Imu sugli orti: si paga?

Che quella dell’ Imu sia una storia infinita è poco ma sicuro, come testimonia il tira e molla sull’ Imu terreni agricoli al momento della sua introduzione.

Ora si preannuncia un altro su e giù con la possibile esenzione o meno dall’ Imu per gli orti e i gli orticelli. Punto sul quale è stata presentata richiesta di chiarimenti in un question time della scorsa settimana.

Nell’occasione, il ministero dell’Economia ha risposto che la questione è in discussione negli uffici dell’amministrazione finanziaria, i quali devono procedere a una corretta definizione di quelli che sono indicati come “terreni non propriamente agricoli” in modo da valutare se includerli o meno nell’ambito dell’esenzione Imu.

In sostanza, una risposta precisa ancora non c’è, nonostante in un altro question time dello scorso maggio, il ministero aveva sottolineato che rientravano nella definizione di terreno agricolo tanto i terreni incolti, quanto quelli destinati a orto. Soggetti perciò a Imu.

Un inserimento piuttosto tirato per i capelli, solo per fare in modo che questi terreni fossero assoggettati a Imu, dal momento che gli orti non hanno le caratteristiche dei terreni agricoli come vengono individuati dalla lettera c) dell’articolo 2 del Dlgs 504/1992, in quanto sono coltivati saltuariamente senza organizzazione fissa che se ne occupi.

Nel question time è stato anche detto che per gli orticelli situati nei Comuni montani, l’esenzione Imu è scontata, mentre non è ancora certa per quelli dei comuni parzialmente montani o di pianura.

In ogni caso, qualora per il calcolo sugli orti fosse utilizzata la valutazione catastale, nella maggior parte dei casi gli importi starebbero sotto il minimo dell’imposta stabilito in 12 euro, naturalmente se il Comune non delibera in modo differente.

Le detrazioni fiscali sull’ APE

Se da una parte l’anticipo pensionistico APE ha gettato nello sgomento parecchi italiani, dall’altro molti di loro dovranno fare bene i conti, perché questo anticipo pensionistico potrebbe anche avere dei vantaggi fiscali.

Pare infatti che il governo abbia intenzione di concedere una detrazione fiscale del 50% sugli interessi legati al prestito bancario che consentirà l’erogazione anticipata della pensione per quanti sceglieranno l’uscita volontaria dal lavoro aderendo al cosiddetto APE volontario.

Nel 2017, potranno scegliere di aderire all’anticipo pensionistico, fino a un massimo di 3 anni e 7 mesi, i nati tra il 1951 e il 1953 che abbiano versato almeno 20 anni di contributi.

L’agevolazione legata all’ APE consentirebbe di portare il taglio all’assegno pensionistico intorno al 4,7% per ogni anno di anticipo della pensione, diminuendone la portata.

Al di là dell’agevolazione fiscale, il grosso nodo ancora da sciogliere riguarda le categorie di lavoratori che rientreranno nel gruppo di quelli con “mansioni gravose”, alle quali Governo è disposto a concedere l’ APE sociale a costo zero, accollandosi per intero gli interessi del prestito bancario.

Come destinatari di APE sociale, per ora, sono stati individuati i lavoratori disabili, i lavoratori con disabili in famiglia, i disoccupati senza ammortizzatori sociali e appunto i lavoratori con “mansioni gravose”, ancora da definire.

Iri e Ires, ecco le novità

Le voci che avevano accompagnato la discussione sulla legge di Bilancio 2017 relativamente a Ires e Iri hanno trovato conferma nel disegno di legge e nel decreto legge collegato approvati sabato 15 ottobre dal Governo.

In entrambi i testi è infatti contenuta contengono la conferma del fatto che entrerà in vigore l’aliquota Ires del 24% a partire dall’1 gennaio 2017, una riduzione già prevista dalla legge di Stabilità 2015.

