Pmi e camere di commercio uniti contro il rinvio della mediazione obbligatoria

Le camere di commercio, le imprese e i professionisti chiedono all’unisono al governo che non vi sia alcun rinvio della riforma della mediazione civile e commerciale (come previsto dal decreto legislativo28/2010). Le parti scese in campo in particolare sostengono che la “condizione di procedibilità”, ovvero l’obbligo di tentare una conciliazione delle controversie in modi “alternativi”, prima di appellarsi al giudizio di un tribunale ordinario dovrebbe essere applicata con una certa urgenza. Viene inoltre chiesto che a un anno dall’entrata in vigore del provvedimento sia compiuta una analisi per valutare l’introduzione di eventuali manovre correttive favorendo la realizzazione di iniziative di promozione della cultura della mediazione.

La “condizione di procedibilità” dovrebbe diventare efficace a partire dal 20 marzo prossimo, un suo rinvio causerebbe  di vanificare un importante sforzo riformatore perseguito dal Governo, come ricordato in una nota. Le parti schierate a favore di una applicazione immediata della norma ricordano il loro impegno  e gli investimenti compiuti per realizzare strumenti di giustizia alternativa al fine di ridurre i costi e i tempi della giustizia.

Il Documento è stato inoltrato al Ministro di Giustizia, Angelino Alfano, sottoscritto dai vertici di Unioncamere, di tutte le Confederazioni imprenditoriali (Cia, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confagricoltura, Confapi, Confcooperative, Confindustria, Lega delle cooperative, Rete Imprese Italia) e degli Ordini professionali (Consiglio nazionale degli Architetti, Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti ed esperti contabili, Consiglio nazionale dei Geometri e dei Geometri laureati, Consiglio nazionale degli Ingegneri).

Mirko Zago

Ma la politica s’è accorta della svolta epocale decisa da Marchionne?

di Gianni GAMBAROTTA

Mentre i palazzi della politica sono tutti impegnati a contare voti e a immaginare coalizioni governative, maggioranze improbabili, o ricorsi al popolo sovrano, fuori da queste segrete stanze succedono cose davvero importanti che lasceranno un segno nella storia del Paese. Il manager con il maglione, l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, ha deciso che d’ora in poi la prima fabbrica italiana farà a meno della Confindustria. Tratterà i suoi rinnovi contrattuali in assoluta indipendenza, concluderà gli accordi con i sindacati che vorranno sottoscriverli e andrà avanti così, incurante di pressioni, suggerimenti alla prudenza, proteste di piazza.

Perché ha preso questa decisione, che del resto era nell’aria da settimane, è noto. La Fiat ha assunto il controllo della Chrysler, è diventata davvero una multinazionale impegnata su tutti i mercati mondiali. E da azienda globale qual è adesso, deve seguire le regole che si applicano appunto a livello globale. Se non fa così, non può sperare di sopravvivere alla competizione internazionale ogni giorno più dura. Che cosa vuol dire questo? Quale novità reale, sostanziale porta il nuovo corso di Marchionne?

L’Italia, dalla fine della guerra e in maniera più accentuata dall’autunno caldo del 1969 in poi, è stata pesantemente condizionata dalla presenza sindacale. Per 60 anni, la cosiddetta Triplice (Cgil, Cisl, Uil) ha avuto un potere decisivo non solo su temi retributivi e normativi relativi al mondo del lavoro, ma su tutti gli aspetti della politica che, direttamente o indirettamente, toccavano l’economia. Non c’è stata decisione che non sia stata affrontata al cosiddetto tavolo delle parti sociali, vale a dire governo, sindacati e organizzazione degli imprenditori (Confindustria).

Questo ha portato a una lentezza del processo decisionale che non ha confronti nei moderni Paesi industrializzati. Ha creato inefficienza. Ma fosse stato solo questo: ha creato una situazione che, nel tempo, ha palesato un contenuto di profonda ingiustizia politica e sociale. Con un simile sistema si è dato vita a un Paese diviso a metà: una parte più privilegiata fatta da imprese e lavoratori rappresentati sindacalmente, più protetta, più forte, con più diritti; l’altra, formata da tutti quelli che non appartengono alle suddette categorie e assai più numerosa, esclusa da privilegi e aiuti, ridotta al rango di Serie B.

