Agenzia Entrate e Riscossione: attivo il nuovo sito. Le novità per i contribuenti

Con un comunicato del 15 dicembre l’Agenzia delle Entrate ha reso noto che il sito è stato cambiato, niente paura quindi se provando a navigare trovate un’interfaccia nuova, non siete finiti in un sito fake dell’Agenzia delle Entrate, semplicemente ha cambiato vestito.

Nuovo sito Agenzia Entrate e Riscossione: interfaccia utente fruibile

L’obiettivo dell’Agenzia delle Entrate è rendere il sito sempre più fruibile, infatti negli ultimi anni sono state aumentate le attività che i contribuenti possono svolgere autonomamente sul sito dell’Agenzia delle Entrate, entrando nella propria pagina personale, questo al fine di rendere più snello il rapporto tra l’Agenzia delle Entrate e Riscossione e il contribuente.

Questo snellimento è aumentato anche grazie all’implementazione dei servizi di assistenza forniti online al contribuente, la possibilità di scaricare le dichiarazioni precompilate e di modificarle autonomamente, senza quindi il bisogno del commercialista e dalla possibilità di prenotare online il proprio appuntamento presso la sede territoriale competente e presso lo sportello specifico per le varie esigenze che possono palesarsi. Tutto questo ha richiesto però una revisione anche del sito che vuole essere sempre più fruibile.

Descrizione nuovo sito Agenzia delle Entrate e Riscossione

Nel menù principale del sito https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/it/ ora è possibile scegliere tra vari profili: Cittadini;

  • imprese;
  • professionisti;
  • intermediari;
  • enti creditori.

Sul sito è quindi possibile accedere alla propria area personale con le proprie credenziali Spid, Cie e Cns, qui sono effettuabili diverse operazioni, ad esempio verificare la propria posizione nei confronti del fisco e compiere operazioni. Entrando invece nel box Focus si ottengono news direttamente dall’Agenzia delle Entrate e soprattutto aggiornamenti normativi inerenti l’area fisco.

Di particolare rilevanza è l’area servizi dalla quale il contribuente in modo autonomo può compiere molteplici operazioni come:

  • inviare una richiesta di rateizzazione e richiedere i moduli per le rate;
  • sospendere la riscossione;
  • attivare il servizio “se mi scordo” che consente di ricevere un sms o un’email per ricordare le scadenze dei pagamenti;
  • prenotare un appuntamento allo sportello online;
  • prenotare un appuntamento allo sportello territoriale;
  • delegare un intermediario;
  • verificare la propria posizione nei riguardi del fisco.

Infine, nel sito è presente l’area modulistica in cui è possibile scaricare i principali moduli da utilizzare per regolare i propri rapporti con il Fisco. Ad esempio andando nell’area dedicata al fermo amministrativo è possibile scaricare il modulo per la richiesta di annullamento preavviso del fermo amministrativo su un bene strumentale o su un bene in uso a un disabile, oppure il modulo per l’istanza di notifica a mezzo pec.

Il Redditometro sotto la lente d’ingrandimento

Strumento principe nella lotta all’evasione, complesso modello statistico, specchio impietoso dell’Italia post crisi, “psicodramma nazionale” e nelle ultime ore pure “riccometro”. Si moltiplicano le definizioni ma il nostro grande indiziato di questa settimana è lui:  il Redditometro.

Quest’oggi abbiamo deciso di passarlo sotto la lente di ingrandimento dei veri addetti ai lavori, i commercialisti. Per cercare di fare un po’ di chiarezza tra accertamenti sistematici, parametri statistici, scostamenti marginali, beni rilevanti e beni simbolici.

Infoiva ha intervistato Alessandro Solidoro, Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano.

Redditometro 2013: criticato, temuto, passato sotto la lente di ingrandimento. Quali sono secondo lei le maggiori criticità?
Il redditometro è riconducibile agli “accertamenti sintetici”, che sono presenti nel nostro ordinamento da diverso tempo.
La principale criticità di questa tipologia di accertamenti consiste nel pericolo di cadere, in sede di verifica della singola posizione fiscale di un contribuente, in “automatismi” nell’applicazione dei parametri previsti, che potrebbero non tener conto della specifica situazione del contribuente medesimo. La Cassazione al riguardo ha ricordato a più riprese che l’accertamento fiscale non può mai essere “standardizzato” ed effettuato applicando acriticamente una metodologia matematico-statistica. Oltre a ciò, vi sono diverse criticità di natura “tecnica”, derivanti dalla scelta del Legislatore di voler considerare alcune rilevanti spese (ad esempio l’acquisto di immobili) come effettuate utilizzando il reddito di un unico periodo di imposta.

