Dichiarazione dei redditi, salta il termine di 30 giorni per l’invio della documentazione

Per chi sta ricevendo in questi giorni lettere di compliance dall’Agenzia delle entrate in cui si invitano i contribuenti a inviare documentazione suppletiva, c’è una buona notizia, infatti si dilatano i termini per adempiere. Ecco entro quanto tempo sarà necessario provvedere.

Chiarimenti e documentazione da inviare entro il 15 settembre 2023

In questi giorni sono numerosi i contribuenti che stanno ricevendo lettere di compliance da parte dell’Agenzia delle entrate. Queste in seguito ai controlli formali effettuati sulle dichiarazioni dei redditi relative al periodo di imposta 2020 e anomalie Isa nel triennio 2019-2021 rilevano la necessità di trasmettere ulteriore documentazione e chiarimenti.

Si tratta di una procedura normale adottata dall’Agenzia delle entrate e mira ad avere un rapporto collaborativo con il contribuente. Ciò che cambia quest’anno è che il contribuente non avrà a disposizione i canonici 30 giorni (come previsto dall’articolo 36 del DPR 600 del 1973) per presentare la documentazione integrativa e i chiarimenti.

Chiarisce infatti il Consiglio nazionale dottori commercialisti ed esperti contabili (CNDEC) con il comunicato n° 92 del 5 luglio 2023 che quest’anno ci sarà tempo fino al giorno 15 settembre.

La novità è stata introdotta in seguito a specifica richiesta del Consiglio in quanto la scadenza di 30 giorni ricade in un periodo critico ricco di adempimenti e in coincidenza con la pausa estiva. Questo mette in difficoltà contribuenti e professionisti e di conseguenza appare opportuno posticipare tale termine al mese di settembre.

Informativa_n._92-2023

Leggi anche: Controllo automatico e formale delle dichiarazioni, alcune precisazioni

Regolarizzare errori delle dichiarazioni senza sanzioni con legge di bilancio 2023

Al fine di fornire supporto alle imprese e ai contribuenti che sono ancora in affanno con le conseguenze dell’emergenza pandemica e del caro energia, con la bozza della manovra di bilancio 2023 si provvede a dettare una serie di norme volte ad agevolare i contribuenti che hanno commesso delle irregolarità nelle dichiarazioni e nei pagamenti. Si tratta di misure diverse rispetto allo stralcio delle cartelle previsto dall’articolo 46. Ecco le diverse opportunità per regolarizzare le dichiarazioni.

Regolarizzare errori materiali nelle dichiarazioni

La prima è prevista dall’articolo 38 della bozza della legge e trova applicazione per le maggiori imposte rilevate in seguito a controllo automatizzato di errori materiali nelle dichiarazioni dei redditi e Iva. Si può ottenere lo “sconto” delle sanzioni per le cartelle per le quali il termine di pagamento non sia ancora scaduto all’entrate in vigore della legge di bilancio 2023 e per quelle recapitate successivamente all’entrata in vigore. La posizione può essere sanata pagando:

  • l’imposta dovuta;
  • interessi e somme aggiuntive ( spese );
  • sanzione al 3%.

L’applicazione di questa agevolazione è limitata alle dichiarazioni inerenti i periodi di imposta in corso al 31 dicembre 2019, 31 dicembre 2020, 31 dicembre 2021.

Nel caso in cui per le imposte viste sia in corso un pagamento rateale la definizione agevolata può essere richiesta per le somme residue, le somme versate prima della definizione agevolata e acquisite dall’erario non sono rimborsabili. Per le rate rimanenti viene riconosciuta la possibilità di estendere il pagamento in un numero di rate maggiore, fino a 20.

Regolarizzare errori formali nelle dichiarazioni

L’articolo 39 permette la definizione agevolata per gli errori formali nelle dichiarazioni Irap, Iva e imposte sui redditi. Per poter essere regolarizzate deve trattarsi di errori che non vanno a incidere sulla determinazione della base imponibile. Rientrano nella definizione agevolata le irregolarità, le infrazioni e le inosservanze commesse fino al 31 ottobre 2022, vi sono però limiti:

  • le violazioni non devono essere già state contestate e diventate definitive ( quindi deve trattarsi di una definizione volontaria);
  • la procedura non può essere utilizzata dai contribuenti per l’emersione di attività finanziarie e patrimoni detenuti all’estero;
  • sono infine escluse dalla regolarizzazione gli atti di contestazione o irrogazione di sanzioni già oggetto di procedura di collaborazione volontaria.

