Sicurezza sul lavoro: obblighi del lavoratore all’uso dei DPI

I DPI sono dispositivi di Protezione Individuale, si tratta di accessori che i lavoratori devono indossare al fine di prevenire infortuni e di evitare patologie legate alle mansioni svolte sul luogo di lavoro. L’uso dei DPI per il lavoratore costituisce un obbligo, ma quali sono tutti gli obblighi del lavoratore all’uso del DPI?

Sicurezza sul luogo di lavoro: obblighi del datore di lavoro

Nella precedente guida abbiamo delineato gli obblighi del datore di lavoro inerenti i Dispositivi di Protezione Individuale, ma lui non è l’unico soggetto ad avere degli obblighi, infatti anche il lavoratore è tenuto ad adottare accorgimenti il cui obiettivo è migliorare le condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Si è detto che esiste un’ampia gamma di DPI che servono a proteggere organi e ad evitare infortuni, abbiamo sottolineato che i DPI devono essere scelti dal datore di lavoro tenendo in considerazione le peculiarità delle mansioni svolte e le caratteristiche del luogo di lavoro.

I rischi devono essere indicati nel Documento di Valutazione Rischi e in base a questo devono essere forniti i DPI che devono essere a norma. Tra gli obblighi del datore di lavoro vi è anche quello di organizzare corsi di formazione sull’uso dei DPI per i lavoratori. Naturalmente per tenere sotto controllo i rischi connessi alla salute è assolutamente necessario che anche il lavoratore collabori e da qui derivano gli obblighi per il lavoratore nell’uso dei DPI. Gli stessi sono indicati nel decreto legislativo 81 del 2008, in particolare negli articoli 20 e 78.

Per una guida esaustiva sugli obblighi del datore di lavoro inerenti all’uso del DPI, leggi la guida: DPI: i Dispositivi di Protezione Individuale e obblighi del datore di lavoro

Obblighi del lavoratore all’uso dei DPI

In base all’articolo 20 del decreto legislativo 81 del 2008 il lavoratore:

  • deve contribuire a mantenere elevate condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro collaborando con il datore di lavoro con i dirigenti e i preposti;
  • è tenuto a osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro e dai superiori;
  • deve utilizzare i Dispositivi di Protezione Individuale in modo corretto e segnalare le anomalie ai superiori, deve riferire di eventuali inefficienze degli stessi, e deve segnalare qualunque altra situazione di pericolo dovesse verificarsi sul luogo di lavoro;
  • in base all’articolo 20 non deve rimuovere parti dei dispositivi o modificarli. Deve inoltre partecipare ai programmi di formazione messi a disposizione dall’azienda stessa.

Nel caso in cui il lavoratore venga meno a uno di questi obblighi può essere comminata un’ammenda da 200 a 600 euro inoltre è previsto l’arresto fino a un mese.

Obbligo di vigilanza

Deve essere ricordato che gli obblighi del datore di lavoro inerenti l’uso dei DPI non si esaurisce nella consegna degli stessi, infatti deve vigilare affinché gli stessi siano correttamente utilizzati. Nella vigilanza è necessaria che sia adottato il criterio del buon padre di famiglia.

Questo vuol dire che nel caso in cui un lavoratore non usi correttamente i DPI e non segua le indicazioni del datore di lavoro, questo può adottare delle misure di contrasto e in particolare può richiamare verbalmente il lavoratore e nel caso in cui il richiamo verbale non sortisca effetto, può procedere a misure sanzionatorie più rilevanti e in particolare il richiamo scritto, la censura e l’applicazione di sanzioni di tipo pecuniario.

Queste ultime non devono essere confuse con l’ammenda prima vista e che può essere comminata solo dalla pubblica autorità, ciò implica che ci sono due possibili sanzioni a carico dei lavoratori che non dovessero rispettare le disposizioni sull’uso dei DPI. Non solo, come misura finale è possibile attivare anche il licenziamento.

Obblighi del lavoratore all’uso dei DPI: sentenze

E’ bene rammendare che la Corte di Cassazione in alcune sentenze ha sottolineato che esigere il corretto uso dei dispositivi di protezione individuale per il datore di lavoro è un obbligo e che questo deve essere ritenuto garante della correttezza dell’agire del lavoratore.

La Corte di Cassazione  allo stesso tempo ha sottolineato che si può escludere il diritto al risarcimento del danno per il lavoratore che, pur avendo a disposizione i DPI, non li usa correttamente. Nel caso in esame il lavoratore era impegnato nell’installazione di pannelli fotovoltaici in altezza e senza alcuna motivazione ha svincolato l’ancoraggio dell’imbracatura. Da tale comportamento è derivata la caduta da 7 metri di altezza del lavoratore stesso. In appello il tribunale ha condannato il datore di lavoro a un risarcimento di 150.000 euro, ma in Cassazione la sentenza è stata ribaltata perché secondo la Corte lo svincolo dell’ancoraggio rappresenta una condotta anomala, imprevedibile, eccezionale ed abnorme .

Il rigetto della richiesta di risarcimento è basato anche sul fatto che il datore di lavoro non solo aveva fornito i DPI, ma aveva anche perfezionato l’obbligo di formazione per il lavoratore.

Diversa invece la sentenza 19026 del 2017 pronunciata dalla Corte di Cassazione, Sez. Penale. Anche in questo caso l’infortunio è avvenuto nell’applicazione di pannelli fotovoltaici su un capannone all’altezza di 10 metri, ma in questo caso vi è stata condanna e questo perché il datore di lavoro aveva fornito i DPI, ma sul tetto a cui si lavorava non vi erano sistemi di aggancio e di fatto i dispositivi erano inutili, inoltre erano state violate tutte le norme di sicurezza.

