Il settore immobiliare colpito dalla crisi

La crisi economica del Paese sta lentamente arrivando a colpire tutti i settori, anche quelli che, fino a ieri, sembravano incrollabili.

La disoccupazione dilaga, soprattutto tra i giovani, dal momento che, secondo il Censis, uno su tre è senza lavoro e, quando invece un impiego ce l’ha, si tratta spesso di contratti a termine o a partita Iva, di quelli che non lasciano nessuna garanzia.

In questa reazione a catena sono coinvolte anche le agenzie immobiliari che, in questo periodo, si trovano in una situazione stagnante, proprio come l’economia italiana.
Senza occupazione, o con un lavoro precario, quello che, al massimo, ci si può permettere è di pagare un affitto, non certo di impegnarsi in un mutuo. E poi, senza credenziali, quale banca accetterebbe di aprirlo?

La domanda di contratti di locazione, dunque, sta crescendo in fretta, tanto da interessare il 36,3% degli under 40, la maggior parte dei quali vive in una grande città. In un Paese i cui canoni mensili sono i più alti d’Europa, si può ben capire che la situazione non è per niente rosea.
I più colpiti dai prezzi stellari degli affitti sono studenti e giovani famiglie, che, a causa delle proprie condizioni precarie, non contemplano l’acquisto di una casa nell’immediato futuro.

L’effetto domino sta scatenando quindi una situazione per la quale, almeno per ora, non c’è soluzione, e che sta portando come conseguenza ad avere un mercato fermo, senza più richiesta di abitazioni residenziali. E’ ovvio che, dal momento che in Italia otto famiglie su dieci vivono in abitazioni di proprietà, se non sono le nuove generazioni ad alimentare il mercato, le speranze di crescita sono davvero ridotte.

Ma c’è poi una discrepanza che rende questa situazione davvero paradossale: da un lato, chi cerca lavoro è portato verso le grandi città, dove ci sono le maggiori offerte, mentre il settore immobiliare riserva le occasioni migliori a chi abita in provincia o nelle regioni meridionali. In pratica, dove c’è domanda non c’è richiesta e viceversa.

Ciò farebbe presagire ad una cintura metropolitana sempre più allargata, con lavoratori pendolari che ogni giorno si spostano dalla provincia alla metropoli, per rimediare al problema dell’occupazione e a quello della casa. Ma anche perché l’Italia, per ciò che offre oggi, disincentiva le nuove generazioni ad uscire dall’alveo familiare, in controtendenza con gli altri Paesi europei, dove spesso i giovani che si spostano dal luogo d’origine possono godere di contratti di affitto calmierato.

Ma qui, di low-cost, ci sono solo gli stipendi.

Vera Moretti

Boom di imprenditrici cinesi in Italia. Tante le straniere che fanno impresa

È stata presentata nei giorni scorsi la ricerca “Osservatorio sull’evoluzione dell’imprenditoria femminile nel terziario” condotta dal Gruppo Terziario Donna Confcommercio e dal Censis. Secondo i dati presentati, il 70%  delle imprenditrici straniere presenti in Italia investe nel terziario, il 13,5% fanno impresa nei settori noleggio e agenzie viaggio. Il maggior numero di imprenditrici-straniere in Italia è rappresentato dalla comunità cinese con il 15,8% di imprenditrici che si occupano di ristorazione e commercio. Segono le imprenditrici rumene (7,6%), svizzere (7,3%), marocchine (6,7%) e tedesche (6,3%).  Il profilo anagrafico è molto più giovane delle imprenditrici italiane. Circa l’80% (contro il 60% circa delle italiane) ha meno di 50 anni: il 67% è tra i 30 e i 49 anni, il 13,1% ha meno di 29 anni.

La maggiore concentrazioni di imprenditoria-femminile-straniera è nel Centro Italia anche se Trieste risulta essere tra le province che hanno il rapporto più alto delle straniere sul totale delle imprenditrici del terziario. Tra le città metropolitane solo Milano e Roma sono tra le prime dieci, rispettivamente al quarto posto con il 13% e al settimo con l’11,8% di donne imprenditrici straniere.

Alla luce di questi dati, Patrizia Di Dio, neo presidente di Terziario Donna Confcommercio, afferma che “la donna immigrata appare come interprete principale di un lento e silenzioso sviluppo all’interno della società e la sua integrazione agevolerà il processo di edificazione e consolidamento di una società realmente multietnica ed interculturale. Il mercato è uno pochi settori in cui a differenza di altri, si possono affermare le pari opportunità. Infatti, il mercato è meritocratico, premia le capacità imprenditoriali, il know how, indipendentemente dal sesso, dall’etnia, dalla religione”.

