Rimborso Imu, ecco chi ne ha diritto secondo la corte costituzionale

Storica sentenza della Corte Costituzionale che sblocca l’accesso ai rimborsi per l’Imu già versata prima del 2023. Ecco chi può chiedere i rimborsi.

Imu immobili occupati abusivamente è incostituzionale

L’IMU è l’Imposta Municipale Unica dovuta su fabbricati (esclusa la prima casa), aree edificabili e terreni agricoli. La normativa prevede il pagamento in due rate. Pochi sono i casi di esenzione previsti, oltre la prima casa se non di lusso, vi è l’esenzione per i fabbricati rurali concessi in comodato a un imprenditore agricolo o per quelli per i quali l’importo da versare è basso.

La Corte Costituzionale nella sentenza n° 60 del 18 aprile 2024 ha sancito l’illegittimità costituzionale delle norme che prevedevano l’obbligo di versare l’Imu anche per gli immobili occupati abusivamente e per i quali era stata presentata regolare denuncia agli organi preposti. Vediamo nel dettaglio cosa succede.

Il problema degli immobili occupati abusivamente in Italia è molto sentito, spesso si tratta di immobili lasciati anche per poco tempo, magari per un ricovero e che vengono occupati da terzi soggetti. Oltre il danno la beffa, perché in molti casi sugli stessi è dovuta l’Imu. Il problema è stato risolto, dopo anni di giurisprudenza ambivalente, con il comma 81 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2023, legge 197 del 2022, prevede l’esenzione dal pagamento dell’IMU per gli immobili occupati.

Affinché si possa essere esentati dal pagamento dell’Imu per gli immobili occupati è necessario che si verifichino determinate condizioni Deve trattarsi di immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli articoli 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale.

La norma si applica a partire dal 1° gennaio 2023, restano quindi scoperte le spettanze antecedenti.

Corte costituzionale, per chi ha pagato l’Imu prima del 2023 c’è il rimborso

Interviene quindi la sentenza n° 60 della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, per non aver escluso dall’IMU gli immobili occupati abusivamente per i quali è stata presentata una denuncia tempestiva.

La questione di costituzionalità è stata sollevata dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione per violazione dei principi costituzionali di equità fiscalecapacità contributivaragionevolezza e protezione della proprietà privata.

Grazie alla sentenza è possibile richiedere i rimborsi antecedenti rispetto all’entrata in vigore della legge di bilancio per il 2023.

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Trattamento di fine servizio (TFS), incostituzionale il pagamento differito

Il Trattamento di fine servizio (TFS) per i dipendenti della Pubblica Amministrazione, corrispondente al Trattamento di fine rapporto per i lavoratori dipendenti del settore privato, viene erogato in modalità differita di almeno 2 anni e a rate. Questo differente trattamento ha generato il ricorso alla Corte Costituzionale da parte del sindacato Confsal-Unsa. La Corte Costituzionale nella sentenza 130 del 2023 ha ritenuto incostituzionale il trattamento differito. Ecco cosa può cambiare ora.

TFS (Trattamento di fine servizio) con pagamento ritardato

Quando la Corte Costituzionale sancisce l’incostituzionalità di determinate norme, il legislatore deve dare seguito a tali pronunce e quindi “sostituire” le norme tagliate.

Le norme attualmente in vigore prevedono che il TFS, trattamento di fine servizio per i dipendenti del settore pubblico, sia pagato dall’Inps:

  • entro 105 giorni se il rapporto è cessato per inabilità o decesso;
  • in caso di pensionamento per raggiunti limiti di età, pensione di vecchiaia o scadenza di contratto il pagamento avviene dopo 12 mesi, ma l’Inps può avere ulteriori 3 mesi di tempo;
  • in caso di pensione anticipata (ad esempio quota 103) il pagamento invece avviene dopo 24 mesi differibili a 27 mesi.

Corte Costituzionale, differire il pagamento è incostituzionale

Secondo la Corte costituzionale questo trattamento costituisce violazione delle norme sulla parità di trattamento tra lavoratori del settore privato e lavoratori del settore pubblico. Inoltre, siccome il TFS è una quota di retribuzione del lavoratore accantonata ed erogata al lavoratore in un momento di cambiamento in cui si può avere necessità di maggiori somme, il pagamento ritardato del trattamento di fine servizio contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione.

