Redditi da locazione per possesso fabbricati: come vanno inseriti nel modello 730?

Come vanno dichiarati i redditi prodotti dal possesso dei fabbricati nel modello 730 ai fini della dichiarazione? Il quadro da utilizzare nel modello 730 è quello “B”, ma va indicata l’eventuale riduzione del canone di locazione dello scorso anno nel caso in cui non sia stata fatta comunicazione all’Agenzia delle entrate.

Come dichiarare i redditi da locazione di fabbricati nel quadro B del modello 730?

Chi deve compilare il quadro “B” del 730? Innanzitutto chi possiede fabbricati o è titolare di altri diritti reali. Chiamati alla compilazione del quadro “B” sono anche i soci delle società, sia semplici che tipologie simili, nel caso di produzione di reddito da fabbricati. Questi ultimi devono essere situati nel territorio statale e produrre del reddito. Non sono compresi, invece:

  • i fabbricati rurali;
  • quelli per i quali sono in corso interventi con relativo provvedimento di licenza;
  • i fabbricati aperti al pubblico in quanto sedi di archivi, emeroteche, biblioteche e cineteche. In questo caso, chi possiede il fabbricato non deve ricavarci alcun reddito;
  • quelli adibiti a sede di culto e le relative pertinenze;
  • i monasteri di clausura.

Come si determina l’imponibile del reddito da fabbricato?

Il calcolo dell’imponibile ai fini del reddito da fabbricato dipende dal fatto che l’immobile sia locato oppure no. I fabbricati che non siano stati locati, infatti, concorrono alla formazione dell’imponibile nella misura della rendita catastale con rivalutazione del 5%. Ma se nello scorso anno sono stati già assoggettati all’Imu, non concorrono alla formazione del reddito ai fini dell’Irpef (criterio di alternatività).

Come indicare nel modello 730 i fabbricati non locati?

Per i fabbricati non locati, dunque, l’iscrizione nel modello 730 al quadro B deve essere comunque fatta, anche se questi cespiti non si considerano ai fini del reddito come avviene per gli immobili locati. È prevista una eccezione per i fabbricati a utilizzo abitativo e non locati ma che sono situati nel medesimo comune nel quale il contribuente ha un immobile adibito come abitazione principale. In questa situazione, il reddito concorre a formare la base imponibile Irpef per la metà (il 50%). I fabbricati non locati devono essere inseriti in corrispondenza della colonna 1 e rigo B 1. Si deve indicare la rendita catastale, mentre la rivalutazione del 5% verrà applicata successivamente da chi provvede all’assistenza fiscale. Nel caso in cui l’immobile è esente dall’Imu, e dunque soggetto a Irpef, il contribuente deve compilare la casella 12 riportante proprio i casi particolari dell’Imu.

Fabbricati dati in locazione, come si compila il modello 730?

Per i fabbricati locati la formazione del reddito del contribuente è nella misura pari al canone percepito con riduzione forfettaria del 5%. Se l’immobile locato si trova:

  • nei comuni di Venezia, Murano, Burano e Giudecca, la riduzione sale al 25%;
  • per fabbricati di interesse artistico o storico la percentuale da detrarre è del 35%.

Inoltre se il complessivo del canone è più basso della rendita catastale è quest’ultima che si prende a riferimento per il calcolo del reddito. I fabbricati locati devono essere inseriti nella colonna “5” con il codice relativo alla tassazione. Pertanto:

  • il codice “1” per i casi di abbassamento forfettario del 5%;
  • gli immobili artistici e storici hanno il codice “4”.

Nella colonna numero 6 si deve indicare il totale del canone che si è percepito. Quella “11”, invece, va utilizzata solo nel caso in cui si applica la cedolare secca.

Rinegoziazione del canone di locazione nell’anno 2021: cosa avviene?

Nel caso in cui nello scorso anno è stato rinegoziato il canone di locazione è necessario procedere con la compilazione del modello 730 di dichiarazione dei redditi nel seguente modo:

  • compilare il quadro “B”;
  • prendere a riferimento la colonna “7”, quella relativa ai casi particolari;
  • scegliere uno dei tre codici disponibili (6, 7 e 8), ovvero il “6” se dalla rinegoziazione sia derivata una riduzione del canone di locazione; il contribuente riporta il codice “7” se non ha comunicato all’Agenzia delle entrate la riduzione del canone di locazione del fabbricato a utilizzo abitativo. Questo codice deve essere utilizzato anche nel caso in cui, oltre alla mancata comunicazione, il contribuente non abbia ricevuto, anche parzialmente, i canoni concordati.