Inoltre, la riduzione non sarà relativa alla sola Ires, ma riguarderà anche la nuova Iri. Con l’ Iri (Imposta sul Reddito dell’Imprenditore) sarà infatti estesa alle imprese individuali o di persone la possibilità di tassare il reddito dell’attività di impresa con la stessa aliquota prevista per le società di capitali, invece che utilizzare dell’Irpef progressiva.

I testi approvati sabato 15, oltre a contenere le novità relative a Iri e Ires riportano anche diverse misure per i lavoratori autonomi e per i giovani, oltre a significative novità per le piccole imprese che operano in regime di contabilità semplificata, le quali potranno finalmente determinare il reddito per cassa.

Pronta una voluntary disclosure domestica

La legge di Bilancio 2017 sta ormai prendendo una forma definita e si fanno largo alcune ipotesi in merito a determinati aspetti che la comporranno. A tal proposito, si parla con sempre maggiore insistenza di una conferma della voluntary disclosure.

A sostegno dell’ipotesi, il recente intervento del viceministro dell’Economia Luigi Casero al Forum Tax di Milano, nel quale ha confermato l’idea di una voluntary disclosure indirizzata ai capitali interni.

L’ipotesi interna è rafforzata anche dal fatto che dal 2018 entrerà in vigore lo scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali dei diversi Paesi che, se dovesse funzionare a dovere, escluderebbe una voluntary disclosure per il rientro dei capitali esteri.

Questa voluntary disclosure interna (estesa, si dice, a tutto il 2015) punterebbe a far emergere i capitali custoditi nei caveau delle banche e nelle cassette di sicurezza. Al netto di oro, preziosi e contanti, si parla di una cifra che oscillerebbe tra 1,5 e 2 miliardi. Cifre, quindi, potenzialmente per difetto.

Ciò che si obietta all’ipotesi di voluntary disclosure domestica è il fatto che i capitali interessati potrebbero derivare da operazioni di riciclaggio di denaro sporco, oltre alla identificazione dei titolari dei patrimoni custoditi nelle cassette di sicurezza.

Chi si occuperà di effettuare la certificazione di questa voluntary disclosure? Le ipotesi attuali parlano di un coinvolgimento di banche e fiduciarie solo per certificare la provenienza “fiscale” dei depositi; in alternativa si pensa alla Guardia di Finanza, che certificherebbe il “non provento da illecito”, ma che scoraggerebbe molti ad aderire, a differenza della prima ipotesi.

Congedo di paternità per gli autonomi, il messaggio Inps

Il congedo di paternità è uno strumento preziosissimo ma la cui diffusione e il cui utilizzo, in Italia, sono ancora piuttosto limitati. Che sia per ragioni culturali o strettamente produttive, l’istituto del congedo di paternità ha ancora molte potenzialità inespresse, specialmente per i lavoratori autonomi.

Ecco perché è molto importante il recente messaggio con il quale l’Inps ha fornito informazioni e chiarimenti sulla richiesta di congedo di paternità da parte dei lavoratori autonomi.

Nel messaggio si chiarisce che l’applicazione presente sul sito Inps Servizi Online per l’invio telematico delle domande di maternità offre ora la possibilità di acquisire anche le domande di congedo di paternità presentate dal padre lavoratore autonomo, ai sensi della circolare 128 del 11/07/2016.

La normativa fa riferimento al decreto legislativo 80/2015, che ha introdotto a favore dei lavoratori autonomi un’indennità di paternità, con maggiori periodi di tutela in caso di adozione o affidamento di un minore.

Si tratta di tutele previste in via sperimentale per il 2015, ma estese anche agli anni successivi per effetto del d.lgs. 148/2015.

Doppia abitazione principale ed esenzione Imu? Si può

Importante pronunciamento della Commissione tributaria provinciale di Brescia in materia di Imu. I giudici lombardi hanno infatti sancito che l’esenzione di Imu e Tasi per l’abitazione principale è applicabile a due immobili distinti di proprietà di due coniugi, purché siano ubicati in Comuni diversi e purché in ciascuno di essi, oltre alla residenza anagrafica, vi sia anche l’abitualità della dimora.

