Italia bocciata nel turismo

Per una volta facciamo i bravi giornalisti e diamo la notizia in testa: l’Italia è il quinto Paese al mondo per spesa da turismo. Di per sé un ottimo risultato, se non fosse che prima di noi, a parte i due colossi Stati Uniti e Cina, vi sono due Paesi che sul turismo investono più e meglio di noi ma che da offrire al visitatore hanno decisamente meno di noi: Spagna e Francia.

La top 5 mondiale della spesa turistica al 2013, stilata dalla Banca d’Italia nella sua Indagine campionaria sul turismo internazionale dell’Italia, è infatti così composta: Stati Uniti (130 miliardi di euro, inarrivabili), Spagna (47), Francia (43), Cina (39) e Italia (33).

I 14 miliardi di euro che separano la spesa per il turismo in Italia da quella in Spagna e i 10 che la separano dalla Francia sanno tanto di una resa incondizionata da parte di un Paese come il nostro che possiede la più alta concentrazione di siti artistici e opere d’arte del mondo ma che non è in grado di allestire un sito internet degno di questo nome per il turismo nazionale, soprattutto imparagonabile ai siti di promozione dei Paesi nostri concorrenti.

Un Paese nel quale possiamo sapere tutto del turismo a livello di qualsiasi regione, dove si fanno campagne di promozione turistica per i posti più sfigati delle province più jellate, ma dove si è incapaci di fare sistema per presentarci al mondo con un offerta centralizzata e strutturata, privilegiando invece borghi e orticelli.

Non stupisce allora che il quinto posto nella classifica della spesa per il turismo ce lo meritiamo anche nella classifica che misura non tanto quanto queste persone spendono in Italia ma quante effettivamente sono quelle che scelgono di visitare il Belpaese. Sono infatti 48 milioni i turisti internazionali che nel 2013 hanno visitato l’Italia. Un bel numero, certo… Peccato che in Francia sono stati quasi 40 milioni in più (85), 70 negli Usa, 61 in Spagna e 56 in Cina. Niente male per chi ha da offrire una torre d’acciaio e poco più…

Ed è di poca consolazione quanto rileva lo studio di Bankitalia sul turismo, relativamente alle abitudini di viaggio dei turisti stranieri in Italia; secondo i dati della ricerca, infatti, è aumentato il numero dei viaggiatori, è diminuita la durata media della loro vacanza, ma è cresciuta la spesa giornaliera media. In particolare, tra il 1990 e il 2013, il numero dei viaggiatori internazionali è cresciuto in media del 4% annuo, mentre la spesa è aumentata del 7%.

Nonostante la classifica condanni giustamente il nostro approccio miope al business del turismo, lo studio di Bankitalia fa notare che c’è comunque un mal comune, mezzo gaudio. Negli anni si è infatti ridotta la quota di mercato internazionale delle principali destinazioni del turismo, non solo dell’Italia, a vantaggio delle mete asiatiche emergenti come Thailandia (sesta dietro di noi nella classifica di spesa con 32 miliardi), Cina, India e Malesia.

Edilizia italiana schiava delle grandi opere (incompiute)

Lo abbiamo scritto ieri e altre volte: l’ edilizia italiana non sembra dare accettabili segni di risveglio dal coma in cui è piombata insieme all’economia del Paese. E abbiamo anche ricordato, sommariamente, quali sono le principale cause del profondo rosso, dal crollo del mercato immobiliare, alla tassazione sulla prima casa, alle grandi opere pubbliche inchiodate al palo.

Proprio da quest’ultimo punto vogliamo ripartire oggi: la stasi delle grandi opere che, per l’ edilizia italiana, significa anche stasi del settore. Una stasi che parte dai freddi numeri, evidenziati dal 9° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” (443/2001), realizzato dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità nazionale anticorruzione e il Cresme: dei 285 miliardi di euro investiti in opere pubbliche, dal 2001 a oggi sono state concluse opere per 23 miliardi, pari a circa l’8% del totale.

Ancora più crudi i dati, per l’ edilizia italiana, se si prendono in considerazione solo le opere approvate dal Cipe: a fronte di un investimento pari a 149 miliardi, le opere concluse mettono insieme la miseria di 6,5 miliardi. Una cifra che deriva dal fatto che, delle 187 opere deliberate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica, 40 risultano concluse al 31 dicembre 2014 (contro una previsione di 54) e 69 in fase di realizzazione. E le altre 78? Non pervenute.

Tradotto in costi, le opere completate o in corso di costruzione hanno un valore per l’ edilizia italiana che supera i 78,7 miliardi di euro (il 53% del valore complessivo delle opere esaminate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica al 31 dicembre 2014).