Quando gli immobili a utilizzo abitativo si possono non assoggettare a tassazione?

A decorrere dal 1° gennaio 2020, il contribuente può non assoggettare a tassazione i canoni della locazione inerenti immobili ad utilizzo abitativo nei seguenti casi:

  • non abbia percepito i canoni di locazione entro la scadenza della presentazione della dichiarazione dei redditi;
  • il contribuente non abbia avanzato ingiunzione di pagamento oppure intimazione dello sfratto per morosità.

Ai fini della compilazione del modello 730 di dichiarazione dei redditi, il contribuente deve comune inserire la rendita catastale.

Quando il contribuente deve utilizzare il codice ‘8’ nel modello 730 di dichiarazione dei redditi?

Nel quadro “B”, in corrispondenza della colonna 7, il contribuente deve utilizzare il codice “8” nel caso in cui:

  • il contribuente abbia rinegoziato il canone di locazione con abbassamento dello stesso;
  • lo stesso non abbia presentato la comunicazione all’Agenzia delle entrate;
  • il contribuente abbia il possesso del fabbricato come comproprietario;
  • la locazione sia stata effettuata solo da uno o più comproprietari per la propria parte.

Cedolare secca, come procedere nel modello 730?

Come si procede nel modello 730 di dichiarazione dei redditi con la cedolare secca? L’aliquota prevista è quella fissa del 21% per gli affitti delle unità abitative. Ma si può, in specifici casi, utilizzare la percentuale più bassa del 10%. È bene tener presente che la cedolare secca non può essere applicata all’interno del perimetro delle attività economiche. Chi sceglie l’opzione della cedolare secca sostituisce l’Irpef, le varie addizionali e le imposte di registro e di bollo.

Per quali tipologie di contratti si può scegliere la cedolare secca?

Le tipologie di contratti di locazione per le quali è possibile scegliere la cedolare secca sono quelle degli immobili destinati a uso abitativo disciplinati:

  • dal canone libero;
  • dall’equo canone;
  • dal canone concordato agevolato
  • dai contratti transitori;
  • dalle locazioni agevolate sulle unità abitative situate in Abruzzo;
  • dai contratti di locazione per una parte dell’abitazione principale;
  • per le locazioni brevi per usi abitativi o turistici;
  • per i contratti sulle unità abitative della categoria C 1 e superficie non eccedente i 600 mq con annesse pertinenze, affittate congiuntamente. Il beneficio riguarda i soli contratti stipulati nell’anno 2019.

Come si esercita l’opzione della cedolare secca?

Per beneficiare della cedolare secca, è occorrente che il locatore comunichi la scelta al conduttore. La comunicazione consiste nel mettere al corrente del conduttore dell’unità abitativa della rinuncia agli aggiornamenti del canone di affitto. Si rinuncia, altresì, anche alle variazione di incremento degli indici Istat. Tra gli ultimi chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate (Interpello numero 165 del 2021) si è stabilito che l’opzione della cedolare secca rimane efficace anche per i contratti a canone concordato. Per questo tipo di contratti si può beneficiare della riduzione al 10% come misura di sostegno per i contratti in essere nel periodo di emergenza Covid. Inoltre, si può cautamente affermare che questa regola viga anche per le altre casistiche di riduzione del canone ai fini delle agevolazioni per i conduttori delle unità immobiliari rispetto agli incrementi dei canoni di locazione.

Quando bisogna scegliere la cedolare secca per i contratti di locazione?

Quando bisogna fare la scelta scelta della cedolare secca in un contratto di locazione di un immobile a uso abitativo?  Di solito, l’opzione si esercita all’atto della registrazione del contratto di locazione. Resta tuttavia da effettuare il rinnovo della cedolare secca nei casi di proroga del contratto; oppure la revoca al termine di ciascuna annualità. Nel caso in cui non si provveda alla comunicazione della proroga del contratto con la cedolare secca, non si perde la stessa se il locatore mantiene un comportamento coerente con la volontà di proseguire con la stessa cedolare secca. Se invece si comunica tardivamente la scelta viene applicata una sanzione di:

  • 50 euro, se la comunicazione avviene entro i 30 giorni susseguenti alla scadenza;
  • 100 euro per comunicazioni avvenute oltre questo termine.

Qual è la base imponibile della cedolare secca?

Per il calcolo della base imponibile ai fini della cedolare secca, è occorrente prendere:

  • il complessivo dei canoni di locazione annui come da contratto;
  • non applicare abbattimenti;
  • calcolare l’imposta in base all’aliquota fissa del 21% valida per tutte le tipologie di contratto di locazione, sia a canone libero che affitti brevi.