DPI: i Dispositivi di Protezione Individuale e obblighi del datore di lavoro

I DPI sono i dispositivi di Protezione Individuale e il datore di lavoro è obbligato a fornirli ai suoi dipendenti. Vedremo in questa guida che vi sono specifici obblighi previsti in capo al datore di lavoro, anticipiamo già da ora che degli obblighi sono anche a carico dei lavoratori, gli stessi saranno trattati a breve.

Cosa sono i DPI e loro classificazione

I Dispositivi di Protezione Individuale sono dei presidi il cui obiettivo è aumentare la sicurezza sul luogo di lavoro, devono essere indossati quando attraverso l’uso di dispositivi di protezione collettiva non è possibile eliminare o ridurre sufficientemente i rischi per la salute dei dipendenti/collaboratori. Sono di diversa natura e specie, ad esempio per chi lavora in altezza o dove vi è il pericolo di caduta di oggetti dall’alto, deve essere utilizzato il casco di protezione, mentre dispositivi per la protezione delle vie respiratorie devono essere usati quando si lavoro con agenti chimici.

I DPI sono classificati tenendo in considerazione le “aree” da proteggere. Sono disponibili DPI per :

  • protezione udito;
  • tutela delle vie respiratorie (polvere, agenti chimici);
  • protezione occhi e viso;
  • piedi, gambe, mani, braccia, pelle, tronco e addome.

In base al decreto legislativo 81 del 2008 devono essere scelti dal datore di lavoro tenendo in considerazione le peculiarità dell’attività che viene svolta e all’ambiente di lavoro, ad esempio se l’attività svolta genera polvere è assolutamente necessario avere una protezione delle vie aeree. Un’altra caratteristica richiesta è la compatibilità tra i vari dispositivi da utilizzare, nel caso concreto può capitare che in una determinata mansione o luogo di lavoro sia necessario indossare due o più dispositivi, gli stessi devono avere caratteristiche tali da non annullare uno l’effetto positivo dell’altro. Infine, i dispositivi devono essere facili da togliere in caso di pericolo.

DPI: classificazione in base al rischio

I DPI sono classificati in base all’entità del rischio da cui devono proteggere. Per il rischio lieve si utilizzano dispositivi di prima categoria, si tratta ad esempio di guanti da giardinaggio, occhiali di protezione per lavori di giardinaggio, questi sono certificati direttamente dal produttore.
I DPI di seconda categoria sono diretti a proteggere da un rischio classificato come significativo, ad esempio ci sono gli occhiali di protezione, in questo caso la conformità alle norme CE deve essere certificata non dal produttore, ma da un organismo di controllo indipendente.

Infine, ci sono i DPI di terza categoria atti a proteggere da danni gravi e permanenti alla salute e dal rischio morte, ad esempio rientrano in questa categoria le protezioni previste per gli addetti al recupero e smaltimento amianto. Anche in questo caso la certificazione del rispetto dei criteri previsti dalle norme UE è affidata a un organismo di controllo autorizzato. Per l’utilizzo di questi Dispositivi di Protezione Individuale deve essere previsto uno specifico addestramento per gli utilizzatori, anche questo è a carico del datore di lavoro.

Disposistivi di Protezione Individuale e obblighi del datore di lavoro

I dispositivi di protezione individuale sono a carico del datore di lavoro (articolo 18 decreto legislativo 81 del 2008) che deve fornire prodotti che abbiano il marchio CE e siano conformi alle normative specifiche previste. Ad esempio per la scelta dei dispositivi di protezione auricolare vige la normativa ENI EN 458:2016, per le vie respiratorie c’è la disciplina UNI EN 529 del 2006.

Le normative non solo stabiliscono i criteri di scelta dei vari DPI, ma indicano anche come devono essere curati in modo che possano mantenere nel tempo inalterate le loro caratteristiche e l’efficienza. Inoltre sono previste date di scadenza dei dispositivi stessi.

Nel caso in cui il datore di lavoro non fornisca DPI, oppure li fornisca ma gli stessi non rispettano le normative, naturalmente incorre in reati e in sanzioni e questo indipendentemente dal fatto che avvenga o meno un sinistro, infatti se dovessero esservi controlli sul luogo di lavoro e dovesse emergere che i dipendenti/collaboratori hanno dispositivi non a norma, comunque viene applicata la sanzione. La normativa prevede in questi casi l’ammenda da un minimo di 1.500 euro e un massimo di 6.000 euro e l’arresto da 2 a 4 mesi.

Competenze del datore di lavoro in merito ai DPI

L’articolo 77 del decreto legislativo 81 del 2008 stabilisce quali sono gli obblighi del datore di lavoro in riferimento ai DPI. In particolare è tenuto non solo a fornirli nel rispetto delle normative, ma anche a:

  • individuare le situazioni in cui i DPI devono essere utilizzati ( ad esempio può essere necessario usarli solo nello svolgimento di determinate operazioni e non per tutta la durata della giornata lavorativa);
  • controllare che gli stessi siano efficienti assicurando al riparazione laddove necessaria;
  • informare i lavoratori sul corretto uso dei DPI, dei rischi che devono evitare/ridurre e addestrare i dipendenti al corretto uso degli stessi.

Quando devono essere usati i Disposuitivi di Protezione Individuale

Per i dipendenti si possono verificare due situazioni, cioè quella in cui i DPI debbano essere utilizzati solo se altre misure di contenimento del rischio non sono sufficienti e quella in cui in realtà è sempre necessario utilizzarli. I settori dove è sempre necessario avere Dispositivi di Protezione individuale sono:

Lavori edili e per ponti, operazioni eseguite nelle vicinanze di particolari macchinari ad esempio escavatori e gru.Devono sempre utilizzati nei lavori per realizzazione di pozzi, fondazioni, cave di pietra, lavori sotterranei, lavori con esplosivi, lavori di smantellamento e demolizioni.