La scelta di Marchionne, che ha deciso che disegnerà le future strategie Fiat senza passare sotto le force caudine della potentissima Fiom-Cgil e risparmiandosi le liturgie confindustriali, manda in pensione due elementi che sono stati determinanti nel sistema di potere nazionale. Se ne stanno accorgendo i signori del Palazzo? Riescono a vedere che fuori dall’emiciclo di Montecitorio e lontano dai riflettori dei talk show televisivi tanto amati, il Paese sta andando avanti per la sua strada? E che fa scelte storiche senza neppure interpellare la politica?

NO al trilinguismo Ue per Confindustria e il Ministro Ronchi

Confindustria lo dice chiaro e tondo:

“Pieno sostegno e apprezzamento per l’operato del Ministro delle Politiche Comunitarie Andrea Ronchi, in merito ai negoziati sulla traduzione del brevetto comunitario“.

Da una nota si legge:

“Il ministro ha tenacemente rifiutato un accordo discriminatorio nei confronti delle imprese italiane e, in un contesto difficile, ha mantenuto un atteggiamento costruttivo e aperto al dialogo. Il brevetto Ue é necessario, ma é inaccettabile che si determini un tale svantaggio competitivo per le imprese italiane. Con la scelta del trilinguismo, infatti, il nostro sistema produttivo si troverebbe a sopportare dei costi più alti rispetto ai concorrenti francesi o tedeschi”.

Confindustria

“Si augura che la Presidenza belga prosegua nello sforzo negoziale intrapreso, rifiutando con fermezza l’ipotesi di una cooperazione rafforzata in questo settore, perché contraria ad uno dei principi del mercato unico. Confindustria confida che un accordo possa essere raggiunto prima della fine dell’anno”.

Da Confindustria serve chiarezza per aiutare il Paese a uscire dalle secche

di Gianni GAMBAROTTA

“L’Italia è alla paralisi”, titolava in prima pagina ilSole24Ore di domenica scorsa, presentando l’intervento del presidente della Confindustria sul palco dei Giovani Industriali riuniti nel convegno di Capri. “C’è uno smarrimento forte nel Paese – ha detto Emma Marcegaglia, è necessario trovare il senso delle istituzioni e della dignità. Il parlamento non funziona più, manca ancora il presidente della Consob. Siamo alla paralisi“. E qual è la soluzione per uscire da “questa ondata di fango che investe le istituzioni“? Non le elezioni anticipate, perché “sarebbero sei mesi di campagna elettorale drammatica“. E allora? Qual è la strada virtuosa da imboccare per uscire da questo pantano, secondo il leader degli imprenditori nazionali? La Marcegaglia non lo dice perché non spetta alla Confindustriadire alla politica che cosa deve fare“, anche se – aggiunge – gli imprenditori non vedono di buon occhio “alchimie partitiche che discutano per mesi di legge elettorale“.

L’Italia ha un grave problema di leadership, la sua classe dirigente si sta dimostrando assolutamente inadeguata a fronteggiare i problemi di crescita che il Paese deve affrontare, come stanno facendo in partner europei; non sembra esserci nessuno, a destra come a sinistra, in grado di immaginare un futuro e farlo diventare un obiettivo condiviso da una parte determinante degli italiani. Il Paese è senza una guida e – fatto ancora più grave – questa situazione è chiaramente percepita.

In passato, a una simile carenza (perché non è la prima volta che si manifesta) il mondo produttivo sapeva offrire un’alternativa, una supplenza; riusciva a colmare un vuoto che veniva dalle stanze ufficiali del potere. Forse ciò non sempre è stato un bene, spesso ha anzi rappresentato un precedente che alla lunga si è rivelato scomodo. Però, nei momenti di impasse, arrivavano delle indicazioni di tendenza e di priorità che erano utili, nelle quali molti si riconoscevano.

