Consiglio Nazionale Forense: la mediazione obbligatoria è incostituzionale

Prosegue la polemica del CNF, Consiglio nazionale forense contro l’entrata in vigore dell’obbligatorietà della mediazione-conciliazione che di fatto “svaluta” la figura dell’avvocato a vantaggio della nuova figura professionale del mediatore civile. Il portavoce del CNF, Alpa, ha criticato il decreto con duri termini: “Sono anni che in Europa si discute di Adr e in realtà anche in Italia tante leggi di settore hanno previsto il ricorso alla mediazione. Riteniamo tuttavia che il sistema introdotto in via generale con il decreto legislativo 28/2010 non tuteli adeguatamente l’accesso alla giustizia ed esponga i cittadini al rischio di vedersi decurtati i propri diritti. Abbiamo dubbi sulla sua costituzionalità“.

Criticando il fatto che la norma si sia preoccupata di ridurre i costi della giustizia senza apportare le giuste misure per preservare la qualità, ha proseguito: “La conciliazione obbligatoria, introducendo una fase pre-processuale, distoglie dal giudice naturale e impone dei costi non solo strettamente economici”. Un esempio: non aver previsto la competenza territoriale degli organismi di conciliazione. La legge non ha neanche tenuto conto degli aspetti giuridici delle controversie in mediazione. Abbiamo lamentato l’assenza di assistenza obbligatoria da parte dell’avvocato non per rivendicazioni corporative ma preoccupati del fatto che il cittadino potrebbe trovarsi davanti ad un mediatore che non valuta gli aspetti giuridici della questione, suggerendo un accordo che si può trasformare in una vera e propria decurtazione del diritto“.

Dottore commercialista: in Spagna si gioca facile

Il Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli esperti contabili (Cndcec) ha approvato un documento relativo al riconoscimento delle qualifiche professionali dell’ordine in seguito al caso Spagna-Economistas. Il documento analizza in particolare le pratiche elusive per il conseguimento della qualifica professionale di dottore commercialista ed esperto contabile attraverso una qualifica estera.

Il Cndcec è intenzionato ad arginare il fenomeno introducendo misure per tutelare i professionisti che hanno conseguito il titolo nel nostro Paese. La Spagna non è nuova a questo tipo di cose: caso simile si è registrato in passato per l’avvocatura per differenze sostanziali nel periodo di praticantato per l’abilitazione. Appare evidente che servano leggi europee in difesa dei titoli di studio e norme per l’equiparazione più rigide.

Il documento è disponibile in pdf.

Patti chiari tra cliente e commercialista

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di febbraio del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 30 gennaio 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Laura PESCE

Nel 1997, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha pubblicato l’indagine conoscitiva nel settore degli Ordini e dei Collegi professionali. Dalla ricerca è emerso in particolare che l’utente corre tre diversi tipi di rischio: l’incompetenza del sedicente esperto; una prestazione volontariamente prestata con scarsa qualità; l’irrogazione di un servizio eccessivo, non necessario, al fine di risolvere il problema, con conseguente “lievitazione” della parcella richiesta.

La prestazione professionale deve rispondere ad alcune caratteristiche. Innanzitutto, l’esperto contattato deve avere un elevato contenuto di conoscenza tecnica, che non consente al fruitore di identificare anticipatamente il tipo di prestazione di cui ha bisogno, né di valutare successivamente la bontà della prestazione ricevuta. Inoltre, l’intensità dell’impegno profuso nella prestazione è una scelta di pertinenza del solo professionista. La prestazione è caratterizzata anche da incertezza, che coinvolge entrambi i soggetti in funzione delle variabili che il professionista incontrerà nello svolgimento dell’incarico; quella relativa ai servizi professionali, poi, impatta necessariamente su interessi di terzi, primo fra tutti lo Stato.

Fiducia e delega
Per questi motivi il rapporto professionale trova il suo fondamento nella fiducia e nella delega. Il vecchio Codice deontologico dell’Albo dei dottori commercialisti, modificato in occasione del congiungimento degli Albi dei dottori e dei ragionieri, recitava nel preambolo: “La fiducia è alla base dei rapporti professionali del dottore commercialista“. Al termine “fiducia” sono state date le interpretazioni più disparate, tanto che nella formulazione del nuovo Codice deontologico della categoria unificata dei dottori commercialisti e degli esperti contabili il richiamo al rapporto fiduciario è stato soppresso.

