Cartelle esattoriali sbagliate, anche in Parlamento se ne discute, tutte le novità

Cartelle esattoriali sbagliate con soldi richiesti ai contribuenti che invece non sono dovuti, sono una cosa che si ripete sempre. Non sono poche le cartelle che presentano errori anche poco evidenti a primo impatto, ma che portano alla nullità dell’atto impositivo nei confronti del contribuente. A volte capita anche di ricevere cartelle, per posta ordinaria o elettronica, con richieste di pagamento per balzelli o cartelle, già saldate. Problemi che si abbattono sui contribuenti, ma che derivano da una struttura, quella del Fisco, niente affatto precisa e funzionante. Tanto è vero che adesso anche in Parlamento se ne discute.

Gli errori nelle richieste dell’Agenzia delle Entrate

Persone fisiche, famiglie, aziende e professionisti, nessuno è escluso quando si parla di cartelle esattoriali. E nessuno è escluso nemmeno quando si parla di errori nelle cartelle esattoriali. Il problema è da ricercare nell’incrocio dei dati che le amministrazioni utilizzano. Le banche dati sono  sicuramente una grande cosa, uno strumento utilissimo per permettere controlli, accertamenti e cose di questo genere. Ma lo strumento è utile solo se queste banche dati funzionano. Altrimenti sono guai seri. Ed evidentemente, qualcosa non funziona se è vero che sono numerosissime le cartelle che finiscono ai contribuenti per errore.

Evidentemente siamo di fronte a banche dati che non comunicano bene tra loro. Le banche dati delle Pubbliche Amministrazioni non funzionano bene tra loro, non si scambiano dati come dovrebbe essere. Un serio problema che finisce in Parlamento, poiché è la Commissione Vigilanza a sollevarlo.

La Commissione ha presentato una indagine conoscitiva chiamata “Digitalizzazione e interoperabilità delle banche dati fiscali”. Uno studio che Commissione parlamentare di Vigilanza sull’anagrafe tributaria ha usato per mettere in luce le problematiche evidenti del settore. Problemi che secondo la stessa Commissione, sono un evidente illecito.

I contribuenti non possono essere vessati

Il principio fondamentale in materia di rapporto tra le amministrazioni pubbliche e i contribuenti è che un documento non deve essere richiesto se già presente. Un po’ quello che succede adesso con le dichiarazioni dei redditi ed i controlli fiscali. Come è noto, chi presenta il modello 730 precompilato oggi, correggendo un dato rispetto a quanto pre-iscritto dal Fisco, può finire a controllo. Ma l’accertamento documentale deve riguardare solo il dato cambiato e non gli altri. Infatti se gli altri dati vengono accettati dal contribuente, significa che di quei dati il Fisco ha già la documentazione utile. Inutile chiederla di nuovo.

La burocrazia è un problema serio anche sulle cartelle

È la legge che prevede il divieto ad una Pubblica Amministrazione, di richiedere un documento che dovrebbe avere già. Siamo di fronte ad uno dei maggiori problemi che attanagliano gli italiani, famiglie, singoli e imprese. La burocrazia a volte folle di cui l’Italia è composta. Basti pensare al contribuente che può finire in guai seri per via di iscrizioni negli elenchi dei cattivi pagatori. Oppure all’impresa che può avere problemi con il DURC.

Anche la Cgia di Mestre ha da tempo sollevato queste problematiche, che oltre ad ingessare il sistema, arriva a produrre un rilevante costo.

Secondo Assolombarda solo di burocrazia le imprese spendono tra i 108.000 e i 710.000 euro. e ci rimettono oltre 100 giorni di lavoro per un addetto, a risolvere queste problematiche.

Come avere il fotovoltaico gratis con il Superbonus 110%

Il Superbonus 110% prevede tra i lavori trainati che possono essere coperti dal bonus anche la realizzazione di impianti fotovoltaici. Anche questa parte della normativa però, come altre, ha avuto delle revisioni normative. Vediamo come ottenere il fotovoltaico gratis con il Superbonus 110% nel 2022.

