Riscatto contributi per periodi non versati: come si recuperano per Partita Iva?

L’INPS, Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, nel rispetto di opportuni requisiti, permette di andare a riscattare i contributi previdenziali per i periodi non versati. Si tratta di un’operazione e di una scelta che, in particolare, è alquanto vantaggiosa quando, per la maturazione dei requisiti di pensionamento, mancano poche annualità contributive da versare. Per esempio, per il riscatto contributi per periodi non versati, come si recuperano per chi è titolare di Partita Iva?

Ecco come si recuperano per i titolari di Partita Iva i contributi previdenziali per i periodi non versati

Al riguardo c’è da dire che per i titolari di Partita Iva, l’INPS permette il riscatto dei contributi per i periodi non versati agli iscritti ad una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi. Inoltre, a differenza dei contributi figurativi, che sono gratuiti, è bene precisare che il riscatto dei contributi per i periodi non versati è sempre e rigorosamente a titolo oneroso. E quindi c’è sempre da pagare.

Ragion per cui, al fine di accelerare la maturazione dei requisiti per andare in pensione, occorre sempre valutare la convenienza dell’operazione a livello economico. La facoltà di riscatto dei contributi per i periodi non versati, tra l’altro, è permessa ed è concessa pure ai superstiti del lavoratore deceduto.

Lavoratori a partita Iva, ecco come si presenta la domanda di riscatto dei contributi previdenziali

La domanda per il riscatto dei contributi per i periodi non versati si presenta online dal sito Internet dell’INPS, oppure recandosi presso l’ufficio dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale che è competente per territorio.
La domanda sarà poi lavorata dall’INPS allegando pure tutta la documentazione richiesta. Dopodiché l’Istituto risponderà con una raccomandata. In caso di accoglimento della richiesta, nella lettera recapitata a mezzo posta sarà indicato l’onere di riscatto, e quindi quanto andare e pagare per i periodi non versati tramite i bollettini MAV in banca oppure recandosi alla posta.

I bollettini MAV da pagare, tra l’altro, si possono recuperare e si possono stampare online collegandosi tramite le credenziali al sito Internet dell’INPS prima accedendo al ‘Portale dei Pagamenti’, e poi nella sezione ‘Riscatti ricongiunzioni e rendite’. Oppure, chiamando il contact center dell’INPS, è possibile acquisire i bollettini MAV da pagare, per il riscatto dei contributi per i periodi non versati, con l’invio a mezzo posta elettronica all’indirizzo mail fornito all’operatore.

Come e dove si possono pagare i bollettini MAV per il riscatto dei contributi INPS per i periodi non versati

Oltre che in banca ed alla posta, le somme dovute, per il riscatto dei contributi previdenziali per i periodi non versati, si possono pagare pure dal sito Internet dell’INPS e tramite il contact center muniti di carta di credito. Oppure attraverso il circuito ‘Reti Amiche’ al quale, tra l’altro, aderiscono pure le tabaccherie sparse su tutto il territorio nazionale.

A fronte dei versamenti effettuati, l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, all’inizio dell’anno solare successivo, invierà poi al titolare di partita Iva, che ha sta riscattando i contributi per periodi non versati, un’attestazione che sarà utile ai fini fiscali.

Simulatore pensioni Inps: come funziona

Il sito istituzionale dell’Inps mette a disposizione un servizio gratuito per simulare quale sarà la propria pensione futura, ovvero quanto si andrà a prendere di pensione nel momento in cui terminerà la propria attività lavorativa. Il calcolo si fonda su tre elementi della normativa previdenziale, ovvero l’età, la storia lavorativa e la retribuzione (o reddito).

La mia pensione futura Inps: a chi è rivolto il servizio

Possono usufruire del servizio “La mia pensione futura”:

  • i lavoratori che abbiano contributi versati al Fondo pensione dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori che abbiano contributi versati alla Gestione Separata Inps;
  • gli iscritti alla Gestione dirigenti di aziende industriali;
  • i lavoratori che abbiano versato contributi ad altri fondi amministrati dall’Inps.

