Split payment, chiarimenti dalle Entrate

L’Agenzia delle Entrate interviene sul tema dello split payment con una risoluzione nella quale ricorda che l’Iva relativa all’accertamento definito dalla società istante, a seguito dell’avvenuto pagamento delle somme dovute, può essere addebitata in via di rivalsa anche nei confronti di soggetti per i quali di norma si applica lo split payment. Questo in deroga alle disposizioni che normano l’applicazione delle regole della scissione dei pagamenti.

Ricordiamo che il meccanismo dello split payment è stato introdotto per tentare di limitare l’evasione da riscossione dell’Iva, nell’ambito delle cessioni di beni e prestazioni di servizi nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

Con la scissione dei pagamenti si trasferisce il pagamento del debito Iva dal relativo fornitore alle amministrazioni stesse, effettuando un trasferimento in termini di obbligo di versamento che non implica la traslazione della soggettività passiva.

Per questo motivo, quindi, l’Amministrazione finanziaria può contestare la maggiore imposta dovuta al fornitore che emette una fattura con l’applicazione dell’Iva sbagliata.

Il successivo versamento da parte del fornitore, in sede di definizione dell’accertamento, vanifica rischi e pericoli legati al mancato incasso dell’imposta che, invece, è sotteso all’applicazione dello split payment.

Invalidità e deducibilità delle spese mediche, risoluzione delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito alcuni aspetti della disciplina che regola le spese mediche di cui beneficiano invalidi gravi o disabili e che sono sostenute dei familiari.

Il chiarimento è arrivato dopo che all’Agenzia stessa era stato richiesto se, per poter dedurre queste spese, fosse sufficiente presentare il certificato di invalidità o se fosse necessario presentare il riconoscimento dello stato di portatore di handicap, ai sensi della legge 104.

Ebbene, con una risoluzione ad hoc, le Entrate hanno chiarito che devono essere considerati disabili ai fini della deducibilità delle spese mediche e di assistenza necessarie, in presenza di disabilità grave e permanente, invalidità o menomazione:

  • quanti hanno ottenuto le attestazioni dalla Commissione medica, a norma della legge 104;
  • quanti sono stati ritenuti “invalidi” da Commissioni mediche pubbliche preposte a riconoscere l’invalidità civile, di lavoro o di guerra.

In sostanza, le Entrate chiariscono che, nei casi di invalidità grave, la certificazione rilasciata ai sensi della legge 104 è sufficiente per poter usufruire della deduzione discale, ma non nei casi di quella civile.

Perché siano dedotte dai familiari le spese mediche sostenute a beneficio di soggetti con disabilità, non è sufficiente il solo riconoscimento dell’ invalidità civile, per due ragioni:

  • l’accertamento della invalidità civile riguarda la valutazione del grado di capacità lavorativa;
  • l’accertamento dell’handicap riguarda invece lo stato di gravità delle difficoltà sociali e relazionali di un soggetto che, se accertato, consente a quest’ultimo di fruire dei servizi sociali e previdenziali e di particolari trattamenti fiscali.

Qualora sia riconosciuta la civile occorre quindi accertare anche la grave e permanente invalidità o la menomazione perché possano essere dedotte le spese mediche sostenute dai familiari.

La Corte Costituzionale sulla legge 104

Importante pronunciamento della Corte Costituzionale in materia di legge 104. La Corte ha infatti ritenuto illegittimo l’articolo 33, comma 3 della legge 104, poiché viola gli articoli 2,3 e 32 della Costituzione quando non include i conviventi di chi utilizza i permessi mensili concessi dalla legge tra le persone legittimate a fruirne.

Con il suo pronunciamento in materia di legge 104, la Corte Costituzionale ritiene “irragionevole” che il convivente della persona disabile grave non possa fruire dei permessi.

Secondo la Consulta, l’art. 3 della Costituzione va considerato in questa valutazione non tanto perché afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” quanto perché è illogica l’esclusione del convivente da una legge come la legge 104 che ha l’obiettivo di tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile.

Una illogicità che vale principalmente se la convivenza tra il disabile grave e la persona che fruisce dei permessi della legge 104 è basata su una relazione affettiva che rientra nell’ambio del “rapporto familiare”.

I giudici della Consulta, pur considerando la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale, ritengono che in questa discussione sulla 104 vi sia tra essi un elemento unificante costituito dall’esigenza di tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile grave, diritto che rientra tra quelli inviolabili dell’uomo come sancito dall’articolo 2 della Costituzione stessa.

Riduzione Imu per casa inagibile anche senza dichiarazione al Comune

Con il terremoto che ha devastato l’Italia centrale è tornato d’attualità il tema dell’ Imu per i fabbricati inagibili. In questo senso, una notizia importante arriva da una sentenza della Cassazione.

I giudici della Suprema Corte hanno infatti sancito che se al Comune era già nota la situazione di inagibilità o inabilità di un fabbricato, il contribuente ha diritto alla riduzione dell’ Imu anche senza presentazione della denuncia di inagibilità.