Nel caso di contratti di locazione brevi, la cui durata sia inferiore ai 30 giorni, si provvede al calcolo della cedolare secca direttamente nella dichiarazione dei redditi.

Cedolare secca, quando l’aliquota del 21% si riduce al 10%?

L’aliquota del 21% della cedolare secca passa al 10% se il contratto di locazione è inerente al canone concordato stipulato tra organizzazioni di proprietà edilizia e chi prende in affitto l’immobile. Tale vantaggio spetta nei casi di contratti di locazione:

  • dove c’è scarsa disponibilità di unità abitative;
  • nei comuni capoluogo di provincia;
  • nelle aree ad alta tensione abitativa. In questo caso, l’individuazione delle aree è disponibile a cura del Cipe.

Quali altri contratti di affitto hanno la percentuale del 10% di cedolare secca?

L’aliquota di cedolare secca ridotta al 10% si applica anche ai contratti di affitto a canone concordato non assistiti. Tuttavia, per beneficiarne è necessario che sia stata ottenuta la relativa attestazione da parte delle organizzazioni aderenti all’accordo.

Come si registra la cedolare secca nel modello 730 di dichiarazione dei redditi?

La scelta della cedolare secca per i contratti di locazione deve essere indicata nel modello 730 di dichiarazione dei redditi barrando la casella 11 del quadro “B”. L’aliquota applicata alla cedolare secca, invece, dipende dalla tipologia di contratto che va indicata nella colonna “2”. Pertanto, si applica l’aliquota del 21% per la cedolare secca relativa ai contratti di locazione in regime di libero mercato oppure di equo canone. In questi due casi, si utilizza il codice “3” o il codice “4”. Se invece, l’unità abitativa è parzialmente utilizzata come abitazione principale e l’altra parte è stata data in locazione, il codice da utilizzare è l’11.

Dichiarazione dei redditi: cosa indicare nel modello 730 per la cedolare secca a tasso ridotto del 10%?

Nei casi di aliquota ridotta al 10% di cedolare secca per i contratti di locazione a canone convenzionale, i codici da utilizzare sono i seguenti:

  • 8 nella situazione standard;
  • 12, se l’unità abitativa è parzialmente utilizzata come abitazione principale e l’altra parte è stata data in locazione a canone concordato;
  • 14, per le unità abitative di immobili collocati nelle aree colpite dal sisma in Abruzzo.

Dove va riportato il canone da assoggettare a tassazione della cedolare secca?

Il canone da assoggettato alla tassazione della cedolare secca deve essere riportato nella colonna 6. Per il semplice fatto che il canone è sempre quello risultante dal contratto di locazione, è necessario immettere sempre il codice 3 in corrispondenza della colonna 5. Infine, il reddito assoggettato alla cedolare secca deve essere escluso dal reddito complessivo ma va ricompreso nel reddito nel caso in cui si debbano calcolare detrazioni, deduzioni e benefici riconducibili a requisiti del reddito.

Detrazioni per spese universitarie e tetti per università private 2022

Nella dichiarazione dei redditi 2022 possono essere fatte valere le detrazioni per spese universitarie. Vedremo ora, quali spese sono ammesse, la percentuale della detrazione e il tetto massimo previsto per le università private e telematiche.

Detrazione per spese universitarie: quali sono ammesse?

Sappiamo tutti che i costi per mantenere i figli agli studi universitari e post universitari sono notevoli e per aiutare le famiglie arrivano in soccorso le detrazioni per le spese universitarie. In primo luogo è necessario capire cosa può essere portato in detrazione.

Si possono portare in detrazione tasse per iscrizione a :

  • corsi universitari;
  • corsi di specializzazione universitaria;
  • corsi di perfezionamento;
  • master universitari;
  • dottorato di ricerca;
  • sopratasse per esami di profitto e di laurea;
  • Corsi istituiti dopo il DPR 212/2005 presso i Conservatori di Musica e gli Istituti Musicali Pareggiati;
  • TFA.

Deve essere inoltre ricordato che oltre alle tasse per l’iscrizione ai vari corsi è possibile portare in detrazione anche le spese sostenute per l’iscrizione ai test di accesso ai corsi di laurea e canoni di locazione per studenti fuori sede, con un ammontare massimo di spese di 2.633 euro e una detrazione al 19%.