Come funziona il fotovoltaico

Il fotovoltaico è un impianto realizzato al fine di produrre energia elettrica attraverso l’energia solare. Gli elementi che compongono l’impianto sono i pannelli fotovoltaici, l’inverter e i sistemi di accumulo. Il fotovoltaico non deve essere confuso con l’impianto solare termico, infatti, mentre il primo consente di produrre energia elettrica, il secondo consente semplicemente di produrre acqua calda. Il prezzo medio di un pannello solare varia in base alla tipologia da 70 euro a 250 euro. A questo costo devono essere aggiunte le spese per gli altri componenti e per l’installazione. Certamente questi esborsi nel tempo possono essere ammortizzati grazie alla produzione di energia elettrica utilizzabile per far funzionare elettrodomestici, per il riscaldamento, per caricare batterie e per tutto ciò che viene alimentato dalle rete elettrica. Naturalmente il grado di autosufficienza energetica che si riesce a ottenere dipende dalla superficie disponibile, dall’esposizione al sole e dal “clima”.

Impianto fotovoltaico gratis con il Superbonus 110%

Oggi è però possibile sfruttare il Superbonus 110% per avere l’impianto fotovoltaico praticamente gratis. Sappiamo che il Superbonus consente di effettuare, senza dover pagare, lavori che consentono l’efficientamento energetico con recupero di almeno due classi energetiche. Le due classi devono essere recuperate complessivamente con tali lavori. Per poter accedere al beneficio devono essere effettuati i lavori trainanti, questi permettono di ottenere l’agevolazione anche per i lavori trainati e il fotovoltaico rientra proprio tra i questi. Vi sono però norme specifiche per questa tipologie di impianti e sono dettate dal decreto Rilancio e dalla successive modifiche della normativa, almeno 10.

Il Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio), convertito con modificazioni dalla Legge n. 77/2020 all’articolo 119 comma 5 prevedeva Per l’installazione di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica su edifici la detrazione per le spese sostenute tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2021. La misura prevista era per una spesa massima di 48.000 euro

Erano inoltre previsti ulteriori limiti, cioè un massimo di 2.400 euro per ogni kw di potenza nominale dell’impianto in caso di interventi di manutenzione straordinaria e 1.600 euro per gli interventi di ristrutturazione, nuova costruzione e ristrutturazione urbanistica.

Agevolazioni sono previste anche per l’installazione di sistemi di accumulo, sia contestuali, sia successivi ( in questo secondo caso sempre nell’arco di tempo in cui si sostengono spese per i lavori trainanti).  In questo caso l’agevolazione è di 1.000 euro per ogni kWh di capacità del sistema di accumulo.

Sono considerati interventi di manutenzione straordinaria tutti quelli che non prevedono demolizioni e ricostruzione dell’edificio e quindi la maggior parte degli interventi possono beneficiare dell’agevolazione piena.

Con la legge di bilancio 2022 è stata previsto solo un leggero ritocco alla normativa vista in precedenza, in particolare è stato eliminato ogni riferimento al limite temporale e di conseguenza sarà possibile usufruire del fotovoltaico gratis con il Superbonus 110% in qualità di lavoro trainato.

Riduzione della burocrazia per l’installazione di pannelli fotovoltaici

Oggi per l’installazione dei pannelli solari per l’autoproduzione dell’energia elettrica c’è anche un’altra importante novità. Il governo con il decreto energia ha provveduto a ridurre la burocrazia sull’installazione dei sistemi fotovoltaici. Questi interventi saranno ora considerati di manutenzione ordinaria e di conseguenza non sarà necessario ottenere permessi e asseverazioni.

Per saperne di più leggi l’articolo: Il governo apre ai pannelli solari liberi: novità nel decreto energia

Per conoscere la distinzione tra interventi trainanti e trainati, leggi l’articolo: Lavori trainanti nel Superbonus 110%:scopriamo quali sono

 

 

 

Semplificazioni, i commercialisti incontrano il governo

Nei giorni scorsi si è tenuto a Roma un importante incontro tra una rappresentanza del Consiglio nazionale dei commercialisti, composta dal presidente Gerardo Longobardi e dal consigliere nazionale con delega alla fiscalità, Luigi Mandolesi, e il viceministro dell’Economia con delega alle Finanze, Luigi Casero.