La Corte stabilisce però che il Parlamento deve adeguare la normativa e parificarla a quella prevista per il settore privato in modo graduale, tenendo in considerazione gli impegni economico finanziari del settore pubblico. Questo vuol dire che chi nei prossimi mesi andrà in pensione nel settore pubblico non potrà avvalersi immediatamente degli effetti di questa sentenza, ma dovrà attendere che il Parlamento modifichi le norme e che le stesse entrino in vigore.

Accertamenti fiscali: i movimenti in conto corrente sono ricavi occulti

Il 24 aprile 2023 c’è stata un’importante pronuncia della Corte di Cassazione inerente i movimenti in conto corrente che, secondo gli ermellini, devono essere considerati ricavi e di conseguenza trattati come tali in sede di accertamenti fiscali.

I movimenti in conto corrente sono ricavi occulti oggetto di accertamenti fiscali

L’Ordinanza 10817 della Corte di cassazione del 24 aprile 2023 sottolinea un importante principio previsto dal nostro legislatore e che può avere conseguenze particolarmente rilevanti per i contribuenti.

L’articolo 32 del Dpr 600 del 1973 stabilisce che i prelevamenti e i versamenti in conto corrente devono essere imputati a ricavi. Di conseguenza in fase di accertamenti fiscali l’Agenzia delle entrate può considerare tassabili tali movimenti in quanto considerati ricavi occulti e costi occulti.

Resta la facoltà da parte del contribuente di dimostrare il contrario. Sottolinea l’ordinanza che in assenza di un divieto espresso, resta in questa materia il principio di libertà dei mezzi di prova, questo vuol dire che il contribuente non è obbligato a fornire una prova scritta o testimoniale inerente la natura dei versamenti per dimostrare che non si tratta di ricavi, ma può fornire qualunque mezzo di prova e può avvalersi anche di presunzioni semplici per dimostrare la diversa natura di tali movimenti di denaro.

Spetterà quindi al giudice un’attenta verifica di tutti gli elementi portati dal contribuente al fine di determinare la disciplina a cui sottoporre tali ricavi.

Naturalmente il giudice non può non avere in considerazione il dettato normativo, il quale stabilisce che quando la prova viene data attraverso indizi o presunzioni, tali elementi devono essere gravi, precisi e concordanti.

Nel caso dei movimenti bancari, il giudice deve avere in considerazione il lasso temporale che caratterizza i versamenti, la loro entità e il contesto complessivo. Il contribuente nel fornire la prova non deve limitarsi ad affermazioni apodittiche, generiche e sommarie, ma deve essere in grado di dimostrare la natura delle somme.

Corte costituzionale: non è incostituzionale ritenere i prelievi costi occulti

Sulla costituzionalità dell’articolo 32 del Dpr 600 del 1973 si era già espressa la Corte Costituzionale con la sentenza 10 del 31 gennaio 2023. In questa sentenza si ribadisce che anche i prelievi sono da considerare indice di evasione, infatti per l’imprenditore devono essere considerati costi occulti relativi all’attività stessa.

La Corte ha ribadito che per i prelievi il decreto legge 193 del 2016 ha posto dei limiti, infatti sono considerati costi occulti solo i prelievi di valore compreso tra 1.000 e 5.000 euro. Il contribuente anche in questo caso può fornire prova contraria e di conseguenza è tutelato dalla arbitrarietà della presunzione legale riconosciuta in favore del Fisco.

Fisco: il contraddittorio preventivo con il contribuente deve essere esteso a tutti i contribuenti

La Corte Costituzionale, con la sentenza 47 del 21 marzo 2023, interviene in merito alla necessità di instaurare un contraddittorio preventivo tra Amministrazione finanziaria e contribuente prima dell’emissione di avvisi di accertamento.

Il contraddittorio preventivo in seguito ad ispezioni e accesso nei locali

L’articolo 12, comma 7, della legge 212 del 2000, o semplicemente Statuto del contribuente, stabilisce che in seguito ad accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali, l’amministrazione finanziaria è tenuta a redigere un verbale delle operazioni compiute e a consegnarlo al contribuente che nell’arco di 60 giorni può produrre osservazioni. Inizia così una fase di contraddittorio preventivo volto ad evitare l’emissione di avvisi di accertamento e quindi a ridurre i motivi di “contrasto” tra contribuente e Fisco.

Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria ritenga di non poter accogliere le osservazioni del contribuente, è tenuta a dare una motivazione rafforzata al provvedimento finale.

La norma però prevede questo particolare contraddittorio solo nel caso in cui ci sia stato un accesso nei locali del contribuente ed esclude lo stesso in tutti gli altri casi. La Commissione tributaria della regione Toscana in merito ha sollevato una questione di legittimità costituzionale per la violazione dell’articolo 3 della Costituzione.

Corte Costituzionale: è auspicabile un intervento del legislatore che renda generalizzato il contraddittorio endoprocedimentale

La Corte Costituzionale ha ritenuto che la norma non sia incostituzionale. Tuttavia ha invitato il legislatore a modificarla alla luce del nuovo esplicarsi di rapporti tra Fisco e contribuente. La Corte Costituzionale sottolinea come nel nostro sistema manchi una norma che renda il contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio, si tratterebbe di un sistema che potrebbe avvicinare il Fisco al contribuente ed evitare numerosi ricorsi che spesso hanno elevati costi e non portano alla riscossione delle somme pretese dall’Erario.

Il contraddittorio preventivo endoprocedimentale è però previsto per fattispecie specifiche, ad esempio articolo 38, comma 7, del Dpr 600 del 1973. Questo, in merito alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, prevede che l’ufficio debba convocare il contribuente e solo in seguito avvii il procedimento di accertamento.

A ciò si aggiunge che l’Unione Europea in merito ai tributi armonizzati prevede in caso di controlli, l’Amministrazione finanziaria debba attivare il contraddittorio.

Alla luce di queste norme frammentarie ma univoche, ritiene la Corte Costituzionale che sarebbe auspicabile prevedere disposizioni che rendano il contraddittorio endo-procedimentale tra Fisco e contribuente un metodo ordinario volto a ridurre il contenzioso e a ottenere una più facile riscossione del tributi effettivamente dovuti.

Secondo la Corte attraverso il contraddittorio si otterrebbe l’ottimizzazione del controllo fiscale, strumentale al buon andamento della Amministrazione stessa.

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Doppia esenzione IMU per coniugi ripristinata dalla Corte Costituzionale

Il giorno 13 ottobre 2022 la Corte Costituzionale ha depositato un’importante sentenza che potrebbe mettere fine alla lunga diatriba sull’esenzione IMU in caso di coniugi con residenza diversa. La stessa secondo la Corte Costituzionale spetterebbe a entrambi i coniugi. Vediamo cosa dice la sentenza 209.

Esenzione IMU per coniugi con diversa residenza

Il caso è quello di due coniugi che hanno due immobili intestati, uno ciascuno, e che richiedano entrambi di usufruire dell’esenzione IMU prevista per la prima casa. La Corte Costituzionale nel riconoscere la doppia esenzione IMU ai coniugi con due diverse residenze parte da un presupposto basilare: la società è in costante mutamento, così che oggi non è infrequente che i coniugi per ragioni lavorative siano purtroppo costretti a vivere in città diverse e si ricongiungono solo in modo saltuario. A ciò si unisce che per coloro che sono parte dell’unione civile o conviventi comunque viene normalmente applicata la doppia esenzione IMU e si verificherebbe una disparità di trattamento nei confronti dei coniugi. Precisa la sentenza che affinché sia riconosciuta la doppia esenzione è necessario che l’immobile costituisca residenza anagrafica e dimora abituale.

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La decisione della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionalecon la sentenza 209 del 13 ottobre 2022 ha decretato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 2, del D.L. n. 201/2011, relativo alla previgente disciplina IMU, nonché del vigente articolo 1, comma 741, lett. b), della legge n. 160/2019 modificato dall’articolo 5-decies del D.L. n. 146/2021 nella parte in cui definiscono come abitazione principale esclusivamente quella in cui dimorano anagraficamente e abitualmente i componenti del nucleo familiare e nella parte in cui statuiscono che nel caso in cui i componenti della famiglia siano residenti in diversi immobili, possa essere applicata una sola agevolazione. Si ritiene che le norme oggetto di dichiarazione di incostituzionalità violino gli articoli:

  • 3 della Costituzione ( principio di uguaglianza);
  • 31 della Costituzione in quanto le norme censurate non agevolano con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia anzi si profila un trattamento deteriore rispetto a quello che viene riservato ai single;
  • infine le norme violerebbero l’articolo 53 della Costituzione in quanto violano il principio della concorrenza alla spesa pubblica in base alla capacità contributiva.

