A Bruxelles importante incontro tra imprese femminili e Istituzioni Europee

Si è svolto un’importante convegno a Bruxelles, durato due giorni, che ha visto riunite le imprenditrici di Cna, Confartigianato e CONFESERCENTI e le Istituzioni Europee.
Gli incontri con i rappresentanti della Commissione Europea, del Comitato Economico e Sociale, del Parlamento Europeo e di UEAPME sono stati fondamentali per far emergere alcune tematiche cruciali.

Prima fra queste, la necessità di supportare l’imprenditoria femminile per uscire dalla durissima fase di recessione. E per farlo sono indispensabili programmazione e utilizzo più efficace delle risorse europee.
Un problema che pesa più sulle donne che non sugli uomini è sicuramente quello legato al credito.
Per affrontare, e cercare di risolvere, le problematiche legate alla loro professione, le tre Confederazioni, Cna Impresa Donna, Confartigianato donne di impresa e Confesercenti imprenditoria femminile, si sono impegnate a proseguire insieme l’azione sul fronte europeo per portare avanti iniziative concrete che possano rilanciare nella UE le tematiche di interesse specifico delle Pmi al femminile.

A questo proposito, è tornato alla ribalta la necessità di una rete di confronto frequente ed aggiornata con le Istituzioni Europee, da monitorare con appuntamenti a decorrenza annuale .

Vera MORETTI

Il Cnf a favore del contratto di vendita europeo

di Vera MORETTI

Il Consiglio nazionale forense, nella persona del suo vicepresidente Ubaldo perfetti, si è dichiarato favorevole al progetto della Commissione europea di introdurre un regolamento che possa disciplinare i contratti di vendita, ovvero il Cesl.

Perfetti ha infatti dichiarato: “Una disciplina uniforme nei 27 paesi Ue favorirà gli scambi transfrontalieri promuovendo le esportazioni delle piccole e medie imprese e la crescita economica. I professionisti italiani, e gli avvocati innanzitutto, potranno ampliare le opportunità di business anche all’estero; i consumatori, di solito i contraenti deboli, potranno avvantaggiarsi di una tutela rafforzata anche rispetto alle singole situazioni nazionali, circostanza a cui i legali italiani sono sensibili.

D’accordo con questa filosofia si è dimostrato anche Guido Alpa, il presidente del Cnf, che auspica, con l’applicazione di tale regolamento, un superamento del monopolio giuridico della common law nel diritto commerciale, in vista di una maggiore concorrenza a favore delle imprese e dei professionisti italiani.

Tutto ciò è stato discusso anche durante il seminario svoltosi a Roma lo scorso 12 aprile, dal tema “The proposed Common european sales law-the lawyers’ view” organizzato insieme con il Ccbe, ovvero la rappresentanza degli Ordini forensi europei.

A tale incontro sono intervenuti anche la presidente del CCbe, Marcella Prunbauer-Glaser, il capo dell’unità Diritto dei contratti della Commissione europea, Dirk Staudenmayer, il vicepresidente della commissione giuridica del Parlamento europeo e co-relatore sul regolamento, Luigi Berlinguer, e avvocati e professori universitari italiani (Giuseppe Conte, Enrica Sesini), inglesi (Fergus Randolph e James Wolffe), tedeschi (Gerg Maier-Reimer), spagnoli (Pedro Portellano).

Prunbauer ha sottolineato l’importante ruolo che l’avvocatura dovrà svolgere: “gli avvocati europei tradurranno i principi comuni in vantaggi per le imprese e i consumatori. Occorre svolgere un ruolo propositivo abbandonando il pregiudizio del valore assoluto delle legislazioni nazionali. D’altra parte, gli avvocati sono il primo porto di approdo per imprese e consumatori”.

Ciò che l’avvocatura si prospetta dal diritto comune delle vendite è una maggiore scelta di beni e più bassi costi, di acquisto per i consumatori, e di transazione per gli operatori economici.

