Segnalazione al CRIF senza preavviso del cattivo pagatore: si può fare?

Se ti sei accorto di essere stato segnalato al CRIF come cattivo pagatore anche senza aver ricevuto alcun preavviso, devi sapere che ci sono dei casi in cui questo è possibile. Ecco quando per la Corte di Cassazione è lecita la segnalazione al CRIF senza preavviso.

Cos’è il CRIF e quali segnalazioni raccoglie

Il CRIF è una società creditizia, la sigla è acronimo di Centrale Rischi Finanziari. Nel CRIF non sono iscritti esclusivamente coloro che risultano essere cattivi pagatori, ma anche i soggetti che hanno in corso dei pagamenti rateali, coloro che chiedono un prestito e un mutuo. In questa centrale sono inoltre registrati i pagamenti effettuati, gli eventuali ritardi e i mancati pagamenti e vuole essere un punto di riferimento per le banche e gli istituti di credito che prima di erogare prestiti, mutui, finanziamenti, possono valutare la solvibilità del richiedente.

Nel caso in cui si verifichi una situazione di effettiva crisi, questa non vi è nel caso di ritardo nel pagamento di una rata, si viene segnalati come cattivi pagatori sia al CRIF e sia alla Centrale Rischi della Banca d’Italia.

Per conoscere i dettagli sul funzionamento della segnalazione al CRIF quindi quando può essere eseguita e i limiti segnalati dalla Corte di cassazione, ti consiglio di leggere gli articoli:

Segnalazione CRIF e alla Centrale Rischi della Banca d’Italia: differenze

e l’articolo Segnalazione Centrale Rischi: cos’è e come funziona

Segnalazione al CRIF senza preavviso del cattivo pagatore

Per capire quando è possibile che non vi sia preavviso della segnalazione è necessario avere in considerazione diverse norme. La prima è generale, si tratta dell’articolo 4 delibera del Garante della privacy n. 8 del 2004 , il quale prevede che in caso di ritardi nei pagamenti, la banca unitamente ai solleciti di pagamenti, può inviare un avviso inerente l’imminente registrazione dei dati sui sistemi di informazione creditizia. I dati possono essere resi noti agli altri partecipanti a tali sistemi (cioè le altre banche che possono accedere a questo grande database) non prima che siano trascorsi 15 giorni dall’invio del preavviso.

Questa norma può però essere considerata di rango inferiore rispetto all’art. 125, comma terzo, del Testo Unico Bancario (TUB), come modificato dall’art. 1 D.Lgs. n. 141 del 2010. Questo infatti prevede che il preavviso di segnalazione come cattivo pagatore al CRIF debba essere fornita dal finanziatore al consumatore. Tale norma è inserita nel TUB, all’interno del capo II del titolo VI, “Credito ai consumatori” , quindi non vi sono dubbi sul fatto che si tratti di una norma specifica per questo particolare segmento di credito e non una norma generale. Infatti dall’ambito di applicazione del capo sono esclusi in modo specifico dall’articolo 122 i finanziamenti destinati all’acquisto e alla conservazione di diritti di proprietà su beni immobili esistenti i progettati e acquisto di terreni.

Ordinanza 39769/2021 sulla segnalazione al CRIF senza preavviso

Dall’applicazione letterale di questa norma fatta da alcuni giudici è emerso che in realtà il preavviso risulta obbligatorio solo nel caso in cui il ritardo nel pagamento o il mancato pagamento sia inerente un rapporto tra la banca e il debitore avente a oggetto un prestito che rientra nelle operazioni di credito al consumo e non negli altri rapporti. Ad esempio, secondo questa interpretazione restritttiva e letterale della norma, nel caso in cui il mancato pagamento sia inerente la rata di un mutuo per l’acquisto di casa, non trattandosi di credito al consumo è legittima la segnalazione al CRIF senza preavviso. Questa interpretazione ha trovato l’appoggio anche dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza, la 39769/2021.

Tale legittimità, in limitati casi, della segnalazione al CRIF senza preavviso non fa però venire meno l’eventuale risarcimento del danno legato a una segnalazione illeggittima che cioè non doveva avvenire. Il risarcimento può essere richiesto anche per il danno all’immagine, ma deve essere provato. Naturalmente la banca che nota mancati pagamenti può inviare in ogni caso il preavviso anche quando non è obbligata limitando così il rischio di richieste di risarcimenti.

