Smart Working e conciliazione lavoro-famiglia: le nuove regole

Il 31 marzo 2022 il Consiglio del Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio Mario Draghi, del Ministro del Lavoro Orlando e della Ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti,  ha approvato il decreto legislativo per l’attuazione della direttiva UE 2019/1158 che si occupa di conciliazione dei ruoli ed equilibrio tra attività professionale e vita familiare. Ecco cosa cambia nei prossimi mesi per lavoratori e imprese con le misure previste e che entrano di pieno diritto nel programma di attuazione del Family Act divenuto legge il 6 aprile 2022.

Conciliazione lavoro- famiglia e congedo di paternità obbligatorio

Nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri, al fine di recepire la direttiva UE 2019/1158, è prevista una nuova disciplina del congedo di paternità obbligatorio. Lo stesso ha una durata di 10 giorni e può essere usufruito dal padre in maniera intera o frazionata dai due mesi precedenti rispetto alla data presunta del parto fino a 5 mesi successivi al parto. Il congedo di paternità obbligatorio può essere usufruito anche in caso di morte perinatale. Trattandosi di un congedo obbligatorio deve essere fruito, il datore di lavoro non può adottare misure volte ad evitare che il lavoratore usufruisca di tali giorni. Il congedo di paternità obbligatorio non deve essere confuso con il congedo riconosciuto ai padri nel caso in cui la madre non possa occuparsi del bambino (morte oppure grave infermità), oppure nel caso in cui il padre sia l’unico genitore ad effettuare il riconoscimento oppure abbia l’affidamento esclusivo.

Conciliazione lavoro-famiglia per il genitore solo

Tra le novità introdotte dallo schema di decreto legislativo adottato vi è il congedo parentale per il genitore solo. Questo ha la durata di 11 mesi e viene riconosciuto nel caso in cui:

  • il bambino sia riconosciuto da un solo genitore;
  • morte o grave infermità di uno dei genitori;
  • affidamento del figlio a un solo genitore;
  • abbandono del figlio (dopo il riconoscimento).

Congedo parentale da ripartire tra entrambi i genitori

Con le nuove regole il congedo parentale alternativo tra i due genitori potrà essere fruito fino al compimento del dodicesimo anno del bambino (attualmente si può fruire fino a 8 anni). Il genitore che ne fruisce potrà ottenere un’indennità pari al 30% della retribuzione.

La durata viene estesa fino a 11 mesi, di questi 3 spettano a ciascuno dei due genitori e sono intrasferibili per una durata totale quindi di 6 mesi, mentre i restanti mesi sono alternativi e possono essere fruiti da uno o dall’altro dei due genitori.

La direttiva prevede comunque che il lavoratore che vuole fruire del congedo parentale deve dare al datore di lavoro un congruo preavviso. Il datore di lavoro a sua volta può differire la fruizione motivando però tale differimento. Il differimento deve avere una durata ragionevole e deve essere connesso a esigenze legate al buon funzionamento dell’organizzazione aziendale.

La nuova disciplina dello smart working: dall’emergenza alla misura strutturale

Una parte molto importante dello schema di decreto legislativo per il recepimento della direttiva 2019/1158 riguarda lo smart working. La normativa prevede che le aziende che intendano predisporre modalità di lavoro a distanza debbano preferire il collocamento a casa di lavoratori e lavoratrici che:

  • hanno figli di età inferiore a 12 anni;
  • hanno figli disabili ( in questo caso senza alcun limite di età);
  • Caregivers.

Le modalità di smart working dovranno essere oggetto di contratto individuale.

Milanesi e banche: i litigi in costante aumento


Per quale motivo litigano maggiormente i milanesi? Secondo i dati raccolti dalla Camera di Commercio di Milano, ai primi posti delle motivazioni troviamo:
– Contratti bancari e finanziari
– Contratti assicurativi
– Successioni

Queste sono le motivazioni principali di 2 mila casi di conciliazione nati per risolvere liti di vario genere. Pensate che in alcune occasioni, le liti raggiungo cifre di 250 mila euro. A questo proposito dal 24 al 30 giugno, la Camera di Commercio di Milano e l’azienda Camera Arbitrale hanno deciso di organizzare l’evento Media E Vinci.
Siete interessati a partecipare? In questo caso non dovrete far altro che registrare un video, inviare una foto o un disegno che secondo voi valorizza il mondo della mediazione. Caricate il vostro file su: http://jotformeu.com/form/31283552134347 e chi vincerà avrà la possibilità di accedere a un corso base per ottenere il titolo di mediatore finanziario.
Infine iniziativa valida fino al 31 agosto: Incentivi per imprese e cittadini che inviano domanda di mediazione, fino a questo termine il servizio è gratuito. Per info: www.conciliazione.com.