Bisogna tuttavia considerare che il contratto con cui si affida al professionista l’assistenza sarà necessariamente incompleto, in quanto è pressoché impossibile individuare a priori tutte le variabili che si incontreranno nello svolgimento dell’incarico. Va da sé che il rapporto fiduciario non può venire meno, anche se nella nuova formulazione del Codice deontologico della categoria, approvato il 5 novembre 2008, al termine sopra evidenziato sono state sostituite precise regole a cui i professionisti devono obbligatoriamente uniformarsi.

Il rapporto tra commercialista e cliente deve, inoltre, tenere conto del carattere di bene pubblico della prestazione professionale, per cui tale rapporto fiduciario non può esaurirsi tra i due soggetti ma deve estendersi alla società: la collusione tra i due, se arreca un vantaggio al cliente, può causare un danno a qualche “terzo”. Nel campo fiscale, ad esempio, la manipolazione di dati al fine di aggirare l’imposizione tributaria fa sì che il professionista venga meno a quella delega che le autorità pubbliche gli hanno conferito affinché vigili sulla legittimità dei comportamenti dei clienti. Questa delega può essere esercitata dal professionista tenendo un corretto comportamento che consideri di tutti gli interessi in gioco: i propri, quelli del cliente, quelli dei terzi coinvolti nella prestazione professionale e, in generale, della collettività.

Inquadramento dell’attività
L’attività svolta dal professionista iscritto in Albi e Collegi è inquadrata nella fattispecie del lavoro autonomo, disciplinata dagli articoli 2229-2238 del Codice civile e dalle disposizioni generali dello stesso titolo V dell’articolo 2061 (Ordinamento delle categorie professionali). Gli elementi che contraddistinguono la prestazione intellettuale sono:
• l’iscrizione in Albi ed elenchi;
• la personalità della prestazione;
• il diritto al compenso e all’anticipazione di spese e acconti;
• la responsabilità.

Il citato articolo 2229 del c.c. dispone che la legge determini le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi Albi o elenchi, demandando alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione (esame di Stato), la tenuta degli stessi e l’esercizio dell’azione disciplinare sugli stessi. Quindi colui che intende sentirsi tutelato dovrà accertarsi di aver scelto il professionista tra gli iscritti all’apposito Albo: sul sito Internet dell’Ordine (www.cndcec.it) alla voce “Ricerca professionista” l’interessato potrà trovare, o meglio verificare, l’iscrizione all’Ordine nel distretto (città) competente del professionista a cui ritiene di affidare l’assistenza. Per qualsiasi problema dovesse sorgere nel corso del rapporto basterà rivolgersi all’ Ordine per verificare il corretto comportamento del professionista.

Purtroppo da anni continuiamo ad assistere a un proliferare di “pseudo-commercialisti” che si spacciano per tali ma che, non avendo obbligo alcuno, non sono sempre in grado di garantire un servizio corretto e qualificato. Per arrotondare le proprie entrate svolgono quelle attività che non sono tutelate in modo specifico dalle norme legislative e che vengono comunemente annoverate tra i servizi, come la tenuta della contabilità o la redazione della dichiarazione dei redditi. Bancari, contabili, ingegneri… il mercato “offre” di tutto, ma in questi casi l’eventuale disservizio non è tutelato da nessuno. Se invece il consulete è un commercialista regolarmente iscritto, una segnalazione fatta all’Ordine creerebbe al professionista non pochi problemi in quanto, nel caso di comportamento non consono al Codice deontologico, questi si vedrebbe raggiunto da una azione disciplinare.

Il Codice deontologico del commercialista
Come già accennato, gli obblighi del professionista nei confronti dell’assistito sono individuati nel Codice deontologico della professione di commercialista, definendo la deontologia professionale come un insieme formalizzato di regole di autodisciplina predisposte dalle singole professioni che definiscono la “teoria del dovere” per i professionisti iscritti. Le regole deontologiche possono essere assimilate alle consuetudini e, come tali, quando sono richiamate da regolamenti, assumono piena valenza giuridica. Le norme di deontologia professionale tendono a regolamentare:
• la formazione professionale, considerando che l’aggiornamento deve essere continuo. Il professionista deve rinunciare agli incarichi per i quali non possiede specifiche competenze;
• il comportamento nei confronti dei clienti, che riguarda la riservatezza, il segreto professionale, la copertura dei rischi professionali, la libertà e indipendenza nei confronti dei clienti, le tariffe professionali;
• il comportamento nei confronti dei colleghi, che deve essere improntato su principi di correttezza;
• il comportamento nei confronti degli organi di governo della categoria, che prevedono collaborazione e dovere di denuncia di comportamenti scorretti;
• il comportamento nei confronti delle autorità, che deve basarsi sulla collaborazione e sul rispetto dei ruoli.

