Agricoltura: esonero contributivo 2023 per coltivatori diretti e Iap

Nella legge di bilancio 2023 ci sono importanti novità anche per gli imprenditori agricoli e per i coltivatori diretti che potranno usufruire di sgravi di varia natura e tra questi anche l’esonero contributivo per gli under 40 fino al 31 dicembre 2023.

Esonero contributivo 2023 under 40 per coltivatori diretti e Iap

L’agricoltura per l’Italia è un settore strategico, ma nel tempo le persone interessate ad investire in questo ambito sono diminuite a causa della scarsa remunerazione che lo stesso offre. Negli ultimi anni sono state adottate, anche a livello europeo, delle politiche volte ad assicurare un reddito equo e in linea con quello degli altri settori all’agricoltura andando anche a sostenere gli investimenti in innovazioni tecnologiche.

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Tra le novità che invece sono previste nella legge di bilancio 2023 vi è l’esonero contributivo in favore dei giovani lavoratori agricoli autonomi.

L’esonero si applica a coltivatori diretti e a imprenditori agricoli professionali (IAP), under 40. Occorre sottolineare che si può usufruire dell’agevolazione per un periodo non superiore a 24 mesi, inoltre possono accedervi gli imprenditori agricoli e coltivatori diretti che siano iscritti per la prima volta alla previdenza agricola.

Quali contributi sono oggetto di esonero contributivo 2023?

I contributi oggetto dell’agevolazione sono il 100% della quota di contributi per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti (IVS) e del contributo addizionale di cui all’articolo 17, comma 1, della legge 3 giugno 1975, n. 160 . Tale decontribuzione non va ad incidere sulla maturazione dei requisiti pensionistici e sulla misura della prestazione.

Sono esclusi dall’esonero contributivo previsto in favore dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali, i contributi di maternità che risultano quindi dovuti, i contributi Inail.

Affinché si possa ottenere l’agevolazione è necessario che l’imprenditore risulti aver adempiuto a tutti gli obblighi normativi e quindi:

  • essere in regola con il versamento dei contributi;
  • aver osservato gli obblighi di legge relativi alla tutela della salute dei lavoratori;
  • rispetto degli accordi e dai contratti collettivi nazionali;
  • rispetto di tutti gli obblighi di legge.

Il riconoscimento dell’esonero contributivo non è automatico, ma deve essere presentata istanza  entro 120 giorni dalla data di comunicazione di inizio attività. L’istanza deve essere presentata telematicamente attraverso il sito Inps con il percorso al “Cassetto previdenziale per Autonomi Agricoli”, alla sezione “Comunicazione bidirezionale” > “Invio comunicazione”.

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Coltivatori diretti e Iap, come compilare il modello 730 di dichiarazione dei redditi?

Come si compila il modello 730 di dichiarazione dei redditi per i coltivatori diretti? È da subito necessario precisare che non si paga l’Irpef per i terreni se i coltivatori risultano in possesso di qualifica di imprenditori professionali agricoli (Iap) oppure di coltivatore agricolo. Tuttavia, sul modello 730 di dichiarazione dei redditi va compilato il quadro “A”. Chi possiede dei terreni agricoli deve indicarne i redditi in questo quadro ai fini della determinazione delle imposte dovute.

Coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali (Iap): quando il possesso di terreni deve essere dichiarato nel modello 730?

Ma, in presenza della qualifica Iap o di coltivatore diretto, pur dovendo compilare il quadro “A” del modello 730, il contribuente beneficia delle agevolazioni fiscali che consentono di non ricomprendere i redditi di questi terreni ai fini della formazione della base imponibile. Nel caso in cui si tratti di un Iap, il contribuente deve indicarlo nel quadro A del modello 730 barrando la colonna 10.

Dichiarazione dei redditi degli agricoli: chi deve compilare il quadro A del modello 730?