 

Quer pasticciaccio brutto de la mediazione

di Davide PASSONI

Avevamo introdotto il tema della settimana di Infoiva – quello sulla bocciatura per eccesso di delega da parte della Consulta dell’obbligatorietà della mediazione – parlando di pasticcio all’italiana. Siamo arrivati in fondo alla settimana, dopo aver ascoltato svariati protagonisti della vicenda, e la nostra opinione non è sostanzialmente cambiata: è un pasticcio all’italiana.

Passando attraverso Anpar, Cnf, Oua, Int e Amci, abbiamo capito che tutte le dietrologie su possibili regie occulte, lobby, manovre per segare un istituto visto come possibile concorrente all’esercizio dell’avvocatura sono delle sòle. Nessuno, almeno a parole, sminuisce il ruolo della mediazione e, in generale, dei cosiddetti strumenti di Adr (Alternative Dispute Resolution); tutti, pur con sfumature diverse, concordano sul fatto che gli avvocati non sono nemici ma sodali della mediazione; ognuno punta il dito sulla superficialità con la quale è stata confezionata la legge delega che ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione.

E allora? Allora – pur ricordando che finora ci si basa su un comunicato della Corte Costituzionale e che ancora non è noto il dispositivo della sentenza – viene da credere che la frittata sia solo e unicamente opera del precedente governo. Una frittata fatta con quali uova? Fretta? Superficialità – “Persino uno studente di giurisprudenza al primo o al secondo anno“, dicono dal Cnf, avrebbe visto il problema dell’eccesso di delega -? Insipienza? Fate voi. Resta il fatto che, ancora una volta, a causa di chi ci governa e del suo atavico vizio di rimangiarsi propositi e promesse, tanti professionisti vedono ora con estrema incertezza il loro futuro professionale e uno strumento per gestire in maniera più snella lo scandaloso arretrato civile italiano si vede tarpate le ali. Merci.

Leggi l’intervista a Giovanni Pecoraro, presidente dell’Associazione Nazionale per l’Arbitrato & la Conciliazione

Leggi l’intervista a Maurizio De Tilla, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura

Leggi l’intervista ad Andrea Mascherin, consigliere segretario del Cnf

Leggi l’intervista a Edoardo Boccalini, coordinatore nazionale del comitato scientifico per la mediazione civile e commerciale dell’Int

Leggi l’intervista a Damiano Marinelli, presidente dell’Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani

Media conciliazione, il parere dell’OUA

 

Si dicono soddisfatti per il successo ottenuto con la dichiarata incostituzionalità, da parte della Corte Costituzionale, della normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione. Sono gli avvocati dell’OUA, Organismo Unitario dell’Avvocatura, che per primi hanno votato contro il provvedimento contenuto nel Decreto di Stabilità.

Infoiva ha intervistato il suo Presidente, l’avvocato Maurizio de Tilla, per far luce sui limiti e le idiosincrasie interne di un provvedimento che ha lasciato moltissime perplessità tra professionisti e addetti ai lavori, anche se, come sottolinea de Tilla, “è necessario più che mai implementare forme stragiudiziali di risoluzione delle controversie”.

Avv. de Tilla, lei come valuta il pronunciamento della Consulta che ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati?
Siamo stati noi a fare ricorso al Tar, il Tar è ricorso alla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato incostituzionale l’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione, e quindi per noi si tratta di un successo e una vittoria nei confronti di un provvedimento che non aveva avuto successo. A mio avviso non è questa la strada per procedere nell’implementazione della conciliazione, non bisogna perseguire la strada dell’obbligatorietà, ma va percorsa al contrario la strada della formazione, anche a livello universitario, di inserimento all’interno della formazione dei giovani di una cultura conciliativa.

Ma cos’era sbagliato nel procedimento della media-conciliazione?
Era sbagliato per i costi eccessivi, era sbagliato per la dipendenza di alcune camere di conciliazione, e ancora perché non si è dato il tempo di attrezzare e formare dei mediatori competenti e capaci. E ancora era sbagliato perché erano state inserite materie che difficilmente era possibile portare in Camera di conciliazione, come la successione, la divisione, la responsabilità medica, diffamazione, si tratta di materie fortemente contenziose che richiedono un’altissima professionalità da parte del mediatore; e infine va sottolineato che in Italia ci sono 40 mila mediatori, 1000 camere di conciliazione e gente improvvisata che dopo un corso di poche ore si dichiara competente in una materia dove ci vogliono 10 o 15 anni di approfondimento e studio. L’impostazione era completamente sbagliata e coercitiva, e non solo: la media conciliazione rischia di incidere negativamente sulla successiva causa.