I DPI sono solo una delle misure per aumentare la sicurezza sul luogo di lavoro, per conoscere il complesso delle attività che il datore di lavoro deve svolgere, leggi le guide:

Sicurezza sul luogo di lavoro: la figura del medico competente

Sicurezza sul luogo di lavoro: la figura del RSPP

Lavoro e misure di prevenzione e protezione: doveri dell’azienda

Nel tempo si è data sempre maggiore importanza alla sicurezza sui luoghi di lavoro, sebbene al quadro normativo non sempre sia corrisposto un reale aumento di essa, infatti ancora oggi si sente spesso parlare di morti sul lavoro o infortuni. In linea generale si può dire che il responsabile per la predisposizione di misure di prevenzione e protezione è l’azienda, o semplicemente  il datore di lavoro, ma vedremo nel prosieguo che si tratta in realtà di una responsabilità condivisa con più soggetti che insieme devono cooperare.

Disciplina su misure di prevenzione e protezione

La prima importante normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro è la legge 626 del 1994 che è stata poi abrogata dal decreto legislativo 81 del 2008 che è denominato proprio “Testo Unico sulla Sicurezza sui luoghi di lavoro”, a sua volta integrato dal decreto legislativo 106 del 2009.

La normativa sulle misure di prevenzione e protezione per la sicurezza sui luoghi di lavoro è abbastanza complessa perché molto dipende dalla tipologia delle prestazioni poste in essere dalle aziende, dalla strumentazione utilizzata che può essere più o meno pericolosa e dal numero di dipendenti presenti in azienda. In questa sede ci si occuperà delle linee generali, riservandoci in seguito di entrare nel dettaglio per quanto riguarda le responsabilità, gli obblighi e i doveri dei diversi attori, tra questi ci sono anche i lavoratori, che non sono esenti da doveri al fine di rendere l’ambiente di lavoro sicuro.

Occorre ricordare che spesso il Ministero per le Attività Produttive e del Lavoro mettono a disposizione risorse rivolte soprattutto a Piccole e Medie Imprese, che hanno maggiori difficoltà economiche ad affrontare i costi relativi a misure di prevenzione e protezione sul lavoro, delle risorse specifiche, si può trovare un esempio nel bando ISI INAIL, clicca per avere Maggiori Informazioni.

Il Documento di Valutazione dei Rischi

Il primo obbligo del datore di lavoro è quello di predisporre il Documento di Valutazione dei Rischi, anche chiamato semplicemente DVR, questo è obbligatorio in tutte le aziende che abbiano almeno un dipendente e deve essere naturalmente reso disponibile ai dipendenti, ma anche consegnato a richiesta in caso di controlli e ispezioni. Tra i soggetti che sono obbligati a redigere il Documento di Valutazione dei Rischi vi sono anche gli istituti scolastici, in questo caso l’obbligo ricade sul dirigente scolastico.

Si tratta di un atto essenziale e obbligatorio che deve tenere in considerazione diversi elementi, quindi la tipologia di lavoro che viene svolta in azienda, le mansioni e i rischi specifici legati ad esse, lo stress psicologico a cui può andare incontro il lavoratore, i rischi connessi all’uso di determinati materiali, ad esempio elementi chimici, i rischi relativi all’uso di strumentazioni particolari. Oltre a delineare i rischi deve anche individuare tutti gli accorgimenti ed eventuali dispositivi da utilizzare per ridurre il rischio stesso e quindi per prevenire infortuni e patologie legate al mondo del lavoro.

Chi redige il DVR

Tale relazione oltre a indicare i rischi, deve indicare anche i criteri adottati per ridurli o eliminarli. Può essere redatta dal datore di lavoro in collaborazione con altri soggetti, come:

  • medico competente (articolo 18 d.lgs 81 del 2008 prevede obbligo di nominare un medico competente in tutte le aziende in cui si svolgono mansioni che possono portare malattie professionali o in cui vi è un elevato rischio di sinistri), le sue mansioni sono previste nell’articolo 25 che approfondiremo in seguito;
  • Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, RSPP (ruolo che in alcuni casi può essere ricoperto dal datore di lavoro, a determinate condizioni) e che prevede una formazione specifica che resta un costo a carico del datore di lavoro anche se tale ruolo è svolto da persone diverse rispetto al datore stesso;
  • Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza RLS (figura scelta dai lavoratori).

Dispositivi di sicurezza individuali e collettivi

Tra gli obblighi del datore di lavoro vi è anche quello di organizzare il lavoro in modo che i rischi siano ridotti e in questo caso si distingue tra Dispositivi per la Protezione Individuale  (DPI) e Dispositivi per la Protezione Collettiva (DPC), ad esempio in un locale in cui il rischio incendio è elevato devono essere predisposti tutti i mezzi adatti a ridurre i rischi, come la presenza di estintori, la loro accessibilità e la corretta manutenzione degli stessi. Le impalcature in sicurezza in edilizia sono a loro volta DPC.

 Negli esempi fatti si tratta di dispositivi di sicurezza collettiva, ma l’azienda (datore di lavoro) è obbligata anche a fornire ai lavoratori Dispositivi di Protezione Individuale, gli stessi devono essere conformi alle normative CE e devono essere scelti tenendo in considerazione le mansioni da svolgere, ad esempio caschi per chi lavora in altezza, guanti, scarpe antinfortunistiche, ma anche maschere di protezione con filtri di varia natura in base al tipo di materiale che viene utilizzato. Ad esempio ci sono normative specifiche per coloro che lavorano in ambito farmaceutico o per coloro che sono addetti al recupero e allo smaltimento dell’amianto.

Obbligo di formazione su misure di prevenzione e protezione

Tra gli obblighi del datore di lavoro vi è quello di dare informazioni ai lavoratori sulla corretta gestione della sicurezza sul luogo di lavoro e in caso di necessità predisporre corsi di formazione il cui costo è a carico dell’azienda.  Ad esempio deve fornire informazioni sulle corrette procedure di evacuazione in caso di incendio in azienda, oppure deve illustrare come funzionano i macchinari, come deve essere eseguita la manutenzione ordinaria degli stessi a termine del ciclo di lavoro. Tali informazioni devono essere fornite facendo in modo che siano perfettamente comprensibili a tutti i lavoratori, compresi gli stranieri.

