A gennaio calati i prestiti ai privati

Non c’è tregua per le cattive notizie che riguardano l’economia italiana e questa volta, a comunicarle, è Bankitalia.

A quanto pare, infatti, anche il 2013 si è aperto in maniera sfavorevole, facendo registrare una contrazione, nel mese di gennaio, dell’1,6% relativamente ai prestiti al settore privato: nel dettaglio, quelli alle famiglie sono scesi dello 0,6%, mentre quelli alle società non finanziarie sono sotto del 2,8%.

I tassi d’interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie di importo inferiore a 1 milione di euro sono scesi al 4,39% (4,43 nel mese precedente), quelli di importo superiore a tale soglia sono diminuiti al 3,09% (3,15% a dicembre).
I tassi d’interesse sui finanziamenti erogati nel mese alle famiglie per l’acquisto di abitazioni sono rimasti invariati al 3,92%; quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo sono aumentati al 9,59% (9,08 a dicembre).
I tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono diminuiti all’1,17% (1,25% a dicembre).

Vera MORETTI

Italia, al 10% delle famiglie il 46% della ricchezza

In questo crepuscolo di 2012, le notizie sulla crisi e sulle famiglie in difficoltà si rincorrono senza sosta, facendoci sospirare il 31 dicembre nell’infantile speranza che da martedì 1 gennaio tutto cambierà. Illusi.

L’ultima, spietata fotografia dello stato nel quale versano le famiglie italiane l’ha scattata Bankitalia con il suo Bollettino statistico: secondo Palazzo Koch, la loro ricchezza netta nel 2011 ha subito un calo dello 0,7% a prezzi correnti e del 3,4% in termini reali. In cifre, alla fine dell’anno scorso il dato aggregato era pari a circa 8.619 miliardi di euro, ovvero circa 140mila euro pro capite e 350mila euro in media per famiglia. Cifre che fanno tornare indietro il loro “l’orologio economico” ai livelli di fine Anni Novanta. Secondo la Banca d’Italia, dal 2007 la riduzione è pari al 5,8%. Calo che, secondo stime preliminari, è continuato nei primi 6 mesi del 2012 con un -0,5% in termini nominali.

Quello che però sconcerta è la distribuzione totalmente squilibrata: alla fine del 2010 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 9,4% della ricchezza totale del Paese, mentre il 10% più ricco deteneva il 45,9% della ricchezza.

Se ci può consolare, Bankitalia conferma la tendenza degli italiani (dei cittadini, non dei politici…) a essere formiche. Le famiglie del Belpaese possiedono infatti una elevata ricchezza netta che, nel 2010, era di otto volte il reddito disponibile, contro l’8,2 del Regno Unito, l’8,1 della Francia, il 7,8 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 5,3 degli Usa.

Come sempre, affianca la forte propensione al risparmio delle famiglie italiane una debole propensione ai debiti: l’ammontare degli stessi è infatti pari al 71% del reddito disponibile, mentre in Francia e in Germania siamo a circa il 100%, in Giappone e negli Usa al 125%, in Canada al 150% e nel Regno Unito addirittura al 165%. Se i politici prendessero esempio dalle famiglie comuni, scommettiamo che i conti disastrati della povera Italia sarebbero molto migliori?

Tre italiani su dieci sono a rischio povertà

Brutte notizie da un’indagine Istat.

A quanto pare, come emerge da un rapporto su reddito e condizioni di vita, nel 2011 il 28,4% delle persone residenti in Italia era a rischio povertà o esclusione sociale e questo indicatore è cresciuto di 2,6 punti percentuali rispetto al 2010.

Ciò significa che quasi tre italiani su dieci sono a rischio di povertà.

A ciò si aggiunge un irreversibile calo del Pil, ancora in discesa, per il quinto trimestre consecutivo. La produzione industriale a ottobre ha registrato un calo del 6,2% su base annua e dell’1,1% su base mensile: si tratta del quattordicesimo dato negativo consecutivo.

Anche i dati di Bankitalia non sono molto incoraggianti: anche i prestiti alle famiglie sono in diminuzione.
A questo proposito, i prestiti sono scesi dello 0,1%, registrando il primo calo negli ultimi 13 mesi, mentre i finanziamenti alle imprese hanno fatto registrare la sesta contrazione consecutiva in diminuzione del 2,9% rispetto a settembre.