Ma è vero che gli avvocati ci guadagnano da questo stop?
Gli avvocati non ci guadagnano e non ci perdono, perché gli avvocati nella media conciliazione hanno assistito gratuitamente i cittadini quelle poche volte che i cittadini sono andati in media conciliazione. L’avvocato guadagna se si decide un processo immediato e se accredita la sua posizione, ma se il processo dura 10 anni, l’avvocato non ci guadagna. Il processo dev’essere celere, il Giudice deve cercare di conciliare le parti per arrivare al più presto ad una soluzione: ma la procedura della media-conciliazione così fatta e così impostata a nostro avviso si è rivelata solamente una speculazione da parte di coloro che hanno pensato di intraprendere una professione alternativa.

A tal proposito, la media-conciliazione ha dato vita a nuove figure professionali, i mediatori, che ora, pur avendo investito tempo e denaro in questa direzione, si trovano senza lavoro. Quale sarà il loro destino?
Il mediatore è un professionista di alta caratura professionale, è un professionista che deve avere una forte esperienza e conoscenza della materia che andrà a trattare. Non è un lavoro precario, un lavoro che si improvvisa, e quindi tutti coloro che hanno pensato di trovare un lavoro attraverso questa forma, portando i cittadini davanti alle Camere di Conciliazione hanno sbagliato, sono stati mal consigliati, hanno sbagliato a spendere migliaia di euro investendo in corsi di formazione. E’ un po’ come se uno dicesse: anziché la laurea in Giurisprudenza di 5 anni, mi faccio 3 mesi di corso di formazione online. Il mediatore deve possedere un bagaglio precedente culturale e formativo di grande specializzazione: solo allora si potranno costituire delle vere Camere di Conciliazione.

Secondo i fautori della media conciliazione, questa sarebbe uno strumento per snellire la gestione delle centinaia di migliaia di cause pendenti: ora che potrebbe scomparire, quali altre vie suggerirebbe per favorire questo snellimento?
Di vie di soluzione ne abbiamo tante: una di queste potrebbe essere prevedere una conciliazione partecipata dagli avvocati, che possono autenticare il verbale. O ancora un’altra soluzione potrebbe essere quella di implementare la conciliazione telematica per quante riguarda le controversie di valore più esiguo, un procedimento più agevole per i cittadini e il cui costo è molto ridotto se non pari a zero. E poi fare i processi, spendere qualcosa per la Giustizia e soprattutto limitare il contenzioso : noi abbiamo messo a disposizione una task force 10 mila avvocati che potrebbero portare a compimento più di 2 milioni di processi arretrati. Ma la strada è ancora lunga.

 

Alessia CASIRAGHI

Stop alla mediazione, parola all’Anpar

di Davide PASSONI

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati prima di andare in giudizio e subito tra i mediatori è scoppiata la rivolta. Oggi magistrati, imprenditori, avvocati, commercialisti, sindaci, notai, Associazioni di volontariato sono in presidio davanti a Montecitorio per chiedere di “salvare la mediazione”. Noi sull’argomento abbiamo sentito il dott. Giovanni Pecoraro, presidente di Anpar, l’Associazione Nazionale per l’Arbitrato & la Conciliazione. 

Come valuta Anpar il pronunciamento della Consulta che ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati?
Non è possibile dare una valutazione su uno scarno comunicato stampa da parte della Consulta. È  necessario leggere le motivazioni “sull’eccesso” di delega rilevato. Per quanto mi riguarda il legislatore delegato non ha ecceduto dai limiti della delega. Non ha fatto altro che dare ad essa “coerente attuazione” attenendosi non solo alla delega ricevuta ma anche alle Direttive dell’Unione in materia di mediazione. Non sempre risulta  agevole dividere il profilo del mancato rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dal Parlamento da quello della violazione di altri principi costituzionali o di norme internazionali o comunitarie. Secondo me il D. Lsg 28/2010 salvo qualche “limatura” rispetta la quasi totalità della delega ricevuta. È con il decreto di attuazione n. 180/2010 che il legislatore delegato, secondo me “ha ecceduto” nella delega ricevuta. Infatti, con l’entrata in vigore del citato decreto si è assistito a un proliferare di organismi di formazione e mediazione, che grazie al silenzio assenso di trenta giorni si sono visti riconoscere il diritto a formare mediatori, ai quali è stata data poi, nella maggior parte dei casi, la possibilità, per le materie di cui all’art. 5 comma 1, di redigere una “proposta” anche in mancanza di adesione della controparte. Ecco perché è necessario leggere le motivazioni della Consulta. Ricordo che la Corte Costituzionale è stata anche chiamata a determinarsi su quelle “garanzie di serietà ed efficienza” degli organismi di mediazione e di formazione previste dall’art 16 del D.M. 180/2010.