Prendere a prestito del denaro, quali diritti e come fare a sapere se si è cattivi pagatori?

Quali sono i diritti che spettano a chi prende in prestito del denaro? Dall’esperienza passata e dalle criticità emerse, ad oggi sono vari i diritti che spettano a chi si indebita. Innanzitutto, l’entità e le condizioni del prestito devono essere riassunte prima dell’avvenuta ricezione del denaro. E, pertanto, prima che il debitore concluda il contratto di prestito, deve ricevere una informativa dettagliata sul prestito. Questo documento di sintesi si chiama Secci.

Recesso del prestito entro 14 giorni dalla sottoscrizione

Chi ha sottoscritto un contratto di prestito ha 14 giorni di tempo per poter recedere. Il recesso avviene senza costi, a parte quelli che sono già maturati. Si tratta degli interessi già maturati per il periodo e delle tasse. Per poter recedere è necessario inoltrare una comunicazione al creditore o finanziatore. In questo caso vanno seguite le indicazioni contenute nel contratto.

Come recedere da un prestito: la somma ricevuta va restituita?

Per poter recedere non serve alcuna motivazione. Inoltre, se al momento del recesso il debitore ha ricevuto il finanziamento, anche in parte, deve restituirlo entro i 30 giorni successivi alla comunicazione del recesso. Il debitore deve corrispondere gli interessi già maturati fino al giorno della restituzione.

Cosa avviene con il credito finalizzato?

Può avvenire che il debitore abbia contratto il prestito per acquistare beni o per ricevere dei servizi. È il caso del credito finalizzato nel quale se il venditore non presta il servizio o non consegna il bene acquistati, il consumatore può sciogliere il contratto che ha fatto con il finanziatore per richiedere il prestito. In alcuni casi è previsto che il debitore possa sciogliere il contratto di finanziamento anche nel caso in cui riceva delle merci difettose. In questo caso, è necessario richiedere per iscritto al venditore la consegna di quanto dovuto.

Richiedere un prestito ed essere buoni o cattivi pagatori

Nel momento in cui ci si rivolge a una società finanziaria per richiedere un prestito, l’operazione può andare a buon fine o meno a seconda del trascorso del richiedente in merito ai prestiti stessi. Vige, cioè, il merito creditizio, ovvero il comportamento del debitori per precedenti prestiti ottenuti. In buona sostanza, dunque, la valutazione del debitore fatta dalla società finanziaria tiene conto:

  • dell’essere stato o meno protestato in passato;
  • essere stato puntuale nel pagamento delle rate dei precedenti prestiti;
  • la mancata restituzione del precedente prestito.

Cosa succede se il debitore non paga le rate del prestito ricevuto?

Se il debitore non paga le rate del finanziamento, il creditore può ricorrere alle varie azioni previste dalla legge per ottenere quanto gli spetti. In questo caso, il creditore può procedere con l’invio dei solleciti formali. In ultima analisi, la società finanziatrice può ricorrere al giudice. Inoltre, il mancato pagamento anche di una delle rate previste dal finanziamento può implicare dei costi maggiori a debito di chi ha richiesto il prestito. In tal caso, il debitore deve corrispondere anche gli interessi di mora che non sono compresi nel Taeg.

Come fare per sapere se si è finiti nella lista dei cattivi pagatori?

In caso di mancato pagamento di quanto dovuto, il debitore finisce inevitabilmente tra i cattivi pagatori. E pertanto si finisce con la segnalazione negativa alla centrale che riporta tutte le situazioni di debiti non rispettati. Come si può fare per sapere se si è finiti nella lista di cattivi pagatori? Innanzitutto si può fare una richiesta all’intermediario finanziario. In alternativa, si può inoltrare la domanda alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. In ultima analisi si può fare richiesta alle centrali rischi private. Si tratta di quelle che vengono chiamate Sistemi di informazioni creditizie (Sic).

Come rivolgersi alle Centrali dei Rischi private?