I tetti massimi per le detrazioni per spese universitarie presso università private e telematiche

Per le spese ora viste è possibile ottenere una detrazione al 19%, ma nel caso in cui l’iscrizione sia ad università ed istituti statali non vi sono tetti massimi di spesa da portare un detrazione, mentre per gli istituti privati e per le università telematiche vi sono dei tetti di spesa.

La soglia di spesa varia in base all’area disciplinare e all’ubicazione dell’università privata. Vedremo ora quali sono i tetti massimi di importi per i quali è possibile fruire della detrazione del 19% per iscriversi a università private.

Area disciplinare Nord Centro Sud e Isole
Medica 3.900 € 3.100 € 2.900 €
Sanitaria 3.900 € 2.900 € 2.700 €
Scientifico- tecnologica 3.700 € 2.900€ 2.600 €
Umanistico-sociale 3.200 € 2.800 € 2.500 €

A queste somme deve essere aggiunto l’importo per la tassa regionale per il diritto allo studio prevista dall’articolo 3 legge 549 del 28 dicembre 1995.

Spesa massima in detrazione per dottorato e master

Il tetto massimo di spesa varia per l’iscrizione a corsi di dottorato, specializzazione e master di primo e secondo livello.

In questo caso non rileva l’area disciplinare dei corsi seguiti, ma il tetto massimo sul quale è possibile beneficiare della detrazione varia comunque per area geografica, sempre nel caso in cui si frequenti un università telematica oppure privata.

La spesa massima detraibile è:

  • 3.900 € per università che si trovano al Nord;
  • 3.100 € se la sede è al Centro Italia;
  • 2.900 € per il Sud e le Isole.

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Affitto, contratto non registrato risulta nullo: cosa fare per regolarizzarlo

I contratti di affitto abitativo non registrati risultano nulli. La relativa disciplina è fissata dalla legge numero 431 del 1998: l’affitto deve essere regolamentato sia per tutelare gli aspetti della locazione, dunque la durata e i canoni, sia per il recupero di quanto debba essere denunciato ai fini dell’imposizione fiscale.

Contratto di affitto non registrato: cosa significa che è nullo?

Un contratto di affitto non registrato, stipulato senza la dovuta forma scritta, è nullo. Il vizio può essere rilevato da una delle due parti o d’ufficio, ma non può essere utilizzato in giudizio. Sono altresì nulli i contratti di affitto a canone libero nei quali siano stati stabiliti dei patti volti a determinare un canone maggiore di quello che risulta dal contratto scritto e registrato. Similmente, risultano nulli anche i contratti che stabiliscono degli obblighi a carico di chi prenda in affitto l’immobile oppure dei vantaggi per chi affitta. Tali vantaggi si concretizzano in un corrispettivo maggiore a quello iscritto nel contratto.

Quali altri contratti di locazione sono nulli?

Risultano nulli anche i contratti di locazione conclusi alle condizioni delle organizzazioni di categoria che assegnino, a chi affitta, un canone maggiore di quello inserito nell’accordo. Analogamente, anche le scritture integrative riportate in un documento separato ma unito al contratto stesso, sono soggette a nullità.

Cosa deve fare chi affitta un immobile a uso abitativo in caso di nullità del contratto di locazione?

La disciplina che prevede la nullità del contratto di locazione di un immobile a uso abitativo, dispone che chi affitta abbia 30 giorni di tempo per procedere alla registrazione del contratto. I 30 giorni partono dalla sottoscrizione del contratto stesso. Nei 60 giorni successivi all’avvenuta registrazione del contratto, chi affitta ne deve dare comunicazione documentata di aver svolto l’adempimento. La comunicazione deve essere fatta pervenire sia all’affittuario che all’amministrazione del condominio.

Cosa può fare chi prende in affitto un locale a uso abitativo con contratto nullo?

Per un contratto di affitto di unità abitativa dichiarato nullo, chi ha preso in affitto l’immobile può chiedere che gli vengano restituite le somme pagate in maniera indebita. Il termine per la richiesta è fissato in 6 mesi dal momento in cui l’immobile oggetto di locazione viene riconsegnato. Dunque, il termine decorre dal momento del rilascio effettivo dell’unità abitativa e non da quando scade il contratto. Il che coincide, di norma, con la riconsegna delle chiavi.

Perché chi prende una unità abitativa può chiedere la restituzione delle somme?

La restituzione di quanto indebitamente percepito da chi affitta un immobile con contratto dichiarato nullo va a vantaggio di chi prende in affitto l’unità abitativa. Il motivo risiede nel fatto che la norma intende tutelare maggiormente la parte debole del contratto, ovvero chi prende in affitto l’immobile. Il conduttore, infatti, potrebbe non essere disponibile a esercitare i propri diritti per paura di possibili ritorsioni del locatore.