Sempre sul fronte costi, il Rapporto del Servizio Studi della Camera ha analizzato 97 opere deliberate dal Cipe, contenute nel programma a partire dal 2004; ebbene, stando alle analisi, il loro costo ha visto una crescita del 40,3%: dagli iniziali 65 miliardi e 227 milioni dell’aprile 2004 ai 91 miliardi e 516 milioni di fine 2014. Tutti aumenti da giustificare ma che, al momento, per l’ edilizia italiana si sono tradotti in un nulla di fatto.

In sostanza, l’ edilizia italiana è pesantemente schiava di ciò che invece, storicamente, ne ha sempre decretato lo sviluppo e il successo: le opere pubbliche immobili e l’altrettanto immobile mercato residenziale. In entrambi i casi, la politica ha pesanti responsabilità: che siano gli sprechi pubblici che portano alla mancanza di fondi e quindi al blocco delle opere, o la fiscalità sulla prima casa che uccide la voglia di acquisto, a farne le spese è sempre l’ edilizia italiana.

Edilizia italiana, quale futuro?

Se da più parti si grida già alla ripresa dopo i primi dati macro e micro economici relativi all’inizio del 2015, c’è un settore che di ripartire, purtroppo, non sembra avere la minima intenzione. È il settore dell’ edilizia italiana.

Secondo l’Istati, infatti, negli ultimi 5 anni l’ edilizia italiana ha perso quasi il 25% degli occupati e anche i dati relativi al 2014 sono tutt’altro che tranquillizzanti: 500mila posti di lavoro in meno tra la fine del 2009 alla fine del 2014, con un’ edilizia italiana che è passata da 1 milione e 964mila occupati a 1 milione e 454mila. Una sfilza di segni meno che parte dal terzo trimestre del 2010 e prosegue ininterrottamente fino alla fine dello scorso anno: 18 trimestri consecutivi di cali, senza alcun rimbalzo, né grande, né piccolo.

Una situazione che non lascia per nulla tranquilli imprese e addetti del settore, dal momento che quello dell’ edilizia italiana è un caso unico nell’economia del nostro Paese. Se, infatti, l’industria in generale ha percepito qualche segnale di ripresa dalla metà dello scorso anno in poi, il settore dell’ edilizia italiana è stato invece sempre depresso e in recessione. Se lo ricordano bene gli addetti dell’ edilizia italiana il primo semestre del 2013, quando gli occupati del settore scesero di ben il 12% tra aprile e giugno.

Ciò che ha trascinato a fondo il settore dell’ edilizia italiana è stato soprattutto il crollo del mercato immobiliare, insieme allo stallo nelle grandi opere; capitolo grandi opere che porta con sé un’altra pesantissima zavorra per l’ edilizia italiana: il ritardo nel pagamento dei debiti della Pa verso le imprese.

A rincarare la dose, oltre all’Istat, ci pensano anche i dati aggiornati di Bankitalia, secondo i quali a gennaio 2015 i prestiti elargiti dalle banche alle imprese dell’ edilizia italiana hanno toccato la cifra record di 154 miliardi, quasi tre quarti di quanto gli istituti di credito hanno iniettato nell’intero settore manifatturiero italiano: 211 miliardi. E anche nel rapporto tra prestiti erogati e sofferenze bancarie, i rapporti di forza sono più o meno i medesimi: 185 miliardi di sofferenze bancarie a gennaio, dei quali 39 da imprese dell’ edilizia italiana e 35 dall’intero settore manifatturiero.

Vie d’uscita per l’ edilizia italiana? Le imprese del settore guardano con speranza al risanamento dei debiti Pa, oltre alle grandi opere che dovrebbero essere fatte ripartire dai provvedimenti contenuti nel decreto Sblocca-Italia. Se, a questo, si aggiunge il fatto che qualche timido segnale di ripresa arriva anche dal mercato immobiliare, qualcuno prova anche a sperare. Perché, oltre alla speranza, rischia di rimanere ben poco.

Prestiti alle imprese difficili anche nel 2015

La stretta dei prestiti alle imprese da parte delle banche è uno dei problemi più gravi che impediscono all’economia di ripartire, specialmente se si considera che le banche hanno denaro quasi gratis dalla Bce proprio per finanziare imprese e famiglie, ma lo usano per altri scopi.

