Prendere a prestito del denaro, quali diritti e come fare a sapere se si è cattivi pagatori?

Quali sono i diritti che spettano a chi prende in prestito del denaro? Dall’esperienza passata e dalle criticità emerse, ad oggi sono vari i diritti che spettano a chi si indebita. Innanzitutto, l’entità e le condizioni del prestito devono essere riassunte prima dell’avvenuta ricezione del denaro. E, pertanto, prima che il debitore concluda il contratto di prestito, deve ricevere una informativa dettagliata sul prestito. Questo documento di sintesi si chiama Secci.

Recesso del prestito entro 14 giorni dalla sottoscrizione

Chi ha sottoscritto un contratto di prestito ha 14 giorni di tempo per poter recedere. Il recesso avviene senza costi, a parte quelli che sono già maturati. Si tratta degli interessi già maturati per il periodo e delle tasse. Per poter recedere è necessario inoltrare una comunicazione al creditore o finanziatore. In questo caso vanno seguite le indicazioni contenute nel contratto.

Come recedere da un prestito: la somma ricevuta va restituita?

Per poter recedere non serve alcuna motivazione. Inoltre, se al momento del recesso il debitore ha ricevuto il finanziamento, anche in parte, deve restituirlo entro i 30 giorni successivi alla comunicazione del recesso. Il debitore deve corrispondere gli interessi già maturati fino al giorno della restituzione.

Cosa avviene con il credito finalizzato?

Può avvenire che il debitore abbia contratto il prestito per acquistare beni o per ricevere dei servizi. È il caso del credito finalizzato nel quale se il venditore non presta il servizio o non consegna il bene acquistati, il consumatore può sciogliere il contratto che ha fatto con il finanziatore per richiedere il prestito. In alcuni casi è previsto che il debitore possa sciogliere il contratto di finanziamento anche nel caso in cui riceva delle merci difettose. In questo caso, è necessario richiedere per iscritto al venditore la consegna di quanto dovuto.

Richiedere un prestito ed essere buoni o cattivi pagatori

Nel momento in cui ci si rivolge a una società finanziaria per richiedere un prestito, l’operazione può andare a buon fine o meno a seconda del trascorso del richiedente in merito ai prestiti stessi. Vige, cioè, il merito creditizio, ovvero il comportamento del debitori per precedenti prestiti ottenuti. In buona sostanza, dunque, la valutazione del debitore fatta dalla società finanziaria tiene conto:

  • dell’essere stato o meno protestato in passato;
  • essere stato puntuale nel pagamento delle rate dei precedenti prestiti;
  • la mancata restituzione del precedente prestito.

Cosa succede se il debitore non paga le rate del prestito ricevuto?

Se il debitore non paga le rate del finanziamento, il creditore può ricorrere alle varie azioni previste dalla legge per ottenere quanto gli spetti. In questo caso, il creditore può procedere con l’invio dei solleciti formali. In ultima analisi, la società finanziatrice può ricorrere al giudice. Inoltre, il mancato pagamento anche di una delle rate previste dal finanziamento può implicare dei costi maggiori a debito di chi ha richiesto il prestito. In tal caso, il debitore deve corrispondere anche gli interessi di mora che non sono compresi nel Taeg.

Come fare per sapere se si è finiti nella lista dei cattivi pagatori?

In caso di mancato pagamento di quanto dovuto, il debitore finisce inevitabilmente tra i cattivi pagatori. E pertanto si finisce con la segnalazione negativa alla centrale che riporta tutte le situazioni di debiti non rispettati. Come si può fare per sapere se si è finiti nella lista di cattivi pagatori? Innanzitutto si può fare una richiesta all’intermediario finanziario. In alternativa, si può inoltrare la domanda alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. In ultima analisi si può fare richiesta alle centrali rischi private. Si tratta di quelle che vengono chiamate Sistemi di informazioni creditizie (Sic).

Come rivolgersi alle Centrali dei Rischi private?

La Centrale dei Rischi della Banca d’Italia è una base che raccoglie i dati di tutti i cattivi pagatori provenienti da inadempienze verso banche e società finanziaria. I dati, pertanto, riguardano tutti i crediti e le garanzie concessi. Accanto alla Cr della Banca d’Italia, vi sono i Sistemi di informazioni creditizie (Sic) privati. Si tratta di società private come Cerved, Experian, Crif, Assilea, Eurisc, Ctc che gestiscono e archiviano dati sui crediti. Per poter conoscere tali dati ed eventualmente richiederne una rettifica, è necessario presentare domanda diretta al Sistema di informazioni creditizie.