Che voci vi arrivano dai vostri associati?
La maggior parte dei circa tremila mediatori da noi formati sia in materia di mediazione che di altri sistemi di A.D.R. (Alternative Dispute Resolution), a parte la condivisione di quanto detto al punto precedente e della dissociazione da ogni forma di protesta di piazza, sta raccogliendo le firme di cittadini per la presentazione di una petizione agli organi competenti e all’U.E per far capire che NON ESISTE in Italia una previsione di mediazione obbligatoria “onerosa”. Chi afferma questo dice il falso per ingannare il cittadino. Al limite esistono organismi societari di mediazione che non applicano bene la normativa. Ma questa è altra cosa.

Pensa anche lei, come qualcuno sostiene, che si tratti di una decisione “pilotata”?
Ma quale decisione pilotata! Ci sono ancora ”allocchi” che credono a queste cose. La Corte Costituzionale è una istituzione seria. C’era da preoccuparsi se fosse stata dichiarata la illegittimità costituzionale del decreto legislativo 28/2010 per violazione della legge delega. Noi che siamo un’associazione senza scopo di lucro e unica che ha la possibilità di sottoporre alla Commissione Europea delle proposte di piattaforme comuni alle sole “Autorità competenti”, ai sensi dell’art. 15, 1 co., Dir. 2005/36/CE e del D. Lsg 6 novembre 2007 n. 206 ci determineremo unitamente al ministro di Giustizia solo dopo aver letto le motivazione della Consulta e se ne ricorrono i presupposti provvederemo nei modi e termini.

In questo modo, migliaia di imprenditori rischiano di non avere più un’attività nella quale hanno investito tempo, soldi, risorse. Ce n’era bisogno in un momento già difficile per l’economia?
È improprio parlare di imprenditori. L’organismo di mediazione è l’ente pubblico o privato presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione “gestendolo” nelle materie di cui all’articolo 2 del D. Lsg 28/2010. Caso mai sono i giovani neolaureati mediatori a dolersi di questa “sospensione”, che sortisce effetti solo dopo la data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte Costituzionale. Fino a quella data “l’obbligatorietà” resta. Tutto il resto sono chiacchiere e responsabilità che fanno capo ad altri. “Momento difficile per l’economia?” Certo l’arretramento irresponsabile della mediazione, anche se momentaneo, comporta inevitabilmente un aumento del carico giudiziale e dunque una mancata deflazione degli stessi e di conseguenza il pagamento di sanzioni richiesto dall’U.E. Chi pagherà tutto questo? I cittadini!

Domanda secca: e adesso?
Per quanto ci riguarda per noi nulla è cambiato, nessun dramma, nessuna riduzione di posti di lavoro, solo un po’ di rammarico per i 130 mediatori (per la maggior parte donne) impegnati a settembre (dato statistico) che vedranno forse ridotte le proprie entrate, ma non più di tanto, secondo le previsioni. È dal 1995 che divulghiamo fra i cittadini la bontà dei sistemi extragiudiziali. Molti erano già mediatori ed arbitri prima ancora dell’entrata in vigore del D. lsg 28/2010. Adesso? Chi ha lavorato bene non ha nulla da temere. Il problema deve porselo chi pensava di arricchirsi alle spalle dei mediatori.

Mediazione obbligatoria, un pasticcio all’italiana

di Davide PASSONI

Alla fine di ottobre è scoppiata figuratamente una bomba nel mondo dei mediatori civili. Il 24 del mese scorso, la Corte Costituzionale con una sentenza ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati prima di andare in giudizio. Una bocciatura che, secondo la Consulta, era un atto dovuto, dal momento che la norma è stata viziata da un “eccesso di delega legislativa“. In pratica, il Decreto legislativo 28/2010 (o, secondo alcuni, il decreto di attuazione n. 180/2010) con il quale il precedente Guardasigilli Angelino Alfano aveva istituito questa obbligatorietà eccedeva nella delega ricevuta. In sostanza, la mediazione civile rimane, decade il suo obbligo.