Cosa permette di sapere il simulatore delle pensioni Inps

Il simulatore delle pensioni Inps permette di:

  • controllare i versamenti fatti all’Inps e di comunicare all’Istituto previdenziale eventuali periodi di contribuzione che mancano tramite la funzione di segnalazione contributiva;
  • conoscere la data nella quale presumibilmente maturi la pensione di vecchiaia o quella anticipata;
  • stimare l’importo della pensione futura senza tener conto dell’inflazione (funzione “a moneta costante”);
  • ottenere il tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’ultimo stipendio percepito e la prima rata di pensione.

Pensione futura, prevedere scenari di variazione della propria retribuzione

Con il servizio della futura pensione dell’Inps è possibile prevedere anche variazioni della propria situazione lavorativa futura o dell’economia nel medio e lungo termine. Le previsioni sono particolarmente indicate per i contribuenti più distanti dall’uscita da lavoro e si basano sulla possibilità:

  • di ipotizzare la sospensione del lavoro, ovvero di inserire la data nella quale si prevede di interrompere l’attività lavorativa;
  • di modificare le previsioni sul Prodotto interno lordo futuro. Ad esempio, modificare le previsioni dell’1,5% di Pil all’1% di incremento nel medio e lungo periodo;
  • di modificare l’andamento della propria retribuzione o del reddito annuale con valori da 0 a +5%;
  • di scegliere il fondo sul quale basare la propria simulazione.

Costruire la futura pensione confrontando diversi scenari

Per i contribuenti più indecisi sulla data del pensionamento, è possibile modificare i parametri della simulazione. Ad esempio, si può:

  • calcolare la futura pensione verificando l’incidenza di retribuzioni diverse. Si può, in altre parole, modificare la retribuzione dell’anno in cui si utilizza il servizio e verificare l’andamento percentuale annuo;
  • si può verificare cosa succede se si posticipa la data presunta del pensionamento (quanto si guadagna di pensione se si rimane ancora a lavoro?);
  • modificare entrambe le variabili, retribuzioni e data di uscita da lavoro, che possono essere combinate per verificare la soluzione più conveniente.

Come accedere e utilizzare il servizio Inps ‘La mia pensione’

Per poter utilizzare il servizio online La mia pensione è necessario andare sul sito dell’Inps nella sezione “Prestazioni e servizi – La mia pensione futura: simulazione della propria pensione” e scorrere alla voce “Accedi al servizio”. In alternativa, non appena si apre la pagina Inps, è possibile direttamente l’accesso dalla sezione “Vai a MyInps”. L’autenticazione è possibile combinando il codice fiscale con il Pin rilasciato dall’Istituto previdenziale, con l’identità Spid almeno di secondo livello, con la Carta di identità elettronica 3.0 (Cie) oppure con una Carta nazionale dei Servizi (Cns).

Come calcolare la pensione futura: caso concreto sul sito Inps

Dopo aver fatto l’accesso e confermato le informazioni sulla privacy, la prima pagina del servizio Inps per il calcolo della pensione futura riepiloga la posizione contributiva fino al giorno dell’accesso da parte del richiedente mediante l’estratto conto previdenziale. Per andare avanti, è necessario selezionare nella parte in basso la casella nella quale si dichiara di aver preso visione della propria situazione contributiva.

Come funziona il simulatore delle pensioni Inps?

La pagina successiva è quella di maggiore interesse per il calcolo della pensione futura. Infatti sono presenti due specchietti, corrispondenti alle presunte uscite da lavoro con la pensione di vecchiaia o con la pensione anticipata. In corrispondenza delle due colonne sono presenti anche gli importi mensili lordi delle pensioni previsti con il meccanismo di uscita prescelto (vecchiaia o anticipata). Ulteriore informazione presente per le due formule di pensione è quella dell’ultima retribuzione rispetto al reddito lordo stimato (pensione lorda futura). Dal rapporto di questi due valori il sistema restituisce il tasso di sostituzione, ovvero a quanto ammonta la pensione futura rispetto all’ultimo stipendio percepito a lavoro.

Quale sarà l’importo della pensione futura rispetto all’ultimo stipendio?