Nonostante l’accordo circa questo nuovo regolamento, nel corso del seminario sono emerse anche questioni spinose che occorre chiarire per evitare contenziosi.
Tra queste, ad esempio, la previsione di condizioni generali di contratto molto estese che, se da una parte garantiscono elasticità, al contempo espongono i contratti a diverse interpretazioni da parte dei vari giudici nazionali. Inoltre è stata fatta notare l’esigenza di un opportuno dosaggio del livello di tutela dei consumatori, allo scopo di non diminuire i livelli di tutela nazionali quando più elevati.

Alpa, però, ha concluso con parole ottimistiche: “Perché avere paura del regolamento? I dubbi sollevati sono nella maggior parte relativi alla competenza della Ue o al metodo seguito. E dunque appaiono più di natura ideologico-strumentale che destinati ad incidere sul merito del testo. Cooperiamo tutti insieme per migliorare la situazione prendendo atto che la proposta Cesl è la soluzione più facilmente praticabile”.

Tra Commissione Europea e Cnf c’è accordo

di Vera MORETTI

Si sono incontrati a Roma Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione europea nonché commissaria per la Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, e Ubaldo Perfetti, Vicepresidente del Consiglio nazionale forense.
Motivo dell’incontro era la creazione del Common European Sales Law (Cesl) tramite il Regolamento comunitario su un diritto comune opzionale da applicare ai contratti di vendita nelle operazioni transfrontaliere, approvato dalla Commissione Ue in ottobre scorso.

Le due parti si sono trovate in completo accordo, e in particolare Perfetti ha gradito che la commissaria Reding abbia sottolineato la necessità di autorità indipendenti rappresentative degli avvocati.
Il vicepresidente Ubaldo Perfetti ha assicurato il sostegno dell’avvocatura italiana allo sforzo della Commissione di creazione di un diritto europeo dei contratti, che potrà favorire la ripresa economica. Ma non solo, perché questo provvedimento potrebbe tutelare maggiormente consumatori e cittadini, oltre che consentire ai legali italiani di ampliare le loro potenzialità professionali in tutti i paesi Ue.

Perfetti ha anche aggiunto: “gli avvocati potranno tanto più contribuire alla efficace applicazione delle regole Ue garantendo certezza e correttezza nei rapporti economici tra operatori, quanto più saranno autonomi e indipendenti e lontani da potenziali conflitti di interessi”.
Anche se, nonostante le buone premesse, sono emerse questioni più spinose e difficili da districare. Tra queste, c’è sicuramente la possibilità di ammettere nel capitale delle società tra avvocati soci non professionisti, di puro capitale e a questo proposito ha dichiarato: “Pur non potendo chiedere alla vicepresidente un impegno a modificare queste norme, abbiamo sollevato il problema, e la vicepresidente ci ha detto che studierà le nuove norme, con molta attenzione comunque alla difesa dell’autonomia dell’avvocatura”.

La Reding, per tutta risposta, ha replicato “E’ importante avere autorità indipendenti che rappresentino l’avvocatura. Una proposta come quella relativa a un diritto comune europeo della vendita aiuterà la ripresa riducendo le barriere per le imprese e aumentando la fiducia dei consumatori. Questo è importante soprattutto per il commercio elettronico. Solo il 4% dei consumatori italiani compra online da altri Paesi Ue. Questo dato è più basso rispetto alla media Ue del 7%. Un diritto comune europeo dei contratti potrà essere scelto liberamente da consumatori e imprese nei loro rapporti commerciali come alternativa al diritto nazionale quando loro vogliono comprare o vendere al di là dei confine nazionali. Il 75% degli imprenditori italiani ha dichiarato che userebbe un simile strumento”.

Le donne? Più preparate e meno pagate

di Vera MORETTI

Uno spot con una cassiera che, pur facendo pagare a prezzo pieno la merce ad una cliente donna, gliene toglie una parte: così la Commissione Europea ha illustrato la sua campagna in denuncia del divario presente tra gli stipendi di uomini e donne.