Oggetto dell’incontro, fortemente voluto dai commercialisti italiani, al centro del quale sono state poste le semplificazioni finalizzate alla riduzione dei costi degli adempimenti fiscali per i contribuenti. In quest’ottica, i commercialisti hanno consegnato a Casero un documento di proposte di modifica della disciplina fiscale sui lavoratori autonomi.

Tra le proposte dei commercialisti:

  • richiesta di eliminazione degli studi di settore per i professionisti;
  • proroga automatica dei termini per la presentazione di dichiarazioni e comunicazioni fiscali e per il versamento dei tributi di competenza dello Stato e degli enti locali, qualora si verifichino ritardi nella pubblicazione dei provvedimenti attuativi o del software applicativo necessario all’effettuazione degli stessi adempimenti;
  • sospensione feriale, dall’1 al 31 agosto, dei termini amministrativi tributari a carico dei contribuenti;
  • obbligo di accettare pagamenti effettuati tramite POS circoscritto solo a quanti esercitano un’attività rivolta a una clientela di consumatori finali.

Secondo Casero, l’incontro è stato “estremamente soddisfacente. Confido nella possibilità che le proposte formulate oggi dai commercialisti possano velocemente trasformarsi in provvedimenti legislativi in grado di produrre un tangibile taglio dei costi a carico di imprese, professionisti e contribuenti tutti per gli adempimenti fiscali. Un impegno che avevo assunto proprio in occasione del Convegno nazionale dei commercialisti tenutosi lo scorso anno a Rimini e che sta andando avanti con risultati concreti”.

Dal canto loro, Longobardi e Mandolesi hanno ricordato come “il nostro documento contiene proposte molto dettagliate, non partigiane ma utili per l’intera collettività, che ci auguriamo possano a breve trasformarsi in norme di legge. La collaborazione fattiva da tempo avviata con il MEF ci lascia ben sperare”.

La tassa occulta della burocrazia

Come se non bastassero la crisi, le tasse e le imposte a mettere in ginocchio le imprese italiane, lo Stato ci mette anche il carico da 10 per fa affogare il poveri imprenditori con una burocrazia assurda che fa perdere tempo e, soprattutto, denaro.

Secondo una ricerca realizzata dal Centro Europa Ricerche per conto di Rete Imprese Italia, superano infatti i 30 miliardi i costi che le Pmi italiane sopportano ogni anno a causa dell’eccesso di adempimenti richiesti dalla burocrazia cui devono sottostare. Un valore equivalente al 2% del Pil che, secondo quanto si legge nella ricerca, “costituisce un evidente freno al processo di sviluppo“.

Secondo gli estensori dello studio, oltre il 25% dei costi della burocrazia potrebbe essere tagliato se si seguissero “procedure più semplici che, in quasi due casi su tre, dovrebbero riguardare materie del lavoro e del fisco“. Nove miliardi che potrebbero essere risparmiati in quanto “oneri impropri determinati da complicazioni e inefficienze burocratiche che un programma di semplificazione consentirebbe di evitare“.

La percezione della burocrazia come di una tassa occulta è comune al 60% delle Pmi, le quali ritengono che l’incidenza degli oneri amministrativi sia aumentata negli ultimi anni, con il moltiplicarsi di norme sempre più complicate.

Impressionante la traduzione in numeri del trend. Secondo la ricerca, i giorni dedicati a sbrigare adempimenti amministrativi sono aumentati nel corso della crisi: da 26 che erano nel 2008 sono passati a 30 nel 2013 (+7%), con un massimo di 32 nel 2010.

Consulenti del lavoro e disservizi Inps

I consulenti del lavoro sono sempre più vicini ai… consulenti del lavoro. Non è un gioco di parole ma la conseguenza di quanto messo in atto dalla Fondazione studi Consulenti del lavoro la quale, nell’ambito della scrivania digitale del proprio sito, ha attivato un’area alla quale gli associati possono inviare segnalazioni su disguidi e malfunzionamenti che dovessero rilevare nelle sedi territoriali Inps. Disguidi che si riflettono negativamente sull’operatività e la produttività degli studi professionali.

Si tratta di un vero sportello telematico al quale sono già pervenute decine di segnalazioni dai consulenti del lavoro da tutto il territorio nazionale. Tutte insieme concorreranno a formare una sorta di banca dati che il Consiglio nazionale utilizzerà per monitorare lo stato reale di digitalizzazione effettiva dell’Inps.