Il valore del tasso di sostituzione lordo indicato in corrispondenza della pensione di vecchiaia è normalmente più alto dello stesso valore iscritto nella pensione anticipata. Questo andamento si può spiegare con il meccanismo di calcolo delle pensioni che tiene conto sia degli anni di contributi versati che dell’età di uscita effettiva da lavoro. Infatti, con la pensione di vecchiaia, attualmente a 67 anni, si dovrebbe accumulare un numero di anni di contributi più alto della pensione anticipata.

Pensione di vecchiaia o pensione anticipata, quale conviene?

La pensione anticipata è maturabile, con le attuali regole previdenziali, per gli uomini con 42 anni e 10 mesi di contributi e per le donne con 41 anni e 10 mesi. Inoltre, il coefficiente di trasformazione è variabile in base all’anno di uscita: più è alta l’età, maggiore è l’indice di calcolo delle pensioni. Proprio il coefficiente concorre, insieme al Prodotto interno lordo, a trasformare il montante dei contributi versati in pensione futura.

Pensione futura: quanto incidono retribuzioni e Pil?

I valori indicati nella pagina della pensione futura, tuttavia, sono indicativi della situazione attuale proiettata nel futuro, ipotizzando crescite costanti della retribuzione e del Prodotto interno lordo. Un calcolo più realistico si può ottenere inserendo un valore del Pil più basso e, sicuramente, più in linea con l’andamento attuale dell’economia. Inoltre, si presume che il lavoro che si svolge abbia un andamento, in termini delle ultime retribuzioni percepite, di crescita fino alla pensione. Il valore, dunque, può essere modificato a seconda della propria situazione per renderlo più aderente al reale andamento retributivo.

Come modificare la retribuzione nel calcolo della pensione futura Inps?

Proprio in previsione di variazioni della retribuzione è possibile, nella parte bassa della pagina, modificare il reddito di partenza della simulazione. Dunque per migliorare la precisione della proiezione della futura pensione, si potrebbe inserire l’attuale retribuzione annuale lorda se diversa o in previsione differente rispetto a quella per la quale l’Inps ha già fatto la sua previsione. Le retribuzioni inerenti agli anni futuri verrebbero costruite a partire dal valore di retribuzione annuale indicato, con i consueti criteri di crescita delle retribuzioni stesse e dell’andamento del Prodotto interno lordo.

Contributi da lavoro: come controllare sul sito dell’INPS

Capita spesso di chiedersi quali e quanti siano i contributi da lavoro INPS versati e pagati, soprattutto per verificare se il datore di lavoro ha provveduto a farlo. Ma il controllo si effettua anche in prossimità della pensione, per capire se sono stati raggiunti o, quando lo saranno, i requisiti necessari per accedervi. E ci fossero delle incongruenze, dati errati, importi sospetti, contributi mancanti, cosa fare?

Innanzitutto, scopriamo qual è la procedura di verifica dei contributi da lavoro attraverso il sito dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.

Controllo dei contributi INPS: come fare

Per controllare lo stato dei contributi versati all’INPS è sufficiente accedere al sito dell’Istituto da pc, tablet o smartphone. Per autenticarsi è necessario utilizzare le credenziali rilasciate dall’INPS o mediante SPID, CIE (Carta d’Identità Elettronica) o CNS (Carta Nazionale dei Servizi). Dopodiché, sulla barra di ricerca in alto si scrive “Fascicolo previdenziale del cittadino” e si vedranno comparire diversi riquadri. A questo punto, si sceglie SERVIZI del fascicolo previdenziale del cittadino e non la scheda PRESTAZIONE relativa.

Apparirà la pagina Cassetto Previdenziale Cittadino e sul menù a sinistra, va cliccata la voce “Posizione Assicurativa” e nel menù che si apre a seguire, deve essere selezionata la voce “Estratto Conto“. A questo punto è possibile controllare tutti i datori di lavoro che ha avuto il lavoratore con i relativi versamenti contributivi effettuati.

Nel caso il lavoratore noti delle anomalie negli importi, nelle date o addirittura che manchino dei contributi, è possibile cliccare sulla voce “Segnalazioni contributive” che fa parte della sezione “Posizione assicurativa” ed effettuare la segnalazione.

Per maggiore sicurezza, si può stampare l’estratto conto contributivo in cui il lavoratore ha rilevato degli errori o delle omissioni, e portarlo al Patronato o a un consulente del lavoro per saperne di più ed essere messo al corrente di cosa si deve fare.