Sembra strano, ma forse proprio strano non è, ma ancora oggi le donne, a parità di lavoro e di formazione, vengono pagate il 17% in meno rispetto ai loro colleghi uomini.

A meno che la donna non sia… particolarmente bella. Queste  notizie ne richiamano infatti alla mente altre, come quella relativa all’indagine svolta da Yale, che ha dimostrato che le donne belle percepiscono circa il 5/10% in più rispetto a chi non ha dei lineamenti da ‘modella’.

Oppure quella relativa alle quote rosa nei CDA, per le quali c’è voluta nientemeno che una legge dello Stato italiano. Una legge per sancire quello che sarebbe solo un elementare principio di civiltà.

O ancora quella secondo la quale l’autoimprenditorialità piace agli italiani ma, nonostante ciò, questa soluzione viene realmente presa in considerazione solo dal 53% degli italiani, per la maggior parte uomini.

E potremmo continuare a lungo, molto a lungo…

Di strada, dunque, ce n’è ancora molta da fare, considerando poi che questa percentuale è ricavata da una media europea e che, spesso, per esperienza e curriculum accademico, il gentil sesso è più preparato rispetto ai colleghi maschi.

E la situazione non è tanto meglio in tanti Paesi europei, perchè, ad esempio, il differenziale è del 10% in Belgio, Portogallo, Slovenia, Polonia, Malta e Italia, del 20% in Austria, Germania e Finlandia e addirittura supera il 25 % in Estonia Repubblica Ceca.

Mal comune mezzo gaudio? In questo caso diremmo che è solo male e per nulla gaudio…