L’imprenditoria femminile trionfa nel terziario

Secondo l’analisi dell’Osservatorio sull’evoluzione dell’imprenditoria femminile nel terziario voluto dal Gruppo Terziario Donna Confcommercio e Censis emerge che il terziario è il settore che meglio resiste alla crisi grazie all’apporto dell’imprenditoria femminile. Il contributo delle donne porta ad una crescita infatti dello 0,4%. Il 67,3% delle imprenditrici guida un’impresa del terziario, il 19,8% sceglie l’agricoltura e il 12,8 l’industria.

Il 46% delle donne coinvolte nel terziario sono alla guida di imprese coinvolte nel commercio, il 52,8% delle imprenditrici  ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni e sempre più sono straniere. Nel terziario le straniere rappresentano l’8,2% del totale con una crescita del 6,5%. Il 16% delle straniere è di nazionalità cinese. Il 24% delle donne imprenditrici è laureata.

La regione Valle d’Aosta ha la maggior incidenza di imprese rosa sul totale, pari al 43,3%. Il 31% delle imprenditrici del terziario si concentra al Sud. Marilù Galdieri, Presidente Nazionale di Terziario Donna-Confcommercio, commenta: “ancora una volta i dati sulle imprese femminili confermano la capacità delle donne di interpretare un modo di fare impresa che, prendendo in considerazione la fase acuta della crisi, si è dimostrato sano e vitale. I dati sull’età ed il livello di scolarizzazione delle imprenditrici vanno invece letti sotto due diversi aspetti: la riluttanza delle giovani generazioni a mettersi in gioco, aspetto che desta qualche preoccupazione, ma anche la maggiore consapevolezza, determinazione e professionalità della scelta di fare impresa“.

M.Z.

Imprenditoria femminile: il terziario è sempre più rosa

Stando ai dati elaborati dall’ “Osservatorio sull’evoluzione dell’imprenditoria femminile nel terziario nel 2011” tenuto dal Gruppo Terziario Donna Confcommercio e il Censis. Grazie alle donne il terziario e altri settori importanti dell’economia crescono dello 0,4%. Il 67,3% delle imprenditrici guida un’impresa del terziario, il 19,8% sceglie l’agricoltura e il 12,8 l’industria. In particolare sono il terziaro e il commerco i settori che attirano maggiormente le donne con un 46% di imprenditrici attive. La percentuale di donne a capo di un’impresa tra i 30 e 49 anni è il 52,8%. Crescono del 6,5% le imprenditrici di nazionalità straniera che nel terziario rappresentano l’8,2% del totale nel particolare il 16% delle straniere è di nazionalità cinese.

Per quanto riguarda il titlo di studio il 24% delle donne imprenditrici è laureata. In prima posizione per numero di donne imprenditrici troviamo la Valle d’Aosta (43,3%. sul totale). Il 31% delle imprenditrici del terziario si concentra al Sud. Marilù Galdieri, Presidente Nazionale di Terziario Donna-Confcommercio commenta: “ancora una volta i dati sulle imprese femminili confermano la capacità delle donne di interpretare un modo di fare impresa che, prendendo in considerazione la fase acuta della crisi, si è dimostrato sano e vitale. I dati sull’età ed il livello di scolarizzazione delle imprenditrici vanno invece letti sotto due diversi aspetti: la riluttanza delle giovani generazioni a mettersi in gioco, aspetto che desta qualche preoccupazione, ma anche la maggiore consapevolezza, determinazione e professionalità della scelta di fare impresa“.

Mirko Zago

Consumi in leggero aumento secondo i dati Censis-Confcommercio

Confcommercio in collaborazione con il Censis ha presentato i dati relativi all’andamento dei consumi degli italiani. La ricerca dal titolo “Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane” testimonia una ripresa nei ritmi delle spese nel nostro Paese nonostante a prevalere sia ancora la prudenza. Confrontando i dati relativi al secondo semestre 2010 erano il 48,3% delle famiglie ad aver messo mano al portafogli, contro un 45,7% del primo semestre.