Estratto contributivo nel dettaglio

Quali voci sono riportate nell’estratto conto previdenziale? Teniamo conto che se si è iscritti, ad esempio, alla Gestione Separata, la prima schermata indica il Regime Generale:

  • dati anagrafici del lavoratore;
  • periodo di riferimento contributivo (dal…al…);
  • tipo di contribuzione (lavoro dipendente, commerciante, artigiano, titolare d’impresa etc);
  • contributi utili alla pensione al diritto e al calcolo espressi in anni, mesi, settimane, giorni);
  • eventuali maggiorazioni;
  • retribuzione o reddito;
  • datore di lavoro o il nome del lavoratore;
  • eventuali note.

Nel caso di iscrizione alla Gestione Separata e ponendo il caso che il lavoratore abbia prestato la sua opera con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co), si potrà scegliere anche successivamente di cliccare sul menù relativo alla Gestione Separata e sul monitor o display si aprirà l’Estratto Conto Parasubordinati.

In questo estratto conto, viene indicato l’anno solare e il relativo reddito imponibile, la descrizione del committente, il tipo di attività svolta (attività di collaborazione), i contributi versati e l’aliquota contributiva.

Nel caso i conti non tornino, la cosa è da addebitare a un errore del sistema INPS, all’aggiornamento ritardato da parte dell’Istituto di Previdenza dei contributi versati o al datore di lavoro che, evidentemente non ha versato e pagato i contributi dovuti al lavoratore.

Si può calcolare la pensione dall’estratto conto contributivo?

Evincere dall’estratto conto contributivo quando si potrà accedere alla pensione e quale importo avrà l’assegno mensile, è impresa ardua. Per prima cosa, è necessario che i dati relativi ai contributi INPS debbano essere aggiornati in tempo reale, cosa praticamente quasi impossibile.

Inoltre, c’è da prendere in considerazione quale sistema di calcolo deve essere utilizzato e per quale periodo: retributivo, contributivo o misto?

Ad ogni modo, l’INPS ha introdotto un servizio sul proprio sito denominato “La mia pensione futura” e che si trova all’interno del fascicolo previdenziale del cittadino.

Utilizzando tale servizio si può avere un prospetto di calcolo della pensione, ma se i dati non sono aggiornati o ancor peggio ci sono errori o contributi mancanti, la verifica diventa quasi inutile.

Tra l’altro, poiché non si possono totalizzare i contributi presenti in più casse previdenziali, non vengono presi in considerazione i periodi riscattati e sono esclusi i lavoratori che possiedono contributi in gestioni previdenziali diverse dall’INPS, non resta che affidarsi a un professionista.

LEGGI ANCHE:

Pensioni di reversibilità e indiretta ai superstiti, i limiti di reddito del 2021

Alla morte di un contribuente, lavoratore o pensionato, i familiari più stretti hanno diritto a una pensione. Si tratta di una prestazione riconosciuta dall’ordinamento giuridico al coniuge e ai figli, e subordinatamente, ai genitori del defunto di almeno 65 anni, ai fratelli e alle sorelle inabili. Non è richiesto alcun requisito contributivo particolare al defunto in quanto già titolare di una prestazione pensionistica (di vecchiaia, di anzianità o di inabilità). In tal caso la prestazione spettante ai superstiti si chiama pensione di reversibilità

Pensione di reversibilità e pensione indiretta

Nel caso in cui il defunto era ancora un lavoratore (non ancora titolare di pensione) con non meno di 780 settimane di contributi o 260 settimane di versamenti dei quali almeno 156 nei cinque anni precedenti la data della morte, ai superstiti spetta la pensione indiretta. Inoltre, il mancato raggiungimento dei requisiti contributivi del defunto presso un ulteriore fondo previdenziale presso il quale il defunto ha contribuito fa scattare la pensione supplementare indiretta, spettante al solo superstite già beneficiario di prestazione di reversibilità o indiretta. 

Reversibilità, cosa succede se il coniuge ha altri redditi?