 

Segnali positivi dai pagamenti alle imprese

Ci sono diversi fattori che possono essere presi in considerazione per capire se l’aria della crisi si è fatta meno pesante. Uno di questi riguarda i pagamenti verso le imprese e i numeri delle società protestate.

Secondo l’Osservatorio Cerved sui Protesti e Pagamenti delle imprese italiane, lo scorso anno si è registrato un numero di società protestate minore rispetto ai livelli pre-crisi del 2007 e i tempi medi di liquidazione delle fatture si sono abbassati ai livelli del 2012.

Secondo l’Osservatorio, nel 2015 sono state protestate in Italia 28mila società non individuali, un numero inferiore a quello del 2007 e minore del 19% rispetto a quello del 2014. Sul fronte dei pagamenti, i tempi di attesa dei fornitori per il saldo delle fatture sono stati di circa 76 giorni, contro gli 81 del 2012. Calo anche per i termini concordati in fattura e i ritardi.

L’Osservatorio ha anche rilevato che i dati dei protesti e dei pagamenti relativi al 2015 sono risultati in miglioramento un po’ in tutta Italia, anche se il Sud continua a scontare tempi ancora troppo dilatati per i pagamenti. Allo stesso modo, settori come la produzione e la distribuzione di beni di largo consumo non hanno beneficiato di un miglioramento sensibile.

Interessante il commento di Gianandrea De Bernardis, Amministratore Delegato di Cerved: “Dopo i cali registrati nel numero di chiusure aziendali e liquidazioni volontarie, le rilevazioni su protesti e tempi dei pagamenti confermano che il 2015 è stato un anno positivo per le imprese italiane. Per il nostro tessuto economico non si è trattato di un percorso indolore: le aziende più fragili sono uscite dal mercato e i fornitori sono diventati più cauti nel concedere credito commerciale. La conseguenza è un sistema che esce dalla crisi con meno imprese ma più virtuose, che pagano i fornitori con maggiore regolarità”.

Frenano i fallimenti nel 2015

I segnali che arrivano e che parlano di una lenta e progressiva uscita dalla crisi economica sono tanti e uno di essi riguarda le cessazioni di attività e i fallimenti. I dati su questi importanti indicatori economici sono stati diffusi nei giorni scorsi da Cerved, società che valuta la solvibilità e il merito creditizio delle aziende.

Secondo i dati Cerved, negli ultimi 3 mesi del 2015 i fallimenti hanno interessato 15mila imprese, mentre nel terzo trimestre dell’anno i fallimenti hanno interessato altre 15mila aziende.

Quest’ultimo dato sui fallimenti dimostra un calo del 10% rispetto allo stesso periodo del 2014, soprattutto in virtù della flessione delle liquidazioni volontarie, calate dell’11,1%, a 12.200, nel terzo trimestre e del 9,1% dall’inizio dell’anno (41mila unità).

Sul fronte delle procedure fallimentari l’Osservatorio Cerved segnala un -4,5% nei primi nove mesi del 2015 (per un totale di 10.600 procedure) e nel solo terzo trimestre i fallimenti sono cresciuti dello 0,7% a quota 3mila.

Nel terzo trimestre 2015 le procedure non fallimentari aperte sono state 448, contro le 696 dello stesso periodo del 2014: -35%. In tutto, le insolvenze non fallimentari aperte nei primi nove mesi dell’anno in corso sono state 1.823, con un significativo calo del 16,8%. Se dalla frenata dei fallimenti, anche se contenuta, si può guardare con più fiducia al futuro, siamo sulla strada giusta.

Crisi economica alle spalle? Le Pmi ci credono

I dati su Pil e occupazione diffusi nei giorni scorsi dall’Istat hanno alimentato facili entusiasmi che hanno portato molti a pensare che, oltre ad esserci messi il peggio alle spalle, la crisi economica stia ormai per finire. In realtà, il termometro vero per capire a che punto è questa crisi economica, oltre alla propensione delle famiglie ai consumi, sono le imprese, chi produce, chi con la crisi sta facendo i conti da otto anni, cercando di sopravvivere.

Ebbene, da questo lato arrivano segnali incoraggianti. Secondo una ricerca dell’Osservatorio Congiunturale di Fondazione Impresa, una buona parte di piccole imprese italiane sostiene che la crisi economica sia finita.