Quali invece i vantaggi?
Le modifiche recentemente apportate al redditometro hanno il pregio di coprire uno spettro più ampio di voci rispetto a quanto fosse precedentemente fatto. Ciò consente di non limitare l’analisi ad alcuni “beni rilevanti” (immobili, automezzi, barche e simili), ma di estendere l’esame del tenore di vita (e dunque della congruità del reddito dichiarato) attraverso un ampliamento delle spese, degli investimenti e dei risparmi presi in esame.

Le 100 voci del redditometro analizzano praticamente ogni ambito della vita di una famiglia, gli italiani dovranno cambiare le proprie abitudini per rientrare nei parametri del redditometro, o chi non evadeva prima può semplicemente mantenere la propria routine invariata ?
No, non è necessario cambiare le proprie abitudini: al riguardo desidero infatti ricordare che il redditometro si basa sul semplice assunto per cui il tenore di vita deve essere compatibile con il reddito dichiarato al Fisco. In linea generale, chi non evadeva precedentemente non ha nulla da temere dall’applicazione di questo strumento, anche se dovranno essere adottate alcune precauzioni circa la tracciabilità delle risorse finanziarie e reddituali impiegate per il sostenimento di alcune spese rilevanti (automobili, immobili, investimenti e simili).

La franchigia di tolleranza di 12 mila euro è a vostra parere ben ponderata?
E’ opportuno premettere che il riferimento a una franchigia quantificata in 12.000 euro non è prevista dalla normativa (che invece stabilisce che il redditometro è potenzialmente applicabile a coloro che, in un dato periodo d’imposta, hanno sostenuto spese in misura superiore a 1,20 volte il reddito dichiarato). Ritengo che l’adozione di una franchigia “quantitativa” possa essere un utile ed efficace accorgimento per evitare di sottoporre a verifica quelle posizioni con scostamenti “marginali”; tuttavia non dovrà essere possibile prescindere dalla situazione specifica del singolo contribuente.

Veniamo al capitolo beni simbolici: l’allargamento dello spettro e l’analisi effettuata su dati certi dell’Agenzia delle Entrate porterà ad una maggior efficacia dello strumento di lotta all’evasione?
La motivazione sottostante l’inclusione delle spese per “beni simbolici” tra quelle da considerare ai fini del redditometro, risponde all’esigenza di meglio profilare il tenore di vita in relazione al reddito dichiarato. Dalle prime elaborazioni effettuate e apparse sulla stampa specializzata, sembra comunque di capire che questa categoria di spese non sarà di per sé “decisiva” nella valutazione di congruità del reddito di un singolo contribuente, mentre avranno una particolare significatività le spese per beni rilevanti e investimenti.

Il rischio che la presunzione di capacità di spesa delle famiglie si allontani dalla realtà è concreto o si può contenere limitando il ricorso a meccanismi statistici?
I meccanismi statistici contenuti nel decreto attuativo del redditometro dovrebbero avere l’esclusiva finalità di stabilire una “misura media” (statisticamente comprovata) per la spesa delle famiglie: in questo senso, l’inserimento di tale categoria di spese ai fini del redditometro potrebbe forse essere rivisto e meglio rimodulato (magari prevedendo ulteriori soglie di franchigia al di sotto delle quali non procedere a verifica con redditometro) , soprattutto al fine di evitare qualsiasi applicazione “automatica”.

A suo avviso il redditometro è uno strumento valido nella lotta all’evasione o si poteva fare qualcosa di più?
In linea di principio il redditometro è un valido strumento nella lotta all’evasione, in quanto è basato sull’assunto di comparare il tenore di vita rispetto alla congruità del reddito dichiarato. Tuttavia, dato l’elevato potere conoscitivo e il meccanismo di presunzione su cui esso si basa (che comporta un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente), si deve evitare che nella pratica diventi uno “studio di settore per famiglie”, censurando qualsiasi automatismo in sede di verifica che non tenga conto della specifica situazione del contribuente.