Un’ultima nota deve essere fatta con riguardo al Covid 19, infatti l’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha predisposto per le aziende un documento tecnico per le aziende volto a contenere il rischio di contagio da Covid 19, si tratta di una serie di misure suppletive dirette alle aziende che hanno continuato a essere operative durante il periodo di emergenza e che prevede una serie di indicazioni per valutare il rischio Covid in ambiente lavorativo e predisporre le misure adatte al contenimento del contagio.

Il datore di lavoro può controllare il computer del dipendente?

Il datore di lavoro può controllare il computer dei dipendenti? A fare chiarezza e a rispondere al quesito ha risposto la sentenza della Cassazione (la numero 25732 del 22 settembre 2021) che ha decretato il freno dei controlli “a tappeto” da parte dell’impresa ai dipendenti. Tuttavia, la stessa sentenza stabilisce la possibilità di controllo su un singolo lavoratore nel caso in cui emergesse il fondato sospetto sulla commissione di un illecito.

Quando è ammesso il controllo del pc di un dipendente e in che modo

Pertanto il controllo è ammesso entro determinati limiti. Innanzitutto, per il sospetto di un illecito il datore di lavoro può controllare il pc di un dipendente anche in assenza delle condizioni poste dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Ma devono sussistere anche altre due condizioni. La prima consiste nell’equilibrio tra le esigenze di protezione dei beni dell’impresa e la tutela della dignità personale. La seconda impone che il datore svolga il controllo solo sui dati acquisiti dopo che sia insorto il sospetto di illecito.

Il caso della dipendente che visitando siti privati ha causato l’introduzione di un virus informatico

Le regole, in particolare, trovano applicazione nel controllo a distanza dei lavoratori. Ma deve sussistere il sospetto della commissione di un illecito da parte del lavoratore. La Cassazione, nell’esprimere la propria sentenza, era stata chiamata a esprimersi in merito a una controversia di una Fondazione. Il ricorrente aveva licenziato una dipendente per il danno subito alla rete informatica a causa di un virus. Nel dettaglio, dopo controlli fatti sul pc della dipendente, la Fondazione aveva accertato che il virus era stato innescato nella rete dell’azienda proprio mediante un file che era stato scaricato da portali on line aperti per ragioni non lavorative. Il file era stato trovato nella cartella di “download”.

Dipendente licenziata per aver consultato siti web per finalità private sul posto di lavoro

L’azienda aveva licenziato la dipendente sia per la consultazione di portali web per finalità private, sia per aver causato un danno al patrimonio dell’impresa con il suo comportamento. La lavoratrice, invece, aveva impugnato il licenziamento ed era ricorsa al Garante par la privacy per ottenere un provvedimento che intimasse al datore di lavoro l’interruzione di ogni ulteriore trattamento dei dati personali.

Controlli individuali in azienda e a difesa del patrimonio dell’impresa

Il giudizio, dopo varie vicende giudiziarie, è spettato alla Corte di Cassazione che ha emesso la sentenza rispettando anche le novità apportate all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori dal Jobs Act nel 2015. La Cassazione ha chiarito che è necessario distinguere tra i controlli difensivi svolti per difendere il patrimonio dell’impresa e che riguardano tutti i dipendenti, dai controlli fatti verso un singolo dipendente. I primi rientrano nella disciplina dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori e pertanto devono attenersi alle procedure previste dalla normativa a pena di illegittimità dei controlli stessi.

Controlli su un singolo lavoratore da parte del datore: quando sono possibili?

Nei controlli individuali deve esserci il fondato sospetto che il dipendente stia commettendo un illecito.  Il caso in questione non rientra nell’articolo 4, ma riguarda la responsabilità della lavoratrice. La situazione di fatto nasce dalla necessità del datore di lavoro di sanzionare l’illecito avendo il sospetto della commissione dello stesso. Ciò significa che il datore di lavoro, avendo dei sospetti di un fatto illecito, potrebbe fare controlli a distanza. E che tali controlli potrebbero essere eseguiti anche medianti strumenti tecnologici andando al di là, quindi, delle rigide procedure elencate dallo Statuto dei lavoratori.

I limiti dei controlli dei datori di lavoro

Nella sentenza la Cassazione ha posto, in ogni modo, dei limiti nell’azione di controllo dei datori di lavoro. Il primo consiste nel fatto che gli stessi controlli possono essere svolti solo ex post. Ovvero solo dopo che sia nato il sospetto della commissione di un illecito di uno o più lavoratori. Inoltre, i controlli possono riguardare solo il reperimento di informazioni successive alla nascita del sospetto, e non la totalità dei dati e delle informazioni riguardanti anche i momenti precedenti al sospetto dell’illecito. Al contrario, un datore di lavoro senza limitazioni finirebbe per estendere i controlli a dismisura rispetto alla commissione del singolo illecito.

Controlli del datore di lavoro sui permessi legge 104 del 1992

La legge 104 è di fondamentale importanza per i portatori di handicap e per i loro familiari. Gli ultimi, al fine di svolgere il loro dovere di assistenza nei confronti del congiunto, possono utilizzare i permessi lavorativi della legge 104 del 1992, gli stessi prevedono però dei limiti. Naturalmente in questo settore non sono mancati nel tempo i furbetti che hanno utilizzato i permessi legge 104 per fini personali e diversi dall’assistenza ai familiari. I controlli del datore di lavoro possono però aiutarlo a tutelarsi da comportamenti impropri, ecco cosa può fare senza incorrere in reati.