A compilare il quadro “A” del modello di dichiarazione dei redditi 730 sono i conduttori dei fondi che rientrano nel regime di esonero. Tale regime permette loro di non dover presentare i modelli di dichiarazione dei redditi 770, Iva ed Irap. Sono altresì esonerati dalla compilazione di questi modelli (e dunque del solo quadro “A” del 730):

  • i soci delle società semplici che dichiarano solo la quota del reddito fondiario in proporzione alle percentuali di possesso;
  • chi partecipa all’impresa familiare;
  • gli agricoltori che, nell’anno prima, hanno ottenuto un volume di affari non eccedente i 7 mila euro. Tale somma deve essere stata prodotta per almeno i due terzi dalla cessione dei prodotti agricoli.

Quali redditi vanno dichiarati nel quadro A del modello 730?

Sono due i redditi che vanno dichiarati nel quadro “A” del modello 730 rientranti tara i redditi fondiari. Il primo è il reddito dominicale che deve essere dichiarato dai contribuenti che sono possessori del terreno perché proprietari o titolari di un altro diritto reale. Tra i diritti reali rientra l’usufrutto. Il secondo reddito da dichiarare è quello agrario. Riguarda chi svolge attività agricole sui terreni.

Quali terreni non vanno dichiarati nel quadro A del modello 730?

I terreni che non devono essere dichiarati nel quadro “A” del modello 730 di dichiarazione riguardano essenzialmente quelli che non producono redditi fondiari. Ovvero:

  • i terreni che si trovano all’estero. In tal caso sono produttivi di redditi diversi e dunque da inserire nel rigo D 4;
  • quelli che sono stati dati in affitto per finalità non agricole. Anche in questa situazione si tratta di redditi diversi da inserire nel rigo D 4;
  • i terreni, costituiti da cortili e giardini, che costituiscono pertinenza di fabbricati urbani;
  • infine i terreni, i giardini e i parchi che sono aperti al pubblico. Può trattarsi anche di terreni per i quali il ministero dei Beni e delle attività culturali ne abbia riconosciuto il pubblico interesse. La condizione per non dichiararli è quella che prevede che il proprietario non ne abbia ricavato alcuna tipologia di reddito nel periodo di imposta.

Come si determina la base imponibile per i terreni agricoli: terreni affittati o no

Per procedere alla determinazione della base imponibile per i terreni agricoli è necessario fare alcune considerazioni. Innanzitutto, se i terreni non sono affittati, l’Imu va a sostituire l’Irpef e le altri addizionali sui redditi dominicali. In altre parole, il contribuente si vedrà tassato il solo reddito agricolo. Se il terreno è affittato, invece, il contribuente dovrà versare sia l’Irpef che l’Imu. Inoltre è necessario verificare la qualifica: come già detto in precedenza, i coltivatori agricoli e gli imprenditori agricoli professionali non pagano l’Irpef. E, dunque, i relativi terreni non entrano nella base imponibile. Tale agevolazione, introdotta nel 2017 ed estesa fino al 2019, è stata ulteriormente prorogata dalla legge di Bilancio 2022.

Chi beneficia dell’esonero Irpef sui terreni?

Oltre ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti alla previdenza agricola, beneficiano dell’esonero Irpef:

  • i soci delle sole società semplici;
  • i familiari coadiuvanti del coltivatore diretto. In tal caso, deve trattarsi del medesimo nucleo familiare e deve sussistere l’iscrizione alla gestione previdenziale ed assistenziale agricola, nonché la partecipazione attiva all’impresa familiare. Nel modello 730, al quadro A, come per l’imprenditore agricolo professionale, si barra la colonna 10.