Le regole non scritte
Queste le regole generali che il Codice deontologico impone di osservare. Ma altre, non scritte, dettate dal buon senso e dal rispetto che ogni professionista deve avere nel rapporto con il cliente, dovrebbero essere rispettate:
• il cliente va ascoltato, guidato nelle scelte, informato sulle norme che deve osservare;
• nel caso di tenuta della contabilità, il professionista deve verificare i documenti consegnati dal cliente e chiederne, nel caso, l’integrazione;
• sempre nell’ipotesi precedente, il professionista deve rilasciare al cliente un attestato in cui sono indicate le scritture contabili tenute presso lo studio per conto del cliente stesso;
• il professionista deve condividere con il cliente e far firmare i documenti (bilancio, dichiarazioni eccetera) prima della spedizione o dell’inoltro in via telematica dei documenti stessi;
• il professionista deve consegnare al cliente una copia dei bilanci depositati o delle dichiarazioni dei redditi presentate per suo conto, complete degli allegati;
• il professionista deve informare il cliente sulle motivazioni che hanno portato all’emissione da parte dell’Agenzia delle entrate di cartelle esattoriali
o di rettifiche di dichiarazioni;
• il professionista deve illustrare al cliente con semplicità e chiarezza gli elementi essenziali e gli eventuali rischi connessi alla pratica affidatagli.

Non si dimentichi, poi, che la recente giurisprudenza (con la sentenza della Cassazione n. 99616 del 26/04/2010) ha introdotto, collegandola al Codice deontologico dell’Albo, il concetto aggravato di “diligenza media”, e ha esteso la responsabilità professionale al di fuori delle violazioni meramente formali.

Le perplessità dei commercialisti sull’invio telematico delle fatture per spese oltre i 3600 euro

L’obbligo di comunicazione al fisco di tutti gli acquisti di beni e di servizi effettuati da privati cittadini per importi superiori a 3.600 IVA inclusa (oltre che di tutte le operazioni tra imprese di importo superiore a 3.000 euro) è, nel panorama internazionale, una cosa più unica che rara. Evitiamo di dire che si tratti di una norma tutto sommato normale“. In una lettera pubblicata oggi dal Corriere della Sera, il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Claudio Siciliotti, si inserisce nel dibattito aperto sul quotidiano da un editoriale del 10 gennaio, nel quale Angelo Panebianco definiva la nuova norma, che obbliga un privato cittadino ad identificarsi con il tesserino di codice fiscale per poter procedere all’acquisto in un negozio, sostanzialmente poco liberale.

Se siamo in una situazione di emergenza estrema – scrive Siciliottiin termini di debito pubblico prima ancora che di evasione fiscale (perché il primo, pur essendo da sempre elevato, continua a crescere; mentre la seconda, pur essendo tuttora elevata, lo è certo meno di quanto non accadeva venti o trenta anni fa), siamo tutti disposti ad accettare soluzioni eccezionali, ma evitiamo almeno di fingere che si tratti di una norma tutto sommato “normale”, perché non lo è affatto: si parla tanto di lesione della privacy con le intercettazioni telefoniche e poi si introducono disposizioni simili“.

Nella lettera pubblicata dal quotidiano, Siciliotti risponde anche al presidente di Assosoftware, Bonfiglio Mariotti, il quale, sempre in riferimento al fondo di Panebianco, aveva sostenuto che l’invio telematico dei dati delle fatture, grazie al lavoro delle software houses, non è un complicazione per PMI e microimprese. “Per quanto riguarda invece gli adempimenti telematici collegati all’attuazione della norma – scrive Siciliotti – è indubitabile che le case di software pensano alla predisposizione di appositi moduli che si collegano a quelli contabili, dopodiché li vendono (non li regalano) ai commercialisti italiani, i quali si fanno carico dell’invio telematico dei sempre più numerosi file all’Agenzia delle entrate, senza che lo Stato preveda alcun tipo di compenso per questa attività telematica che non riguarda tanto la consulenza al cliente, ma lo svolgimento di un ruolo di front office a favore dell’Agenzia delle entrate“. “Come cittadini e liberi professionisti – conclude Siciliottici sia quindi consentito di esprimere due volte la nostra fortissima perplessità: per la norma in se stessa e per il tentativo di affermare pure che non comporti particolari adempimenti e costi, perché li comporta eccome, seppure per alcuni quei costi sono invece graditi ricavi“.