Il quadro dei prestiti alle imprese sempre più contratti continuerà anche nel 2015, secondo Bankitalia. Nel suo Rapporto sulla stabilità finanziaria, l’istituto di Palazzo Koch rileva che “in base a nostre proiezioni, i prestiti alle società non finanziarie continuerebbero a diminuire anche nel 2015, seppur con un’intensità progressivamente decrescente. La contrazione dei mutui alle famiglie dovrebbe invece interrompersi già nel primo trimestre del prossimo anno”.

Prestiti alle imprese ancora fermi, quindi, mentre sul fronte delle famiglie si prospetta un po’ di ossigeno. Per quanto riguarda l’anno in corso, invece, “nella prima metà del 2014 il flusso di nuovi prestiti deteriorati, in rapporto ai crediti in bonis, è ulteriormente diminuito. Il calo ha riguardato anche le nuove sofferenze, soprattutto quelle relative ai finanziamenti alle imprese; secondo informazioni preliminari i flussi di nuove sofferenze sarebbero stabili negli ultimi mesi”.

Per i prestiti alle imprese, quindi, si prospetta un altro anno difficile.

Bankitalia: debiti delle PA in calo ad agosto

Il bollettino della Banca d’Italia “Finanza Pubblica, fabbisogno e debito” ha reso noto che il debito delle Pubbliche Amministrazioni nel mese di agosto è diminuito di 20,5 miliardi, arrivando così a 2.148,4 miliardi.

Motivo principale di questo sensibile calo è stata la riduzione di 27,3 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro, che ha più che compensato il fabbisogno del mese (6,9 miliardi); l’emissione di titoli sopra la pari, l’apprezzamento dell’euro e gli effetti della rivalutazione dei Btp indicizzati all’inflazione (BTPi) hanno contenuto l’incremento del debito per 0,1 miliardi.

Considerando i sottosettori, il debito delle Amministrazioni centrali è diminuito di 19,8 miliardi, quello delle Amministrazioni locali di 0,7 miliardi mentre il debito degli Enti di previdenza è rimasto sostanzialmente invariato.

Nei primi otto mesi dell’anno il debito pubblico è aumentato di 78,6 miliardi, riflettendo il fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (39,4 miliardi) e l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (44,8 miliardi).

Complessivamente, dunque, l’emissione di titoli sopra la pari, l’apprezzamento dell’euro e gli effetti della rivalutazione dei BTPi hanno contenuto l’incremento del debito per 5,7 miliardi.
Inoltre, sul fabbisogno dei primi otto mesi ha inciso per 4,7 miliardi il sostegno finanziario ai paesi dell’area dell’euro.
Nel complesso, la quota di competenza italiana del sostegno finanziario ai paesi dell’area era pari alla fine dello scorso agosto a 60,3 miliardi.

Per quanto riguarda le entrate tributarie, in agosto sono state pari a 32,6 miliardi, +1,3% (0,4 mld) rispetto allo stesso mese del 2013.

A fronte di questi numeri, Bankitalia ha chiarito che “tenendo conto di una disomogeneità nella contabilizzazione di alcuni incassi, la riduzione sarebbe stata più pronunciata“.

Vera MORETTI

Automotive in crescita in Campania

Il 2013 per la regione Campania è stato contraddistinto da un calo del pil ma anche da un brusco rallentamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie.

Ciò è emerso dal rapporto della Banca d’Italia sull’economia della regione presentato a Napoli, che ha mostrato come gli investimenti siano scesi l’anno scorso del 5,6% rispetto al 2012, toccando quota 12 miliardi e 290 milioni; se si guarda al periodo 2007-2013 il calo degli investimenti arriva al -44,7%.
Calano anche i consumi delle famiglie che si attestano a 55 miliardi di euro scendendo del 3,1% rispetto al 2012 e toccando il -14,2% dal 2007.

Dati positivi arrivano dall’export, soprattutto dal settore automotive, che è salito, nel 2013, del 4,9% e, nel primo trimestre 2014, del 50,7%.
Si tratta di una ripresa che, però, viene livellata dal crollo dell’80,2% registrato nel periodo compreso tra il 2007 e il 2013,

Giovani Iuzzolino, analista della Banca d’Italia, ha dichiarato: “C’e’ un ripresa del settore che però era stato praticamente azzerato negli anni precedenti della crisi, e quindi si riparte da livelli molto bassi”.
Migliora anche il settore degli aeromobili, con l’export della Campania che e’ salito del 21,11% nel 2013, anche se in avvio del 2014 c’e’ un lieve calo del 2,9%.

Dati positivi arrivano anche dal settore moda, che nel 2013 ha rilevato un aumento del 7,1%, con una tendenza nel primo trimestre del 2014 che registra un +3,5%.
Bene anche il settore agroalimentare, che ha registrato un confortante +4,8%.