Alessia CASIRAGHI

Nessun obbligo di comunicazione se la compilazione è senza errori

Se la fase di compilazione risulta senza errori non c’è obbligo di comunicazione o di invito al contribuente. L’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dagli articoli 36-bis del Dpr 600/1973 e 54-bis del Dpr 633/1972 è condizionata alla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente esclusivamente nel caso in cui dal controllo medesimo scaturiscano errori compiuti in sede di dichiarazione. Soltanto in questa ipotesi di irregolarità sorge in capo all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di comunicazione per la liquidazione di imposte, contributi, premi e rimborsi. Questo il principio contenuto nell’ordinanza 11429 emessa dalla Corte di cassazione il 6 luglio 2012.

Il fatto
La vicenda trae origine dal ricorso proposto da un contribuente a seguito della notifica di cartelle di pagamento emesse per il recupero di Iva e Irap relativi all’anno d’imposta 2000.
Il ricorso era stato accolto sia in sede di primo grado che in appello.
I giudici di secondo grado, in particolare, avevano ritenuto che le cartelle emesse con le modalità ex articolo 36-bis Dpr 600/1973 e articolo 54-bis del Dpr 633/1972 fossero illegittime in quanto l’iscrizione a ruolo dei tributi richiesti non era stata preceduta dalla comunicazione delle irregolarità riscontrate e dall’avviso bonario previsto dall’articolo 6 della legge 212/2000.
Avverso la sentenza de qua la soccombente Agenzia delle Entrate esperiva a sua volta ricorso per cassazione.
La Suprema corte accoglieva le doglianze dell’ufficio cassando la sentenza impugnata e procedendo al rinvio a un’altra sezione della medesima Commissione tributaria regionale.

La decisione
Con la pronuncia in commento, la Cassazione è tornata a decidere in tema di legittimità dell’azione dell’Amministrazione finanziaria con riferimento alle procedure di liquidazione delle imposte.
I controlli di cui si parla sono quelli disciplinati dagli articoli 36-bis del Dpr 600/1973 (per le imposte dirette), e 54-bis del Dpr 633/1972 (per l’imposta sul valore aggiunto), previsti dal legislatore con lo scopo di correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella redazione delle dichiarazioni dei redditi.

A tal riguardo, giova ricordare che, nel caso in cui da tale controllo emerga un risultato diverso da quello indicato dal contribuente, l’ufficio provvede all’invio di una comunicazione in cui sono dettagliate le rettifiche operate, con l’indicazione delle relative imposte, sanzioni e interessi.

Le modalità inerenti tali comunicazioni di irregolarità sono disciplinate dall’articolo 6, comma 5, della legge 212/2000, secondo cui, prima di procedere all’iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti da dichiarazione, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti attinenti la medesima dichiarazione, l’ufficio deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti giustificativi entro un termine congruo, comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta.

Nel caso sottoposto al giudizio di legittimità, l’Agenzia delle Entrate lamentava la violazione delle norme attinenti il controllo “automatizzato” delle dichiarazioni, laddove i giudici della Ctr hanno ritenuto illegittima l’iscrizione a ruolo delle imposte dovute in quanto la relativa cartella di pagamento non era stata preceduta dalla comunicazione dell’esito della liquidazione e dall’invito a fornire chiarimenti.

La Corte suprema ha ritenuto fondate le doglianze dell’Amministrazione finanziaria, in quanto “l’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dagli artt. 36-bis, co. 3 del D.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di tributi diretti) e 54-bis, co. 3 del D.P.R. 633 del 1972 (in materia di IVA) non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non rilevi l’esistenza di errori, essendovi solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l’obbligo di comunicazione per la liquidazione d’imposta, contributi, premi e rimborsi”.
In questa prospettiva, l’operato dell’ufficio, che non ha comunicato l’esito della liquidazione in quanto non era stato rilevato alcun errore del contribuente, non viola né il disposto degli articoli 36-bis, Dpr 600/1973, e 54-bis, Dpr 633/1972, né quello dell’articolo 6, comma 5, dello Statuto del Contribuente (legge 212/2000).