Utilizzo improprio dei permessi legge 104/1992

I permessi legge 104 del 1992 sono diversi e dipendono dalla situazione concreta del disabile, di sicuro quelli più conosciuti e utilizzati sono i 3 giorni di permessi retribuiti in cui il lavoratore può astenersi dall’attività lavorativa. Questi permessi sono però strettamente correlati all’assistenza del disabile, cioè non possono essere utilizzati per fini personali e in caso di uso improprio sono previste delle sanzioni particolarmente pesanti.

Vuoi conoscere le sanzioni per chi abusa dei permessi legge 104/1992? Leggi l’articolo Lavoro e legge 104: quali sanzioni per chi abusa dei permessi?

I permessi legge 104 possono essere usufruiti da un solo parente, anche se vi sono dei casi in cui è possibile avvalersi dell’assistenza saltuaria. Il soggetto che li usa deve utilizzare il tempo dei permessi per assistenza materiale al disabile, ad esempio per accompagnarlo a visite, alcune sentenze hanno stabilito che non incorre in sanzioni il lavoratore che durante le ore di permesso si rechi a fare commissioni per il disabile, ad esempio si occupi della spesa, vada in farmacia, non deve però allontanarsi dalla città in cui si trova il disabile. Naturalmente il datore di lavoro può avere dei sospetti su un abuso dei permessi per l’assistenza ai disabili, occorre infatti ricordare che mentre si usufruisce degli stessi non ci può essere visita fiscale, come avviene con i dipendenti in malattia, e non c’è obbligo di reperibilità e questo potrebbe portare alcuni dipendenti ad approfittare delal situazione.

Quali sono i poteri di controllo del datore di lavoro sui permessi legge 104?

La prima cosa da sottolineare è che in linea di massima il datore di lavoro non può far pedinare il lavoratore, tanto meno per scoprire cosa fa negli orari in cui è libero dal lavoro, ma la Corte di Cassazione nelle sue sentenze ha ben tollerato una mitigazione di tale principio. In particolare ha sentenziato che nel caso in cui il datore di lavoro abbia il fondato sospetto che i permessi legge 104 siano utilizzati in modo improprio dal lavoratore, il pedinamento è legittimo, ma deve essere svolto esclusivamente negli orari in cui il lavoratore si avvale dei permessi stessi.

Cosa vuol dire legittimo sospetto? Anche in questo caso la Corte di Cassazione è stata abbastanza morbida, infatti anche il semplice fatto che il dipendente usufruisca dei permessi sempre durante il week end, al ridosso di festività o delle vacanze, può avallare l’ipotesi che in realtà i permessi legge 104 siano utilizzati per fini personali e quindi ci sia un abuso.

Il legittimo sospetto può essere sostenuto anche con altri mezzi di prova, ad esempio la giurisprudenza ormai ammette che possano essere utilizzate come prove anche le foto postate sui profili social. Inoltre, è possibile avvalersi della prova testimoniale, ad esempio un collega che affermi di aver visto il dipendente che mentre stava usufruendo di permessi legge 104 era a un party.

Le indagini effettuate dall’investigatore devono comunque svolgersi in modo opportuno e quindi senza ledere la privacy del dipendente.

Sentenze della Corte di Cassazione

Il disvalore sociale dell’abuso dei permessi

I dipendenti che hanno un comportamento scorretto sono sanzionabili con il licenziamento disciplinare, questo perché si tratta di una violazione grave che lede il datore di lavoro che, per consentire al lavoratore di adempiere i suoi doveri di solidarietà familiare deve riorganizzare il proprio lavoro e rinunciare alla produttività di quel dipendente, ma anche a carico della collettività, infatti la retribuzione per i permessi legge 104 del 1992 è a carico dal datore di lavoro ma poi ricade sulle casse dell’INPS e quindi della collettività.

Il disvalore sociale è oggetto di attenzione anche della Corte di Cassazione nella sentenza 8784 del 2015 in cui sottolinea che tale comportamento implica“un disvalore sociale giacché il  lavoratore aveva usufruito di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa”.

La sentenza appare particolarmente gravosa, infatti, non rileva che il dipendente non abbia subito precedenti censure sul luogo di lavoro e che non ci siano altri provvedimenti disciplinari a suo carico. Non rileva neanche il fatto che, a detta del lavoratore, solo una parte delle ore di permesso sia stata utilizzata in modo improprio (per recarsi a una festa) mentre le altre ore erano state utilizzate effettivamente per prestare assistenza. Il disvalore per la Corte è nel semplice abuso perpetrato.

Attenzione ai social

Particolare attenzione deve essere posta perché la Corte di Cassazione, sezione VI, sotto sezione L, nell’ordinanza 2743 del 2019 ha precisato che non rileva neanche la circostanza che il fatto contestato si sia verificato una sola volta perché anche in tal caso il licenziamento disciplinare resta valido. Tra l’altro questa ordinanza è fondamentale perché riguarda proprio l’ipotesi in cui a suffragare la contestazione del datore di lavoro convergevano foto pubblicate su facebook nel giorno in cui il lavoratore doveva prestare assistenza al disabile e le attività investigative commissionate dal datore di lavoro.

Sintesi sui poteri di controllo del datore di lavoro sui permessi legge 104

Il datore di lavoro nel caso in cui il lavoratore abusi o utilizzi in modo improprio i benefici previsti dalla legge 104 e in particolare i permessi di lavoro è sicuramente un soggetto danneggiato. Gli viene quindi data la possibilità di tutelarsi e licenziare il dipendente che durante i permessi non si occupi del disabile. In caso di contestazione del licenziamento può provare il comportamento infedele del lavoratore attraverso:

  • prove documentali (tra cui foto postate sui social);
  • prove testimoniali;
  • indagini condotte da un investigatore privato ( devono svolgersi con particolare attenzione in quanto non possono sfociare nel reato e sono da utilizzare quando vi sia un fondato sospetto di comportamento illegittimo).

Datore di lavoro: obblighi, doveri e diritti

In un rapporto lavorativo, il datore di lavoro è titolare di alcuni diritti, ma allo stesso tempo è tenuto all’adempimento di determinati obblighi o doveri nei confronti del suo dipendente. Scopriamo, qui di seguito, quali sono.