Secondo la ricerca, nel primo semestre 2015, il 35,9% delle piccole imprese italiane – al di sotto dei 20 addetti – sostiene di aver superato la crisi economica. Una quota che aumenta tra le piccole imprese manifatturiere e tra quelle dei servizi: il 46,7% del manifatturiero dichiara infatti di “essere fuori dal tunnel” contro il 39,4% di quelle che operano nei servizi.

Meno ottimiste che operano nel settore del commercio e quelle dell’artigianato: il 22,3% delle prime dichiara di essere uscito dalla crisi economica, contro il 25,8% delle seconde. Segno che questi due settori, che hanno sofferto più di altri i morsi della crisi, faticano a riprendersi in maniera completa.

Le imprese che dichiarano di essersi lasciate alle spalle la crisi economica sono quelle che, probabilmente, potranno pensare di tornare a investire dopo che, negli ultimi anni, hanno di fatto adottato una strategia conservativa per difendere le proprie quote di mercato anziché cercare di ritagliarsene di nuove.

Secondo le rilevazioni dell’Istat, infatti, ben il 70,5% delle imprese ha scelto di mantenere le proprie quote tra il 2011 e il 2012, negli anni più bui della crisi economica. Una percentuale di aziende trasversale a tutti i settori economici e di ogni dimensione.

Del resto, già il fatto che l’indagine dell’Osservatorio Congiunturale di Fondazione Impresa abbia avuto un campione sul quale insistere è importante, perché si tratta di imprese che hanno resistito alla crisi economica a differenza delle oltre 82mila fallite tra il 2008 e il 2014, secondo dati Cerved. Una mattanza che ha lasciato sul campo oltre un milione di posti di lavoro.

Finanziamenti alle imprese ancora giù

Ancora pessime notizie sul fronte dei finanziamenti alle imprese. Secondo quanto rileva una stima di Confartigianato, i finanziamenti alle imprese erogati dalle banche sono calati di 105,9 miliardi di euro negli ultimi quattro anni: -10,6% rispetto a giugno 2011.

Una stretta sui finanziamenti alle imprese che ancora non sconta gli effetti della mini ripresa in atto e che ha obbligato molte attività a chiudere: secondo Cerved, gruppo specializzato nell’analisi del rischio del credito, dal 2008 al 2014 sono fallite 82mila attività, molte delle quali proprio a causa dei mancati finanziamenti alle imprese, con una perdita di posti di lavoro pari a circa un milione.

Le imprese sopravvissute hanno invece rinunciato ad assumere e hanno ristretto gli investimenti. Tra il 2011 e il 2015, secondo Confartigianato, gli investimenti fissi lordi sono scesi di 51,6 miliardi di euro, una flessione del 15,9%. Sempre Confartigianato rileva che in altri Paesi europei la tendenza dei finanziamenti alle imprese e degli investimenti è in territorio positivo.

Tornando all’Italia, risulta critica la situazione per le imprese di piccola dimensione: sempre secondo Confartigianato, a maggio per le aziende che impiegano fino a 20 addetti, si è registrato un calo dei finanziamenti alle imprese del 2,3%, decisamente più consistente rispetto a quello fatto segnare dal totale delle imprese attive in Italia nell’ultimo anno: -1,6%.

Una nota positiva arriva, se non altro, da Unioncamere: tra aprile e giugno 2015, le aperture di nuove procedure fallimentari sono calate, fermandosi a quota 3.654, circa il 10% in meno rispetto alle otre 4mila dello stesso trimestre 2015. Giù anche i concordati preventivi: 414-22,9% rispetto allo scorso anno. Ora c’è da sperare solo in una ripresa dei finanziamenti alle imprese.

Imprese gazzelle e scarsa occupazione

L’altalena dei dati relativa all’economia e al lavoro continua senza sosta anche in questo periodo di vacanza. Secondo l’Istat, in Italia è calato il numero delle imprese che creano lavoro, relativamente a quelle attive con dipendenti (escluse la pubblica amministrazione, l’agricoltura e il non profit): -3% nel 2014 rispetto al 2013 sul fronte occupazione.