Commercialisti: dal prossimo 30 ottobre al via le nuove tariffe professionali. L’aumento e’ del 50%

I Dottori commercialisti e gli Esperti contabili avranno una nuova tariffa. Ne avevamo già dato notizia, in maniera ufficiosa, ora però c’è l’ufficialità data dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 15 ottobre 2010.

Le nuove disposizioni si applicheranno a partire dal 30 ottobre, senza alcuna differenziazione, ai professionisti iscritti nelle Sezioni A e B dell’Albo unico dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili, nato nel gennaio del 2008 dalla fusione tra dottori commercialisti e ragionieri. Gli onorari sono stati aumentati del 50%.

 La nuova tariffa presenta disposizioni innovative che disciplinano gli onorari spettanti per le nuove attività previste proprio con la nascita dell’Albo unico, dalla riforma del diritto societario a quella del diritto fallimentare fino alle disposizioni tributarie. Nella nuova tariffa è stato inoltre reintrodotto il rimborso delle spese generali di studio nella misura del 12,5%, con il limite di 2.500 euro per ciascuna parcella.

Le tariffe minime, seppur previste, hanno una funzione meramente orientativa e non sono pertanto vincolanti.

Le nuove norme si applicano per le prestazioni in corso alla data della loro entrata in vigore. Per gli onorari graduali, i rimborsi spese e le indennità sono determinati secondo la tariffa in vigore nel momento in cui si è verificato il presupposto per la loro applicabilità.

fonte: Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili

Inps: da gennaio comunicazioni solo telematiche per i Commercialisti

Dal 1° gennaio 2011 l’accesso per i commercialisti ai servizi telematici dell’Inps potrà avvenire solo tramite CNS, il dispositivo contenente, oltre al certificato di “firma digitale”, anche un certificato di autenticazione di iscrizione all’Albo ed esercizio della professione. Questo quanto previsto dal protocollo di collaborazione siglato dal presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Claudio Siciliotti e da quello dell’Istituto, Antonio Mastrapasqua.

L’accordo, al quale per i commercialisti hanno lavorato i due consiglieri nazionali Giovanni Parente e Claudio Bodini, punta a rendere sempre più stretti ed efficienti i rapporti di collaborazione tra Inps e Commercialisti. Sul fronte telematico, l’Inps si impegna ad illustrare le novità dei programmi applicativi relativi alla gestione degli adempimenti in materia contributiva. Accordi saranno raggiunti anche sulle modalità d’accesso alle banche dati dell’Inps e sul relativo software. Per semplificare le procedure dei commercialisti e per un aggiornamento istantaneo delle banche dati Inps, le due parti puntano inoltre sul progetto Uniemens, che unifica i flussi retributivi (Emens) e quelli contributivi (DM10).

Con il protocollo, Inps e Consiglio nazionale mirano anche al contenimento del contenzioso tributario in materia contributiva e alla repressione del fenomeno dell’abusivismo professionale.

Determinanti per l’efficacia dell’intesa saranno le consultazioni preventive tra rappresentanti dei due Enti, che avverranno in occasione dell’attuazione di disposizioni legislative o di modifiche organizzative dell’Inps che impattino su aziende e professionisti. Nello specifico, le consultazioni avranno ad oggetto, tra l’altro, la disamina delle circolari interpretative prima della loro emanazione, il monitoraggio del fenomeno delle “note di rettifica”, i problemi relativi al recupero dei crediti contributivi, l’univocità dei comportamenti delle rispettive strutture periferiche.

Lo scambio di vedute sui possibili effetti derivanti da norme in corso di approvazione potranno produrre valutazioni congiunte tra Inps e commercialisti da sottoporre ai competenti organi di Governo e legislativi.