Base imponibile dei coltivatori agricoli se l’Irpef è dovuta

Al di fuori dei casi sopra descritti, nel caso in cui l’Irpef sia dovuta, sia il reddito agrario che quello dominicale concorrono alla formazione del reddito. In tal caso, la misura è corrispondente alla visura catastale del 1° gennaio dell’anno di imposizione. Questo valore deve essere rivalutato per l’80 e il 70% e, successivamente, per una nuova rivalutazione del 30%. Le due rivalutazioni (70 e 80%) non vanno applicate nei casi di terreni affittati per non meno di cinque anni e per utilizzi agricoli, a giovani imprenditori under 40. Questi ultimi devono essere Iap o coltivatori diretti. In tal caso, nel quadro A del modello 730 di dichiarazione dei redditi, il contribuente deve indicare il codice 4 alla colonna 7.

Come si compila il modello 730 di dichiarazione dei redditi dei coltivatori agricoli?

I coltivatori diretti devono compilare il quadro “A” del modello 730 di dichiarazione dei redditi per ogni terreno in possesso o condotto. Il numero dei terreni posseduti corrisponde a tanti righi da compilare del quadro “A”. Nella colonna 1, il contribuente deve indicare il reddito dominicale; invece, nella colonna 3 il contribuente deve indicare quello agrario. Nel caso in cui il terreno è solo coltivato, si dovrà compilare la sola colonna 3. Se, invece, il contribuente possiede solo il terreno, deve compilare la sola colonna 1. Il contribuente deve inserire i redditi non rivalutati: sarà chi presta assistenza fiscale a provvedervi.

Modello 730, quadro A dei coltivatori diretti: a cosa serve la colonna 2?

La colonna 2 del modello 730, al quadro A, serve per indicare la tipologia di possesso del terreno. Ad esempio, se il terreno è di proprietà e non è stato affittato, il contribuente deve indicare il codice “1”. Le colonne dalla 4 alla 6, invece, indicano ulteriori specifiche di possesso del terreno ed eventualmente il canone di affitto. Il contribuente deve indicare nella colonna 9 se non sconta l’Imu.

 

Coltivatore diretto, come iscriversi all’Inps e quante giornate lavorative servono per i contributi?

Quante giornate di lavoro servono al coltivatore diretto ai fini dell’iscrizione all’Inps? Per rispondere a questa domanda è necessario collocare esattamente la figura del coltivatore diretto tra i lavoratori autonomi del settore agricolo. L’articolo 2083 del Codice civile inserisce il coltivatore diretto tra i piccoli imprenditori. Si tratta “dei coltivatori diretti del fondo, degli artigiani, dei piccoli commercianti e di coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.

Quali attività svolge tipicamente il coltivatore diretto?

Le attività che svolge il coltivatore diretto, considerato piccolo imprenditore agricolo, sono disciplinate dall’articolo 2135 del Codice civile. L’articolo specifica che “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”. Inoltre, per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.

Quali sono le attività connesse svolte dal coltivatore diretto?

Le attività connesse a quelle principali del coltivatore diretto riguardano “le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, alla conservazione, alla trasformazione, alla commercializzazione e alla  valorizzazione che abbiano a oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Cosa serve al coltivatore diretto per l’iscrizione all’Inps?

Per potersi iscrivere all’Inps, al coltivatore diretto serve una capacità occupazionale di almeno 104 giornate di lavoro all’anno. La capacità occupazionale deve essere verificata nel complesso dei fondi condotti oppure, nel caso dell’allevamento, sul numero dei capi. Per il calcolo è necessario far riferimento alle tabelle ettaro-coltura.

Coltivatore diretto, come fare domanda di iscrizione all’Inps?

Nel caso in cui il coltivatore diretto rispetti tutti i requisiti sopra citati, il titolare del nucleo familiare può richiedere l’iscrizione all’Inps per se stesso e per i suoi familiari. Sia per le coltivazioni che per l’allevamento è occorrente scaturire un fabbisogno di almeno 104 giornate di lavoro per ciascuna attività da assoggettare alla contribuzione previdenziale. Per poter presentare la domanda è necessario agire per via telematica mediante la procedura “ComUnica”. L’accesso è possibile dal Registro delle imprese. Qui bisogna assolvere ai vari adempimenti per avviare una nuova impresa, e procedere con le successive cancellazioni o modifiche.