In buona sostanza, a parere dei giudici di Cassazione, lo scopo della comunicazione è quello di consentire al contribuente di sanare gli errori da questi commessi nella redazione della dichiarazione e riscontrati in sede di controllo.
In questo modo si evita il reiterarsi di errori consentendo, al contempo, la possibilità di un ravvedimento onde evitare l’iscrizione a ruolo delle somme dovute e la notifica della relativa cartella di pagamento, nonché l’instaurarsi dell’eventuale contenzioso.

L’ordinanza in commento ricalca i principi enunciati dalla medesima Corte in due pronunce del 2010 (la sentenza n. 17396 del 23 luglio e l’ordinanza n. 22035 del 28 ottobre), aventi a oggetto questioni inerenti l’obbligatorietà della comunicazione di irregolarità da parte dell’Agenzia delle Entrate in caso di omesso o carente versamento delle imposte dichiarate.

I giudici hanno chiarito che il disposto dell’articolo 36-bis non prevede alcun obbligo assoluto in capo all’ente impositore di comunicare l’esito della liquidazione delle dichiarazioni.
A riguardo, l’obbligo di comunicazione è limitato ai casi in cui dai controlli automatici emerga un risultato non conforme a quello indicato nella dichiarazione dei redditi; d’altra parte, osserva il Collegio, nessuna delle norme riferite impone alcuna sanzione di nullità per l’inosservanza dell’incombenza.
Se ne deduce, pertanto, che nel caso in cui l’ufficio impositore non apporti alcuna azione correttiva ai dati (“di scienza”) rappresentati dal contribuente e, quindi, non pervenga a un risultato diverso rispetto a quello dichiarato, è giuridicamente corretto affermare che non sorge alcun obbligo di preventiva comunicazione al contribuente né è ravvisabile alcuna violazione dei diritti posti a salvaguardia della propria difesa.

Dichiari il falso? Niente patrocinio gratuito

Con la sentenza n. 25409 del 27 giugno, la Cassazione ha stabilito che non può essere ammesso, né può mantenere il patrocinio a spese dello Stato, il contribuente che dichiara reddito zero oppure il falso. Il reato previsto dall’articolo 95 del Dpr 115/2002 – che sanziona le falsità o le omissioni nelle dichiarazioni o nelle comunicazioni per l’attestazione delle condizioni di reddito in vista dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato – è integrato dalle dichiarazioni con cui l’istante afferma, contrariamente al vero, di avere un reddito inferiore a quello fissato dalla legge come soglia di ammissibilità, a prescindere dalla circostanza che in concreto la soglia venga o meno superata.

A seguito degli accertamenti compiuti dall’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, il Tribunale di Cagliari ha revocato il provvedimento con il quale una contribuente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato (ex articoli 98 e 112, Dpr 115/2002). I redditi del nucleo familiare della signora, relativi all’anno d’imposta 2007, sarebbero stati pari a 11.929 euro e quindi superiori al limite fissato per chiedere e mantenere il beneficio, in origine di 9.296,22 euro, elevato poi a 9.723,84 euro dal decreto interministeriale 29 dicembre 2005 e innalzato, successivamente, a 10.628,16 euro con il Dm 20 gennaio 2009. Il tetto aumenta di 1.032,91 euro per ognuno dei familiari conviventi con l’interessato e, in tal caso, il reddito di riferimento è costituito dalla somma dei singoli redditi percepiti nello stesso periodo dai conviventi, compreso l’istante.

Il decreto del Tribunale è stato impugnato per cassazione dalla contribuente perché:

  • nell’istanza di ammissione il reddito indicato era pari a zero in quanto la stessa era stata licenziata con lettera del 18 maggio 2007 allegata all’istanza
  • il licenziamento era avvenuto dopo la presentazione dell’ultima dichiarazione dei redditi e prima della presentazione della domanda di ammissione al gratuito patrocinio e, quindi, il giudice non avrebbe dovuto tener conto del reddito dichiarato nell’anno precedente in quanto non più corrispondente alla realtà.

La Corte, richiamando la pronuncia delle sezioni unite 6591/2009, ha affermato che “la falsità delle indicazioni contenute nell’autocertificazione deve ritenersi connessa ‘all’ammissibilità dell’istanza non a quella del beneficio (art. 96, comma 1), perché solo l’istanza ammissibile genera obbligo del magistrato di decidere nel merito…’ Dunque, non assume importanza, in presenza di una dichiarazione rivelatasi non corrispondente alla reale situazione reddituale, nemmeno l’effettivo ammontare del reddito …”.