La sentenza della Cassazione nasce dal caso di un contribuente che, in autonomia, aveva ridotto del 50% l’importo della sua Imu, senza denunciare al Comune lo stato di inagibilità del fabbricato. Il Comune aveva quindi emesso un avviso di accertamento per la parte di imposta non versata.

Il contribuente si era difeso sostenendo che la situazione di inagibilità dell’immobile era nota al Comune, poiché lo stesso non aveva concesso i permessi edificatori una volta scaduta la concessione edilizia.

La Corte ha ritenuto quindi che la permanenza dello stato di inagibilità, grazie al quale può essere ridotta del 50% l’ Imu, si considera esistente anche se il contribuente non ha presentato al Comune la richiesta di usufruire della riduzione, dando quindi ragione al ricorrente.

Agevolazioni prima casa, attenzione alla decadenza

Chi vuole usufruire delle agevolazioni prima casa deve porre molta attenzione a diversi aspetti, come testimonia una recente sentenza della Commissione tributaria provinciale (Ctp) di Milano.

La commissione ha infatti respinto il ricorso di una contribuente che aveva perso le agevolazioni prima casa ma non se ne voleva fare una ragione. Nonostante avesse commesso un errore.

La contribuente aveva infatti impugnato due avvisi di liquidazione emessi dall’Agenzia delle Entrate, nei quali era contenuta la revoca delle agevolazioni prima casa, dal momento che la donna non aveva trasferito la residenza nel Comune in cui era aveva acquistato l’immobile (Milano).

La contribuente sosteneva infatti di svolgere la propria attività nel Comune dove aveva acquistato l’immobile e che non doveva quindi trasferire la propria residenza per mantenere le agevolazioni prima casa, nonostante l’impegno a farlo fosse presente nell’atto di acquisto.

Vista la situazione, la Commissione tributaria provinciale di Milano ha ritenuto che la contribuente fosse decaduta dalle agevolazioni prima casa in quanto, dal momento che non aveva adempiuto all’impegno inserito nell’atto, ai sensi del Dpr 131/1986.

Nello specifico la contribuente, come da impegno nell’atto, avrebbe dovuto trasferire la propria residenza a Milano entro 18 mesi dall’acquisto dell’immobile, per non perdere le agevolazioni prima casa, ma non lo ha fato.

La Commissione, dunque, dal momento che la donna non aveva tempestivamente dichiarato di voler utilizzare la casa in un luogo diverso dal comune di residenza, l’ha fatta decadere dalle agevolazioni.

Il medico paga l’ Irap anche se non ha dipendenti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione in tema di Irap ha messo sul chi va là i medici di base titolari di studi propri convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale.

I giudici della Suprema Corte hanno infatti sentenziato che il professionista è tenuto al pagamento dell’ Irap anche se non ha dipendenti, qualora però abbia e utilizzi dei beni strumentali costosi.

Nello specifico, secondo la Cassazione, il medico deve pagare l’ Irap qualora, con riferimento al requisito dell’autonoma organizzazione previsto del D.Lgs. 446/97, art. 2:

  • sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  • impieghi beni strumentali eccedenti , secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive“.

Nel caso che ha indotto la Cassazione alla precisazione, anche se il medico non ha personale dipendente deve pagare l’ Irap poiché utilizza quattro studi e beni strumentali di valore rilevante nello svolgere la propria professione. Il valore in oggetto supera lo standard e i parametri previsti dalla convenzione con il SSN.

La Cassazione ricorda anche che il medico può far valere le proprie ragioni qualora ritenga che il pagamento in oggetto non sia dovuto: “Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle condizioni sopraelencate“, segnalano gli ermellini.

Rimborso canone Rai, ecco come ottenerlo

Il canone Rai continua a turbare i sonni dei contribuenti, anche di quelli che ritengono di averlo pagato erroneamente. A loro l’Agenzia delle Entrate ha “dedicato” un comunicato stampa per spiegare come ottenere il rimborso canone Rai.

Le Entrate hanno specificato che il rimborso canone Rai pagato direttamente in bolletta può essere richiesto direttamente online dal sito attraverso un’applicazione dedicata, utilizzabile se si è registrati ai servizi telematici Entratel o Fisconline.

L’Agenzia ha spiegato quali casi e modi in cui può essere richiesto il rimborso canone Rai. Nello specifico:

  • motivare sempre la richiesta di rimborso canone Rai, indicando in essa uno dei sei codici associati a ciascuna motivazione;
  • il rimborso canone Rai può essere richiesto anche dagli eredi dei titolari del contratto di fornitura di energia elettrica;
  • chi volesse utilizzare ancora la forma cartacea, può richiedere il rimborso canone Rai inviando una raccomandata A/R all’indirizzo Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 1 di Torino – Ufficio di Torino 1 – Sportello abbonamenti TV – Casella Postale 22 – 10121 Torino, insieme alla copia valida di un documento di riconoscimento;
  • chi volesse utilizzare la pec, può inviare la richiesta all’indirizzo sat@postacertificata.rai.it; se accompagnata da firma digitale, la richiesta può essere priva della copia del documento.