La Ctp di Brescia è intervenuta nel caso di una contribuente che aveva ricevuto dal Comune avvisi di accertamento Imu e Tasi per procedere al pagamento delle relative imposte. Il Comune non aveva applicato l’agevolazione per abitazione principale, poiché il nucleo familiare godeva già dell’agevolazione relativa a un altro immobile, di proprietà del marito della donna e situato in un differente Comune.

I giudici tributari hanno annullato gli atti del Comune e accolto le motivazioni della contribuente. Nel suo caso, infatti, sussistevano entrambe le condizioni di legge per fruire dell’esenzione Imu: immobile adibito a dimora abituale dove era stata trasferita la residenza anagrafica.

In sostanza, l’interpretazione che la Ctp ha dato della norma non esclude la possibilità che vi sia più di una abitazione principale per la famiglia, purché queste abitazioni non si trovino nello stesso territorio comunale. In questo modo, l’esenzione Imu sarebbe ingiustificatamente duplicata.

Ancora più importante ai fini dell’esclusione del pagamento di Imu e Tasi – il dato che deve essere oggetto di prova nei casi di contestazione – è che la residenza anagrafica nell’immobile indicato come abitazione principale sia sostanziata dall’abitualità della dimora, che non deve essere figurativa ma reale.

La Cassazione sulla ristrutturazione di immobili in comodato

Importante ordinanza della Corte di Cassazione in materia di ristrutturazione di immobili in comodato. Secondo i giudici della Suprema Corte, le spese sostenute per la ristrutturazione di immobili in comodato sono deducibili dal reddito.

Il pronunciamento è avvenuto in seguito al ricorso in Cassazione presentato da un contribuente della Campania contro due avvisi di accertamento per Irpef, Iva ed Irap emessi dalla relativa Commissione Tributaria Regionale con i quali venivano imputati maggiori ricavi dalla ristrutturazione, oltre ad alcuni costi non inerenti alla stessa.

La Cassazione ha dato ragione al contribuente, rovesciando il pronunciamento della CTR.

La sentenza dice infatti che deve essere accolta “la censura del contribuente in ordine alla statuizione della CTR che ha escluso la deducibilità delle spese di ristrutturazione ed adattamento del locale in cui veniva esercitata l’attività d’impresa, sul rilievo che i relativi costi facevano capo al proprietario e non anche al comodatario”.

Si osserva in contrario – prosegue la sentenzache, come questa Corte ha già affermato, ai fini della detrazione dell’Iva sulle ristrutturazioni degli immobili, il contribuente può portare in detrazione l’imposta assolta sulle spese di ristrutturazione dell’immobile destinato all’esercizio dell’attività d’impresa anche se non ne è proprietario, ma conduttore o comodatario, essendo irrilevanti la disciplina civilistica e gli accordi intercorsi tra le parti (Cass. 6200/2015)“.

Rateizzazione cartelle anche per chi decade dal beneficio

Importante precisazione dell’Agenzia delle Entrate sulla rateizzazione dei pagamenti all’erario. Con un’apposita circolare, le Entrate hanno chiarito che può accedere al beneficio della rateizzazione di somme dovute al fisco anche chi è decaduto dalla rateazione originaria.

Il beneficio è relativo alla rateizzazione di somme dovute a seguito di adesione da parte dei contribuenti all’avviso di accertamento, di adesione al processo verbale di constatazione o all’invito a comparire, oppure a seguito della definizione per acquiescenza all’avviso di accertamento.

Le Entrate ricordano che se la decadenza dal precedente beneficio è avvenuta tra il 16 ottobre 2015 e l’1 luglio 2016, si può accedere a una nuova rateizzazione presentando un’apposita istanza all’Ufficio delle Entrate entro il 20 ottobre 2016.