Per regolarizzare la posizione prevede, oltre il pagamento dei tributi anche una somma pari a 200 euro per ogni periodo di imposta a cui si riferiscono le violazioni. Il pagamento può avvenire in due rate di uguale importo entro il 31 marzo 2023 e il 31 marzo 2024.

L’articolo 40 prevede invece la regolarizzazione di violazioni che non rientrano nei due casi precedenti relative a periodi di imposta fino al 31 dicembre 2021. In questo caso per la regolarizzazione è necessario versare 1/18 del minimo edittale previsto per la violazione posta in essere. A ciò si aggiungono gli interessi legali e l’imposta. Il pagamento può essere rateizzato per un numero massimo di rate di 8 e primo versamento entro il 31 marzo 2023. Le successive scadenze sono:

  • 30 giugno;
  • 30 settembre;
  • 20 dicembre;
  • 31 marzo di ciascun anno.

Al mancato rispetto delle scadenze consegue la decadenza dal beneficio.

In caso di liti tributarie pendenti è possibile regolarizzare attraverso la procedura specifica prevista sempre nella legge di bilacio 2023. Puoi leggere l’approfondimento all’articolo:

Liti tributarie pendenti nella legge di bilancio 2023: sconti per la chiusura

Deduzione Irpef per la previdenza complementare, vantaggi e limiti

Continuiamo la disamina degli strumenti che possono consentire un risparmio sull’Irpef parlando delle deduzioni per i versamenti in favore della previdenza complementare.

Previdenza complementare: perché viene agevolato l’accesso ad essa?

Le varie riforme del sistema pensionistico adottate dall’Italia hanno portato nel tempo a una vistosa riduzione dell’assegno di pensione che si può maturare. Proprio per questo il legislatore auspica un sempre più frequente uso della previdenza complementare in modo da integrare l’assegno pensionistico maturato e mantenere l’autosufficienza economica anche dopo aver cessato il lavoro. Tra i sistemi adottati per incentivare il ricorso a forme di previdenza complementare vi sono le deduzioni Irpef.

L’articolo 10 comma 1 lettera e-bis del TUIR stabilisce che sono deducibili ai fini Irpef gli importi versati alle forme pensionistiche complementari. Ricordiamo che la deduzione agisce sulla base imponibile. Sono quindi determinati prima i redditi imponibili, poi alla loro somma sono sottratti gli oneri deducibili. Si ottiene quindi la nuova base imponibile su cui viene calcolata l’imposta. Di conseguenza è come se tali somme non fossero entrate nella disponibilità del contribuente.

Quali sono i fondi complementari che consentono di avere la deduzione Irpef?

In primo luogo è bene chiarire quali sono i fondi complementari che possono accedere alla deduzione. Si tratta di:

  • Fondi pensione negoziali anche denominati fondi chiusi ( si può aderire entro un lasso di tempo):
  • fondi pensione aperti ( si può aderire in qualunque momento):
  • contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziali.

I fondi previdenziali che danno luogo all’agevolazione fiscale possono essere individuali, quindi stipulati dal singolo soggetto, oppure collettivi, ad esempio quelli organizzati per una categoria di lavoratori ( metalmeccanici) a cui i singoli lavoratori possono aderire o meno.

Chi può aderire a forme di previdenza complementare?

Possono aderire alle forme di previdenza complementare i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato. Inoltre possono accedere anche i lavoratori con contratto:

  • di somministrazione;
  • intermittente;
  • ripartito;
  • part time;
  • apprendistato;
  • occasionale;
  • lavoratori a progetto;
  • infine, possono aderire i soci lavoratori di cooperative.

Le forme pensionistiche complementari prevedono la costruzione di una pensione ulteriore rispetto a quella maturata con i contributi versati, attraverso dei versamenti volontari. Al momento dell’accesso al fondo viene aperta una posizione alimentata dai fondi versati e dagli interessi che derivano dagli investimenti eseguiti dal gestore dei fondi. I lavoratori possono alimentare il fondo anche attraverso la devoluzione al fondo stesso del TFR maturato. Non è obbligatorio versare il TFR nel fondo di previdenza complementare, ma se lo si fa, lo stesso non contribuisce a raggiungere la soglia massiam di deduzione che a breve vedremo.