Vera MORETTI

A breve l’aggiornamento del Def

Per il 20 settembre è stato fissato l’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, che dovrebbe portare ad una revisione al ribasso del prodotto interno lordo.

Questa previsione, per molti scontata, deriva dalle stime ufficiali che riguardano il 2012, che già in aprile faceva registrare un’un economia in calo dell’1,2%, ora peggiorata di un punto, poiché oscilla tra il -2% e il -2,4%.
E dato che le congiunture negative sono destinate a continuare, anche il 2013 subirà una revisione al ribasso, poiché, se dovesse riprendere la crescita, sarebbe solo dello 0,5%.

Pil ancora negativo, dunque, come conseguenza dei dati che confermano il periodo di recessione nel quale ancora ci troviamo.
Tra le stime negative per l’anno prossimo Bankitalia prevede un -0,2% e l’Fmi prevede un -0,3% ma, nonostante ciò, il ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha assicurato che non comporterà manovre aggiuntive per centrare il prossimo anno l’obiettivo del pareggio di bilancio.

Va detto che il Def potrebbe slittare di qualche giorno perché, proprio per il 20 settembre è prevista la diffusione, da parte di Istat, un importante dato per valutare l’andamento dell’economia: fatturato e ordinativi per l’industria italiana in luglio, che permetterebbe di avere un quadro più completo.

Al Ministero dell’Economia si lavora anche sulla Legge di Stabilità, la cui presentazione è attesa per la metà di ottobre e c‘è attesa soprattutto per l‘Iva. Per ora, infatti, il non aumento dell’aliquota è garantito solo fino al giugno 2013.

Per ottenere ciò, occorrerà trovare risorse pari a 6 miliardi di euro, oltre a quanto potrebbe arrivare dalla spending review e all’anticipo della delega fiscale, ovvero altri 2 miliardi di euro.

Vera MORETTI

Col nuovo millennio la busta dei dipendenti è rimasta al palo

Aumenti pressochè inesistenti nelle busta paga dei dipendenti nei primi 10 anni del nuovo millennio. Le retribuzioni medie reali nette dal 2000 al 2010, infatti, sono aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). E’ quanto emerge dalle tabelle contenute nella relazione annuale di Bankitalia. Risultati su cui pesa, ovviamente, la crisi economica e gli interventi che hanno toccato in particolare gli statali. Su cui, per il momento, sembra scampato il pericolo di un taglio delle tredicesime.

Dai dati emerge inoltre che il gap tra Centro-Nord e Sud-isole non arresta la sua corsa: l’incremento è stato del 2,5% contro lo 0,7%. In termini reali, al Centro-Nord si è passati da 1.466 euro del 2000 a 1.503 euro del 2010, con un aumento di 64 euro; mentre nel Mezzogiorno le retribuzioni passano da 1.267 euro a 1.276 euro, con una crescita di soli 9 euro. Rispetto alla media nazionale, le retribuzioni si attestano a un +4% per i lavoratori del Centro-Nord e -10,1% per quelli di Sud e isole, mentre 10 anni dopo di arriva a +4,4% e -11,3%.

I grafici mostrano anche gli effetti negativi che la crisi ha avuto sulle retribuzioni; secondo le rilevazioni condotte con cadenza biennale, emerge che nel 2006 le retribuzioni medie arrivavano a 1.489 euro, due anni dopo (con l’inizio della crisi) erano scese a 1.442 euro, e nel 2010 la situazione era ulteriormente peggiorata, arrivando a 1.439 euro. La riduzione in termini reali, in quattro anni, è stata di 50 euro (-3,3%).

In generale, la crisi ha influito sulle buste paga di tutti i lavoratori dello stivale: nel Centro-Nord del paese la riduzione è stata di 46 euro (-2,9%), mentre nel Sud e isole il taglio è stato di 56 euro (-4,2%). Le differenze restano notevoli anche tra i due sessi; con gli uomini che sono passati da 1.539 euro a 1.586 euro (+47 euro), e le donne, che partivano da 1.220 euro e sono arrivate e 1.253 euro (+35 euro).