Sì per l’agevolazione all’acquisto di immobili a uso abitativo

La questione controversa riguarda la compatibilità del sistema di calcolo dell’imposta sull’acquisto di beni immobili con le varie normative comunitarie a tutela delle principali libertà sancite nei Trattati CE. In altri termini la Commissione, sottolinea la disparità di trattamento, a sfavore per quei soggetti passivi con immobili ubicati fuori dal territorio nazionale,  e chiede al governo ungherese di adottare i necessari provvedimenti per fare in modo che la normativa tributaria tratti parimenti le due fattispecie impositive.
L’imposta sui redditi
L’imposta sui redditi ungherese, prevede una riduzione sui proventi derivanti dalla vendita di immobili utilizzati poi per successivo acquisto di immobile ad uso abitativo. Tale agevolazione, poi rivista, sussiste se l’immobile ceduto è situato nel territorio nazionale.
La causa principale
Con lettera di diffida la Commissione europea sottolineava come  la normativa fiscale ungherese in merito al trattamento tributario relativo alla cessione di beni immobili sia in contrasto con taluni diritti garantiti dal diritto dell’Unione. Questa normativa è tale da discriminare l’acquisto, nel territorio nazionale, di un bene immobile a uso abitativo in concomitanza alla vendita di altro immobile parimenti destinato ad abitazione principale ubicato in un altro Stato membro. Nel caso di vendita di immobile ubicato nello stesso territorio nazionale, infatti, la controversa normativa fiscale prevede un trattamento di favore. Non sussistono, come espressamente dichiarato dalla Commissione, valide motivazioni o ragioni, specialmente di interesse generale, tali da giustificare il regime tributario previsto in caso di acquisto e vendita di immobile ad uso abitativo.
La questione pregiudiziale
La questione pregiudiziale, riguarda sostanzialmente il diverso regime impositivo, ungherese, riservato all’acquisto di immobili, per fini non strumentali ma di abitazione principale rispetto al trattamento riservato allo stesso tipo di operazione con riferimento, però, a unità immobiliari situate oltre il confine nazionale. La controversia nasce dal fatto che in questo secondo caso non si ha diritto a nessun tipo di beneficio nel calcolo della base imponibile. Per tutta risposta, l’Ungheria, rendeva nota l’intenzione e poi comunicava di aver apportato modifiche ad alcune disposizioni dell’imposta sui redditi proprio per evitare una disparità di trattamento, dei soggetti passivi, dovuto a un calcolo della base imponibile differente in luogo della diversa ubicazione dell’immobile oggetto di vendita. Non ritenendo la Commissione tali modifiche rispondenti a quanto espresso nella lettera di diffida decideva di avanzare ricorso innanzi ai giudici della Corte europea.
Le argomentazioni dei giudici 
Una prima considerazione, fatta dai giudici, è quella di sottolineare come le parti non siano d’accordo sulla qualificazione dell’imposta controversa ovvero se debba intendersi quale imposta indiretto o diretta. A prescindere dal carattere dell’imposta, essa non è soggetta al processo di armonizzazione ricadendo, quindi, nella competenza dei singoli Stati membri. Ma una differenza di trattamento, tra le due categorie di contribuenti di cui alla causa principale, sussiste soltanto laddove le situazioni di tali categorie siano comparabili. Ma secondo costante giurisprudenza della Corte, in materia di imposte dirette, residenti e non residenti si trovano in situazioni differenti in quanto il reddito percepito dal residente in uno Stato, il più delle volte è soltanto parte del reddito complessivo dell’interessato. L’esistenza di una discriminazione deve, altresì, essere stabilita alla stregua di una diversa lettura, quella data dall’ottica di legiferazione delle disposizioni nazionali. Come in precedenza stabilito dalla Corte, la necessità di tutelare la coerenza di un regime fiscale può giustificare una normativa impositiva come quella oggetto della controversia. Infatti, l’imposizione ungherese sugli immobili, considerato il sistema impositivo nel suo insieme, è volto a tassare la sola parte delle risorse investite per l’acquisto del bene immobile che non sono già state colpite da altra imposizione. Estendere l’applicazione del beneficio fiscale anche alla compravendita di immobili situati oltre confine rischia di compromettere il raggiungimento dell’obiettivo di evitare la doppia imposizione nell’ambito del territorio comunitario. Ecco che allora i togati europei, sulla base di queste motivazioni, hanno respinto gli addebiti in merito alle violazioni che l’applicazione della legge controversa causerebbe.
La pronuncia della Corte
I giudici della prima sezione della Corte di giustizia UE alla luce delle argomentazioni apportate dalle parti e dalle considerazioni da essi stessi svolte si sono pronunciati respingendo le richieste della parte ricorrente. Questo vuol dire, in altri termini, che il regime impositivo sull’acquisto degli immobili adottato nella Repubblica di Ungheria è da ritenersi lecito e conforme alla normativa europea. L’esclusione dal beneficio della riduzione della base imponibile fiscale nell’ambito delle compravendite di immobili, non strumentali, deve essere basata su considerazioni oggettive di interesse generale.
Fonte: fiscooggi.it

L’Iva diventa sempre più europea

Sta per essere pubblicato il Libro Bianco della Commissione Europea, che, secondo alcune anticipazioni rese note durante la presentazione a Milano l’1 dicembre, servirà a semplificare e standardizzare le regole degli adempimenti connessi all’IVA all’interno dell’Unione Europea.

Le novità più salienti riguardano la tassazione, che avverrà nel luogo di destinazione, il pagamento diretto dell’imposta, non più affidata quindi al soggetto passivo e l’allargamento della base di applicazione dell’aliquota ordinaria anche agli enti pubblici.

In concreto, cosa cambierà per l’Italia? Si prevede con l’approvazione in tempi brevi della direttiva 2010/45, una semplificazione della fatturazione e della archiviazione elettronica, probabilmente eliminando l’inserimento delle operazioni VIES.