Per evitare l’elusione fiscale non serve riconoscere una sola esenzione IMU: bastano i controlli dei Comuni

Precisa la Corte che le disposizioni valutate come illegittime non trovano giustificazione neanche nell’intento antielusivo, in quanto il rischio di elusione esiste anche per i single e per coloro che sono conviventi di fatto. Inoltre i Comuni hanno tutti i mezzi e le strutture per verificare che nell’abitazione dichiarata come prima casa ai fini IMU ci sia una reale dimora abituale e anagrafica. In poche parole non occorre la doppia imposizione per evitare l’evasione fiscale, basta che i Comuni attuino i dovuti controlli nelle situazioni che possono essere valutate a rischio. La sentenza della Corte Costituzionale deve essere attuata anche ai contenziosi pendenti. a precisarlo è la stessa sentenza.

Renzi e il referendum abrogativo del reddito di cittadinanza. E’ un bluff?

Il fatto che il reddito di cittadinanza non sia ben visto da tutti è cosa nota, ma pochi avrebbero immaginato un tentativo di abolizione, anche perché trattasi di una scelta a dir poco impopolare soprattutto in zone del Paese dove più che in altre è una misura di vero sostegno al reddito e invece l’impensabile è accaduto: Matteo Renzi ha annunciato, per l’ennesima volta, l’inizio della raccolta firme per il referendum abrogativo del reddito di cittadinanza.

Il reddito di cittadinanza disincentiva il lavoro?

Negli ultimi tempi le polemiche contro il reddito di cittadinanza sono molteplici, le stesse vengono soprattutto dalle imprese che cercano personale con qualifiche particolarmente basse e che di conseguenza offrono salari non competitivi. Si tratta soprattutto di ristoratori o comunque aziende operative nel settore del turismo e tra queste non mancano nomi importanti come ad esempio Al Bano.

Critiche al reddito di cittadinanza sono arrivate anche dal Fondo Monetario Internazionale che ha sottolineato come in realtà questo sussidio in alcune parti d’Italia, dove il costo della vita è più basso rispetto ad altre, ad esempio il Meridione, disincentiva le persone a cercare lavoro. Inoltre sottolinea che le misure messe in campo dall’Italia per disincentivare l’abuso, non sono sufficienti. I sostenitori del reddito di cittadinanza, non per forza percettori, sottolineano come in realtà questa misura di sostegno stia aiutando il mondo del lavoro in Italia a uscire dallo sfruttamento, infatti le proposte di lavoro che non trovano sbocchi sono quelle pagate in modo insufficiente e in misura tale da non riuscire ad assicurare una vita dignitosa ( come previsto dalla Costituzione). Analizzando alcune offerte emerge che consentono di ricevere un salario inferiore rispetto a quanto si percepisce con il reddito di cittadinanza.

Agli occhi di chi sostiene tali ragioni le imprese sono incentivate attraverso il reddito di cittadinanza ad offrire condizioni di lavoro eque e dignitose. Sicuramente la scarsità di manovalanza, sta mettendo a rischio la stagione estiva e questo probabilmente potrebbe portare a un aumento dei salari.

Matteo Renzi: dal 15 giugno parte la raccolta firme per il referendum su reddito di cittadinanza

A cavalcare l’onda degli scontenti è Matteo Renzi, leader di Italia Viva, che ha annunciato l’inizio della raccolta firme dal giorno 15 giugno. L’obiettivo è riuscire ad indire un referendum abrogativo del reddito di cittadinanza. Sottolinea Matteo Renzi che in questa proposta c’è il desiderio di cambiare il mondo del lavoro per i più giovani.

La disciplina è prevista nell’articolo 75 della Costituzione.

La procedura prevede che per poter presentare una proposta di referendum debbano essere raccolte 500.000 firme, in alternativa la proposta può essere presentata da 5 consigli regionali. In questo caso sembra che Renzi voglia procedere alla raccolta delle firme tra i cittadini. Strada prevalentemente utilizzata a tale scopo.

Renzi ha annunciato che la raccolta inizierà il 15 giugno, andrà quindi avanti fino al 30 settembre, naturalmente se la proposta avrà molto successo la consegna di tutte le firme raccolte potrà avvenire anche prima, ricordiamo però che a breve ci sarà la sospensione feriale.