Al di là dei tecnicismi, la sentenza ha fatto saltare sulla sedia le decine di migliaia di persone che, all’entrata in vigore del decreto, avevano visto questa strada come una nuova opportunità professionale o imprenditoriale e ora rischiano di aver buttato al vento un posto di lavoro, mesi investiti nella formazione e migliaia di euro investite nella creazione di società specializzate nella mediazione. Una cosa è contare su un business certo, data l’obbligatorietà della mediazione, una cosa è sperare che qualcuno si rivolga a te per i tuoi servizi, dato che volendo ne potrebbe fare a meno.

E pensare che anche l’attuale ministro della Giustizia Paola Severino portava questa norma come esempio di misura efficace per sfoltire le cause civili. Salvo poi, al pronunciamento della Consulta, commentare: “Gli istituti funzionano nel tempo con la pratica, e questo stava iniziando a funzionare. Rimane comunque la mediazione facoltativa, vuol dire che lavoreremo sugli incentivi“.

Naturalmente felici di questo esito gli avvocati, i quali, per usare le parole del Consiglio Nazionale Forense, ritengono che questo istituto renda “oltremodo difficoltoso l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini; ma era una previsione anomala con riguardo alla natura propria di un istituto che risulta tanto più efficace quanto basato sulla reale volontà delle parti“. Un po’ meno gli imprenditori, per i quali i tempi lunghi della giustizia civile italiana significano principalmente perdita di denaro. Tant’è vero che, in barba alle polemiche e ai cavilli, a pochi giorni dal pronunciamento della Corte, Unioncamere, Infocamere e Rete Imprese Italia hanno firmato un accordo per promuovere la mediazione civile anche online tra le Pmi. Giorgio Guerrini, presidente di Rete Imprese Italia: “La diffusione della cultura del cosiddetto ‘diritto mite’, ovvero della propensione a rivolgersi a strumenti alternativi di giustizia, permette di superare uno dei tanti problemi delle imprese italiane, i ritardi della giustizia civile, che costano agli imprenditori oltre 2 miliardi di euro l’anno“. Soldi, mica chiacchiere e tecnicismi.

In qualunque modo la vediate voi, noi pensiamo che si tratti di un altro pasticcio all’italiana. Un altro degli esempi nei quali una parte dello Stato – in questo caso il precedente governo -, in malafede (e allora sarebbe stato da criminali), o per superficialità (e allora sarebbe stato da cacciarli tutti prima) ha raccontato balle a chi ha messo nelle sue mani il proprio destino personale e professionale credendo a una norma, salvo poi vedersi rimangiata la parola da un’altra parte dello Stato stesso. Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. Noi invece sappiamo ciò che fa chi si trova senza prospettiva professionale certa, dopo averne avuta una: rischia di fallire.

PARTELESA: FRANCHISING NELLA MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE

Per chi vuole intraprendere un’attività imprenditoriale ma non ha una formazione adatta, esiste una buona opportunità per avverare questo desiderio.

Si tratta del franchising Partelesa, network di mediazione e conciliazione, che offre ai propri clienti la possibilità di far valere i propri diritti in tempi brevi.
Il settore è in forte aumento e chiunque può entrare a farne parte, poiché, a parte l’intraprendenza commerciale, non ci sono caratteristiche peculiari richieste.

Per questo, possono diventare franchisee Partelesa sia gli imprenditori già avviati sia i neofiti, oltre alle donne che, pur avendo spirito imprenditoriale, non hanno potuto finora intraprendere questa avventura per mancanza di tempo.
Infatti, non essendoci legami di tempo e potendo organizzare la propria giornata lavorativa su misura, è possibile conciliare lavoro e famiglia senza particolari rinunce.

Per coloro che fossero interessati a questa opportunità, collegarsi al sito Partelesa.it.

In Abruzzo l’imprenditoria rosa si fa in tre

di Alessia CASIRAGHI

La crescita è donna, almeno in Abruzzo. La Regione ha stanziato un fondo di intervento a favore dell’imprenditoria femminile, con un plafond da oltre 3 milioni di euro destinati alla aspiranti imprenditrici.