A questo proposito, ha aggiunto Iuzzolino: “Nel complesso l’agricoltura cala fortemente in volume di produzione nel 2013 con un -5,1%, un dato che penalizza la Campania rispetto ad altre zone d’Italia come il nordest che segnala una crescita del 4,7%. Vanno meglio le imprese che vendono all’estero, visto che l’export della filiera agroalimentare cresce, raggiungendo il 28% di tutto l’export regionale, mentre la domanda interna cala”.

Vera MORETTI

Adusbef e Federconsumatori uniti contro le banche

I rapporti tra le banche e le associazioni dei consumatori sono alle strette, a causa delle erogazioni, da parte degli istituti di credito, di prestiti sempre più risicati e soprattutto delle richieste, sempre da parte delle banche, di favori al Governo Renzi.

A cominciare dai 7,5 miliardi di euro di rivalutazione delle quote di Bankitalia, Adusbef e Federconsumatori denunciano una serie di concessioni che il Governo precedente ha erogato alle banche.
Ciò che le associazioni per i consumatori non accettano è che, nonostante le misure di favore ricevute, non si siano registrati miglioramenti nella concessione dei crediti e neppure un abbassamento dei tassi d’interesse.

La situazione è sempre più critica per i contribuenti, i quali devono affrontare i conti correnti più cari del mondo, arrivati a 371 euro contro i 114 della media europea.
Per non parlare dei tassi, che in Italia sono pari a 4,62%, contro il 3,23% della media Ue.

Su ogni mutuo trentennale di 100.000 euro un consumatore italiano paga una rata mensile più elevata di 78 euro, 936 euro l’anno, subendo uno scippo con destrezza di 28.000 euro a fine ammortamento.

A fare questa denuncia sono stati Elio Lannutti, di Adusbef, e Rosario Trefiletti, di Federconsumatori, i quali, dunque, chiedono ad Abi e banche di ricominciare ad erogare prestiti a famiglie ed imprese calmierando i rincari su costi e commissioni.

Vera MORETTI

Banche: continuano le sofferenze dovute ai prestiti alle imprese

Continuano le sofferenze, da parte delle imprese, per quanto riguarda i prestiti da parte delle banche.
Se, da una parte, è ancora molto difficile ottenere un finanziamento, dall’altra, infatti, risulta altrettanto complesso riuscire a restituire il denaro ricevuto.

Secondo i dati di Bankitalia ripresi da una ricerca di Unimpresa, associazione delle imprese che ha il suo focus nelle pmi, nell’ultimo anno le sofferenze sono ancora cresciute del 25%, arrivando a superare il muro dei 166 miliardi di euro, in aumento di 33,1 miliardi.
Se si guarda al rapporto con il totale dei crediti, la percentuale è schizzata dal 9,14% all’11,6%.

Dal 2010 a oggi, inoltre, in valore assoluto le sofferenze sono più che raddoppiate, passando da 77,8 miliardi a 166,4.

Questo, per le banche, significa maggiori difficoltà nella concessione di crediti, anche a causa dei più stringenti requisiti patrimoniali.
Inoltre, con la crisi ancora in atto, l’ammontare complessivo dei crediti p in calo, anche se in termini minori rispetto agli anni precedenti.

Da aprile 2013 ad aprile 2014, il totale dei finanziamenti al settore privato è diminuito di 30,2 miliardi di euro passando da 1.458,07 miliardi a 1.427,7 miliardi.
Una riduzione che interessa sia le famiglie (-6,7 miliardi) sia le imprese (-23,5 miliardi). Le erogazioni degli istituti di credito sono scese, complessivamente, del 2,08%.

A questo proposito, Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, ha dichiarato: “Quella del credito resta una situazione gravissima e, di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni“.

Ha poi aggiunto Antonio Patuelli, presidente dell’Abi: “Le banche italiane stanno effettuando dei colossali aumenti di capitale che sono utili non solo per l’asset quality review e per gli stress test ma per avere molta più capienza per effettuare nuovi prestiti. La stagione degli aumenti non sarà mai finita, perché questa crisi ha cancellato la logica del minimo capitale. Se non riusciamo ad ottenere regole uniformi in tempi ragionevolmente brevi, l’Ue invece di diventare una grande chance per l’Italia rischierebbe di far esplodere le contraddizioni fin qui sopite“.

Vera MORETTI

Banche: calano i crediti ad imprese e famiglie

Niente da fare: ancora non accennano a calare le sofferenze da parte di famiglie e di imprese che, chiedendo finanziamenti alle banche, si vedono rispondere in modo negativo, o comunque non del tutto positivo.