Come si svolge il referendum abrogativo?

Fatta questa prima tappa sarà la Corte Costituzionale a doversi esprimere sulla ammissibilità del quesito proposto e a fissare quindi la data dell’eventuale consultazione elettorale. Hanno diritto a partecipare al Referendum abrogativo tutti i cittadini elettori della Camera, quindi coloro che hanno compiuto 18 anni di età e la consultazione è valida se partecipano al voto il “50% + uno” degli aventi diritto. Inoltre l’abrogazione avverrebbe solo nel caso in cui il “50%+ uno” dei votanti si sono espressi in favore della stessa.

Diciamo che nella maggior parte dei casi, coloro che si presentano al voto per i quesiti referendari votano a favore della proposta, quindi l’obiettivo principale in questi casi è raggiungere il quorum. Nel caso in cui tra l’indizione del Referendum e il giorno del voto ci sia una modifica alle stesse norme oggetto di consultazione, il referendum salta. Non è necessario che la modifica vada nella direzione auspicata dai proponenti il referendum, basta una qualunque modifica a tali norme.

Ci sarà il referendum abrogativo del Reddito di Cittadinanza voluto da Matteo Renzi?

Molti si chiedono se avrà successo la richiesta di referendum abrogativo del reddito di cittadinanza proposto da Matteo Renzi, non è facile in questo momento dare una risposta, ma deve essere sottolineato che già un anno fa il leader di Italia Viva aveva lanciato una petizione on line per verificare il sostegno dei cittadini a questa misura e in tal caso la raccolta di adesioni non riuscì ad arrivare alle 5.000 firme.

A questo deve aggiungersi che ormai non c’è tempo per votare un referendum nella prossima primavera in quanto ci sarà la scadenza della legislatura e di conseguenza il primo periodo utile potrebbe slittare fino al 2025.

L’articolo 28 della legge 352 del 1970 stabilisce che “il deposito presso la cancelleria della Corte di Cassazione di tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori deve essere effettuato entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi“.

L’articolo 31 della legge 352 del 1970 stabilisce che non possono essere depositate richieste di referendum abrogativo nell’anno antecedente allo scioglimento delle Camere per fine legislatura (marzo 2023), inoltre le richieste non possono essere depositate nei 6 mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali. Il 2023 salta.

L’articolo 32 della stessa legge “le richieste di referendum devono essere depositate in ciascun anno dal 1° gennaio al 30 settembre”.

Considerando le varie scadenze, la richiesta potrà essere depositata a partire da gennaio 2024  al 30 settembre 2024 e considerando tutte le prassi sarà possibile votare tra metà aprile e giugno 2025. Che sia un modo per dare un colpo al cerchio e uno alla botte tenendo insieme percettori e imprenditori?

Le reazioni del M5S

Intanto non sono mancate le reazioni del M5S che ha fatto del reddito di cittadinanza il suo cavallo di battaglia. I paragoni con Giorgia Meloni sono piuttosto forti e si accusa Renzi di essere forte con i deboli ( percettori di reddito di cittadinanza) e debole con i forti, facendo in questo caso riferimento ai rapporti di affari con l’Arabia Saudita.

Corte Costituzionale boccia la legge Fornero. Sarà più difficile licenziare

Il giorno 19 maggio 2022 la Corte Costituzionale ha posto un’altra censura alla legge Fornero, rendendo di fatto più difficile per le imprese licenziare e andando ad ampliare le tutele dello Statuto dei Lavoratori. La sentenza 125 del 2022 infatti pone una maggiore tutela ai lavoratori.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

La sentenza della Corte Costituzionale va ad incidere sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo, anche conosciuti come licenziamento economico come modificato dalla Legge Fornero ( legge 92 del 2012). Si tratta del caso in cui il datore di lavoro recede unilateralmente dal rapporto di lavoro a causa di una restrizione del personale, ad esempio per esuberi, per crisi aziendale.  Siamo nell’ambito di motivazioni che esulano dal comportamento del lavoratore, quindi non siamo nel caso dei licenziamenti disciplinari, ma è necessaria una riorganizzazione aziendale.