Vera Moretti

Le Pmi verso il mercato estero emergente

La crisi certo non ha aiutato le piccole e medie imprese ma potrebbe contribuire ad aprire nuovi scenari sorprendentemente redditizi.

I mercati emergenti, infatti, rappresentano una buona risorsa per le Pmi, ed un’occasione valida di ripresa, considerando anche la staticità del mercato interno.

A questo proposito, è stato presentato a Bruxelles un piano della Commissione Europea per agevolare le piccole imprese verso Cina, India, Russia, Sud Est asiatico o America Latina con l’obiettivo di far crescere le Pmi dall’attuale percentuale del 13% fino al 25%.

Si tratterebbe di un impegno, da parte della Commissione, di rendere più efficiente il sostegno all’accesso ai mercati globali, potenziando i servizi per le imprese e utilizzando gli strumenti già esistenti in maniera più performante, Rete Impresa Europea compresa. Oltre a ciò, le Pmi verranno sostenute nella ricerca di partner locali attraverso un’informazione più capillare.

Presentando l’iniziativa, il vice presidente della Commissione Europea e commissario per Industria e l’Imprenditoria, Antonio Tajani ha dichiarato: “Per la prima volta dà all’Europa una vera e propria strategia dedicata alle Pmi e al loro accesso ai mercati al di fuori dell’Ue. I principali mercati non Europei – caratterizzati da tassi di crescita elevati – offrono opportunità inesplorate per le Pmi, che sono il primo punto di forza dell’economia europea. Aiutarle a sfruttare al meglio il loro potenziale nell’arena globale costituisce è la via maestra per uscire dalla crisi e rilanciare competitività e occupazione”.

Anche Vincenzo Boccia, presidente della Piccola Industria di Confindustria, si è detto soddisfatto di questa iniziativa, sostenendo: “E’ la terza gamba di un’azione europea che apprezziamo molto e che si aggiunge allo Small business act e alla direttiva europea sui ritardi dei pagamenti della Pa”. Boccia ha ricordato anche che “il documento Ue prevede la creazione di un portale e un forum annuale per condividere le esperienze e sottoporre le misure ad una valutazione periodica”.

Vera Moretti

Pmi traino d’Europa

Spunti e notizie interessanti sono emersi dalla relazione relativa alle piccole e medie imprese per il 2010, dal titolo Le Pmi dell’Ue stanno uscendo dalla crisi?, presentata dalla Commissione europea.

Il numero delle Pmi presenti nell’economia commerciale non finanziaria europea è di 20,8 milioni, di cui 19,2 microimprese con meno di dieci dipendenti. Ciò significa che le piccole e medie imprese hanno fornito oltre i due terzi delle opportunità di lavoro nel settore privato dell’Ue e il 58,4% del valore aggiunto lordo totale, che, confrontato alle 43.000 grandi imprese, lo 0,2 delle aziende Ue, è un’enormità.

Le buone notizie, dati alla mano, sono molte, dal momento che nel 2011 si stima che le pmi aumentino dello 0,9%, con una crescita dello 0,4% dei lavoratori. Dopo un calo biennale degli occupati, si tratta di un primo segnale di ripresa.
Inoltre, dopo una diminuzione del 6,4% del 2009, il valore aggiunto lordo combinato (Val), delle pmi è aumentato del 3,4% nel 2010 ed è destinato a salire ulteriormente nell’anno in corso.

Per Antonio Tajani, vicepresidente e commissario europeo per l’Industria e l’imprenditoria, “Il fatto che la ripresa nel 2010 sia stata guidata dalle Pmi evidenzia la loro importanza per la crescita e l’occupazione (…) L’Europa ha bisogno di nuovi imprenditori innovativi e creativi pronti a correre rischi. Questa è la strada principale per la ripresa“.

La crisi non è tuttavia superata e le pmi devono ancora operare in un clima economico incerto.