Qualora la Rai riconosca che il rimborso è effettivamente dovuto, i gestori della fornitura di energia elettrica erogheranno l’importo direttamente sulla prima bolletta utile, entro 45 giorni dalla ricezione da parte dell’Agenzia delle informazioni utili all’erogazione dello stesso.

L’Agenzia ricorda che, se ci fossero problemi con i gestori del servizio elettrico e il rimborso non andasse a buon fine, questo sarà erogato direttamente dall’Agenzia stessa.

Ravvedimento operoso 2012, calcolo direttamente online

Il calcolo del ravvedimento operoso nel caso di tributi non pagati per anomalie sui redditi 2012 o altro, potrà essere fatto direttamente online.

L’Agenzia delle Entrate ha infatti messo a disposizione un applicativo per procedere via web al conteggio del ravvedimento operoso. L’applicativo è raggiungibile cliccando qui.

Si tratta di uno strumento gratuito per calcolare le sanzioni e gli interessi derivanti dal ravvedimento operoso per Irpef, addizionali e contributo di solidarietà. Con questo strumento, però, non è possibile quantificare gli importi dovuti per il ravvedimento operoso da infedele dichiarazione per Irap e Iva, così come le sanzioni ridotte da ravvedimento effettuato in presenza delle cosiddette violazioni prodromiche.

La comunicazione delle Entrate sul ravvedimento operoso è arrivata in concomitanza con quella dell’invio di 90mila lettere di segnalazione ai contribuenti di possibili anomalie nei redditi 2012.

Si tratta di lettere con le indicazioni necessarie a effettuare il ravvedimento operoso in caso di redditi non dichiarati, in tutto o in parte.

Chi ricevesse una di queste lettere e avesse bisogno di informazioni o volesse chiarire la propria posizione con il Fisco, può chiamare il numero 848.800.444 (da telefono fisso, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17) o il numero 06/96668907 (da cellulare, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17).

In alternativa, può contattare gli Uffici Territoriali della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate attraverso Civis, il canale di assistenza dedicato agli utenti dei servizi telematici, per inviare in formato elettronico eventuali documenti utili.

Detrazione parcella avvocato? Solo a fine procedimento

Per come va il nostro Paese, a molti è capitato prima o poi di aver bisogno di un avvocato, con le conseguenti spese legali. E in molti hanno pensato di poter detrarre le spese dell’avvocato in dichiarazione dei redditi.

La cosa si può fare, ma a una condizione. La spesa per la parcella dell’avvocato diventa detraibile solo all’emissione della sentenza che rende il giudizio definitivo o all’esaurimento dell’incarico professionale. Lo ha stabilito la Cassazione.

Il pronunciamento della Suprema Corte sulle spese dell’avvocato riguarda il caso di una società che aveva detratto le spese legali durante un esercizio nel quale la causa era ancora in corso. A fronte di questo l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la competenza, ordinando il recupero dell’imposta.

Come da prassi, l’azienda si è opposta e ha vinto la causa sia in primo, sia in secondo grado, con i giudici che affermavano che l’ avvocato ha diritto al compenso indipendentemente dall’esito della causa.

Le Entrate non hanno mollato l’osso e hanno portato il contribuente in Cassazione, sostenendo la violazione del principio della competenza.

Gli ermellini hanno accolto il ricorso e dato ragione alle Entrate, sostenendo che se la controversia legale è ancora in corso, il pagamento della fattura all’ avvocato non può essere portato in detrazione.

È stato infatti stabilito il principio di diritto secondo cui la spesa dell’ avvocato va considerata sostenuta quando la prestazione professionale è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico.

Voluntary disclosure ancora per un anno?

Dopo che nei mesi scorsi si era fatto un gran parlare del fiume di capitali che sarebbe rientrato in Italia dall’estero grazie a quanti avrebbero aderito alla voluntary disclosure, ora il governo sta valutando l’ipotesi di estendere la durata della stessa di 12 mesi.

La voluntary disclosure sarebbe estesa mantenendo le stesse regole, le stesse procedure e le stesse sanzioni previste nelle precedenti edizioni.

Il governo vuole fare in fretta, poiché dal 2018 diventerà operativo lo scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali dei Paesi cosa che renderà di fatto inutile la voluntary disclosure.

Oltre a questo fronte, il governo sta anche lavorando all’ipotesi di una voluntary disclosure domestica, che porterebbe all’emersione di capitali interni, depositati nelle cassette di sicurezza e nei caveau delle banche.

Un tesoretto che, secondo le stime, ammonterebbe a circa 2 miliardi e che salirebbe non di poco qualora vi fossero compresi preziosi e oro.

A ostacolare una pur promettente voluntary domestica, ci sarebbero due problemi:

  • l’identificazione degli effettivi titolari dei patrimoni custoditi nelle cassette di sicurezza;
  • la provenienza di valori, contenuti nelle cassette di sicurezza, che potrebbero essere frutto di operazioni di riciclaggio di denaro.