Affinché il licenziamento per giustificati motivi oggettivi sia valido non basta che ci sia una riorganizzazione aziendale, è anche necessario che la figura professionale licenziata non sia più necessaria all’interno dell’azienda, inoltre è previsto l’obbligo di ripescaggio e quindi la possibilità di collocare il lavoratore in mansioni diverse per per le stesse ha capacità e la giusta formazione.

Per conoscere meglio i dettagli dell’obbligo di ripescaggio, leggi l’articolo Obbligo di repechage: i principi a cui deve attenersi il datore di lavoro.

Naturalmente il lavoratore che ritiene non sussistere i giustificati motivi oggettivi per il suo licenziamento e pensa di dover essere collocato in nuova posizione, potrà impugnarlo. La legge Fornero prevedeva che affinché il licenziamento fosse giudicato illegittimo vi dovesse essere la “manifesta insussistenza del fatto” alla base delle motivazioni addotte dal datore di lavoro. Questo per i giudici è un limite perché implica di non poter andare oltre ciò che appare in modo chiaro e lapalissiano, il licenziamento può essere sanzionato solo nel caso anche senza andare oltre l’apparenza emergea immediata la sua illegittimità. Ad esempio, può ritenersi illegittimo il licenziamento se al posto del lavoratore l’azienda assume un altro soggetto impegnato nelle stesse mansioni e con le stesse qualifiche, ma per comportamento dell’azienda più “sofisticati”  è molto più difficile provare la manifesta insussistenza.

La sentenza della Corte Costituzionale: il termine “manifesta” è illegittimo!

Il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato la questione di legittimità dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, così come modificato dalla Legge Fornero. La sentenza della Corte Costituzionale nella sentenza del 19 maggio 2022 è andata a colpire proprio la “manifesta insussistenza del fatto”.

Secondo il giudice costituzionale il requisito della manifesta insussistenza è indeterminato e si presta a incertezze interpretative. Proprio per questo dal testo della norma si censura il termine “manifesta” prima della parola “insussistenza del fatto”, all’interno dell’articolo 18 settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori) così come modificato appunto dalla Legge Fornero. Di conseguenza il giudice nella sua analisi può andare a fondo e valutare la genuinità della scelta del datore di lavoro.

La Corte Costituzionale ribadisce che valutare la sussistenza o insussistenza di un fatto è già un atto gravoso e complesso, andare poi a valutare anche la gradualità di questa insussistenza appare un aggravio irragionevole con una conseguente complicazione sul fronte processuale. Inoltre secondo la Corte Costituzionale vi è un notevole squilibrio tra i fini che si era proposto il legislatore nel riformare la materia – una più equa distribuzione delle tutele con decisioni più rapide e prevedibili –  e i mezzi per ottenere tale risultato.

Le norme violate

La Corte Costituzionale ritiene che richiedere la manifesta insussistenza vada a violare l’articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza) in quanto tale manifesta insussistenza non è richiesta nel caso di licenziamento disciplinare. Inoltre per il lavoratore l’onere probatorio diventerebbe eccessivamente arduo visto che deve provare un fatto dai contorni non definiti e spesso si trova a dover provare fatti che sono fuori dalla sua sfera di conoscenza. La manifesta insussistenza andrebbe a delineare un sistema “marcatamente ed ingiustificatamente sbilanciato in favore del datore di lavoro e, di contro, ingiustificatamente penalizzante per il lavoratore”. Tutto ciò andrebbe a pregiudicare la sua chance di successo in un eventuale giudizio. Si rileva anche la violazione dell’articolo 35 della Costituzione che prevede la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.

Pensione di reversibilità: dalla Corte Costituzionale una novità per i figli dei conviventi

Il 19 aprile 2022 la Corte Costituzionale deposita un’importante sentenza, la n° 100, che riconosce ai figli minorenni nati fuori dal matrimonio, con genitori conviventi o meno, una quota più elevata di reversibilità.

Come funziona la pensione di reversibilità per coniuge e figli

Per capire bene la portata della sentenza è bene partire dalla situazione attuale. La normativa sulla pensione di reversibilità stabilisce che, alla morte di un soggetto, un eventuale coniuge ha diritto al 60% della reversibilità. In presenza di figli di minore età, a costoro si riconosce il diritto al 20% della quota di reversibilità.