Se il coniuge svolge attività lavorative o possiede altri redditi, sia la pensione di reversibilità che quella indiretta subiscono delle riduzioni. Normalmente, i due trattamenti sono di importo pari al 60% della pensione percepita dal defunto o di quella maturata nel caso dell’indiretta. Tuttavia, in presenza di altri redditi personali, superiori a tre volte il trattamento minimo stabilito dall’Inps, la quota della prestazione spettante al coniuge si riduce di percentuali tanto più alte quanto più elevato è il reddito percepito. 

Percentuali di riduzione pensione di reversibilità o indiretta

Le percentuali di riduzione della pensione di reversibilità o di quella indiretta in presenza di altri redditi sono stabile dal comma 41 dell’articolo 1  della legge 225 del 1995 (Legge Dini). Secondo il richiamato comma, le riduzioni sono pari al 25, al 40 e al 50% della prestazione spettante nel caso in cui il reddito del superstite sia maggiore, rispettivamente, di tre, quattro o cinque volte il trattamento minimo dell’Inps. Tale limite di trattamento è stabilito per annualmente e deve essere calcolato sulle tredici mensilità.

Riduzione della pensione di reversibilità per redditi del coniuge superiori a 20.107,62 euro

Nell’anno 2021, per non subire alcuna decurtazione della pensione di reversibilità o indiretta, è necessario che il coniuge superstite non superi il limite di reddito pari a 20.107,62 euro. Nel caso in cui il coniuge dovesse superare questa soglia annua, la riduzione della prestazione (il 60% della pensione percepita dal coniuge defunto oppure quella maturata fino al momento della sua morte) sarà del 25% per un ammontare dei redditi del beneficiario da 20.107,62 euro a 26.810,16 euro. Ciò significa che l’importo spettante al coniuge superstite non sarà del 60% ma del 45% della pensione maturata dal defunto, risultato ottenuto applicando la riduzione del 25%. 

Limite di reddito che il coniuge non deve superare per ridurre della metà la prestazione di reversibilità

Per redditi del coniuge superstite superiori, la percentuale di decurtazione della prestazione spettante come reversibilità o pensione indiretta è ulteriormente più alta. Pertanto, la presenza di redditi prodotti nell’anno da 26.810,16 euro a 33.512,70 euro, fa salire la percentuale di riduzione al 40%. Ne consegue che l’importo spettante al vedovo o alla vedova sarà pari al 36% (e non il 60%) della pensione maturata dal defunto. Il taglio della prestazione può arrivare fino al 50% per redditi annui di importo superiore a 33.512,70 euro. In tal caso, la prestazione di reversibilità corrisponde alla metà (il 30%) di quanto sarebbe spettato in assenza di redditi o per redditi entro i 20.107,62 euro. 

Pensioni di reversibilità, i redditi da prendere in considerazione

I redditi da prendere in considerazione ai fini della riduzione della prestazione di pensione di reversibilità o indiretta sono quelli assoggettati all’Irpef. Gli importi vanno presi al netto dei contributi assistenziali e previdenziali, ma rientrano ai fini del calcolo il trattamento di fine rapporto e le relative anticipazioni, i redditi della casa di abitazione e le competenze arretrate sottoposte alla tassazione separata. Tuttavia, non va considerato l’importo della pensione ai superstiti sulla quale va effettuata eventualmente la riduzione stessa. 

Il superstite deve presentare la dichiarazione reddituale per la pensione di reversibilità

Sia al momento della domanda di pensione di reversibilità o indiretta, che negli anni successivi, il coniuge deve presentare la dichiarazione reddituale che attesti i redditi percepiti nell’anno di riferimento. Dalla dichiarazione si calcola la riduzione da applicare alla prestazione del defunto. Le riduzioni scattano sempre nei casi di prestazione spettante solo al coniuge, ovvero ai genitori o ai fratelli e sorelle del defunto. Diversamente, la riduzione non scatta nel caso in cui i titolari della prestazione siano i figli, minori, studenti oppure inabili, ancorché in concorso con il coniuge del defunto.  In quest’ultimo caso, l’ordinamento giuridico permette la possibilità di cumulare per intero la prestazione del defunto con eventuali altri redditi. 

Prescrizione contributi: quando non sono più dovuti

I contributi INPS, siano essi omessi che non dichiarati dal contribuente, hanno un termine di prescrizione pari a cinque anni, così come previsto per tutte le altre forme di previdenza obbligatorie.