Quando va inviata la comunicazione di iscrizione all’Inps dal coltivatore diretto?

La comunicazione all’Inps da parte del coltivatore diretto va inviata entro il termine di 90 giorni dalla data in cui ha iniziato l’attività economica. Risulta valido, sempre nei 90 giorni, anche il termine in cui il coltivatore ha acquisito i requisiti che implicano l’obbligo contributivo. Infatti, l’inizio di un’attività agricola potrebbe non coincidere con la data di decorrenza dell’obbligo contributivo. Ad esempio, se si coltiva un terreno che non ha bisogno di 104 giornate di lavoro all’anno, ma meno. Potrebbe successivamente necessitarne e quindi far scattare l’obbligo contributivo.

Cosa avviene quando il coltivatore agricolo si iscrive all’Inps?

Nel momento in cui il coltivatore diretto fa la domanda telematica all’Inps, l’Istituto previdenziale adotta il provvedimento di iscrizione e comunica il codice identificativo. Tale codice serve a rendere univoca l’azienda per gli adempimenti contributivi.

Coltivatore diretto, quando non è obbligatoria l’iscrizione al Registro imprese?

Può verificarsi che non sia obbligatoria l’iscrizione al Registro delle imprese da parte del coltivatore diretto. Ciò avviene nell’ipotesi formulata dal comma 3, dell’articolo 2, della legge numero 77 del 1997 che disciplina il mancato obbligo per i piccoli produttori agricoli appartenenti al regime Iva di esonero degli adempimenti di cui parla il comma 6 dell’articolo 34, del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1973.

Coltivatore diretto, come ci si cancella dalla gestione previdenziale Inps?

La cancellazione dalla gestione previdenziale Inps avviene mediante le stesse modalità e negli stessi termini dell’avvenuta iscrizione. Tuttavia, non è sufficiente presentare la documentazione della cessazione dell’attività economica, il certificato di certificazione del numero della partita Iva e di cancellazione dal Registro delle imprese. Infatti, la fine dell’obbligo contributivo termina per il coltivatore diretto per quattro situazioni:

  • il decesso;
  • per la sopravvenuta inabilità al lavoro che deve essere certificata dalle strutture pubbliche sanitarie adeguate;
  • perché è stato ceduto il terreno;
  • per l’inizio di un’altra attività.

Cosa avviene ai fini previdenziali se il coltivatore diretto ha anche altre attività?

La cancellazione dagli obblighi contributi all’Inps non va confusa con il caso in cui il coltivatore diretto svolte anche altre attività. In questo contesto, il requisito dell’abitualità sussiste purché quella da coltivatore diretti risulti l’attività prevalente. Per il calcolo della prevalenza bisogna rifarsi all’articolo 2 della legge numero 9 del 1963. Infatti, per la norma, in caso di esercizio contemporaneo di più attività lavorative, ai fini contributivi si considera quella prevalente quando la prestazione di lavoro del nucleo familiare sia di almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di allevamento del bestiame o di coltivazione dei fondi.

Comprare un terreno agricolo, quali tasse sono da pagare?

Quali imposte e tasse sono da pagare nel caso in cui si acquisti un terreno agricolo? Per rispondere a questa domanda è necessario distinguere il soggetto che vende il terreno agricolo. Può essere un soggetto qualsiasi oppure una banca o una società di leasing. Chi compra il terreno agricolo, invece, può ricadere in più soggetti.

Chi può comprare un terreno agricolo?

Infatti, il compratore di un terreno agricolo nel caso in cui il venditore sia un soggetto qualsiasi, può essere un imprenditore agricolo professionale, oppure un coltivatore diretto iscritto alla gestione assistenziale o previdenziale. In alternativa, la trattazione delle tasse e imposte dovute sull’acquisto di un terreno agricolo varia se si tratta di un soggetto qualsiasi diverso dalle tipologie di acquirente viste in precedenza. Nel caso in cui il venditore sia una banca o una società di leasing, la trattazione delle tasse e imposte dovute non varia a seconda del soggetto acquirente.