La Centrale dei Rischi della Banca d’Italia è una base che raccoglie i dati di tutti i cattivi pagatori provenienti da inadempienze verso banche e società finanziaria. I dati, pertanto, riguardano tutti i crediti e le garanzie concessi. Accanto alla Cr della Banca d’Italia, vi sono i Sistemi di informazioni creditizie (Sic) privati. Si tratta di società private come Cerved, Experian, Crif, Assilea, Eurisc, Ctc che gestiscono e archiviano dati sui crediti. Per poter conoscere tali dati ed eventualmente richiederne una rettifica, è necessario presentare domanda diretta al Sistema di informazioni creditizie.

 

Come essere cancellati dal CRIF e dalla banca dati dei cattivi pagatori

Oggi andiamo a vedere cosa vuol dire il termine CRIF e come si può essere rimossi da una situazione di cattivi pagatori che mette piuttosto a disagio ai fini bancari. Lo scopriremo nella rapida, ma esaustiva guida di seguito.

CRIF di cosa si tratta

Con il termine CRIF si rivela l’acronimo di Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria, ed è una società privata che gestisce un sistema di informazioni creditizie, in particolare quelle riguardanti eventuali posizioni debitorie dei soggetti censiti.
In pratica, è un sistema che raccoglie le generalità di chiunque abbia fatto ricorso a forme di finanziamento e a ognuno assegna un punteggio di affidabilità
Ma come si fa per vedere se si è finiti nel CRIF?
Occorre ovviamente, innanzitutto, accedere ad internet, e recarsi all’indirizzo: www.modulorichiesta.crif.com
In questa pagina, occorrerà cliccare sul pulsante “Persona”, il quale lo si può trovare nella parte in basso. Quindi, per sapere se si è segnalati al Crif, nella pagina successiva scegliere le caselle A e D, e quindi cliccare su “Continua”.
Qui, sapremo dunque tutta la verità sulla nostra eventuale posizione.

Banca dati dei cattivi pagatori, cosa vuol dire

Cosa si intende con il finire nella banca dati dei cattivi pagatori? Questa è una domanda centrale per la questione.

cattivi pagatori per dirla in breve sono coloro che in passato non sono riusciti a far fronte al rimborso di una o più rate di un finanziamento così come stabilito nei termini del contratto, per negligenza o per difficoltà nell’assolvere al debito contratto.

Possiamo dire che la principale conseguenza dell’essere annoverato tra i cattivi pagatori è quella di perdere la fiducia delle banche, le quali ovviamente non avranno di che fidarsi per concedere prestiti a chi è risultato moroso in passato.

Una brutta posizione certo, soprattutto se si vuole avviare un mutuo o aprire una nuova attività o fare un leasing.

Come si cancella il debito dei cattivi pagatori

Ovviamente, il nodo della questione sarà capire come estinguere tale posizione da cattivo pagatore e quindi cancellare il debito.

Possiamo dire che la migliore soluzione è quella di rivolgersi direttamente alla banca o all’istituto di credito, per estinguere il proprio debito da cattivi pagatori. Il Crif, infatti, prima di cancellare un nome dall’elenco dei cattivi pagatori, controlla con l’istituto di credito che tutte le posizioni creditizie siano chiuse e in regola.

Un’ altra domanda che ci si pone in merito alla questione del debito da cattivi pagatori è quanto possa durare questa condizione bancaria.

La risposta, in tal senso è presto data. Il tempo massimo è di 36 mesi in caso di prestiti non rimborsati o con morosità gravi. Le tempistiche si intendono a partire dalla comunicazione di avvenuta messa in regola con i pagamenti. Nei casi più gravi di definitivo mancato pagamento, comunque entro 36 mesi il dato viene cancellato.

Quale è il costo per la cancellazione dal CRIF?

Per ottenere la cancellazione su richiesta dal CRIF è previsto un piccolo pagamento di 4 euro con IVA inclusa, qualora la verifica non offrisse alcun esito e non ci sono informazioni sul proprio conto, mentre per la cancellazione vera e propria sono in tutto 10 euro IVA inclusa per cancellare i dati.