Questo è proprio uno di quei frangenti in cui il Paese del fare dovrebbe lanciare quei segnali. Invece da viale dell’Astronomia, quartier generale degli industriali italiani, arrivano messaggi incerti, contraddittori. Emma Marcegaglia alterna momenti di affiancamento al governo (sono di pochi giorni fa le sue parole di apprezzamento per il ministro Giulio Tremonti e, in generale, per tutta la politica economica) ad attacchi aperti e severi come, appunto, quello di Capri. Sarebbe meglio una maggiore chiarezza, una scelta precisa: al Paese sarebbe utile sapere da che parte sta Confindustria che è – o almeno pretende di essere – una parte di spicco della sua classe dirigente.

La Settimana delle Pmi italiane in Macedonia alla Fiera di Skopje

Dal 19 al 23 ottobre 2010, la Settimana delle Pmi italiane ed una sua delegazione di imprenditori sbarca in Macedonia e debutta con un Padiglione Italia e due vetrine specializzate per le capacità tecnologiche all’interno della nota Fiera di Skopje.

Durante la seconda metà del mese, infatti, la Fiera del Levante Servizi accompagnerà alcune pmi italiane nei Balcani alla scoperta di nuove opportunità di business e un felice implemento dei propri affari.

A confermarlo é il sito di Confartigianato Ravenna che specifica l’appuntamento a Skopje, capitale della Macedonia e sede di Tehnoma, la più affermata e dinamica fiera della tecnologia dei Balcani occidentali.

Ma quali saranno gli eventi clou questo scambio fra pmi e culture?

  • EcoBiz Expo, ormai alla sua terza esperienza all’estero dopo le due fortunate edizioni in Albania, è focalizzata sulla green economy: energie rinnovabili, tecnologie per l’ambiente, edilizia sostenibile;
  • I-Tech Biz, la rassegna dell’alta tecnologia italiana che propone un’offerta agli operatori macedoni pubblici e privati attivi nei comparti delle macchine utensili, dell’elettronica, delle tecnologie per l’enologia e per l’agroalimentare.

La partecipazione e l’interesse del mondo imprenditoriale italiano agli eventi in Macedonia avranno un sostegno e una cassa di risonanza attraverso il partenariato del Progetto Amico, nel quale alla Fiera del Levante si affiancano le pi importanti sigle dell’associazionismo imprenditoriale italiano: Confindustria, Confapi, Cna, Confartigianato e Lega delle Cooperative. In Macedonia, partner di progetto l’Unione delle Camere di Commercio macedoni.

Paola Perfetti

Libertà d’impresa, l’Italia è ultima in Europa.

“L’Italia e’ il paese meno libero d’Europa, dal punto di vista economico”. Questo è quanto emerge da una ricerca condotta dall’Istituto Bruno Leoni per conto del Centro studi Confindustria. Il documento fa parte di un’analisi più ampia che sarà presentata al Forum di Parma “Libertà e benessere: l’Italia al futuro”, convegno biennale del CSC che si terrà venerdì e sabato. “Le nostre imprese – si legge nello studio – in una scala da zero a cento godono di una libertà pari a 35, ben sotto la media europea (57) e a distanza siderale dal paese più libero, l’Irlanda (74)”. Le motivazioni vanno dai vincoli legati alla pressione fiscale fino alla spesa pubblica. “In particolare, – continua lo studio – il 35 di libertà d’intrapresa rispecchia una pessima performance complessiva: nella libertà dal fisco l’Italia si posiziona all’ultimo posto con 31; nella libertà dallo Stato raggiunge 42 e solo quattro paesi fanno peggio (Francia, Grecia, Ungheria e Portogallo); nella libertà d’impresa (37), il Paese è penultimo, prima della Grecia; nella libertà dalla regolazione è ultimo sfiorando 18”.

Enasarco e le parti sociali sui temi della sostenibilità

E’ avvenuta la tavola rotonda tra i vertici della Fondazione Enasarco insieme alle parti sociali suddivise fra case mandanti (Confcommercio, Confindustria, Confesercenti e Confapi) e le organizzazioni sindacali (Fnaarc, Usarci, Fiarc, Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs Uil e Ugl), entrambe firmatarie degli accordi economici.