Il totale degli addetti di queste imprese è di 13 milioni, di cui 11 i dipendenti, calati dell’1,4% rispetto al passato. E la difficoltà a creare occupazione è evidente anche guardando le performance delle cosiddette “imprese gazzelle”, ossia le piccole aziende con notevole tasso di crescita: ebbene, se queste, secondo il Cerved, dal 2007 al 2012 hanno raddoppiato il fatturato, non hanno però ottenuto risultati analoghi sotto il profilo occupazionale.

Se si osservano poi le dimensioni delle aziende che creano lavoro, il calo più sensibile dell’ occupazione si registra per il segmento 1-9 addetti (-3,2%), mentre per settore produttivo sono le imprese con 100-249 addetti delle costruzioni a far segnare il dato peggiore: -8,8%.

Cerved: calano le società protestate e ritardi nei pagamenti

Tanto per rendere le cose più facili e aggiungere contraddizioni a contraddizioni, un ennesimo studio parla di segnali concreti di ripresa per le imprese. Questa volta tocca a Cerved che, analizzando il proprio database che monitora le esperienze di pagamento di 2,5 milioni di imprese italiane, rileva come, nel primo trimestre 2015, è calato del 18% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno il numero delle società protestate, fermo a circa 15mila.

Secondo Cerved, il calo dei protesti si accompagna a una riduzione dei tempi di liquidazione delle fatture e dei ritardi dei pagamenti; una tendenza che indica diffuso miglioramento delle abitudini di pagamento delle aziende italiane

Cerved rileva come, in media, nei primi tre mesi del 2015 le imprese italiane hanno pagato le proprie fatture in 76,5 giorni, un giorno in meno rispetto allo stesso periodo 2014, mentre i ritardi sono scesi a 17,2 giorni dai 18,4 dello stesso periodo del 2014: è il livello più basso dal 2012.

Altro segnale positivo individuato da Cerved riguarda la riduzione dello stock di fatture commerciali non pagate da parte della Pa, un calo registrato sia in termini numerici (49,8% al 31 marzo 2015, contro il 53,9% al 31 marzo 2014), sia in termini di valore (il 49,5% dal 60,1%). Rimane comunque alta la quota di mancati pagamenti sulle fatture di nuova emissione.

Secondo Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved, “i dati del primo trimestre confermano i segnali positivi emersi negli scorsi ed evidenziano che la crisi ha trasformato alcuni comportamenti delle imprese: le aziende, più attente nel concedere credito, ottengono pagamenti più rapidi e più puntuali. Nel Nord del Paese e nell’industria i protesti sono già tornati sotto i livelli pre-crisi e proseguono i pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione, anche se rimane alta la quota di mancati pagamenti sulle nuove fatture“.

Imprese italiane in lenta ripresa

I dati che vengono diffusi dai vari istituti sullo stato di salute delle imprese italiane sono spesso contradditori. Prendiamo, per esempio, i dati Cerved che riguardano i fallimenti e i bilanci delle imprese italiane nel 2014. I primi sono inquietanti, i secondi beneauguranti. Possibile? Sì, vediamo perché.

Secondo l’Osservatorio Cerved, il numero di imprese italiane fallite lo scorso anno è stato di ben: 15mila, ossia il +10,7% rispetto all’anno precedente e il risultato peggiore da oltre dieci anni. I bilanci delle imprese italiane, invece, nel 2014 sono migliorati, arrivando al 6,5% del patrimonio netto, dal 5,7% del 2013, mentre sono calati del 4,5% i debiti finanziari.

Il contesto economico ancora debole ha fatto sì che, nel 2014, l’andamento delle vendite e dei ricavi delle imprese italiane siano cresciuti solo dell’1% sul 2013. Ma da un’analisi dei 133mila bilanci depositati entro giugno 2015, Cerved ha rilevato che le imprese italiane sono riuscite a migliorare la propria redditività, contenendo i costi e aumentando la produttività.

In sostanza, il numero delle aziende italiane che hanno chiuso il bilancio in rosso è sceso nel 2014 del 27,7%: 25 società su 100. Con un incremento generale degli indici di redditività netta.

Rispetto al periodo pre-crisi, le imprese italiane sono comunque meno redditizie ma, secondo Cerved, le società analizzate nel rapporto hanno debiti più sostenibili. Nel 2014 i debiti finanziari si sono contratti (-4,5% dopo il -6% del 2013), con gli imprenditori che hanno fatto maggiormente ricorso a mezzi propri per finanziare le aziende, con il capitale netto su del 4,2% rispetto al 2013 e un incremento complessivo rispetto ai livelli pre-crisi del +51,3%.