Questo, dunque, era quanto di più necessario ed essenziale vi fosse da sapere in merito alla questione della cancellazione del debito, una volta finiti nella banca dati dei cattivi pagatori e nell’occhio del ciclone del CRIF.

Un buon 2015 per i finanziamenti alle imprese

Il 2015 si è chiuso con qualche segnale positivo sul fronte dei finanziamenti alle imprese, trend che ha indotto le aziende a far crescere la domanda di credito. Un andamento confermato dall’ultimo aggiornamento del barometro Crif, secondo il quale il numero di domande di finanziamenti alle imprese presentate dalle aziende italiane (ditte individuali + società) nel quarto trimestre del 2015 è cresciuto dell’8,1% rispetto allo stesso periodo del 2014. Così, l’incremento sull’intero 2015 è stato del 4,5% anno su anno.

Crif rileva come questa performance nell’andamento della richiesta di finanziamenti alle imprese sia la migliore del 2015 e, in termini assoluti, del trimestre che ha fatto segnare il maggior numero di richieste dal 2008.

L’analisi di Crif rileva anche un aumento significativo rispetto ai dati degli anni precedenti, dato indicativo del fatto che la domanda di finanziamenti alle imprese da parte delle aziende italiane non è mai davvero cessata, mentre, segnala Crif, ciò che è mutato è la finalità per la quale le imprese hanno chiesto soldi: dal sostegno all’attività corrente durante i momenti più bui della crisi, al sostegno agli investimenti e allo sviluppo del business negli anni più recenti.

Secondo Simone Capecchi, direttore Predictive Information Solutions di Crif, “l’andamento delle richieste di finanziamento rappresenta un indicatore fondamentale per tastare il polso, in modo tempestivo, alle imprese. Nell’anno appena concluso dopo un primo trimestre all’insegna della prudenza si è assistito ad una progressiva accelerazione della domanda di finanziamento da parte delle imprese italiane, che ha visto l’anno chiudersi con un trimestre da record, che fornisce un’ulteriore conferma del sostanziale miglioramento della fiducia delle imprese”.

Il crowdfunding che spinge l’economia

Quanto abbiamo scritto nei giorni scorsi in merito all’equity crowdfunding, al peer-to-peer lending e al crescente interesse che riscuotono tra gli investitori istituzionali e i semplici “prestatori” di denaro non è un fatto isolato né casuale.

Si tratta infatti di tendenze che sono emerse anche il 29 e il 30 ottobre scorso durante la quarta conferenza annuale della Equity Crowdfunding Network Association (Ecn) tenutasi a Parigi.

All’appuntamento hanno partecipato decine di esperti di diversi Paesi Ue, membri della Commissione Ue e rappresentati di alcune delle più importanti authority europee di vigilanza sui mercati finanziare, tra cui l’italiana Consob. Al centro della due giorni, il futuro e gli sviluppi del mercato europeo del crowdfunding, con un particolare focus sulle normative e sulle leggi che disciplinano la materia, che sono in costante evoluzione.

Ciò che per noi è l’evidenza più interessante emersa dall’assemblea di Parigi è proprio l’interesse crescente e condiviso che suscitano l’equity crowdfunding e il peer-to-peer lending specialmente tra gli investitori professionali, tipicamente i venture capitalist, e gli investitori istituzionali come i grandi fondi privati e le banche.

Si tratta di realtà ampiamente strutturate per aderire a questo tipo di investimenti in crowdfunding, poiché hanno gli strumenti per valutare il bilanciamento tra rischio e opportunità di guadagno. Proprio per questo, dunque, se il loro applicarsi a questa nuova tipologia di investimento diventasse una costante per diversificare il loro portafoglio di business, è facile che l’imprenditoria innovativa e l’economia tutta ne avrebbero giovamento.

Proprio in questo senso vanno gli accordi già in essere tra alcune banche e le piattaforme di lending crowdfunding, in virtù dei quali gli istituti di credito che coinvestono nel crowd completano con un proprio intervento i finanziamenti versati alle Pmi o alle start-up. E spesso non si tratta di somme risibili, dato che la copertura data dalle banche può arrivare anche al 50% della somma totale.