Acquisto di un terreno agricolo da parte di un imprenditore agricolo o coltivatore diretto: quali tasse?

In tutti i casi di acquisto e di vendita di un terreno agricolo non è mai dovuta l’Iva. Se ad acquistare il terreno agricolo da un qualsiasi soggetto che non sia una banca o una società di leasing è un imprenditore agricolo o un coltivatore diretto, sono dovute cinque tasse e imposte. Nel dettaglio:

  • l’imposta di registro per 200 euro, secondo quanto dispone il comma 4 bis dell’articolo 2, del decreto legge numero 194 del 2009, convertito nella legge numero 25 del 26 febbraio 2010;
  • imposta ipotecaria pari a 200 euro per la stessa norma precedente;
  • l’imposta catastale corrispondente all’1%, sempre per il decreto legge numero 194;
  • imposta di bollo di 230 euro seguendo quanto prevede il comma 1 bis, numero 1), dell’articolo 1, della Tariffa all’Allegato A al decreto del Presidente della Repubblica numero 642 del 26 ottobre 1972;
  • la tassa ipotecaria pari a 90 euro ai sensi dei punti 1.1 e 1.2 dell’articolo 1, della Tabella delle Tasse Ipotecarie allegata al decreto legislativo numero 347 del 31 ottobre 1990.

Acquisto di terreno agricolo di soggetto non imprenditore agricolo e nemmeno coltivatore diretto: quali tasse?

Nel caso in cui l’acquisto sia effettuato da un soggetto qualsiasi, ad eccezione del caso precedente, ovvero di imprenditore agricolo o coltivatore diretto, e il venditore è un soggetto qualsiasi ad eccezione di una banca o una società di leasing, la compravendita è esente sia dall’imposta di bollo che dalla tassa ipotecaria. L’esenzione è prevista dal comma 3 dell’articolo 10, del decreto  legislativo numero 23 del 14 marzo 2011.  Sono invece da pagarsi:

  • l’imposta di registro del 12%, secondo quanto prevede il terzo periodo dell’articolo 1, del Tp 1;
  • imposta ipotecaria e imposta catastale, per 50 euro ciascuno, ai sensi di quanto prevede il decreto legislativo numero 23 del 2011.

Acquisto di un terreno agricolo da una banca o da una società di leasing

La disciplina sulle tasse e sulle imposte è valida per qualunque soggetto acquirente (imprenditore agricolo, coltivatore diretto o qualsiasi altro soggetto) se il venditore è una banca o una società di leasing. Quest’ultima trova la propria disciplina nel comma 10 ter 1, dell’articolo 35 del decreto legge numero 223 del 4 luglio 2006. Nel dettaglio, la norma chiarisce che deve trattarsi di cessioni effettuate per riscatto di contratti di leasing o di cessioni di immobili già oggetti di contratti di leasing risolti per inadempimento dell’utilizzatore.

Quali tasse e imposte sono dovute per l’acquisto di un terreno agricolo da una banca o società di leasing?

Nel caso di acquisto di un terreno agricolo da una banca o da una società di leasing sono dovute le seguenti tasse e imposte:

  • imposta di registro, imposta ipotecaria e imposta catastale, tutte e tre pari a 200 euro, ai sensi di quanto prevede il comma 10 ter 1, dell’articolo 35, del decreto legge numero 223 del 4 luglio 2006, poi convertito nella legge numero 248 del 4 agosto 2006;
  • l’imposta di bollo corrispondente a 230 euro ai sensi del comma 1 bis, numero 1), dell’articolo 1, della Tariffa all’Allegato A al decreto del Presidente della Repubblica numero 642 del 26 ottobre 1972;
  • la tassa ipotecaria corrispondente a 90 euro secondo quanto prevedono i punti 1.1 e 1.2 dell’articolo 1, della Tabella delle Tasse Ipotecarie allegata al decreto legislativo numero 347 del 31 ottobre 1990.