La tendenza al ribasso nel numero di occupati iniziata nel 2009 (-2,7%) ha conosciuto un rallentamento nel 2010 (-0,9%), si stima tuttavia che abbia comunque prodotto una perdita netta di oltre 823.000 posti di lavoro nell’Ue. Le microimprese hanno saputo reggere bene alla crisi, rispetto, ad esempio, alle medie imprese, anche se loro ripresa è stata più lenta.

Per settore industriale le Pmi hanno primeggiato per quanto riguarda il Val e l’occupazione nei comparti edilizia, commercio all’ingrosso e al dettaglio, settore alberghiero, ristorazione e immobili, noleggio e servizi alle imprese.

La valutazione dei risultati delle attività delle Pmi per il 2010 ha identificato tre gruppi.

Il primo è quello in cui le pmi hanno registrato un tasso di crescita positivo sia in termini di Val sia in termini di occupazione e comprende Austria, Germania, Lussemburgo, Malta, Romania, Svezia e Regno Unito.

Il secondo è quello in cui, invece, le pmi hanno registrato un tasso di crescita negativo sia per quanto riguarda il Val sia per l’occupazione e comprende Grecia, Irlanda, Spagna, Lettonia e Lituania.

Il terzo gruppo, entro cui troviamo anche l’Italia, è quello dei Paesi in cui le pmi hanno ottenuto un tasso di crescita positivo in termini di Val, ma un tasso negativo in termini di occupazione e comprende, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Cipro, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia e Finlandia.

Vera Moretti

Sequestro conservativo per combattere la piaga del recupero crediti transfrontalieri

Al fine di dare una risposta al grave problema del recupero crediti transfrontalieri  (ben 600 milioni di euro per le imprese Ue ogni anno) la Commissione Europea sta vagliando una nuova normativa. Attualmente esiste solo una legislazione nazionale, che obbliga le banche a saldare un pagamento a un creditore attingendo al conto bancario di un cliente.

La novità introdotta dalla Commissione Europea prevede l’istituzione di un’ordinanza di sequestro conservativo in caso di debiti insoluti. Viviane Reding, Commissaria UE per la Giustizia ha spiegato: “Il sequestro conservativo vuole essere solo cautelare, lasciando il denaro dov’è fino a che un’autorità giudiziaria non avrà deciso del rimborso delle somme” – e aggiunge – “ogni anno le imprese registrano perdite dovute a crediti inesigibili pari a circa il 2,6% del loro giro d’affari. È questo un punto debole del nostro mercato unico, cui dobbiamo porre rimedio rapidamente ed energicamente! Le imprese hanno bisogno di soluzioni semplici“.

Con la nuova misura si intende dare maggior fiducia e sicurezza alle imprese europee che potranno godere dei loro introiti nei tempi stabiliti dalla legge senza dover perdere tempo e forze per esigerli.

 

Autotrasporti: nuove norme europee per i tachigrafi

Vita dura per chi viola le norme relative alla conduzione di mezzi per autotrasporti e tempi di lavoro: in arrivo ci sono infatti nuove regole varate dalla Commissione europea che modificano la legislazione sui tachigrafi. Tra le novità l’introduzione del controllo satellitare. Secondo l’esecutivo Ue, le aziende di trasporti, potranno risparmiare fino a 515 milioni di euro all’anno per i minori costi amministrativi.

Su cento camion controllati, una decina sono risultati non in regola secondo una recente indagine. Taroccare il tachigrafo permette alle ditte di autotrasporto di risparmiare sui costi del personale o di chiedere agli autisti di fare un numero di ore di lavoro di gran lunga superiore al consentito, mettendo a repentaglio la loro incolumita’ e quella degli altri automobilisti. Oltre alla pericolosità per il lavoratore ci sono anche rischi per per il mercato in quanto si tratta di pratiche sleali verso la concorrenza.

La proposta della Commissione passera’ ora all’esame di Consiglio e Parlamento. Secondo le previsioni, potrebbe entrare in vigore gia’ dal 2012.