Allo stesso modo, i player dell’equity crowdfunding possono contare su gruppi di venture capitalist e di investitori non istituzionali che, come nel caso delle banche, co-investono insieme agli investitori individuali.

Si tratta di sinergie importanti, che possono davvero aiutare le realtà operanti nel peer-to-peer lending e nel crowdfunding a dare un impulso significativo all’imprenditorialità che, sempre più spesso, è ricchissima di idee ma povera di mezzi.

Crowdfunding e peer-to-peer lending

All’interno dell’articolato mondo del crowdfunding c’è una realtà tutta particolare che, come è d’obbligo in questi casi, ha anch’essa un nome inglese. Si tratta del cosiddetto peer-to-peer lending che, a differenza del crowdfunding classico, è un’offerta di credito online diretta e senza intermediari.

Gli attori sono gli stessi del crowdfunding – imprese, persone o enti che vorrebbero ricevere finanziamenti e investitori interessati a darne – che si muovono però per contatto diretto. Una modalità di raccolta fondi che, nel 2014, ha fatto registrare uno scambio di risorse per 11 miliardi di dollari a livello globale, pari dunque a oltre il 60% del totale del crowdfunding mondiale.

Una crescita importante, visto che nel mondo i volumi del peer-to-peer lending sono più che raddoppiati rispetto al 2013, con casi come quello americano ed europeo (+140%) o quello asiatico (+300%) che impressionano. Per il 2015 si prevede che il peer-to-peer lending possa arrivare a toccare i 34 miliardi di dollari

E nel nostro Paese? Sul fenomeno ha provato a fare luce la ricerca “Peer-to-peer lending: mito o realtà?”, commissionata da CRIF a SDA Bocconi, la quale ha rilevato che, anche se il crowdfunding in Italia sta conoscendo uno sviluppo importante, la componente del peer-to-peer lending è ancora un po’ indietro, con un valore complessivo dei progetti finanziati di poco superiore a 23 milioni di euro.

Nello studio si rileva che, tra il 2007 e il 2014, i volumi del peer-to-peer lending sono aumentati di oltre 40 volte rispetto alla situazione del 2007, così come è cresciuta la percentuale di accettazione delle richieste, dal 10% al 15%.

Ma qual è, in Italia, il profilo del possibile utilizzatore del peer-to-peer lending? Lo studio ha provato a capire anche questo. Intanto, l’assenza di una piattaforma di intermediazione per la raccolta dei fondi fa sì che il grado di fiducia – di trust, come si dice – tra chi offre un progetto e chi è disposto a finanziarlo deve essere molto più alto del consueto. L’identikit del possibile utilizzatore è uomo, con grado di istruzione, alta propensione al rischio e scarso livello di fiducia verso il sistema delle banche.

Invece, il possibile finanziatore di progetti tramite peer-to-peer lending è sempre maschio ma di età medio-bassa, inserito in nuclei famigliari medio-ampi e con una minore propensione a investire se la persona in questione costituisce la fonte principale di reddito familiare. In sostanza, i figli sono più propensi dei padri a finanziare questi progetti.

Quello che è certo è che, anche in Italia, chi usa frequentemente il web ha meno problemi, almeno potenzialmente, ad accostarsi al peer-to-peer lending, specialmente coloro i quali acquistano o vendono frequentemente attraverso siti di e-commerce.

Imprenditori stranieri, qualche cifra

Come stanno messe le imprese italiane guidate da imprenditori stranieri? Una fotografia aggiornata l’ha scattata CRIF, società specializzata in sistemi di informazioni creditizie, business information e soluzioni per la gestione del credito, utilizzando le informazioni del CRIF Information Core per analizzare l’andamento tendenziale e le specificità delle aziende gestite da imprenditori stranieri.

CRIF ha rilevato come in Italia siano quasi 500mila le imprese guidate da imprenditori stranieri, la maggioranza delle quali è costituita da ditte individuali (74,1%), seguite da società di capitali (16,1%) e società di persone (meno del 10%).

CRIF ha anche analizzato le percentuali dei Paesi di provenienza degli imprenditori stranieri, rilevando come la maggior parte di loro arrivi dalla Romania (13,7%), seguita dalla Cina (13,3%), dal Marocco (12,9%) e dall’Albania (7,8%).