Nonostante la situazione altamente difficile, e la necessità di avere accesso al credito per migliorare la propria condizione ed uscire dalla crisi, il trend non accenna a cambiare e sembra lontano il momento in cui si assisterà ad un’inversione di rotta.

Questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto sul credito effettuato dal Centro Studi Unimpresa.
L’indagine prende in considerazione il periodo marzo 2013-marzo 2014, che evidenzia che nell’ultimo anno le erogazioni sono diminuite al ritmo di 2,5 miliardi al mese.
Il totale dei finanziamenti al settore privato è diminuito di 30,4 miliardi di euro, passando da 1.461,8 a 1.431,3 miliardi.
Questa riduzione interessa sia le famiglie (-6,9 miliardi) sia le imprese (-23,5 miliardi), che hanno portato ad un calo del 2,09% delle erogazioni totali da parte degli istituti di credito.

Le maggiori criticità sono relative alle imprese, che nell’ultimo anno si sono viste tagliare sia i prestiti a breve termine (-4,82%, da 323,1 miliardi a 307,5) sia quelli di medio periodo (-6,5%, da 130,4 miliardi a 121,9 miliardi). Sono leggermente cresciuti solo quelli a lungo termine, oltre 5 anni, passati da 401,7 a 402,2 miliardi.
In totale lo stock di finanziamenti alle imprese è sceso in un anno di 23, 5 miliardi, da 855,3 a 831,7.

Le famiglie, dal canto loro, non hanno di che sorridere, poiché in 12 mesi sono stati erogati meno credito al consumo per 1,8 miliardi (da 58,9 miliardi a 57,08) e meno prestiti personali per 550 milioni (da 182,9 miliardi a 182,3).
I mutui, pur in lieve ripresa negli ultimi mesi, su un orizzonte annuale sono calati: le erogazioni sono scese dai 364,6 miliardi del marzo 2013 a poco più di 360, rendendo ancora più difficile la ripresa del comparto immobiliare.
In totale, lo stock di finanziamenti alle famiglie è calato in un anno di 6,9 miliardi (-1,15%).

Ma non è tutto: peggiorano il quadro i dati sulle sofferenze, esplose in un anno del 25% (33,6 miliardi) arrivando a superare i 164 miliardi di euro.
Di questi, 116 (+32% rispetto a marzo 2013) fanno capo a imprese, mentre le rate non pagate dalle famiglie valgono oltre 31 miliardi (+9%) e quelle delle imprese familiari quasi 14 miliardi (+17%).
Superano il tetto dei 2 miliardi, poi, le sofferenze della pubblica amministrazione, delle assicurazioni e di altre istituzioni finanziarie.

Ciò significa che le sofferenze, secondo lo studio Unimpresa basato su dati della Banca d’Italia, adesso corrispondono all’11,3% dei prestiti bancari, in aumento rispetto all’8,96% di un anno fa.

Vera MORETTI

Le novità sulla vigilanza sul governo societario delle banche

Sono state introdotte da Banca d’Italia nuove disposizioni di vigilanza sul governo societario delle banche, che comunque hanno confermato principi già presenti nelle precedenti disposizioni.

Tra le novità della disciplina:

  • l’esigenza che il consiglio si concentri sulle questioni di rilievo strategico e che abbia una composizione diversificata, anche per professionalità e genere, al fine di ampliare le prospettive di analisi e proposta;
  • la presenza di almeno un quarto di amministratori indipendenti per un più efficace contributo alla dialettica e al confronto interno;
  • il processo di nomina dei componenti, affinché sia trasparente e basato su un’analisi ex ante e una verifica ex post dei profili richiesti per l’efficace svolgimento dei compiti;
  • limiti quantitativi alla numerosità dei consiglieri, per evitare composizioni pletoriche che possono ostacolare la funzionalità del consiglio e accrescere i costi per le banche;
  • la figura del presidente con il fine di valorizzarne i compiti e il ruolo super partes, anche attraverso il divieto di essere componente del comitato esecutivo;
  • l’istituzione di comitati composti da amministratori non esecutivi, in maggioranza indipendenti, destinati a meglio supportare il consiglio in materie delicate e complesse (rischi, remunerazioni, nomine).

In arrivo anche una stretta sulle banche popolari. Nelle assemblee a ciascuno socio potranno essere attribuite non meno di cinque deleghe, e il voto potrà arrivare per corrispondenza o tramite altri mezzi di voto a distanza.

Vera MORETTI