L’incontro è servito a illustrare i risultati del bilancio tecnico e così cominciare a esaminare in modo approfondito i temi della sostenibilità trentennale della Fondazione Enasarco.

Da una nota si legge che da entrambi le parti è emersa “la piena volontà di programmare ulteriori incontri che individuino appropriate soluzioni per coniugare l’interesse e le garanzie vecchie e nuove per gli iscritti con l’equilibrio finanziario a lungo periodo della Fondazione”.

Paola Perfetti

Fondo Italiano di Investimento: 1 miliardo di euro per le Pmi

Arriva in aiuto alle piccole e medie imprese ad alto potenziale di crescita il nuovo Fondo Italiano di Investimento da un miliardo di euro.

E’ stato ufficialmente istituito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e sottoscritto con un’equa suddivisione delle quote (14,3%) dallo stesso MEF d’accordo con  Cassa Depositi e Prestiti, Confindustria, Associazione bancaria italiana, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena e Unicredit.

Partirà con un capitale di investimento di 3,5 milioni di euro, durerà 15 anni (5-6 anni per la fase di investimento e 7-9 anni per quella di disinvestimento) e, secondo le previsioni, dovrà coinvolgere ben 15mila imprese nazionali, di cui 10mila manifatturiere con un fatturato compreso tra i 100 e i 100 milioni di euro.

Il Fondo interverrà in ausilio dalle piccole e medie imprese in modo nuovo, quindi non attraverso la concessione di finanziamenti bancari classici, bensì con operazioni di capitale di rischio o quasi capitale di rischio ovvero:

– investimenti diretti di minoranza in imprese aventi un fatturato superiore ai 20 milioni di euro;
– co-investimenti diretti di minoranza in partenariato con altri fondi di capitali di rischio
– strumenti di finanziamento di quasi capitale (finanziamento mezzanino, prestiti partecipativi, etc.)
– investimenti in fondi di capitale di rischio operanti sul territorio e che svolgano, a loro volta, attività di investimento in imprese eligibili ad essere finanziate dal Fondo italiano di investimento.

Per l’effettivo avvio del Fondo mancano la predisposizione del regolamento, la creazione del team di gestione ed il raggiungimento del primo closing (fundraising) che è stato previsto per il prossimo mese di settembre.

Dal mese di ottobre 2010, invece, il veicolo potrà essere sottoscritto da altri investitori e raggiungere il target finale di 3 miliardi di euro.

Le prime operazioni saranno realizzate nel quarto trimestre del 2010.

Paola Perfetti

Sì al Grande Fratello per le imprese

Registrare le telefonate tra dipendenti e clienti non viola la privacy

Intercettazioni telefoniche, Grande Fratello e diritto alla privacy: il Ministero del Lavoro dice la sua sul tema dei controlli a distanza e risponde direttamente a Confindustria.

La domanda era stata posta in modo ufficiale con Interpello n. 2 del 2010, protocollo n. 3827 ed era: le registrazioni delle comunicazioni telefoniche tra dipendenti e clienti violano la privacy degli stessi?
In particolare, il quesito faceva riferimento al caso in cui i lavoratori entrano in contatto con i clienti ai fini di una verifica a campione della qualità del servizio erogato.

Registrarli era una violazione o c’era necessità di un accordo con le RSA? Si esigevano le autorizzazioni della DPL (articolo 4 della L. n. 300/1970), anche qualora dalle registrazioni non si riuscisse a risalire ai nominativi degli interlocutori?
Il Ministero ha negato il bisogno di un lasciapassare garantendo che,  proprio in  questa particolare situazione, viene assicurato  sia l’anonimato dei dipendenti che quello dei clienti.

In questo modo si vanno a tutelare sia il rispetto della privacy (ai sensi del Dlgs 196/2003), sia i diritti del lavoratore ai sensi dello Statuto dei lavoratori.

Paola Perfetti