In questo caso, il primo pagamento deve essere effettuato entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione con cui l’Agenzia accetta la rateizzazione e indica l’importo della prima rata del nuovo piano.

Il pagamento deve essere effettuato dal contribuente tramite modello F24 e utilizzando gli stessi codici tributo dei versamenti delle rate del precedente piano di rateazione.

Inoltre, il contribuente deve trasmettere all’Ufficio competente una copia della relativa quietanza di pagamento nei dieci giorni successivi al versamento. È a carico dell’Ufficio l’onere del controllo e della definizione del piano di rateazione definitivo con l’indicazione delle scadenze trimestrali delle rate successive alla prima, stabilite in base alla data di pagamento della stessa.

Le Entrate ricordano che il mancato pagamento di una rata successiva comporta la decadenza dal nuovo piano di rateizzazione del debito.

Rimborso car sharing al dipendente, i chiarimenti delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha fornito degli importanti chiarimenti in merito ad alcuni aspetti fiscali legati all’utilizzo del car sharing. Nello specifico, l’Agenzia ha chiarito che le somme rimborsate dal datore di lavoro per l’utilizzo del car charing non concorrono alla formazione del reddito del dipendente in trasferta all’interno del Comune nel quale è ubicata la sede di lavoro dell’azienda.

In sostanza, secondo le Entrate il servizio di car sharing non è altro che una variante più evoluta dei classici sistemi di mobilità urbana individuati dall’art. 51 comma 5 del TUIR. Quindi, i rimborsi delle spese sostenute per il suo utilizzo in favore dei dipendenti in trasferta nel territorio comunale, ricadono nell’ambito dell’articolo di cui sopra.

Quindi, perché lo spostamento del dipendente dalla sede di lavoro tramite car sharing possa rientrare nell’ambito del comma 5 articolo 51 del TUIR e il rimborso delle spese per esso sostenute non concorra alla formazione del reddito, la fattura emessa dalla società di car sharing al dipendente deve contenere:

  • il beneficiario della prestazione;
  • il percorso effettuato, con luogo di partenza e luogo di arrivo;
  • la distanza percorsa;
  • la durata del tragitto;
  • l’importo dovuto.

Abitazione di lusso, una sentenza della Cassazione

Importante pronunciamento della Corte di Cassazione in materia di catasto. Con una recente sentenza, la Suprema Corte ha infatti sancito che, per definire un’ abitazione di lusso, vanno computati anche i metri quadrati di un eventuale seminterrato.

Ricordiamo che la superficie minima per questo tipo di definizione di abitazione di lusso è di 240 mq. Con l’inclusione di questi locali nel computo, si perde dunque l’agevolazione prima casa tanto ai fini Iva quanto ai fini dell’imposta di registro di cui il contribuente ha goduto al momento dell’acquisto, salvo poi utilizzarli a fini abitativi anche se accatastati diversamente.

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di un contribuente che aveva ricevuto un avviso di liquidazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, con il quale si accertava che il contribuente stesso aveva usufruito delle agevolazioni edilizie previste per l’acquisto della prima casa senza averne titolo.

L’immobile doveva essere considerato abitazione di lusso perché aveva una superficie utile superiore ai 240 mq. Nello specifico, secondo le Entrate i seminterrati rientravano nel computo dei 240 mq di superficie utile poiché il contribuente li aveva arredati, collegati al piano superiore e dotati di tutti gli impianti necessari a poterne fruire come residenziali.

I giudici di appello avevano accolto il ricorso presentato dal escludendo i seminterrati dal computo per l’ abitazione di lusso. Così, l’Agenzia delle Entrate ha fatto ricorso in Cassazione, la quale ha ribaltato la sentenza di appello, di fatto sostenendo che un’abitazione non di lusso può diventare abitazione di lusso se, con un intervento edilizio, si può computare nella superficie utile il vano deposito di un immobile.