Oltre un quarto delle famiglie rispetto al 23,8% del semestre precedente crede che nei primi quattro-cinque mesi del 2011 i consumi siano aumentati, segnando un buon miglioramento. In leggero miglioramento anche il clima di fiducia delle famiglie: gli ottimisti sono il 41,3% a gennaio 2011 contro il 36,1% di giugno 2010. Continuando ad analizzare la situazione vediamo come oltre un terzo delle famiglie negli ultimi mesi non ha rinunciato a nulla mentre però le restanti hanno complessivamente ridotto gli sprechi o effettuato qualche rinuncia, la ripresa sembra dunque moderata e ancora parzialmente incerta. E’  l’instabilità del clima politico  a preoccupare il 46,3% e l’elevata disoccupazione nel 43,6% dei casi. Altri fattori che frenano i consumi e creano un clima di preoccupazione ci sono le difficoltà per le giovani generazioni (29,7%) e l’eccessivo livello delle tasse (24,5%).

M. Z.

In Italia si prevedono crescite per il mercato immobiliare.

Resta alta la fiducia delle famiglie italiane nell’investimento sul mattone, tanto da far prevedere per il 2010 un leggero progresso nelle compravendite. Dopo un rallentamento nel 2008 e 2009, le compravendite vengono stimate dal Censis in 630mila unità residenziali a fine anno, in rialzo del 3,4% bel 2010 rispetto all’anno precedente. Secondo i dati di una recente indagine del’istituto di ricerca, in questo momento l’investimento in un immobile è considerato il canale preferibile per l’impiego dei risparmi familiari. Il 22,7% degli italiani ritiene che sia questa la forma di utilizzo dei propri risparmi da privilegiare, contro il 21,8% che pensa che i risparmi vadano mantenuti liquidi sul conto corrente e appena l’8,5% che giudica preferibile acquistare azioni e quote di fondi di investimento. C’è comunque un 39,7% di italiani che dichiarano di non avere risparmi da utilizzare. Nel dettaglio, sono le famiglie con la persona di riferimento in età centrale, tra 45 e 54 anni, quelle più convinte della solidità del mattone. Pur a fronte di una fiducia così diffusa, gli investimenti dei privati stentano però a convogliarsi verso l’economia delle costruzioni e dell’immobiliare, a causa della difficoltà a individuare sul mercato condizioni economiche compatibili con l’entità delle risorse familiari disponibili.

Ripresa e consumi: come ridare fiducia al Paese?

di Davide PASSONI

L’Outlook sui consumi realizzato da Confcommercio in collaborazione con il Censis parla chiaro: siamo un popolo di sfiduciati. Il rapporto “Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane”, (clicca qui per scaricare il documento di sintesi) presentato a Roma giovedì 22 luglio, ha fatto il punto sul mood che, nei primi 6 mesi del 2010, si respira in Italia; ne è risultato che la difficile ripresa economica, unita ai mali cronici che affliggono il nostro Paese – imputati in buona parte alla classe politica – a giugno hanno fatto crollare il cosiddetto “indice sintetico del clima di fiducia” a 19,5, il punto più basso dal gennaio 2009 (a 29,3).

Già, la ripresa economica… Un tema sul quale l’Italia e il resto del mondo parlano a due velocità; se la recente impennata degli ordinativi industriali nel nostro Paese (+26% a maggio 2010 rispetto a maggio 2009) è stata vista come un segnale di una non lontana uscita dalla crisi da alcuni palazzi della politica, dall’altro il presidente della Fed, Bernanke, si è detto piuttosto timoroso nei confronti della tanto auspicata ripresa, non nascondendo i rischi di una nuova recessione. E se da una parte l’Abi, nel suo Afo-Financial Outlook 2010-2012 parla di una ripresa economica in via di rafforzamento e di un Pil italiano in crescita da qui a due anni, dall’altro, sempre parlando di banche, il Fondo Monetario Internazionale sottolinea come la crescita del rischio collegato a una possibile stretta creditizia in Europa ha “aumentato considerevolmente l’incertezza” e “apportato ulteriori rischi al ribasso a una già modesta e non omogenea ripresa”. A chi dare retta? A chi si esalta per un + o a chi predica calma e realismo? Per carità, i numeri sono numeri, e dato che spesso è facile piegarli per far dire loro quello che ci è più comodo voler ascoltare, chi ogni giorno questi numeri li produce – creando ricchezza, litigando con bilanci e fatturati – dovrebbe aiutare a fornire una chiave di lettura a chi, invece di produrli, li elabora o li commenta.

E allora fatelo con noi e diteci: questa ripresa arriva o no? Scriveteci, raccontateci la vostra esperienza e spiegateci come, secondo voi, è possibile restituire agli italiani la fiducia nel futuro.

Siamo Infoiva, siamo l’Italia che produce, siamo ottimisti ma realisti e non miopi: facciamoci sentire.