I poteri del datore di lavoro

I diritti del datore di lavoro possono essere catalogati in tre principali categorie: potere direttivo, potere di controllo, poteri disciplinari.

Il potere direttivo consente all’imprenditore di coordinare l’attività svolta dal dipendente in base all’organizzazione aziendale e agli obiettivi dell’azienda stessa.

Esercitando il potere di controllo, il datore di lavoro verifica che il dipendente stia compiendo il proprio lavoro sulla basse delle direttive impartite.

Con il potere disciplinare, l’imprenditore può sanzionare (come previsto dal contratto e dalla legge) il lavoratore che assume una condotta impropria, ossia in contrasto o comunque non in linea con i propri doveri.

Il datore di lavoro deve redigere il codice disciplinare dell’impresa e renderlo noto, attraverso la pubblicazione in vari locali dell’azienda facilmente visibili da tutti i dipendenti. In questo modo, i lavoratori sono al corrente delle regole da seguire e delle sanzioni applicabili in caso di infrazioni e procedure di relative contestazioni.

Le sanzioni sono proporzionate alla gravità del comportamento del lavoratore. Si può partire dal semplice rimprovero verbale per passare a quello scritto, passando per una multa e arrivando fino alla sospensione del lavoro.

Le sanzioni non hanno il potere di modificare il rapporto lavorativo in modo definitivo, ma assumono un carattere conservativo. Tuttavia, in caso di condotta colposa o manchevole da parte del dipendente, il datore di lavoro può decidere di licenziarlo anche se tale comportamento non è previsto dal codice disciplinare.

Potere di controllo del datore di lavoro: i limiti

Nonostante i poteri riconosciuti al datore di lavoro dalla legge, l’applicazione dei medesimi deve rispettare i principi costituzionali. Ad esempio, l’imprenditore non può compromettere il principio di uguaglianza, non può tenere conto della protezione del lavoratore e della garanzia per l’esercizio dei diritti sindacali dello stesso. Il datore di lavoro deve agire sempre nel rispetto dei diritti della dignità e riservatezza del lavoratore.

I limiti del potere di controllo del datore di lavoro sono indicati nello Statuto dei Lavoratori. Sono soggettivi se identificano i soggetti abilitati al controllo, sono oggettivi quando indicano il perimetro entro il quale il potere di controllo può essere esercitato. Ad esempio, le guardie giurate possono essere impiegate soltanto per la tutela del patrimonio aziendale, mentre è vietato farle svolgere un controllo sui lavoratori o sulla loro attività lavorativa.

Restando in tema di limiti oggettivi, è permesso al datore di lavoro di controllare a distanza il dipendente per quanto concerne le esigenze organizzative, produttive di sicurezza e di tutela del patrimonio aziendale.

E’ anche vero, che tale allargamento dei poteri di controllo del datore di lavoro è consentito solo per alcuni tipi di azienda, è il caso dei call-center. Anche sul datore di lavoro gravano tutta una serie di regole di condotta dettate sia dal codice civile che dai contratti o dagli usi. Ad esempio, l’imprenditore è obbligato a fornire una motivazione che sia ritenuta valida per licenziare un lavoratore.

La tutela della vita privata del lavoratore

Il datore di lavoro non può sindacare sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del dipendente. Lo stabilisce lo Statuto dei Lavoratori al fine di evitare eventuali discriminazioni che sono sanzionate, anche penalmente. La legge, infatti, impone al datore di lavoro di adottare qualsiasi misura necessaria a tutelare la personalità morale del prestatore di lavoro.

Il datore di lavoro, infatti, non può indagare su fatti inerenti il lavoratore che non sia rilevanti ai fini professionali. Un’eccezione è prevista: ossia le indagini sulla sieropositività nel caso in cui tale patologia possa incidere sull’idoneità professionale del lavoratore, considerato il rischio di contagio connesso al tipo di mansione che il lavoratore sarebbe chiamato a svolgere.

Sempre in riferimento alla salute del dipendente, è fatto divieto al datore di lavoro di procedere personalmente all’accertamento dell’assenza per malattia o infortunio del lavoratore. In questi casi, può solo avvalersi del controllo effettuato dai medici del Servizio Sanitario Nazionale.

Tutte le visite di controllo sul dipendente non sono ammesse, salvo che siano indispensabili per la tutela del patrimonio aziendale. Il datore di lavoro non può effettuare ispezioni corporali nei confronti dei propri lavoratori. Ispezione, invece, consentita per le cose del lavoratore.

La sicurezza del lavoro

Il datore di lavoro deve garantire un sistema diretto alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, in virtù dei principi costituzionali, in materia di sicurezza sul posto di lavoro.

L’imprenditore deve adottare tutte le misure necessarie ai fini della tutela dell’integrità fisica e morale del lavoratore, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica necessarie. Ciò significa che il datore di lavoro dovrà effettuare una valutazione preventiva dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro della sua azienda.

Tale valutazione deve riguardare tutti i rischi relativi alla sicurezza e alla salute dei lavoratori, tenuto conto della natura dell’attività lavorativa svolta, delle attrezzature di lavoro e del luogo di lavoro.

Non è sufficiente adottare misure preventive solo per evitare gli infortuni. Infatti, il datore di lavoro deve adottare ogni misura necessaria indipendentemente da quelle previste. Egli deve infatti prevenire non soltanto gli infortuni e le malattie sul lavoro, ma anche i rischi derivanti da stress lavorativo, o ancora le ipotesi di mobbing.

Se il datore di lavoro non rispetta a pieno gli obblighi di sicurezza è responsabile contrattualmente. Tuttavia, in tal caso il lavoratore dovrà provare non solo il danno subito ma anche il nesso di casualità: il mancato rispetto delle norme sulle sicurezze, da parte del lavoratore, deve essere la causa concreta dei danni subiti.