In base alla normativa i lavoratori sono liberi di versare le somme che desiderano in tali fondi. Nel caso in cui aderiscano a fondi collettivi, ad esempio quelli di categoria, i contratti e gli accordi collettivi possono stabilire una contribuzione minima all’alimentazione del fondo. La misura minima può essere fissa oppure può variare in base alla categoria dei lavoratori.

Misura della deduzione Irpef per fondi di previdenza complementare

E’ possibile dedurre dall’imponibile i contributi versati nei fondi pensione che abbiamo visto in misura massima di 5.164,57 euro, quindi è possibile ridurre la base imponibile del relativo importo.

I versamenti superiori contribuiscono ad alimentare il fondo pensione, possono dar luogo a rendimenti maggiori ma non possono essere portati in deduzione al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi e quindi non contribuiscono a ridurre l’Irpef.

Le regole sulla deduzione Irpef per i fondi di previdenza complementare sono in parte diverse per i lavoratori del settore pubblico, infatti per loro la misura massima della quale è possibile avvalersi del vantaggio fiscale è riconosciuta nel minore importo tra il 12% della retribuzione e 5.164,57 euro.

Il risparmio che si può ottenere dipende da diversi fattori, tra cui lo scaglione Irpef nel quale si rientra e gli importi che sono versati al fondo di previdenza complementare. Maggiore è l’aliquota applicata e maggiore è il risparmio di imposta che si può ottenere. Naturalmente nel caso in cui un soggetto sia incapiente e quindi non debba versare l’Irpef, ad esempio se si colloca nella No Tax Area identificata in 8.500 euro, oppure possa far valere altre deduzione e altre detrazioni che vanno ad azzerare gli importi dovuti, il risparmio non matura. In ogni caso avere una forma di previdenza complementare aiuta ad avere un importo pensionistico mensile futuro maggiore.

Altri vantaggi fiscali dell’adesione a un fondo di previdenza complementare

A questo punto è bene ricordare che i vantaggi fiscali derivanti dall’adesione a una forma di previdenza complementare non finiscono qui. La quota di rendita pensionistica, o di capitale, che deriva dai contributi non dedotti fiscalmente è esente dalle imposte. Per poter accedere a tale diritto il contribuente entro il 31 dicembre di ogni anno successivo rispetto a quello in cui ha maturato il beneficio deve comunicare alla forma pensionistica le quote di versamenti per i quali non accede ai benefici fiscali. Ad esempio, per i versamenti dell’anno 2021, entro il 31 dicembre 2022 deve comunicare al gestore del fondo le quote dei versamenti per i quali non ha usufruito delle deduzioni.

Deve essere, infine, sottolineato un ultimo aspetto: è possibile portare in deduzione anche i versamenti alle forme di previdenza complementare effettuati in favore di un proprio familiare fiscalmente a carico. Ad esempio se il coniuge nell’arco dell’anno matura redditi bassi che quindi lo portano ad essere a carico dell’altro coniuge, lo stesso può dedurre versamenti ai fondi pensione dedicati al coniuge con reddito basso.

Ultime informazioni

I contributi versati alle forme di previdenza complementare devono essere indicati nella dichiarazione 730 nel quadro RP.

I rendimenti dei fondi pensione sono però tassati, ma godono di una tassazione agevolata. I rendimenti sono gli incrementi di valore determinati dagli investimenti effettuati dal gestore del fondo. Gli stessi sono tassati al 20% , a differenza dell’aliquota solitamente applicata per i rendimenti finanziari che solitamente è al 26%. Nel caso in cui il fondo preveda investimenti in titoli di Stato, i rendimenti da questi generati sono tassati al 12,5%.

Per maggiore comodità inseriamo gli approfondimenti sulle altre deduzioni e detrazioni che si possono  fare valere in sede di dichiarazione dei redditi.

Detrazioni per spese mediche: quali soni e casi particolari

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Detrazioni fiscali e cessione crediti, quando serve l’attestazione di congruità nei bonus edilizi?