Il maggior numero di aziende con a capo imprenditori stranieri si concentra nel Nord-Ovest d’Italia, con una quota pari a circa il 33%. La parte del leone, in questo senso, la fa la Lombardia, che è anche la regione dove è più elevato il grado di penetrazione delle imprese con titolare non italiano rispetto al totale delle imprese attive sul territorio regionale.

La preziosa analisi di CRIF ha anche preso in esame la dimensione e l’età di queste aziende guidate da imprenditori stranieri e ha scoperto che il 93,5% di esse ha meno di 6 dipendenti e che sono in generale molto giovani: il 45,7% di loro è stato costituito dopo il 2011. Il 25,3% è guidato da imprenditrici. Per quanto riguarda i settori merceologici, gli imprenditori stranieri hanno fatto più strada nel commercio al dettaglio (36%), nell’edilizia (27%) e nei servizi (15,7%).

Un aspetto importantissimo analizzato da CRIF è relativo alla situazione degli imprenditori stranieri che provengono da Paesi a maggioranza islamica, i quali hanno spesso a che fare con un tipo di finanza particolare, molto attento alle regole della sharia. Un campo pressoché vergine per l’Italia e ricco di opportunità che meritano di essere esplorate.

Basta qualche numero per capire l’entità del fenomeno. Si stima infatti che l’universo legato ai servizi finanziari islamici gestisca fondi per un valore superiore ai 1.800 miliardi di dollari in più di 65 Paesi e che cresca di circa il 10%-15% all’anno. Nel mondo vi sono circa 360 istituti di credito totalmente islamici e oltre 250 fondi d’investimento spirati dai principi della sharia.

Sempre secondo CRIF, a dicembre 2014 il 36,6% dei titolari di impresa non italiani era costituito da imprenditori stranieri provenienti da Paesi a maggioranza islamica, mentre a ottobre 2014 è stato registrato il top di nuove imprese aperte da titolari provenienti da Paesi a maggioranza islamica, con più di 2mila nuove aperture. I Paesi di maggior provenienza di questi imprenditori sono Marocco, Bangladesh ed Egitto.

Tanto basta per inquadrare il fenomeno degli imprenditori stranieri come qualcosa di cui l’economia del nostro Paese non potrà più fare a meno con il passare degli anni.

Mutui, qualcosa si muove

E pur si muove”, diceva Galileo parlando della Terra. La stessa cosa diciamo noi parlando di un settore, quello dei mutui, che negli anni della crisi ha subito pesanti flessioni, incidendo anche sul pessimo andamento del settore dell’edilizia in Italia.

Secondo Crif (società specializzata in sistemi di informazioni creditizie), a febbraio la domanda di mutui da parte delle famiglie ha subito una robusta impennata: +38,7% rispetto a febbraio 2014, l’aumento più cospicuo dal 2008, anno di inizio della grande crisi.

Un buon dato sicuramente, che però va letto insieme a quello che è l’importo medio dei mutui che le famiglie italiane richiedono alle banche, importo che rimane pressoché identico a quello di febbraio 2014: 124.175 euro (2015) contro 124.088 (2014), distante dai 140.877 del 2010.

E in effetti, guardando alle diverse fasce di importo dei mutui richiesti lo scorso mese, il trend è confermato. Secondo Crif, infatti, la fascia con il maggior numero di richieste di mutui è quella compresa tra i 100 e i 150mila euro (quasi un terzo, il 29,8%), al secondo posto la fascia sotto i 75mila euro (26,6%).

Insomma, i mutui ripartono e si spera che siano in grado di trascinare alla ripresa anche l’intero settore dell’edilizia, ma Crif è ancora cauta, come testimonia il commento alla sua analisi sull’andamento dei mutui in Italia. “Dall’analisi dell’importo medio e delle classi di durata emerge una tendenza delle famiglie, in questa fase del ciclo economico ancora caratterizzata dall’incertezza circa i tempi di uscita dalla crisi, a privilegiare soluzioni di indebitamento a più breve termine e per importi più contenuti nel timore di non riuscire a ripagare regolarmente gli impegni assunti“.