Contratto registrato tardivamente, chi prende in affitto l’immobile può chiedere la restituzione delle somme?

Nei fatti, la Giurisprudenza ha sanato buona parte delle nullità dei contratti di affitto determinate da un canone effettivo maggiore di quello riportato nel contratto e registrato tardivamente. La Cassazione a Sezioni Unite ha decretato che chi registra il contratto di affitto tardivamente, oltre il termine consentito, possa vedersi sanato il vizio del contratto stesso con effetti retroattivi. Pertanto, chi prende in affitto un immobile e paghi un importo superiore a quello risultante dal contratto registrato tardivamente, non può richiedere la restituzione delle somme pagate in più rispetto a quanto riportato nel contratto.

Contratto di affitto sanato da nullità e controlli ai fini del Fisco

Quanto ha stabilito la Cassazione vanifica pertanto l’azione del conduttore dell’immobile. Quest’ultimo è tenuto al pagamento di tutti gli importi pattuiti fin dal principio del contratto stesso, poi sanato. Per chi affitta l’immobile rimane invece la necessità di regolarizzare l’aspetto fiscale. Ovvero, chi registra tardivamente il contratto di affitto di un immobile a uso abitativo viene individuato come locatore da tenere sotto controllo per far venir fuori eventuali redditi che non siano stati dichiarati al Fisco.

Cosa avviene per i contratti di locazione di immobili abitativi in forma verbale?

Diverso è il caso in cui il contratto di affitto di una unità abitativa avvenga in forma verbale. Nei casi di controversie tra chi affitta e chi prende in affitto l’immobile è il giudice a stabilire quale deve essere il canone dovuto. E, pertanto, l’ammontare del corrispettivo dovuto non può essere superiore a quello minimo stabilito per i contratti di tipo transitorio.

Tecnocasa: ecco le città con i maggiori rendimenti immobiliari

L’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa ha condotto un’indagine confrontando le dinamiche di crescita delle quotazioni degli immobili, dei canoni di locazione e dei rendimenti, nel periodo che riguarda il secondo semestre 2013.

Ciò che è emerso è una certa stabilità del mercato, rispetto al trend che si era registrato negli anni precedenti.

La ricerca è stata effettuata prendendo in considerazione le principali città italiane, dal nord al sud, calcolando la curva dei prezzi con riferimento alle variazioni dei prezzi degli immobili per quanto riguarda la compravendita della tipologia “medio usato”.
Inoltre, l’andamento delle variazioni dei canoni di locazione nel tempo è stato elaborato considerando gli appartamenti bilocali.

Ebbene, il rendimento annuo lordo nelle grandi città italiane si è arrestato intorno al 4,2% e tra esse, quelle con il rendimento annuo lordo da locazione più elevato sono risultate Verona (5,2%) e Palermo (5,0%).

Vera MORETTI

Esplodono gli affitti: in aumento soprattutto a Roma, Milano e Firenze

Nonostante i prezzi in crescita per i canoni di locazione, mediamente dell’1,5% nell’ultimo anno, continuano a crescere nel nostro Paese gli affitti. Le percentuali di crescita maggiori sono registrate a Roma (+8,6%), Firenze, Milano (entrambe in rialzo del 6,4%) e Vicenza (+6,2%). Ultime della graduatoria risultano essere Napoli (+0,2%), Viterbo (+0,4%) e Reggio Emilia (+0,2%). Ma c’è anche chi va in controcorrente: Bari e Caserta, ad esempio, registrano un -8% e Palermo -5%, rispetto al 2010.

Tra le città più care troviamo Roma, Milano, Firenze, Napoli e Venezia. Nella capitale mediamente un trilocale costa oltre 1.300 euro, a Milano circa 1.200 euro, mentre a Venezia si superano di poco i 900 euro. Tra i contratti oltre a quelli standard spuntano altre tipologie. A Napoli il 36% dei contratti è quello di affitto transitorio (la cui durata non può essere inferiore a un mese e superiore a diciotto). Molto scarsa è  invece la diffusione dei contratti per gli studenti fuori sede (a Roma sono circa il 12%).

Carlo Giordano, amministratore delegato del gruppo Immobiliare.it afferma: “affittare una casa costa molto meno che nel capoluogo. Le motivazioni sono abbastanza ovvie, ma oggi si delinea uno scenario per cui, ad esempio, uscendo dalla città di Napoli si può risparmiare fino al 40 per cento”.

M.Z.