipendenti, il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo.

Dura la replica di parlamentari e sindacati: per la Cgil si tratta di una manovra che viola la Costituzione, e la sua leader, Susanna Camusso passa all’attacco: ”il governo autoritario annulla il contratto collettivo nazionale di lavoro e cancella lo Statuto dei lavoratori, e non solo l’articolo 18, in violazione dell’articolo 39 della Costituzione e di tutti i principi di uguaglianza sul lavoro che la Costituzione stessa richiama”.

Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, tiene a sottolineare, in risposta alle parole della Camusso, che ‘‘è inequivoco che tali interventi non possono modificare le norme di rango superiore come i fondamentali principi costituzionale o di carattere comunitario e internazionale’ e che quindi ”non ha senso parlare di libertà di licenziare o usare altre semplificazioni che non corrispondono, neppure lontanamente, alla oggettività della norma”.

Il confronto sull’articolo 8 del decreto in discussione in Parlamento non può trasformarsi in uno scontro continuo tra diverse concezioni sul sistema di relazioni sindacali necessario al nostro Paese“, è la nota di intervento del direttore generale di Confcommercio, Francesco Rivolta.

Cisl e Uil evidenziano infine l’importanza di una precisazione, ossia che solo i sindacati comparativamente più rappresentativi possono siglare intese a livello aziendale, come stabilito nell’accordo interconfederale, unitario, del 28 giugno scorso, evitando la costituzione di sindacati di ”comodo”.

Alessia Casiraghi