L’iniziativa della Fondazione studi Consulenti del lavoro si è resa necessaria dopo che un sondaggio interno alla categoria ha messo in luce che 90% dei consulenti del lavoro intervistati riscontra omissioni contributive e dati errati inviati dall’Inps, a causa del fatto che gli archivi dell’istituto non sono aggiornati in tempo reale.

Per accedere all’area di segnalazione dei disservizi Inps, cliccare qui.

La crisi mette in ginocchio l’artigianato

L’artigianato sta conoscendo un periodo di forte crisi.
I dati, a questo proposito, parlano chiaro: tra il 2009 e i primi nove mesi del 2014, infatti, più di 91mila imprese hanno dovuto alzare bandiera bianca.

Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, il cui Ufficio Studi ha effettuato questa indagine, ha commentato così questa situazione: “Nonostante la crisi economica abbia cancellato a livello nazionale ben 91.000 aziende artigiane, i giovani, soprattutto nel comparto casa, costituiscono la maggioranza degli addetti. E’ un segnale molto importante che squarcia un quadro generale molto critico. A nostro avviso ciò è dovuto a due motivi. Il primo: questi mestieri, legati al mondo dell’edilizia, impongono una forza e una tenuta fisica che difficilmente possono essere richiesti a dei lavoratori di una certa età. Il secondo: il forte aumento del numero dei diplomati avvenuto in questi ultimi anni nel settore edile, elettrico e termoidraulico ha favorito l’ingresso di molti ragazzi nel mercato del lavoro. In generale, malgrado le difficoltà e i problemi che sta vivendo il nostro settore, i giovani stanno ritornando all’artigianato, ma non ai vecchi mestieri. Dai nostri dati, ad esempio, gli artigiani che lavorano il vetro artistico, i calzolai, gli artigiani del cuoio, delle pelli e quelli e i sarti corrono il rischio, fra qualche decennio, di estinguersi”.

Per quanto riguarda l’ubicazione delle imprese che sono state costrette a chiudere, una su due si trovava al Nord, con picchi in Lombardia, dove all’appello mancano 12.496 aziende, seguita dall’Emilia Romagna (-11.719), il Veneto (- 10.944) e il Piemonte (-8.962).

Tra i settori che maggiormente hanno sofferto la contrazione numerica, ci sono sicuramente quello delle costruzioni/installazione impianti (-42.444), ma anche le attività manifatturiere (- 31.256), i carrozzieri e le autofficine (- 15.973).

Al contrario, in espansione ci sono i servizi alla persona (parrucchieri, estetiste, massaggiatori, etc.), con un saldo pari a + 1.405 attività, le gelaterie e le pasticcerie, con +5.579 imprese, e le attività di pulizia/giardinaggio, con + 10.497 aziende artigiane.

Ma quali sono le cause che hanno portato a questa crisi?
In primo luogo i costi, che hanno cominciato a lievitare tanto da registrare un picco del 21% dal 2008 al 2013 nell’energia, e del 23,5% per il gasolio.
Anche la Pubblica Amministrazione è colpevole di aver causato disagi alle imprese artigiane, poiché, nello stesso lasso di tempo, ha aumentato di 35 giorni i pagamenti ai suoi fornitori.

Le banche, ovviamente, ci hanno messo del loro, se consideriamo che in questi sei anni gli affidamenti bancari alle imprese con meno di 20 addetti sono diminuiti del 10%, con un taglio complessivo alle micro imprese di ben 17 miliardi di euro.

Infine, le tasse e la burocrazia: dopo la rivalutazione del Pil, nel 2013 la pressione fiscale in Italia si è stabilizzata al 43,3 per cento: picco massimo mai raggiunto in passato, anche se per le micro imprese il carico fiscale supera abbondantemente il 50 per cento.
La burocrazia costa al mondo delle imprese italiane 31 miliardi di euro all’anno. Ciò implica che su ogni impresa grava mediamente un costo annuo pari a 7 mila euro. A differenza di quelle più grandi, le piccolissime imprese non possiedono una struttura amministrativa al proprio interno, che quindi si vedono costrette ad avvalersi dei servizi di professionisti esterni, con una conseguente spesa ben più alta della media.