La Cassazione pertanto ribadisce che la ratio dell’articolo 95 del Dpr 115/2002 consiste nell’evitare che siano ammessi al patrocinio a carico dello Stato soggetti che non ne hanno il diritto per carenza dei presupposti di legge. Il legislatore, cioè, per stabilire se una persona sia nelle condizioni o meno di usufruire del beneficio, ha riguardo a tutti gli introiti effettivamente percepiti dall’interessata in un determinato periodo (articolo 76, Dpr n. 115/02) e, in particolare, al “…reddito imponibile ai fini dell’Irpef, quale definito dall’art. 3 del Tuir, integrato dagli altri redditi indicati dall’art. 76 del D.P.R. n. 115 del 2002…” ossia quello “…risultante dall’ultima dichiarazione….formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10” (risoluzione n. 15/E/2008; Cassazione, 16583/2011), redditi che (compresi quelli non reputati tali ai fini fiscali – Cassazione, 36362/2010, 45159/2005 – o derivanti da attività illecita – Cassazione, 34643/2010 e 17430/2001 – o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta ovvero a imposta sostitutiva – Cassazione, 22299/2008), comunque, siano attestati in modo veritiero.

Prima ancora della condizione di reddito, infatti, nella fattispecie sottoposta al suo esame, la Corte ha chiarito che, presupposto per l’ammissione e per il mantenimento del patrocinio a spese dello Stato, è la presentazione di una dichiarazione fedele da parte del contribuente, senza che, a tale riguardo, possa considerarsi pertinente il principio di diritto evocato dalla ricorrente, secondo cui sono rilevanti le variazioni intervenute successivamente.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, tale principio presuppone pur sempre una (precedente) veritiera dichiarazione reddituale, corrispondente, cioè, all’effettiva condizione dell’istante. Invece, dai controlli effettuati dall’Agenzia delle Entrate (che “possono essere legittimamente acquisiti come prova documentale” – Cassazione, 19000/2009), la contribuente aveva reso una dichiarazione rivelatasi oggettivamente non corrispondente alla sua reale situazione, con la conseguenza che nonostante “… le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio”, tale comportamento comunque configura “… l’inganno potenziale … della falsa attestazione di dati necessari per determinare … le condizioni di reddito …” al momento dell’istanza (Cassazione, 6591/2009).

La Cassazione ha affermato, infatti, che “il reato di pericolo si ravvisa se non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovuta comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento del magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio” (Cassazione, 34399/2011).

Si tratta, inoltre, di un reato costruito come “fattispecie di pura condotta” (Cassazione, 12019/2008) che si sostanzia nell’esternazione dei comportamenti previsti dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c), d), Dpr 115/2002 (dichiarazione di false generalità; falsa attestazione delle condizioni di reddito previste per l’ammissione dall’articolo 76; violazione dell’impegno a comunicare eventuali variazioni rilevanti di tali condizioni, se si sono verificate nell’anno precedente), cui rinvia l’articolo 95.

Assumono rilevanza, allora, non tutte le dichiarazioni infedeli o le omissioni, ma solo quelle dalle quali emerga “inganno potenziale” (realizzato con la sola condotta descritta dall’articolo 95, prima parte) o “effettivo” (che si configura se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio – articolo 95, seconda parte) del destinatario. Di conseguenza, la Corte, rinviando alla parte della sentenza 6591/2009 relativa all’“inganno potenziale”, ha rigettato il ricorso e ha provveduto a recuperare le spese processuali.

Pensioni: da gennaio sistema retributivo addio

Dal primo gennaio 2012 la rendita di chi lascia il lavoro sarà calcolata con il sistema contributivo. Addio quindi al sistema retributivo per le pensioni degli italiani, è la proposta avanzata dal nuovo Ministro del Welfare Elsa Fornero.

Ma cosa significa il passaggio da un sistema retributivo ad uno contributivo? In pratica le pensioni non verranno più calcolate garantendo il reddito ottenuto nell’ultima parte della carriera lavorativa del contribuente, ma attraverso un sistema – meno vantaggioso ma più equo – con cui si riceverà in proporzione di ciò che si è versato. Do ut des, insomma, in cui ad essere favoriti saranno coloro che resteranno più a lungo al loro posto di lavoro.