Società agricola: cos’è, come funziona e i vantaggi che si possono avere

Svolgi attività agricola? Il modo più semplice per esercitare tale attività in forma societaria è scegliere le società agricola. Si tratta della forma più semplice di società e soprattutto gode di vantaggi fiscali. Ecco come si costituisce e quali attività può compiere.

Oggetto della società agricola

La società agricola è regolata dal decreto legislativo 99 del 2004 il cui articolo 2 definisce i requisiti che deve avere questa tipologia di società. La prima cosa da sottolineare è che la denominazione della società deve contenere espressamente la dicitura “società agricola”. La seconda cosa da sottolineare è che l’ambito delle attività che questa può porre in essere è ristretto e comprende l’elenco delle attività previste dall’articolo 2135 del codice civile. Si tratta quindi di attività agricola diretta alla coltivazione di terreni, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

Le attività connesse devono essere individuate in trasformazione, manipolazione, commercializzazione, valorizzazione e conservazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dall’attività condotta dall’azienda agricola stessa. A ben vedere la definizione comunque è abbastanza ampia e proprio per questo tra le attività che possono essere organizzate sotto forma di società agricola vi è anche l’agriturismo.

Affinché si possa parlare di società agricola è necessario che le attività siano comunque connesse, cioè la trasformazione dei prodotti, la commercializzazione degli stessi deve avere a oggetto prodotti che provengono dalla stessa azienda agricola. Ad esempio una coltivazione di pesche può avere tra le attività connesse la realizzazione di pesche sciroppate, le stesse devono provenire dalla stessa azienda agricola. In questo caso si può utilizzare la forma della società agricola.

Requisiti soggettivi per la società agricola

La società agricola diventa particolarmente utile quando ci sono diversi imprenditori agricoli che vogliono organizzare l’attività in forma societaria. Per la costituzione si possono scegliere diversi schemi, cioè è possibile avere una società agricola di persone o di capitali e si possono scegliere le varie formule, ad esempio SRL, SNC, società cooperativa.

Oltre questi requisiti vi sono quelli sostanziali e gli stessi dipendono dallo schema sociale che si vuole adottare. Ecco di cosa si tratta.

Per le società di persone (ricordiamo che le società di persone sono la SS, Società Semplice, SNC, Società in Nome Collettivo, e SAS, Società in Accomandita Semplice) è necessario che almeno uno dei soci abbia la qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale,  IAP, o coltivatore diretto, nel caso in cui la società sia organizzata in forma di SAS, la qualifica di imprenditore agricolo deve essere detenuta dal socio accomandatario.

Per le società di capitali (SRL, SPA e SAPA, Società in Accomandita Per Azioni), la qualifica di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto deve essere tenuta da almeno uno degli amministratori. Da qui emerge un dato particolare, infatti nelle società di capitali la carica di amministratore può essere conferita a una persona diversa rispetto ai soci. Ne deriva che può esservi una società agricola organizzata in forma di società di capitali (quindi con capitale della società completamente separato rispetto a quello dei soci) senza che nessuno dei soci stessi sia imprenditore agricolo. Tale orientamento è stato anche confermato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello 909-216/2006 del 20 luglio 2006.

Nelle società cooperative la qualità di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto deve essere in capo almeno un amministratore che però deve anche essere socio.

Per informazioni sull’imprenditore agricolo professionale puoi consultare l’articolo: Chi è l’imprenditore agricolo e attività connesse

Perché è importante scegliere la società agricola?