Vera MORETTI

Damiano: consulenti cruciali tra impresa e lavoratori

Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera dei deputati, durante l’assemblea nazionale dei consigli provinciali dei consulenti del lavoro ha voluto sottolineare la cruciale importanza del ruolo svolto dagli stessi consulenti, che fanno da tramite tra impresa e lavoratore: “I consulenti svolgono sempre un ruolo di cerniera tra l’impresa e il lavoratore. E infatti è sbagliato dare l’idea di una categoria come questa che sia soltanto legata all’interesse dell’impresa. Il consulente, infatti, ha anche a cuore ovviamente il destino del lavoratore“.

Si tratta di un compito delicato, a suo parere, poiché si tratta non solo di dare consigli ai lavoratori, come molti penserebbero, ma anche, e soprattutto “far funzionare bene l’impresa, snellire la burocrazia, dare i consigli giusti, per lo sviluppo, per l’occupazione, per il benessere, per l’utile dell’impresa“.

Un vero e proprio anello di congiunzione tra due parti che, altrimenti, rischierebbero di non incontrarsi mai.

Vera MORETTI

Santi, navigatori e burocrati

All’ultima assemblea generale di Confartigianato il presidente Giorgio Merletti è stato chiaro: “Le imprese italiane corrono contromano e a occhi bendati e sembra si faccia di tutto per spingerci oltre confine per trovare condizioni normali per fare impresa: il fisco italiano tassa il 68,3% degli utili lordi d’impresa, in Svizzera appena il 30,2%“.

Un’accusa durissima e circonstanziata, basata su cifre reali. Secondo Merletti, chi dovrebbe determinare le sorti dell’Italia “non comprende che l’artigianato e le piccole imprese sono il cuore, le mani e l’intelligenza del made in Italy” e che tasse e burocrazia le stanno uccidendo.

Dall’inizio della legislatura tecnica a oggi, il Parlamento ha approvato ben 491 norme a contenuto fiscale, ciascuna corredata da decreti attuativi e circolari esplicative. Una zavorra che, secondo Merletti, “non possiamo più permetterci il lusso di indossare la maglia nera in Europa per la pressione fiscale e burocratica. Vorremmo cominciare a scalare la classifica. E non diteci che non ci sono risorse per cambiare le cose. Molti interventi si possono fare a costo zero. Però bisogna volerlo“.

Sul fronte della burocrazia, nell’ultimo anno le Pmi italiane hanno buttato in oneri amministrativi la bella cifra di 31 miliardi e l’ultimo anno e mezzo è stato particolarmente difficili per le imprese e per il Paese. Da metà novembre 2011 a giugno 2013 il numero delle aziende italiane è calato dell’1%, pari a circa 60mila imprese, 44mila delle quali artigiane per un calo pari al 3%. Un calo che, secondo Confartigianato, è legato a quello del Pil (-3,4%), del credito alle imprese (-6,4%) e inversamente proporzionale (guarda un po’…) all’incremento del debito pubblico (+6,4%).

Grandi alleate della burocrazia sono le tasse. Secondo un rapporto dell’Ufficio studi di Confartigianato, nel 2013 gli italiani ne pagheranno 38 miliardi in più, vale a dire 639 euro di maggiori imposte pro capite, rispetto alla media dei cittadini dell’eurozona. Il divario tra Italia ed Europa è dato dall’aumento della pressione fiscale che quest’anno in Italia raggiungerà il 44,6% del Pil: 2,4 punti in più rispetto al 42,1% registrato nella media dei Paesi dell’eurozona. Ma c’è dell’altro. Secondo il rapporto, se si considera il mancato gettito dell’economia sommersa, la pressione fiscale effettiva sale al 53,4% del sempre peggio. Torniamo a dire: come si fa a fare impresa così?

La burocrazia si mangia 100 giorni di lavoro all’anno

In un mondo perfetto gli imprenditori dovrebbero lavorare, fare business, produrre ricchezza e benessere. Nel mondo e nel Paese imperfetto nel quale viviamo perdono tempo, un sacco di tempo, a sbrogliare pratiche burocratiche.

La conferma arriva da Coldiretti, che in un’analisi ha stimato come nelle aziende la burocrazia faccia perdere fino a 100 giorni di lavoro all’anno che vengono sottratte all’attività di impresa per l’innovazione e la ricerca di nuovi mercati, in un difficile momento di crisi.