Come funziona il sistema contributivo? Il contribuente dipendente verserà il 33% del suo stipendio ogni mese (nel caso di un lavoratore autonomo la quota scenderà al 20%).

I contributi versati subiranno poi, a fine carriera, una rivalutazione in base all’andamento quinquennale di Pil e inflazione: in pratica più saliranno questi parametri, maggiore sarà la rendita ricevuta. Il calcolo non finisce però qui. Al momento della pensione, al capitale accumulato verrà applicato un coefficiente calcolato in base all’età in cui ci si ritira dal lavoro: più alta l’età, più alto il coefficiente. Quindi, chi deciderà di andare in pensione prima subirà una riduzione proporzionale nella futura busta paga.

Il nuovo sistema entrerà in vigore il 1 gennaio 2012, ma solo per coloro che nel 1996 avevano un’anzianità di servizio inferiore ai 18 anni. Fra questi vanno distinte tre categorie:

  • coloro che lavoravano già nel 1996 vedranno applicarsi un sistema misto, ossia retributivo per gli anni lavorati prima del 1996, e contributivo per quelli successivi
  • coloro invece che hanno firmato il primo contratto di lavoro dopo il 1996 vedranno applicarsi alla loro pensione unicamente il sistema contributivo
  • continueranno invece ad avere la pensione calcolata in base al sistema retributivo coloro che nel 1995 avevano già compiuto i 18 anni di anzianità o oltre

Il sistema retributivo, in ogni caso, sparirà completamente nel 2030.

Alessia Casiraghi

Cartella esattoriale legittima se emessa da un controllo automatizzato

La Cassazione ha stabilito, con l’Ordinanza n. 16983 del 4 agosto 2011, la legittimità della cartella esattoriale, qualora anche non fosse motivata, se emessa a seguito di un controllo automatizzato. Se la pretesa impositiva nasce sulla base dei dati forniti dal contribuente stesso nella dichiarazione dei redditi non si rende dunque necessaria nessuna motivazione per la cartella esattoriale.

La motivazione non è necessaria qualora l’atto si fondi sui dati raccolti nella dichiarazione dei redditi, di cui il contribuente conosce già i presupposti della pretesa fiscale, in base all’articolo 36/bis del Dpr 600/1973 per le imposte dirette, e 54/bis del Dpr 633/1972 in materia di Iva.

Questa manovra è volta ad estendere l’efficacia dei controlli fiscali automatizzati sulle cartelle esattoriali.

L’articolo 7 della legge 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente) che rende obbligatorie la chiarezza e la motivazione degli atti tributari secondo la disciplina normativa contenuta nella legge 241/1990, perde la sua applicabilità in caso si sia di fronte a una mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente, nella dichiarazione dei redditi. Il contribuente in tal caso non viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale, che quindi non deve essere motivata.

L’Ordinanza n. 16983 emessa dalla Cassazione stabilisce infatti i limiti di validità e applicabilità del principio di non motivazione, ovvero nel caso in cui ‘l’attività di liquidazione delle imposte ‘avvenga sulla base degli elementi fomiti dalla stessa dichiarazione della contribuente, provenienza che poneva evidentemente l’Ufficio nella condizione di formulare la propria richiesta in forza del semplice richiamo alla dichiarazione, senza necessità di indicare i fatti costitutivi dell’obbligazione fiscale‘.

In caso contrario, l’onere di motivazione per la cartella esattoriale sussiste nella sua integrità qualora tale attività ‘non si sovrapponga alla dichiarazione del contribuente, ma si risolva in una rettifica dei risultati della dichiarazione stessa, così da comportare una pretesa ulteriore da parte dell’amministrazione finanziaria, si è in presenza di un’attività impositiva vera e propria, con la conseguenza che la relativa cartella esattoriale va motivata come l’avviso di accertamento, ossia deve contenere tutte le indicazioni idonee a consentire al contribuente di apprestare un’efficace difesa‘.

Alessia Casiraghi

Liti fiscali, arriva la sanatoria

“Le liti fiscali pendenti al 1° maggio scorso potranno essere chiuse dal contribuente versando una quota dal 10 al 30%”.

Le liti fiscali pendenti al 1° maggio scorso e di importo fino a 2.000 euro potranno essere chiuse dal contribuente versando 150 euro. Per quelle da 2 a 20.000 il costo della chiusura sarà variabile: 10% del valore della lite se l’ultimo scontro lo ha vinto il contribuente; 50% se a vincere è stata l’amministrazione finanziaria; 30% nel caso in cui la lite penda ancora nel primo grado di giudizio e non ci sia stata alcuna pronuncia giurisdizionale.