La scelta di organizzare l’attività in forma di società agricola porta numerosi vantaggi. In primo luogo vi è la possibilità di svolgere l’attività in forma di società di capitali con l’opportunità di rispondere dei debiti solo con il capitale della società stessa e non con il patrimonio personale. Ci sono inoltre vantaggi di tipo fiscale, infatti permette di riconoscere alle attività organizzate in forma societaria gli stessi vantaggi fiscali che sono riconosciuti agli imprenditori agricoli e coltivatori diretti. Le società agricole possono ottenere  agevolazioni per l’acquisto di macchinari e terreni. Per le aziende agricole inoltre non è prevista l’IRAP e questa agevolazione si trasferisce anche alle attività organizzate in forma di società agricola. Sottolineiamo ancora che per avere i vantaggi la società deve avere la denominazione specifica di Società Agricola.

Per conoscere i vantaggi fiscali riconosciuti alle società agricole, leggi la guida: Tassazione delle aziende agricole: il regime delle imposte sul reddito

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Prelazione agraria: aspetti pratici per l’individuazione dei beneficiari

La prelazione agraria è un particolare privilegio che assiste gli affittuari di terreni agricoli, anche in qualità di coloni e mezzadri, e i confinanti. La stessa però prevede condizioni e limiti.

La prelazione agraria in favore dell’affittuario e del confinante

Per chi ha già un’azienda o meglio è coltivatore diretto un modo per acquistare terreni è approfittare della prelazione agraria:  si verifica quando un proprietario terriero decide di vendere dei terreni. In questo caso deve proporre l’acquisto prima a colui che ha un contratto di affitto, colonia, mezzadria o comunque coltiva il terreno e al soggetto confinante e in un secondo momento a terzi.

Se vuoi conoscere le caratteristiche del contratto di colonia, leggi l’articolo: Agricoltura: chi è il piccolo colono e come funziona il contratto

Le prelazioni in favore dell’affittuario e del confinante sono due istituti distinti, infatti il diritto di prelazione agraria dell’affittuario è disciplinato dall’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, mentre il diritto di prelazione agraria per il confinante è contenuto nell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 comma 2 bis.

L’articolo 8 della legge 26 maggio 1965 n° 590 stabilisce che il diritto di prelazione agraria spetta sempre al coltivatore diretto sia nella qualità di confinante che nella qualità di affittuario. Ciò che però ha destato confusione è stata proprio la definizione di coltivatore diretto che è risalente nel tempo e proprio per questo è stata in un certo senso scardinata dalla prassi attraverso l’intervento dei giudici.

L’articolo 31 della stessa legge stabilisce che il coltivatore diretto è colui che direttamente e abitualmente si occupa della coltivazione del fondo o dell’allevamento di bestiame e il suo lavoro e quello dei familiari complessivamente non deve essere inferiore a 1/3 di quella complessivamente necessario per la gestione dell’attività stessa.

Chi è il coltivatore diretto

Uno dei problemi che viene a galla è dato dal fatto che in passato una singola famiglia poteva gestire nel rispetto di questa disciplina piccole porzioni di terreno ad oggi invece con la meccanizzazione, la manodopera è molto ridotta e un nucleo può gestire fondi di rilevanti dimensioni.

Ciò che però più di altri fattori va ad incidere sul tema che oggi ci occupa, cioè la prelazione agraria, sono le sentenze che nel tempo si sono susseguite in materia, infatti oggi può essere considerato coltivatore diretto anche un soggetto che non ha come lavoro principale la gestione e coltivazione dei fondi agricoli. Ciò in virtù di alcune sentenze e in particolare la sentenza della Corte di Cassazione 12374 del 2001 che individua il coltivatore diretto nel soggetto che coltiva terreni anche semplicemente per il consumo familiare senza ricavare un reddito vero e proprio dall’attività e con reddito proveniente da altre attività, cioè colui che ha ad esempio un lavoro dipendente, oppure un professionista che comunque si occupa della coltivazione dei terreni.