Il datore di lavoro è anche tenuto a dotare l’azienda di un modello di organizzazione, gestione e controllo volto ad individuare la ripartizione delle responsabilità dei vertici aziendali e all’indicazione delle condotte da seguire per evitare possibili reati.

Sanzioni lavoro nero per datori di lavoro e lavoratori: guida

Sanzioni per il lavoro nero hanno l’obiettivo di essere un deterrente contro questa pratica molto comune che lede i diritti dei lavoratori non riconoscendo loro diritti basilari, come quello ad una retribuzione equa e le prestazioni del welfare.

Il lavoro nero in Italia

Il fenomeno del lavoro nero in Italia è molto sviluppato, da un’indagine condotta dall’ISTAT emerge che nel solo 2020 vale 79 miliardi di euro, pari a 4,3% del PIL. Si tratta di una vera e propria piaga sociale che ha molti risvolti, infatti vi sono oltre 3 milioni di lavoratori che non hanno alcuna tutela e assistenza. Per il loro lavoro non vengono versati contributi all’INPS e di conseguenza non maturano il diritto a prestazioni assistenziali e pensionistiche, inoltre non vengono versati i contributi INAIL e in caso di infortuni sul lavoro non sono tutelati.

Infine, non deve essere dimenticato che i loro redditi non sono tassati, quindi vi è una perdita per l’Agenzia delle Entrate, inoltre spesso non avendo redditi dichiarati usufruiscono anche di prestazioni a cui non avrebbero diritto, come il Reddito di Cittadinanza. Proprio queste connotazioni hanno portato ad un inasprimento delle sanzioni per il lavoro nero che sono a carico del datore di lavoro, ma spesso anche a carico del lavoratore. Vedremo nel prosieguo entrambe queste prospettive.

Cos’è il lavoro nero

La prima cosa da fare è delimitare il campo di applicazione: si definisce lavoro nero o sommerso/ irregolare quello in cui non vi è un regolare contratto di lavoro e il datore di lavoro non comunica  l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego territorialmente competente. La normativa stabilisce che entro le 24 ore precedenti rispetto al momento in cui il lavoratore deve iniziare a svolgere le sue mansioni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare telematicamente attraverso il modello UNILAV l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego, tale pratica è propedeutica rispetto alle comunicazioni fatte all’INPS e all’INAIL dai centri stessi. Solo in caso di emergenza e forza maggiore è possibile far iniziare il rapporto di lavoro, ma anche in questo caso la comunicazione deve essere eseguita nel più breve termine possibile.

Sanzioni lavoro nero per il datore di lavoro

Cosa succede se il lavoratore non viene regolarmente assunto? In questi casi il datore di lavoro può essere sottoposto a pesanti sanzioni e in alcuni casi anche il lavoratore è sanzionato.

Le sanzioni per il datore di lavoro sono :

  • se il lavoratore ha maturato fino a 30 giorni di lavoro in nero si applica una sanzione pecuniaria minima di 1.800 euro e massima di 10.800 euro;
  • se il lavoratore ha maturato da 31 giorni di lavoro in nero a 60 giorni la sanzione minima è di 3600 euro e la massima di 21.600 euro;
  • nel caso in cui il lavoratore abbia maturato più di 60 giorni effettivi di lavoro nero, la sanzione minima è di 7.200 euro e la massima 43.200 euro.

Questi sono gli importi attuali, prima del 2019 erano più bassi, ma in seguito all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019 (legge 145 del 2018, comma 445, lettera d), tali importi sono stati sottoposti ad aumento. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha anche precisato che tali sanzioni si applicano per le condotte che si realizzano dal 2019, ciò in virtù del principio tempus  regit actum, nel caso di condotte a carattere permanente si applica la disciplina del momento in cui cessa la condotta (circolare 2 del 14 gennaio 2019).

Sanzioni lavoro nero: recidiva

Gli importi visti in precedenza sono raddoppiati in caso di recidiva. Ciò è stato oggetto di precisazione con la nota di approfondimento dell’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) 1148 del 5 febbraio 2019, dove precisa che “le maggiorazioni sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti

La nota sottolinea che la recidiva si verifica quando il datore di lavoro aveva già commesso nei tre anni precedenti un illecito della medesima tipologia e questo sia stato oggetto di un provvedimento sanzionatorio diventato definitivo. La definitività di un atto si ha quando sono trascorsi i termini per l’impugnazione; nel caso in cui il datore di lavoro abbia pagato la sanzione ingiunta, oppure nel caso in cui abbia proposto impugnazione e sia stata emessa una sentenza passata in giudicato. La nota sottolinea anche che l’aumento non si applica nel caso in cui il datore di lavoro abbia sanato la sua posizione, ovvero abbia regolarizzato il lavoratore nei termini previsti dalla legge (120 giorni dalla contestazione dell’illecito), abbia proceduto al pagamento in versione ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981.

Quando il lavoro nero è reato?

Si è parlato fino ad ora di sanzioni di tipo amministrativo, ciò perché generalmente assumere un lavoratore in nero non è reato, vi è però un’eccezione, cioè il caso in cui sia adibito a mansioni di lavoro un clandestino irregolare.

Sanzioni per il lavoratore

Si è detto in precedenza che oltre a poter essere sanzionato il datore di lavoro, in alcuni casi è sanzionato anche il lavoratore. Occorre però fare delle precisazioni, nella materia giuslavoristica si ritiene che il lavoratore sia in una posizione deteriore, cioè in una posizione di subordinazione rispetto al datore di lavoro e di minore potere contrattuale, proprio per questo si tende a proteggere il lavoratore che magari ha accettato per un bisogno economico di lavorare in nero e senza tutele. Il discorso però cambia quando vi è una sorta di concorso tra le parti e quindi nel caso in cui lo stesso lavoratore abbia avuto dei benefici dal lavorare in nero.