Ricordiamo a questo punto che la pensione di reversibilità in seguito a una recente sentenza spetta anche al nipote disabile. Per approfondire, leggi l’articolo: Pensione di reversibilità: la Corte Costituzionale la riconosce ai nipoti

Ora appare ovvio che il figlio di genitori coniugati, oltre ad avere il vantaggio diretto del riconoscimento del diritto al 20% della quota di reversibilità, riceve anche un vantaggio indiretto determinato dal fatto che il suo genitore superstite riceve il 60% della reversibilità del coniuge deceduto, nonché padre del minore.

La Corte Costituzionale con la sentenza n° 100 depositata il 19 aprile 2022 intende porre in essere un atto di giustizia sostanziale.

Il caso

Il caso vede il genitore non coniugato esercente la responsabilità genitoriale proporre ricorso avverso il provvedimento che riconosce al figlio solo la quota del 20% della reversibilità del padre (morto una ventina di giorni prima della nascita del bambino). La quota per i primi anni è stata innalzata al 25% in virtù del beneficio concesso ai dipendenti civili e militari dello Stato. Nel frattempo, alla coniuge separata del padre per i primi anni dal decesso si riconosce il 75% della reversibilità, poi ridotto al 60% ( sempre in virtù del beneficio prima visto).

Il genitore esercente la responsabilità genitoriale propone quindi ricorso, naturalmente INPS e Ministero della Difesa affermano che hanno applicato le quote previste dalla legge.

Il rimettente, cioè il giudice del merito che in questo caso è la Corte dei Conti, sottolinea che la Corte Costituzionale già in altre pronunce ha parificato il figlio di genitori non coniugati a un orfano di entrambi i genitori (sentenza 86 del 2009)

Il rimettente sottolinea che la situazione del figlio nato fuori dal matrimonio deve essere parificata a quella del figlio orfano di entrambi i genitori e, di conseguenza, gli spetterebbe il 70% della quota di reversibilità. La parte però osserva anche che se venisse riconosciuta la quota del 70% al figlio orfano e del 60% al coniuge separato ci sarebbe un superamento della quota del 100%, fatto comunque vietato dall’ art. 13, quarto comma, del r.d.l. n. 636 del 1939, come da ultimo sostituito dall’art. 22 della legge n. 903 del 1965 .

La Corte dei Conti rimettente propone una rideterminazione delle quote tra gli aventi diritto con decurtazione proporzionale delle due quote in modo da raggiungere comunque il 100% dell’assegno pensionistico e non superare tale misura. Suggerisce il 53,85% al figlio superstite e il 46,15 all’ex coniuge.

La sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale sposa a pieno la tesi del ricorrente/rimettente (Corte dei Conti) si ferma però di fronte alla determinazione delle quote che invece è suggerita dalla Corte dei Conti.

Nonostante questa paventata parificazione, i giudici si astengono dal determinare le quote, ma rimandano al legislatore con indicazione di esprimere un’autonoma rideterminazione delle quote avendo come punto di riferimento proprio la stessa sentenza. Infatti se il collegio indicasse anche le quote in modo vincolante, pronuncerebbe una sentenza additiva e andrebbe a invadere il campo che spetta al legislatore con un intervento che definito dalla stessa Corte Costituzionale “manipolativo”.

Proprio per questo invita il legislatore a un tempestivo intervento al fine di colmare una lacuna che compromette i valori costituzionali di solidarietà familiare, ma di fatto dichiara inammissibili le doglianze della Corte dei Conti.

Pensione di reversibilità: la Corte Costituzionale la riconosce ai nipoti

Con un’importante sentenza depositata dalla Corte Costituzionale il 5 aprile 2022 si tutelano i nipoti orfani che perdono i nonni riconoscendo loro il diritto alla pensione di reversibilità. Ecco cosa dice la sentenza.

Le norme costituzionali oggetto di valutazione

Prima di passare al contenuto della sentenza della Corte Costituzionale è bene fare un primo excursus sulle norme che la pronuncia va ad esaminare. L’articolo 38 del DPR 818 del 1957 prevede il diritto alla reversibilità della pensione per figli legittimi o legittimati, i figli adottivi e gli affiliati, quelli naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, quelli nati da precedenti matrimoni dell’altro coniuge nonché i minori regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge.

Agli stessi fini s’intendono equiparati ai genitori gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la matrigna, nonché le persone alle quali l’assicurato fu affidato come esposto.