Per essere considerato coltivatore diretto quindi non è necessario essere iscritto nel registro della imprese, in albi o elenchi. Sempre dal punto di vista soggettivo la Corte di Cassazione con la sentenza 10626 del 1998 ha riconosciuto la qualifica di coltivatore diretto anche al soggetto che si avvale di conto-terzisti per la coltivazione del fondo, inoltre la sentenza 12249 del 25 maggio 2007 ha riconosciuto come coltivatore diretto al pensionato che pur non lavorando i terreni si occupa della direzione dei lavori.

Appare dei tutto evidente quindi che ogni affittuario può essere considerato come coltivatore diretto e di conseguenza ottenere il diritto di prelazione.

Diritto di prelazione dell’imprenditore agricolo professionale

Il decreto legislativo d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99 ha riconosciuto il diritto di prelazione agraria riservato a confinanti e affittuari anche alle società, in questo caso però è necessario che almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto.

Un altro limite dal punto di vista soggettivo riguarda l’Imprenditore Agricolo Professionale, infatti tale soggetto gode del diritto di prelazione agraria solo per il fondo confinante e non in qualità di affittuario.

Cosa prevede la prelazione agraria

Ora che abbiamo delimitato il campo soggettivo di applicazione della prelazione agraria, dobbiamo capire in cosa consiste.

Dal punto di vista oggettivo la prelazione agraria viene riconosciuta solo per il fondo rustico e il fondo agricolo, che può comprendere anche dei fabbricati definibili rurali e quindi asserviti alla coltivazione del fondo.

Il diritto di prelazione prevede che il proprietario che abbia intenzione di vendere il fondo debba fare prima una proposta all’affittuario/ confinante e solo se questo non sia interessato all’acquisto, potrà offrire il fondo a soggetti terzi.

Non solo infatti la vendita deve avvenire per lo stesso prezzo che è stato proposto a colui che ha il diritto alla prelazione agricola.

Procedura per esercitare il diritto di prelazione agraria

Affinché la procedura sia correttamente instaurata è necessario che il proprietario che intende mettere in vendita un terreno agricolo debba notificare attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno, oggi anche la PEC se è disponibile, un avviso contenente una proposta di vendita con allegato il preliminare del contratto di vendita, il prezzo e le condizioni della cessione. Colui che ha diritto di prelazione entro 30 giorni deve notificare le sue intenzioni, cioè deve dichiarare se intende acquistare a tali condizioni, se la proposta è accettata il contratto di compravendita si intende concluso. In caso di silenzio, prima di procedere alla effettiva vendita è necessario attendere 30 giorni. Non è necessaria tale attesa nel caso in cui l’affittuario o il confinante decidono di rinunciare formalmente al diritto di prelazione agraria.

Occorre però prestare attenzione a un dettaglio, infatti una volta effettuata la proposta di vendita a coloro che beneficiano del diritto di prelazione agraria, non possono essere modificate le condizioni di vendita, cioè a un terzo soggetto non si può vendere il terreno a un prezzo inferiore rispetto a quello proposto all’affittuario/confinante. Nel caso in cui ciò dovesse avvenire, il beneficiario della prelazione agraria può riscattare il terreno dal terzo acquirente.

Cosa succede in caso di più soggetti aventi la prelazione agraria sul fondo?

Nel caso in cui dovessero esserci più soggetti che hanno il diritto di prelazione agraria e vogliono esercitarla, è necessario dirimere la questione. La prima cosa da sottolineare è che chi coltiva il terreno ha un trattamento di favore, quindi l’affittuario, piccolo colono, mezzadro che coltiva prevale su eventuali confinanti.

Nel caso in cui non ci siano soggetti con un diritto di prelazione di maggior vantaggio, resta da dirimere la controversia tra eventuali confinanti. In questo caso deve essere data prevalenza a colui che ha la qualifica di coltivatore diretto, a patto che negli ultimi due anni non abbia venduto terreni di proprietà. Nel caso in cui non si possa dirimere la questione con questi criteri si applica il criterio della omogeneità delle coltivazioni dei terreni.