Sul versante dei fallimenti, la situazione delle imprese italiane è in miglioramento. I dati raccolti da Cribis D&B, a giugno 2015 risultano 808 casi in meno rispetto a giugno 2014. Nei primi sei mesi del 2015 sono fallite mediamente 53 imprese al giorno, un dato da non sottovalutare ma che è comunque in calo rispetto alla crescita costante e continua che si registrava dal 2009.

Prove di rinascita per le imprese del Sud

Qualche piccolo segnale di ripresa sembra intravedersi anche per le imprese del Sud. Secondo il rapporto “Pmi Mezzogiorno 2015” curato da Confindustria e Cerved, le piccole e medie imprese del Sud dovrebbero crescere nel 2015 sia in fatturato (+1,2%) sia in valore aggiunto (+2,1%).

Una crescita che, per le imprese del Sud, caratterizzerà anche la redditività del capitale investito (+5% in Roe) e il margine operativo lordo (+4,3% in Mol). Un andamento positivo che, secondo il rapporto, dovrebbe continuare per le imprese del Sud anche il prossimo anno.

Il rapporto di Confindustria e Cerved è stato elaborato sulle 27mila imprese del Sud (società di capitale), con un fatturato compreso tra 2 e 50 milioni di euro e un numero di dipendenti tra 10 e 250 addetti. Pur sottolineando i dati positivi, il rapporto non può tacere il fatto che più del 25% delle 29mila imprese del Sud attive nel 2007, prima della crisi, è sparito dal mercato; delle 20mila imprese sopravvissute, circa il 25% ha ridotto le proprie dimensioni, diventando una micro-impresa.

E se la crisi ha ammazzato tante imprese del Sud, ha anche impedito che molte ne nascessero. Confindustria e Cerved rilevano fino al 2012 è calato drasticamente il numero di nuove imprese e solo il 45% delle imprese del Sud di nuova costituzione è sul mercato a tre anni dalla nascita. Insomma, ben vengano i segni più, ma prima che riescano a compensare i segni meno passerà molto, molto tempo.

Fallimenti in calo. La volta buona?

Un altro segnale per quanti sono certi che il vento, in economia, se proprio non è cambiato ce la sta comunque mettendo tutta per farlo. Questa volta a invertire la tendenza sono i fallimenti che, stando ai dati dell’Osservatorio trimestrale su Fallimenti, Procedure e Chiusure di imprese di Cerved, nei primi tre mesi del 2015 si è registrato il 2,8% in meno di fallimenti rispetto al primo trimestre 2014. È il primo calo dopo 10 trimestri consecutivi di segni più.

Dopo quasi tre anni, i dati relativi alle chiusure sono finalmente positivi – ha commentato l’a.d. di Cerved Gianandrea De Bernardis parlando dei fallimenti -, con un miglioramento diffuso a tutte le procedure che monitoriamo. Chiudono meno imprese e quelle rimaste sul mercato pagano prima i fornitori: con la ripresa già in atto ci aspettiamo nei prossimi mesi un rafforzamento di questo trend positivo“.

Entrando nel dettaglio dei numeri, le imprese che hanno aperto procedure di fallimenti sono state 3.800 e, nello stesso periodo sono anche calate del 3,5% anno su anno (21mila), le imprese che hanno chiuso tra fallimenti, procedure concorsuali non fallimentari e liquidazioni volontarie.

Secondo i dati Cerved sui fallimenti, nel trimestre in esame sono calate anche le procedure concorsuali non fallimentari di circa il 20% rispetto al corrispondente trimestre 2014. Sono state solo 600, un dato influenzato dalla marcata diminuzione dei concordati preventivi (-25,3%) e dal calo dei concordati in bianco: 650 -27% rispetto al 2014 e oltre il 50% in meno rispetto al 2013.

Il dietro front nei fallimenti ha favorito soprattutto il settore dell’industria e delle costruzioni, quest’ultimo massacrato negli anni più bui della crisi.

Una situazione a macchia di leopardo si registra per i fallimenti nelle varie macro aree italiane. Il Nord Ovest (-9%) e il Sud (-4,2%) hanno fatto registrare i cali più importanti sul versante dei fallimenti; lo stesso Sud (-12,2%) e il Centro (-10,1%) hanno visto calare sensibilmente le liquidazioni volontarie; un po’ tutte le regioni hanno fatto registrare forti cali delle procedure concorsuali non fallimentari.