La Corte Costituzionale con la sentenza 180 del 1999 ha già censurato l’articolo 38 citato nella parte in cui non include tra i soggetti che hanno diritto alla pensione di reversibilità i minori per i quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti. Si tratta in particolare dei nipoti affidati ai nonni e che sono a loro carico anche senza che vi sia stato un provvedimento formale di affidamento. La Corte Costituzionale quindi ritiene che debba essere data prevalenza alla sostanza e non alla forma.

A questa importante pronuncia si unisce quella del 5 aprile 2022, in cui si va oltre e si ritiene che la norma, come formulata, sia incostituzionale in violazione degli articoli  3 e 38 della Costituzione. La violazione sarebbe dovuta al fatto che devono essere equiparati ai minori anche i maggiorenni che siano inabili al lavoro, orfani e viventi a carico degli ascendenti assicurati.

Il ricorso della Corte di Cassazione avverso l’esclusione dei nipoti maggiorenni, inabili e orfani dalla pensione di reversibilità

La questione di legittimità costituzionale della norma in oggetto è stata sollevata dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro con ordinanza dell’8 aprile 2021. La vicenda ha riguardato una giovane, maggiorenne, orfana, incapace di intendere e di volere, non titolare di altri trattamenti economici, che vede negato l’accesso alla pensione di reversibilità del nonno in applicazione della disposizione che riconosce il diritto alla pensione di reversibilità dei nonni solo ai nipoti minorenni.

La Corte di Cassazione nell’introdurre la questione di legittimità sottolinea che l’obiettivo della pensione di reversibilità è la tutela previdenziale finalizzata al perseguimento dell’interesse collettivo alla liberazione di ogni cittadino dallo stato di bisogno. Di conseguenza nella situazione concreta di cui si sta occupando si tratta di applicare la ratio stessa della normativa della reversibilità e assicurare un’esistenza libera e dignitosa a una persona in evidente difficoltà. La Corte di Cassazione va oltre e richiama anche art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, (CEDU) che valorizza il significativo rapporto tra ascendente e nipote suscettibile di tutela.

La decisione della Corte Costituzionale: la pensione di reversibilità spetta anche ai nipoti maggiorenni disabili

La Corte Costituzionale statuisce che l’articolo 38 del DPR 818 è discriminatorio, in quanto viola l’articolo 3 della Costituzione che statuisce il diritto all’uguaglianza formale e sostanziale, l’esclusione dal diritto al godimento della pensione di reversibilità del nipote che sia:

  • orfano ( quindi non ha genitori che possano provvedere alle sue esigenze);
  • inabile al lavoro e quindi non in grado di procurarsi sostentamento;
  • e che sia a carico dei nonni.

Questo anche perché generalmente per tutte le altre prestazioni del welfare il maggiorenne disabile/inabile viene parificato al minore, ad esempio nel caso dell’assegno unico si è visto che i figli che abbiano superato i 21 anni e che abbiano delle disabilità, hanno comunque diritto a percepire l’assegno. Questo è solo uno degli esempi da cui si evince la particolare protezione del nostro sistema per le persone che hanno difficoltà.

A supporto di tale tesi c’è anche il fatto che la pensione di reversibilità dei genitori spetta normalmente ai figli inabili al lavoro anche se maggiorenni, quindi non si vede perché debbano essere fatte differenze nel caso in cui i genitori non siano in vita e il minore di fatto è a carico dell’ascendente di secondo grado, cioè il nonno.

Violazione dell’articolo 38 della Costituzione

La Corte Costituzionale inoltre rinviene nella esclusione dal godimento della pensione di reversibilità per i nipoti maggiorenni, inabili al lavoro e orfani, la violazione dell’articolo 38 della Costituzione che stabilisce: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

Sottolinea la Corte che non basta a giustificare tale discriminazione il fatto che il godimento della pensione di reversibilità in favore dei nipoti minorenni sarebbe limitato nel tempo, mentre includendo i nipoti maggiorenni inabili la prestazione sarebbe dovuta per un tempo astrattamente lungo. Infatti la matrice solidaristica di questo sussidio è prevalente rispetto a tale interesse. La Corte, in una lunga disamina, boccia anche tutti i rilievi fatto dal Presidente del Consiglio dei Ministri difeso dall’Avvocatura di Stato.

Le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo avendo come unico limite le situazioni irreversibili. Questo vuol dire che ora chiunque si trovi nella condizione sanzionata dalla Corte Cotituzionale, potrà trovare tutela.