Secondo la nuova norma si potranno chiudere le liti instaurate con le Entrate. Per farlo il contribuente dovrà versare le somme richieste entro il prossimo 30 novembre mentre la domanda di definizione agevolata andrà presentata entro il 31 marzo 2012.

Tutte le liti che possono rientrare nella nuova sanatoria sono di fatto sospese fino al 30 giugno 2012.

Chiusura e riapertura della partita iva nello stesso anno, ecco come comportarsi con l’Iva

Nel caso in cui un contribuente nello stesso anno abbia cessato attività chiudendo la partita Iva relativa, riaprendola però successivamente nello stesso anno , dovrà presentare ai fini dell’IVA un’unica dichiarazione composta da:

  • il frontespizio, con  indicati nella parte anagrafica la partita IVA corrispondente all’ultima attività esercitata nell’anno 2010;
  • un modulo (mod. n. 01), in cui devono essere compilati tutti i quadri riportando i dati relativi all’ultima attività esercitata. Esclusivamente nel modulo n. 01 devono essere compilati i quadri VT e VX per riepilogare i dati delle due attività;
  • un modulo, in cui devono essere compilati tutti i quadri riportando i dati relativi alla prima attività esercitata nell’anno ed indicando, in particolare, nel rigo VA1, campo 1, la corrispondente partita IVA.
Qualora fossero necessarie maggiori informazioni circa la compilazione si può far riferimento al Modello Dichiarazione Iva in relazione ai casi di trasformazione sostanziale soggettiva.
Mirko Zago

Scheda carburante, ecco come compilarla

La scheda carburante è un documento importante che si utilizza per documentare gli acquisti di qualsiasi carburante per autotrazione (benzina, miscela, gasolio, gas metano, gpl) effettuati dai soggetti passivi dell’IVA nell’esercizio dell’attività di impresa o di lavoro autonomo. Il fine è poter beneficiare della detrazione dell’Iva e della deducibilità del costo sostenuto ai fini delle imposte dirette.

I dati che devono essere indicati nella scheda carburante sono i seguenti:

  • dati identificativi del contribuente:
    – la ditta, la denominazione sociale o ragione sociale ovvero il cognome e nome, il domicilio fiscale e il numero di partita Iva del soggetto che acquista il carburante;
    – l’ubicazione della stabile organizzazione in Italia, se il soggetto è domiciliato all’estero;
    i dati possono essere indicati anche a mezzo timbro.
  • dati identificativi del veicolo:
    – gli estremi d’individuazione del veicolo, vale a dire la casa costruttrice, il modello e la targa, oppure, in alternativa, il numero di telaio o altri elementi identificativi attribuiti dalla casa produttrice;
    l’indicazione delle targa è imprescindibile perchè rappresenta il principale elemento di individuazione del veicolo.

L’esercente presso cui si fa rifornimento deve annotare:

  • la data del rifornimento
  • spesa al lordo dell’Iva
  • Denominazione o ragione sociale ovvero cognome e nome dell’esercente e ubicazione dell’impianto (il tutto anche a mezzo timbro)
  • apporre la propria firma (elemento essenziale di convalida).

Mirko Zago

Quando il contribuente non è tenuto al pagamento in pendenza di ricorso

La Commissione tributaria provinciale Roma ha emesso la Sentenza, Sez. XLI, del 04/09/2009, n. 329, con la quale si stabilisce l’iscrizione a ruolo delle somme a titolo provvisorio.

In particolare, la Sentenza ha deciso che il contribuente non è tenuto al pagamento in pendenza di ricorso e può anche impugnare la relativa cartella.

Questo, nel caso in cui l’Ufficio proceda ad iscrivere a ruolo le somme dovute dal contribuente, a titolo provvisorio, in pendenza di ricorso avverso un avviso di certamento, perciò senza attendere la sentenza della CTP che respinge il ricorso.

Per un ulteriore approfondimento della Sentenza n. 329/41/09 della Commissione tributaria provinciale di Roma, si comunica la prossima pubblicazione su Corriere Tributario a firma di Francesco Napolitano.

Paola Perfetti