Tra il 2008 e il 2010, le retribuzioni reali mensili pro capite dei lavoratori a tempo pieno, al netto di imposte e contributi sociali, spiega Bankitalia, sono cresciute dello 0,8% (2% per le donne). Nello stesso periodo, la quota dei lavoratori a bassa retribuzione è salita di tre decimi di punto percentuale, al 9,4%. Palazzo Koch spiega che, proprio a causa dell’espansione del part-time, le retribuzioni nette medie per il totale dei lavoratori dipendenti sono diminuite dello 0,2%, riflettendo esclusivamente il calo del Mezzogiorno.

Italia, non è un Paese per giovani

Non è un Paese per giovani, l’Italia. Almeno stando a quanto emerge dal documento della Banca d’Italia, “Economie regionali – L’Economia delle regioni italiane”. Nonostante le iniziative di imprenditoria giovanile non manchino e gli under 35 si dimostrino molto attivi, le opportunità di lavoro per le fasce di età più giovani continuano a deteriorarsi in tutte le regioni: nel Sud il tasso di disoccupazione delle persone con meno di 30 anni è oltre il doppio di quello complessivo

Secondo Bankitalia, la crescita dell’occupazione (0,4% nella media del 2011 in Italia) è stata più debole al Centro e nel Mezzogiorno rispetto al Nord, dove è cresciuta in particolare nel Nord-est. Le differenze territoriali riflettono l’andamento dell’occupazione nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni; un settore che continua a essere in estema sofferenza, dove è proseguito il forte calo del numero di occupati.

Scenario poco omogeneo anche in quanto al pil, che nel 2011 ha ristagnato nel Mezzogiorno (0,0%) e al Centro (0,1%) ed è cresciuto a un tasso lievemente superiore a quello medio nazionale (0,4%) nel Nord-ovest (0,6%) a un ritmo nettamente superiore nel Nord-est (0,9%). Rispetto alle altre aree, il Sud è stato caratterizzato da un andamento particolarmente sfavorevole dei consumi, in presenza di una più debole occupazione e a retribuzioni in ristagno.

C’è poi il capitolo, dolente, dei prestiti bancari che nel 2011 hanno rallentato in tutte le aree del Paese. Manco a dirlo… La frenata, concentrata nell’ultima parte dell’anno, è stata più marcata nel Nord e ha riguardato soprattutto i finanziamenti alle imprese, anche per effetto della debolezza dell’attività produttiva. Anche i prestiti alle famiglie hanno rallentato, ma in modo più accentuato nelle regioni del Centrosud. L’indagine è stata condotta dalla Banca d’Italia su un campione di circa 400 intermediari e ha mostrato un dato incontrovertibile: sulla dinamica dei prestiti ha influito ovunque l’irrigidimento dei criteri di offerta delle banche, in un contesto di debolezza della domanda di finanziamenti; nel primo semestre dell’anno in corso esso si sarebbe attenuato in tutte le aree del Paese.

Insomma, anche in questo caso giovani e imprese pagano più degli altri il prezzo della crisi. E se lo dice Bankitalia, c’è poco da stare allegri…

Crisi: 480 mila le famiglie che aiutano i figli senza lavoro

Nella tarda primavera del 2009, “nel momento di massimo impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano, circa 480 mila famiglie hanno sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei dodici mesi precedenti”. Lo evidenzia il vicedirettore generale di Bankitalia, Anna Maria Tarantola.

Le risorse impiegate in questa forma di sostegno familiare, fa notare, “sono venute non solo dai redditi da lavoro dei genitori, ma spesso anche da quelli da pensione”. La struttura familiare italiana, spiega Tarantola, “caratterizzata da una marcata propensione dei giovani a costituire un nuovo nucleo familiare solo se occupati, ha limitato l’impatto della grande recessione sul benessere degli individui”. Per converso, “sono proprio le famiglie dei giovani che hanno intrapreso un percorso autonomo, quelle che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi e che oggi fronteggiano i livelli di incertezza più elevati”.