La questione molto dibattuta riguarda quale sia la data da cui decorre la prescrizione. L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale e i contribuenti si sono più volte scontrati in sede giudiziale, in quanto ognuna delle parti riteneva la data iniziale della decorrenza del periodo di prescrizione, in modo differente.

Il problema si pone in quanto capita non di rado che l’INPS invii l’avviso di pagamento al contribuente che ha omesso il versamento dei contributi previdenziali dovuti, poco prima del termine della prescrizione. A questo punto, il contribuente vuole verificare se il debito contributivo sia già prescritto.

Generalmente, i contributi INPS da dichiarazione si prescrivono in cinque anni, entro tale termine l’Istituto deve inviare al contribuente la richiesta di pagamento dei versamenti omessi, azzerando di fatto la prescrizione. Ma è molto importante stabilire da quale data partono i cinque anni da conteggiare per la prescrizione.

Inoltre, c’è da fare un distinguo tra i contributi previdenziali non versati ma dichiarati e quelli non versati e anche omessi in sede di dichiarazione dei redditi.

La prescrizione dei contributi non versati ma dichiarati

L’INPS ritiene che il conteggio dei cinque anni come termine di prescrizione per l’omesso versamento dei contributi, parte dalla data di invio della dichiarazione dei redditi da parte del contribuente.

Diversamente, il contribuente sostiene che la data di riferimento come inizio del conteggio, sia il giorno della scadenza del versamento dovuto. Quindi, in base al sistema dei versamenti dei saldi da dichiarazione annuale in Italia, la scadenza coincide ad alcuni mesi prima rispetto all’invio telematico della dichiarazione dei redditi.

La Corte di Cassazione è intervenuta più volte sulla questione, chiarendo che il fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva si riferisce all’avvenuta produzione da parte del lavoratore autonomo di un determinato reddito costituente la base imponibile per il calcolo del contributo e che la decorrenza del termine di prescrizione dipende dall’ulteriore momento in cui la corrispondente contribuzione è dovuta.

In parole semplici, la prescrizione dei contributi INPS da dichiarazione avviene in cinque anni a partire dal giorno in cui i versamenti dovevano essere versati.

Diversa è la questione, quando si parla di contributi da dichiarazione non solo non versati ma nemmeno dichiarati.

La prescrizione dei contributi non versati e non dichiarati

Nel caso di contributi non versati e omessi anche in sede di dichiarazione dei redditi, la prescrizione resta sospesa tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto.

L’INPS trova un punto di forza in quanto sopra indicato, poiché vede allungarsi il periodo di prescrizione in quanto una parte di esso rimane congelato, quindi non decorre. Tuttavia, l’ordinanza n. 14410 del 27 maggio 2019 arrivata dalla Corte di Cassazione va in aiuto del contribuente.

La suddetta ordinanza stabilisce che l’operatività della causa di sospensione della prescrizione, di cui all’articolo 2941, numero 8, Codice civile, ricorre quando sia posto in essere dal debitore un comportamento tale da provocare un’assoluta impossibilità di agire da parte del creditore che, si differenzia da una normale difficoltà da superare al fine di accertare il credito. Inoltre, questo criterio richiede di prendere in considerazione la conseguenza dell’occultamento in termini di impedimento insormontabile tramite i controlli ordinari. Pertanto, è da affermare che l’omissione del reddito non corrisponde a un occultamento doloso del debito contributivo da pagare all’INPS, né che si configuri un impedimento assoluto, non superabile con controlli normali che l’Istituto può attivare e sollecitare anche rivolgendosi all’Agenzia delle Entrate”.

In parole semplici, a meno che l’INPS non riesca a dimostrare l’impossibilità di accertamento del credito come diretta conseguenza del comportamento del debitore, la prescrizione decorre dalla data del versamento omesso.

LEGGI ANCHECome funziona la partita IVA: obbligo e contributi dovuti

Assegno ordinario di invalidità, la pensione con 5 anni di contributi anche per autonomi

L’assegno ordinario di invalidità (da non confondere con l’assegno di invalidità civile) è una prestazione economica, non reversibile, erogata ai lavoratori dipendenti ed autonomi con infermità fisica o mentale, che determini una riduzione, superiore ai 2/3, della capacità lavorativa. Tale assegno può essere riconosciuto, qualora il lavoratore abbia accreditati cinque anni di contribuzione, di cui tre nel quinquennio precedente alla data di presentazione della domanda amministrativa.