Il lavoratore in nero subisce sanzioni nel caso in cui mentre lavora in nero percepisce  sussidi statali pensati per i disoccupati, oppure ottiene i vantaggi legati ad un ISEE basso, ad esempio bonus energia, pagamenti ridotti per tasse universitarie e simili. Infine, sono previste sanzioni per coloro che lavorano in nero e contemporaneamente usufruiscono del reddito di cittadinanza. Le conseguenze per il lavoratore in nero in questi casi sono davvero pesanti, infatti si devono:

  • restituire le somme indebitamente percepite;
  • vi è naturalmente l’interruzione dell’erogazioni delle prestazioni;
  • infine vi è un’incriminazione penale per falso in atto pubblico, truffa ai danni dello stato e indebita percezione di benefici.

Queste sanzioni hanno una mitigazione nel caso in cui il lavoratore percepisca la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’impiego) , in questo caso se lo stipendio erogato nell’arco di un anno è inferiore a 8.000 euro, non si applicano le sanzioni.

A breve seguiranno aggiornamenti su come denunciare il lavoro nero e diritti per i lavoratori

Cosa prevede il nostro ordinamento riguardo le assenze dal lavoro

Le assenze dal lavoro sono tutelate da una normativa che, in materia di lavoro e previdenza, prevede una serie di motivazioni che legittimano l’interruzione temporanea, da parte del lavoratore subordinato, dell’impiego.

Si tratta del diritto alla conservazione del posto di lavoro e della previsione della facoltà del lavoratore di goderne senza possibilità di opposizione da parte del datore di lavoro e la nullità del licenziamento disposto in concomitanza dell’evento stesso.

E’ bene ricordare che il nostro ordinamento non contiene un divieto assoluto di svolgere l’ attività lavorativa durante il periodo di malattia, previa richiesta al lavoratore di una specifica certificazione medica dalla quale risulti la piena idoneità psico-fisica allo svolgimento delle mansioni da svolgere.

L’obbligo del lavoratore di comunicare tempestivamente al datore di lavoro lo stato di malattia e l’indirizzo di reperibilità, qualora diverso dalla residenza o domicilio abituale, al fine consentire gli eventuali controlli medico-fiscali, rimane distinto e preventivo rispetto all’invio telematico della certificazione del medico, in quanto la comunicazione serve a giustificare l’assenza dal lavoro, mentre la certificazione è finalizzata a dimostrare l’esistenza della causa giustificativa.

Da questa circostanza emerge la determinazione dei limiti all’esercizio del potere di controllo da parte del datore e degli enti preposti che andrà valutata con il proprio Consulente del lavoro.

Controversa è la possibilità di poter usufruire dei permessi previsti dalla legge soltanto in capo ad uno dei rapporti di lavoro part-time coesistenti, la facoltà di determinare il periodo temporale di godimento del congedo matrimoniale, la eventuale interruzione della fruizione dei periodi di ferie, congedo parentale o permessi retribuiti in caso di malattia.

C’è poi la questione che riguarda la possibile realizzazione di una più flessibile e “sostenibile” articolazione, “a saldi invariati”, dei periodi di riposo connessi alla tutela della maternità.

Vera MORETTI

Stipendio in nero? Il lavoratore ci paga le tasse

I consulenti del lavoro intervengono in materia di lavoro nero e lo fanno con il parere n. 26 della loro Fondazione Studi. In base a questo parere, se la retribuzione è in nero, non è solo il datore a dover pagare le tasse ma anche il lavoratore. I consulenti del lavoro ricordano come, a una lettura superficiale della giurisprudenza della Cassazionesembrerebbe che il lavoratore resti del tutto estraneo alla tassazione della propria retribuzione, essendo compito esclusivo del datore di assoggettare a ritenuta il relativo importo“. “Tuttavia – sostengono i consulentila Corte di Cassazione in più occasioni ha stabilito che anche il lavoratore è correo, dovendo provvedere ad assoggettare a tassazione la retribuzione percepita pure in assenza di ritenuta da parte del datore, ovvero in caso di pagamenti in nero“. 

Inoltre, secondo la Cassazione, nel caso specifico in oggetto “è errata la conclusione, in punto di diritto, che la contribuente fosse esonerata dall’obbligo fiscale essendovi una norma primaria che impone al datore l’obbligo di effettuare le ritenute e versarle“. La Corte ritiene dunque che “in caso di mancato pagamento della ritenuta d’acconto da parte del lavoratore, il soggetto obbligato al pagamento del tributo sia anche il lavoratore contribuente”.

Secondo la Suprema Corte, l’intervento del sostituto lascia inalterata la posizione del sostituito, che è deve dichiarare i redditi assoggettati a ritenuta, poiché concorrono a formare l’imponibile sulla quale, secondo il criterio di progressività, sarà calcolata l’imposta dovuta, detraendosi da essa la ritenuta subita come anticipazione del prelievo.

Un dipendente rimane a casa per un incidente? Anche al datore di lavoro spetta un risarcimento.

Il datore di lavoro ha diritto al rimborso delle spese erogate al proprio dipendente, a titolo sia retributivo che contributivo, per l’intero periodo di inabilità temporanea durante il quale il lavoratore è rimasto assente dal posto di lavoro a causa delle lesioni riportate in seguito ad un incidente stradale cagionato da un terzo; quest’ultimo, infatti, avendo di fatto impedito al lavoratore di prestare la propria attività lavorativa, ha cagionato un danno anche al datore di lavoro tenuto a pagare comunque il lavoratore, ma pregiudicato nella possibilità di ricevere la prestazione corrispettiva. Il risarcimento sarà a carico del terzo responsabile del fatto illecito ed il relativo diritto si prescriverà in due anni dalla data del sinistro. Questo è quanto stabilito dalla Cassazione civile, sezione III, con la sentenza n. 2844/2010.

fonte: LEGALE-ONLINE.NET