Il progetto è stato denominato, non a caso, La crescita è donna”: si tratta di un’ iniziativa promossa nell’ambito degli interventi previsti dal Piano Operativo 2009/10/11 del Fondo Sociale Europeo 2007/13.

L’iniziativa in rosa prevede tre diversi piani di intervento:

  • più imprenditrici, destinato alle aspiranti imprenditrici
  • più professioniste, rivolto alle titolari di imprese già avviate con possibile ruolo di “mentors”
  • Voucher Family, che prevede invece un sostegno ad hoc alle donne lavoratici allo scopo di favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia

Lo scopo del progetto “La crescita è donna” è finalizzato a valorizzare il ruolo delle donne nell’economia della Regione Abruzzo, tenendo conto però anche dell’impatto che la crescita regionale può avere sull’industria nazionale e sulla crescita del Pil italiano.

“L’aumento del Pil in Italia può essere un obiettivo possibile solo se saremo capaci di portare la professionalità e l’entusiasmo delle donne nel perimetro del mercato del lavoro, della produzione, delle professioni – ha commentato l’assessore al Lavoro della Regione Abruzzo Paolo Gatti – consideriamo indispensabile l’apporto delle donne alla crescita del sistema Italia e del sistema Abruzzo”.

Elsa Fornero dalla parte delle donne

di Vera MORETTI

La riforma del mercato del lavoro al quale sta lavorando il governo appronterà soluzioni efficaci per gli annosi problemi che affliggono il lavoro in Italia, primo fra tutti la scarsa partecipazione al mondo lavorativo da parte delle donne.

Questo è stato affermato dal Ministro del Lavoro e del Welfare Elsa Fornero durante il question time alla Camera di ieri, che ha specificato: “Intendo rimettere al centro il lavoro delle donne come segmento debole. Intendo prendere molto seriamente le politiche di conciliazione“, intesa, ovviamente , tra lavoro e impegni familiari, “ma vorrei evitare che ci si riferisse solo al lavoro delle donne. La conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita deve riguardare non solo le donne ma anche gli uomini”.

Il ministro Fornero ha inoltre affrontato l’argomento pensioni, facendo riferimento alla recente riforma, dicendo che “è indubbio che la riforma delle pensioni mira anche a sottrarre l’uso improprio del sistema previdenziale come ammortizzatore sociale“.
Ciò significa che, finora, il pensionamento anticipato riservato ai lavoratori più anziani era stato preso in considerazione soprattutto dalle imprese in difficoltà o in “ristrutturazione” e la nuova riforma vorrebbe evitare questo atteggiamento, per “cercare nuove soluzioni per gli anziani, che troppo spesso sono stati scaricati sul sistema pensionistico“.

Lavoro e famiglia: equilibristi perfetti


Correre al nido, lasciare il piccolo, correre al lavoro, ricordarsi di andare a prendere il più grande all’uscita da scuola, poi c’è il corso di danza della più piccolina, poi la riunione con il capo, la presentazione in Power Point da preparare … Lavoro e famiglia, o meglio famiglia e lavoro, esigenze non sempre conciliabili in una società che ci obbliga a correre sempre più veloce.

E’ pensato per tutti i genitori che si mantengono in equilibrio come funanboli tra figli e professione il bando di conciliazione lavoro-famiglia istituito dal Comune di Milano. Un bando di finanziamento per le imprese milanesi, mirato a rilasciare una certificazione di qualità e per il quale il Comune ha già stanziato 60 mila euro.

L’impegno è quello di aiutare le Pmi lombarde a migliorare le politiche interne legate alla valorizzazione dell’annosa questione: conciliare lavoro e famiglia. Per ciascuna azienda è infatti previsto un contributo di 3.000 euro, che dovranno essere impiegati per portare avanti progetti interni alle aziende con lo scopo di migliorare le condizioni lavorative dei dipendenti.

L’iniziativa guarda soprattutto al mondo femminile, e alle neo mamme e non, impegnate su più fronti tra casa, lavoro e figli: “Gli Enti locali possono e devono incentivare le buone pratiche per il miglioramento della qualità della vita dei cittadini – ha sottolineato Cristina Tajani, Assessore alle Politiche del Lavoro – mediante la promozione di modelli organizzativi a sostegno delle politiche aziendali in materia di conciliazione vita-lavoro. Ci aspettiamo che il progetto, destinato a lavoratori di entrambi i generi, possa sortire effetti positivi soprattutto per le lavoratrici milanesi”.

Per ulteriori informazioni e per compilare la domanda online di finanziamento basta consultare il sito della Regione Lombardia.