Nello specifico, uno dei requisiti necessari per il riconoscimento dell’assegno di invalidità, risulta essere quello contributivo. L’assegno infatti potrà essere erogato ai lavoratori che hanno versato i contributi da almeno 5 anni e che risultino accreditati o versati a loro favore almeno 5 anni di contribuzione di cui 3 nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda amministrativa con la quale si chiede la prestazione.

Da chi può essere richiesto l’assegno ordinario di invalidità? Esso, può essere chiesto dai lavoratori dipendenti, dagli autonomi e dai lavoratori parasubordinati. Per la sua richiesta, non esiste un requisito anagrafico ma solo un requisito medico-legale ed uno contributivo.  Per quando riguarda il requisito medico legale è necessario che l’assicurato abbia una capacità di lavoro ridotta in modo permanente, a causa di infermità o di un difetto fisico o mentale, a meno di un terzo.

La durata dell’assegno

La prestazione previdenziale è riconosciuta per un periodo di tre anni ed è confermabile, su domanda del titolare, per ulteriori tre anni. La domanda di conferma va presentata entro i 6 mesi dalla data di scadenza. Dopo tre riconoscimenti consecutivi l’assegno di invalidità è confermato automaticamente. Per quando, riguarda l’importo dell’assegno verrà calcolato sulla base dei contributi effettivamente versati.

Commercialisti soddisfatti per le due sentenze della Corte d’Appello dell’Aquila

Profonda soddisfazione, da parte del Consiglio Nazionale dei commercialisti, per le sentenze n. 752 e 774 emesse dalla Corte di Appello dell’Aquila, con le quali viene confermato che i soci di S.r.l. sono tenuti a determinare i contributi INPS gestione Commercianti sulla sola quota di partecipazione riferibile al reddito della società a responsabilità limitata per cui i contribuenti hanno richiesto l’iscrizione in quanto soci lavoratori e non sull’insieme di tutte le quote di partecipazioni in S.r.l., in quanto considerate redditi di capitale e non d’impresa.

Vito Jacono, consigliere nazionale dei commercialisti delegato all’area lavoro ha spiegato: “Queste due sentenze confermano le conclusioni a cui era giunto un studio redatto nei mesi scorsi dal Consiglio Nazionale dei Commercialisti con il contributo della Fondazione Nazionale dei commercialisti, i cui contenuti avevamo illustrato alla direzione centrale entrate INPS. Ora il nostro auspicio è che l’INPS possa rivedere la propria circolare n. 102 del 2003, in modo tale da evitare dell’inutile contenzioso. Nel frattempo chiediamo che vengano sospese tutte le richieste di pagamento di contributi INPS gestione commercianti riferibili alle sopra descritte posizioni ed emesse a seguito di verifiche fatte dall’Istituto”.

Vera MORETTI

Lavoratore dipendente e a partita Iva? Si può

Ci sono particolari situazioni in cui è possibile che un lavoratore dipendente abbia anche una partita Iva, e che, quindi, percepisca una busta paga aziendale ma anche altri redditi che derivano da un lavoro autonomo.

Ciò accade quando nasce la necessità di migliorare la propria condizione economica o per fare spazio ad un hobby, o una passione, che diventa un secondo lavoro.

Le motivazioni, comunque, sono soggettive, ma sta di fatto che le partite Iva sono in continuo aumento, soprattutto quelle aperte da lavoratori che già percepiscono uno stipendio da dipendenti.
Nonostante questa tendenza sia in crescita, ci sono ancora molti dubbi circa il versamento dei contributi INPS, gli obblighi di comunicazione ai datori di lavoro, il cumulo dei redditi.

Un dipendente privato può aprire una partita Iva, sia come ditta individuale sia come libero professionista, ma l’importante è che non ci sia concorrenza tra il lavoro svolto come dipendente e quello a partita Iva, se il contratto lo vieta.
Se, infatti, non c’è nessun esplicito divieto, non sussistono problemi di coesistenza tra le due attività.