Una mano, in questo senso, la potrebbe dare il Fondo di garanzia per i mutui per la prima casa, istituito presso il ministero dell’Economia e attivo da poco per favorire l’accesso al credito da parte delle famiglie per l’acquisto e l’efficientamento energetico della casa di abitazione. Il fondo, che conta su una dotazione di 650 milioni, offre ai cittadini garanzie per l’accensione di mutui per l’acquisto di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale come prima casa o per l’acquisto e per interventi di ristrutturazione e accrescimento di efficienza energetica della propria abitazione.

Credito per le imprese? C’è ancora fame

Proprio nei giorni in cui Rete Imprese Italia mette in guardia dal rischio di una nuova stretta al credito per le imprese, ecco che, secondo i dati del Barometro Crif (società specializzata nei sistemi di informazioni creditizie, di business information e di supporto decisionale), torna a crescere proprio la domanda di credito: +7,4% nel 2014 sul 2013, con un +0,5% nel quarto trimestre sullo stesso periodo dell’anno precedente.

Secondo l’analisi di Crif relativa al 2014, è evidente un “incremento significativo anche nel confronto con le rilevazioni degli anni precedenti, a conferma del fatto che nel corso di questi difficili anni le imprese non hanno mai smesso di rivolgersi agli istituti per reperire le risorse necessarie a finanziare gli investimenti o, più frequentemente, per sostenere l’attività corrente“. Peccato, però, che il credito per le imprese non sia sempre stato erogato nel modo più consono dalle banche…

In particolare, secondo il Barometro Crif, nel corso del 2014 l’andamento aggregato ha evidenziato come le imprese individuali abbiano fatto segnare un aumento delle domande di finanziamento del +6,6% rispetto al 2013, a fronte di un +7,9% delle società di capitale. Segno che di credito per le imprese c’è sempre fame.

Dall’analisi Crif emerge anche un ridimensionamento dell’importo medio dei finanziamenti richiesti: nel 2014 nell’aggregato di imprese individuali e società, l’importo medio è stato di 69.480 euro contro i 70.633 del 2013 (-1,6%).

A guardare le tipologie di società che hanno richiesto credito per le imprese, si nota che le ditte individuali hanno fatto registrare un importo medio dei finanziamenti richiesti di 34.218 euro (-6,4% rispetto ai 36.563 del 2013), mentre per le società di capitali la cifra è stata di 93.865 euro (in calo del -0,7% rispetto ai 94.499 euro del 2013).

Mutui e rilancio economico, i numeri da cui ripartire

Intervistato nei giorni scorsi, il presidente dell’Ance Buzzetti ha precisato come sia fondamentale per una reale ripresa economica interrompere l’imponente stretta del credito da parte delle banche internazionali. Secondo le ultime stime, a settembre si è consolidata la ripresa della domanda di mutui, in crescita per il terzo mese consecutivo, con un incremento del 7,3% sullo stesso mese del 2012. Parallelamente, ad agosto secondo la Banca d’Italia, i tassi d’interesse, comprensivi di tutte le spese accessorie, sui finanziamenti erogati nel mese alle famiglie per l’acquisto di abitazioni sono stati pari al 3,91% in leggerissimo calo rispetto a luglio (3,96%).

“Nello scorso mese di luglio avevamo rilevato con una certa sorpresa l’inaspettato ritorno al segno positivo per la domanda di mutui da parte delle famiglie dopo 2 anni e mezzo di una crisi che non sembrava avere fine. Oggi, al terzo segno positivo consecutivo sembrano consolidarsi i segnali di ripresa, che portano il dato aggregato relativo al 3° trimestre dell’anno a segnare un incoraggiante +4,3% rispetto al corrispondente periodo del 2012”  ha commentato Simone Capecchi, Direttore Sales & Marketing di CRIF.

Dall’analisi condotta risulta però che l’importo medio dei mutui richiesti nei primi 9 mesi dell’anno è stato pari a 127.685 Euro (contro i 131.576 Euro del pari periodo 2012), confermando un trend in contrazione da quattro anni a questa parte. La strada è ancora lunga e, decisamente, in salita…

 

Jacopo MARCHESANO