La crisi, poi, “ha reso ancora più forte la dipendenza dei membri più deboli dalla famiglia d’origine, riducendo ulteriormente la propensione dei giovani di intraprendere percorsi autonomi, a passare dalla condizione di figlio a quella di genitore, a partecipare attivamente non solo alla vita economica, ma anche a quella sociale”. E’ “essenziale” affrontare questi nodi perché”il futuro del Paese dipende in modo cruciale dal sostegno che la nostra società è e sarà in grado di dare ai progetti di vita delle giovani famiglie”.

Secondo Tarantola, infatti, “la vulnerabilità finanziaria si riduce solo rafforzando il ritmo di crescita della nostra economia, riavviando lo sviluppo con misure strutturali”. E’ questo, dice, “il compito cui è innanzitutto chiamata la politica economica nel nostro paese, rimuovendo ingiustificati vincoli e restrizioni alla concorrenza e all’attività economica, definendo un più favorevole contesto istituzionale per l’attività delle imprese e dei lavoratori, promuovendo l’accumulazione di capitale fisico e di capitale umano”. La via intrapresa dal governo con il decreto legge in materia sviluppo, con quello sulle semplificazioni, in via di approvazione, e con il disegno di legge sui temi del lavoro “ha esattamente questo obiettivo”.

Fonte: adnkronos.com

Come cambia l’Italia lavorativa

di Vera MORETTI

Bankitalia, grazie ad uno studio relativo alle opportunità di lavoro in Italia, fa sapere che nel nostro Paese le professioni in calo riguardano artigiani, insegnanti, impiegati ed operai, mentre salgono imprenditori, manager e professionisti nei settori tecnici ed intellettuali.

A commentare questi dati, tra gli altri, è stato Tiziano Treu, ex ministro e senatore del Pd, il quale, a proposito di lavoro, ha fatto riferimento alla flexsecurity di Marco Biagi, che prevedeva la gestione di lavoro temporaneo e part time attraverso la contrattazione, oltre alla necessità di un apprendistato per imparare un mestiere.

La situazione italiana attuale è espressione di una flexsecurity monca, perché priva di ammortizzatori e servizi all’impiego, con la conseguente esclusione dei giovani dal mondo del lavoro. Così, quindi, viene spiegato da Treu l’inversione di tendenza di alcune professioni storiche ma, ahimè, senza più ricambio generazionale.

La riforma del lavoro, quindi, è sempre più basilare, come confermato anche dall’ex ministro del lavoro Maurizio Sacconi. Quest’ultimo ha anche annunciato, per il 26 marzo prossimo, una conferenza nazionale del Pdlcon lo scopo di incoraggiare e sostenere l’attuazione delle politiche ormai da tempo annunciate dal Governo e sollecitate da tutte le istituzioni sovranazionali. Discuteremo in particolare dei modi con cui conciliare diritti e doveri nel lavoro, sicurezza dei lavoratori e competitività delle imprese, maggiore produttività e migliore salario“.

Se si raggiungerà un accordo costruttivo, sarà solo con l’unione di tutte le forze

I tassi d’interesse ai tempi della crisi

di Vera MORETTI

Ottenere prestiti è sempre più difficile, soprattutto se si tratta di privati.

Lo dice Bankitalia, alla luce dei dati diffusi riguardo il tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti al settore privato, che è diminuito, a gennaio, e si è assestato sull’1,6%, contro il 2,3% di dicembre 2011.

Ma anche le imprese sono in affanno, quando si tratta di ottenere un finanziamento dalle banche, perché il tasso di crescita sui dodici mesi per i prestiti alle società non finanziarie è pari all’1,3% dal 2,6% registrato a dicembre. Il trend sui dodici mesi degli impieghi nel gennaio del 2011 era di una crescita del 4,3%.
Questo si riflette anche sui tassi di interesse per i mutui casa, arrivati al 4,55% rispetto al 4,27% di dicembre 2011, mentre quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo sono aumentati al 9,91% dal 9,11% di dicembre.

A calare sono invece i tassi di interesse applicati sui nuovi prestiti erogati alle società non finanziarie, passati dal 4,18 di dicembre al 4,06 di gennaio. Ciò ha portato ad una diminuzione dei tassi di interesse su prestiti di importo superiore a 1 milione di euro (3,47% dal 3,80% del mese precedente) e un aumento dei tassi sui prestiti di importo inferiore (5,01% dal 4,98% di dicembre).