Il Codice Civile, a questo proposito, è molto chiaro: “esiste l’obbligo di fedeltà del lavoratore di non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
La violazione dell’obbligo di fedeltà costituisce inadempimento contrattuale che dà luogo a responsabilità disciplinare e, nella maggior parte dei casi, integra la giusta causa di licenziamento. Il lavoratore è inoltre tenuto al risarcimento dei danni subiti dal datore di lavoro
“.

Per quanto riguarda la contribuzione previdenziale INPS:

  • in caso di lavoratore dipendente a tempo indeterminato full-time (ovvero con almeno 26 ore lavorative settimanali) che avvia un’attività d’impresa commerciale, se è possibile qualificare il lavoro in azienda come prevalente sia in termini di tempo che in termini reddituali (reddito annuo come lavoratore dipendente maggiore del reddito derivante dall’attività commerciale), non è necessaria l’iscrizione alla Gestione commercianti dell’INPS né il versamento di ulteriori contributi. Una volta avviata l’attività l’INPS invierà al lavoratore comunque una comunicazione in merito all’iscrizione del soggetto alla Gestione commercianti, tuttavia sarà sufficiente rispondere spiegando i motivi che prevedono la cancellazione dell’iscrizione e provando l’esistenza del rapporto di lavoro dipendente allegando una copia dell’ultima busta paga percepita.
  • nel caso di lavoratore dipendente che avvia un’attività da libero professionista, è previsto l’obbligo di iscriversi alla Gestione separata INPS versando il contributo proporzionale del 18%;
    in caso di contratto di lavoro a tempo determinato bisogna valutare se complessivamente nel corso dell’anno il periodo trascorso come lavoratore dipendente può essere o meno considerato prevalente rispetto all’attività commerciale esercitata.

Vera MORETTI

Doppio lavoro, doppio contributo

Per i professionisti che svolgono doppio lavoro, come può accadere per ingegneri o avvocati, sono previsti doppi contributi INPS.

Nello specifico, l’INPS torna a chiedere versamenti alla Gestione Separata ai professionisti che hanno un doppio impiego, uno da autonomo e uno da dipendente, anche se iscritti alle Casse di previdenza dei propri Ordini professionali.

Dopo lungo tempo, durante il quale si sono susseguiti diversi dibattiti, sono arrivati diversi chiarimenti di legge e sentenze di tribunali, che hanno ritenuto legittima la pretesa dell’Istituto ma solo per coloro che svolgono lavoro autonomo senza iscrizione a uno specifico Albo professionale o per i professionisti privi di una propria Cassa di previdenza.

Tali pareri fanno riferimento al principio di esclusività secondo il quale l’iscrizione a una gestione previdenziale esclude l’obbligo di contribuzione ad altra relativamente alla medesima attività svolta.

Vera MORETTI

Agosto, mese di pagamenti

 

Agosto mesi di vacanze? Forse, ma intanto iniziamo a segnarci le principali scadenze fiscali per partire, chi potrà, senza pensieri. Si inizia già il 15 per l’obbligo da parte dei soggetti titolari di partita Iva dell’emissione e registrazione di fatture differite per beni consegnati nel mese di luglio.

Da cerchiare sul calendario il giorno 20: è il termine ultimo per il pagamento dei contributi INPS alla gestione separata da parte dei committenti per compensi correlati a vendite porta a porta e a collaborazioni coordinate e continuative (con obbligo contributivo), e il versamento dei contributi INPS per quanto riguarda i lavoratori dipendenti per il mese di luglio 2014. Sempre il 20 sarà l’ultimo giorno disponibile per il pagamento della terza rata del modello Unico 2014, con riferimento al periodo d’imposta 2013, of course, per le persone fisiche e i contribuenti interessati dagli studi di settore con versamento della prima rata avvenuto entro la data del 16 giugno 2014. Mercoledì 20 agosto è anche il giorno della Tobin tax, l’imposta sulle transazioni finanziarie.  Come se non bastasse, i titolari di partita Iva, sempre il 20 agosto vedranno scattare l’adempimento del versamento relativo alla seconda per il saldo dell’anno 2013 e come acconto del 2014, con maggiorazione dello 0,40% e interessi dello 0,33%.

JM