Nell’analisi si evidenzia anche come la burocrazia rappresenti uno dei fattori indicati come principale ostacolo dai giovani che vogliono aprire una attività agricola. La situazione, secondo Coldiretti, è particolarmente grave, ad esempio, in uno dei settori simbolo del made in Italy come il vino dove, dalla produzione di uva fino all’imbottigliamento e vendita, le imprese devono assolvere a oltre 70 attività burocratiche e relazionarsi con 20 diversi soggetti: dal ministero delle Politiche agricole alle Regioni, dalle Province ai Comuni, fino ad Agea, Organismi pagatori regionali, Agenzia delle Dogane, Asl, Forestale, Ispettorato Centrale qualità e repressione frodi, Nac, Guardia di Finanza, Nas, Camere di Commercio, organismi di controllo, consorzi di tutela, laboratori di analisi. Giusto quattro gatti…

Secondo l’associazione, il peso della burocrazia è anche nella quantità di norme di settore del vino: sono oltre 1000, contenute in circa 4000 pagine di direttive, regolamenti, comunicazioni, note e decisioni del Consiglio e della Commissione europea, leggi, decreti, provvedimenti, note, circolari e delibere nazionali e regionali.

Il carico sovrumano rischia ora di gravare ancora di più sulle imprese, con la messa a regime del nuovo sistema di certificazione e controllo dei vini a Denominazione. Secondo Coldiretti, “dimezzare il tempo perso dalle imprese con la burocrazia, attuando misure per un rapido processo di digitalizzazione della PA, per il coordinamento delle competenze nazionali e regionali, per l’unificazione di tutti gli adempimenti burocratici nel fascicolo aziendale” è uno degli obiettivi principali da perseguire, come illustrato nel documento “L’Italia che vogliamo”, presentato a tutti i gruppi politici.

La burocrazia costa alle Pmi 7000 euro all’anno

Chiedete al primo imprenditore con cui vi capita parlare qual è la cosa che lo terrorizza di più nel suo lavoro… La risposta non potrà che essere: la burocrazia. Una guerra quotidiana con carte e scartoffie, con timbri e autorizzazioni che costa ogni anno alle Pmi 31 miliardi di euro, pari a 7000 euro ad azienda.

I conti li ha fatti l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, su dati della Presidenza del Consiglio dei Ministri aggiornati al 31 dicembre 2012. Rispetto agli anni scorsi le cifre crescono perché, come ha detto il segretario della Cgia mestrina Giuseppe Bortolussi, sono state scoperte nuove “sacche di burocrazia”. Negli ultimi anni il legislatore ha approvato una serie di misure per combattere queste sacche che, una volta a regime, dovrebbero far risparmiare alle imprese quasi 8,5 miliardi di euro.

La Cgia spera che con il nuovo decreto sulla semplificazione appena presentato il vantaggio economico possa diventare operativo in tempi brevi. Secondo Bortolussi, “31 miliardi di euro corrispondono a 2 punti di Pil circa: una cifra spaventosa. La burocrazia è diventata una tassa occulta che sta soffocando il mondo delle Pmi. Nonostante gli sforzi e qualche buon risultato ottenuto, i tempi rimangono troppo lunghi e il numero degli adempimenti richiesti continua ad essere eccessivo“.

Spacchettando i dati dello scandalo, il settore che incide di più sui bilanci delle aziende è quello del lavoro e della previdenza (9,9 miliardi di euro l’anno, 2.275 euro a impresa). Seguono i costi per le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (4,6 miliardi, 1.053 di euro per azienda), il settore dell’edilizia (4,4 miliardi, 1.016 di euro per azienda), l’area ambientale (3,4 miliardi, 781 di euro per azienda), gli adempimenti fiscali (2,7 miliardi, 632 di euro per azienda), la privacy (2,6 miliardi, 593 di euro per azienda), la prevenzione incendi (1,4 miliardi, 323 di euro per azienda), gli appalti (1,2 miliardi) e la tutela del paesaggio e dei beni culturali (0,6 miliardi, 142 di euro per azienda).

Come pretendiamo che i nostri imprenditori riescano a fare business se sono presi da questo gorgo di superficialità?