Nel mese di gennaio, inoltre, sono diminuiti dello 0,8% i depositi del settore privato, facendo riferimento ai dati dell’anno precedente.
La raccolta obbligazionaria è cresciuta del 16,4% (dal 13,2% del mese precedente). I tassi di interesse sui nuovi depositi con scadenza prestabilita sono aumentati al 2,94% dal 2,87% di dicembre. I tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono cresciuti all’1,16% dall’1,08% del mese precedente.

La Puglia è il Nord del Sud

Il posto fisso, ormai, è diventato una chimera, un lusso che in pochi riescono ad ottenere. E allora, invece di “mettersi in lista d’attesa” tra contratti a progetto e a tempo determinato, in tanti decidono che “non ci stanno” e si avviano ad ingrossare le fila dell’esercito delle partite Iva.

Succede anche in Puglia, segnale che in tutta Italia la tendenza è la stessa e si comincia a sottrarsi ad una burocrazia che aiuta solo certi fortunati, o meglio, certi raccomandati. Ci si rimbocca le maniche e si riparte da zero, artefici unici del proprio successo, o insuccesso. Questa soluzione non garantisce stabilità, almeno all’inizio dell’attività intrapresa, ma una precarietà che appare più accettabile rispetto a quella eterna da dipendenti.

Sono questi i dati che emergono dalla semestrale di Bankitalia circa l’andamento dell’economia, e che disegnano una regione molto diversa, dove difficoltà e disagi sono molti ma, a differenza del passato, in movimento e con uno spiccato sguardo al futuro.

Vincenzo Umbrella, direttore della sede barese dell’istituto centrale, descrive la sua regione come “il Nord del Sud”, con un mercato del lavoro che sta mostrando segni di ripresa, anche se non esaltanti, ma che, dall’alto del +1,9%, spera di rialzare presto la testa. In cifre, si tratta di 23mila unità in più nel semestre da gennaio a giugno, con un conseguente abbassamento, anche se solo di un punto, del tasso di disoccupazione, da 13,6 a 12,7.

Ciò che testimonia un’inversione di tendenza nel tacco dello Stivale è l’identikit dei nuovi occupati. Sono tutti autonomi e, rispetto all’anno scorso, sono aumentati del 6,8%, con una maggioranza di donne, 3,3%, sugli uomini, 1,2%.
I dipendenti, ovviamente, non sono spariti nel frattempo, ma neanche cresciuti. L’andamento, da questo punto di vista, registra un eloquente 0%.

Insomma, la situazione non è rosea ma nemmeno nera. La produzione industriale si sta risollevando, poiché il 40% dei titolari di 400 imprese con più di 20 dipendenti ha ammesso un incremento di fatturato, contro il 32% che, invece, ha riscontato una flessione. In questo scenario, è l’export a fare la differenza, dal momento che le esportazioni verso l’estero sono aumentate del 22%, contro il 17,3% degli scambi tra le regioni meridionali e il 15,8% all’interno del Paese.

A “tirare” di più, il settore siderurgico, i mezzi di trasporto e i prodotti farmaceutici, ma tengono bene anche abbigliamento, calzature e mobili.
Tra i Paesi esteri, spiccano le vendite in Spagna e in generale in tutta l’Ue, ma risultati positivi arrivano anche da Svizzera e Asia, raddoppiando le cifre dello scorso anno. Al contrario, diminuiti gli scambi con gli Stati Uniti.

Nel settore dedicato ai servizi, invece, spiccano il turismo, con un sensibile aumento degli stranieri, e i trasporti, sia nei porti, che registrano un +12,3%, e negli aeroporti, +16,5%.

In situazione statica si trovano le costruzioni, con le transazioni immobiliari che calano del 5% e i prezzi delle case al netto dell’inflazione al consumo che scendono dell’1,4%.

Male invece le opere pubbliche, con un negativo del 20,6%, ma anche le banche non se la passano bene, a causa di tassi di interesse troppo alti che scoraggiano l’accensione di mutui e finanziamenti. Per questo, conclude Umbrella, “il denaro torna a essere una merce molto rara“.

Vera Moretti