Tra i vari adempimenti che spettano ai contribuenti nel caso di lavori per il superbonus 110% o degli altri bonus edilizi per la detrazione fiscale diretta, per la cessione dei crediti di imposta o per lo sconto in fattura, rientra l’attestazione o l’asseverazione della congruità delle spese sostenute. In vari casi, soprattutto per la detrazione diretta, l’attestazione non è richiesta. Nei casi di cessione del credito di imposta vi sono varie modalità per ottemperare all’adempimento. Ecco, dunque, quando l’attestazione va fatta e per quali bonus e superbonus edilizi l’asseverazione deve seguire specifiche regole fissate dalle norme.

Bonus ristrutturazioni ed ecobonus ordinario, quando serve l’attestazione di congruità delle spese?

Nel caso del bonus ristrutturazione non serve l’attestazione di congruità delle spese se il contribuente utilizza la detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi. Serve invece, dal 12 novembre 2021, il contribuente utilizza la cessione del credito di imposta o lo sconto in fattura l’asseverazione è necessaria. Tuttavia, fanno eccezione i lavori realizzati per un importo inferiore ai 10 mila euro e quelli in edilizia libera. Per l’ecobonus ordinario, invece, serve anche nel caso di detrazione fiscale diretta nella dichiarazione dei redditi. L’obbligatorietà vige alla conclusione degli interventi, per lavori iniziati a partire dal 6 ottobre 2020. L’attestazione è obbligatoria anche per la cessione dei crediti di imposta o per lo sconto in fattura, a eccezione dei lavori entro i 10 mila euro o in edilizia libera.

Ecobonus rientrante nel superbonus 110%, quando serve l’asseverazione di congruità delle spese?

Nel caso di ecobonus rientrante nel superbonus 110%, l’asseverazione di congruità delle spese è obbligatoria per la detrazione fiscale diretta. L’attestazione, in questo caso, rientra nell’asseverazione dei requisiti tecnici e va inviata all’Enea entro i 90 giorni successivi alla conclusione dei lavori. Allo stesso modo è necessario ottemperare all’asseverazione nel caso in cui ci si serva della cessione dei crediti di imposta o dello sconto in fattura. Il termine per l’invio all’Enea è sempre di 90 giorni.

Fonti rinnovabili, impianti di climatizzazione ed eliminazione barriere architettoniche: quando l’attestazione di congruità?

I lavori sulle fonti rinnovabili con installazione o con l’integrazione dell’impianto di climatizzazione e l’abbattimento delle barriere architettoniche presentano adempimenti simili. Nel caso di detrazione diretta nella dichiarazione dei redditi non c’è bisogno dell’attestazione di congruità delle spese. Risulta obbligatoria, invece, nel caso di cessione dei crediti di imposta o di sconto in fattura. L’obbligatorietà vige dal 12 novembre 2021, giorno di entrata in vigore del decreto “Antifrodi”. In entrambi i casi, non si procede con l’asseverazione nel caso di lavori entro i 10 mila euro di importo o per quelli in edilizia libera.

Bonus facciate eco e non eco, quando serve l’attestazione sui costi sostenuti?

Per il bonus facciate non eco ed eco, gli adempimenti divergono. Infatti, l’asseverazione di congruità delle spese serve:

  • per il bonus facciate eco. L’asseverazione va fatta alla conclusione dei lavori, per interventi iniziati dal 6 ottobre 2020, e in caso di detrazione fiscale diretta;
  • non serve per il bonus facciate non eco per la detrazione fiscale diretta;
  • è obbligatoria dal 12 novembre 2021 per il bonus facciate non eco, sia per la cessione dei crediti di imposta che per lo sconto in fattura alla conclusione dei lavori;
  • risulta obbligatoria dal 12 novembre 2021 per il bonus facciate eco in caso di cessione del credito di imposta o di sconto in fattura. L’attestazione di congruità delle spese è contenuta nell’asseverazione tecnica alla conclusione dei lavori.

Sisma bonus ordinario e maggiorato nel 110%, quando serve l’attestazione di congruità delle spese?

L’asseverazione di congruità delle spese sostenute non è necessaria solo nel caso di sisma bonus ordinario per la detrazione diretta nella dichiarazione dei redditi. Nel caso di lavori rientranti nel superbonus 110%, invece, risulta obbligatoria alla conclusione degli interventi di riduzione del rischio sismico. L’attestazione deve essere depositata presso lo Sportello unico dell’edilizia del comune dell’immobile dove sono stati realizzati gli interventi. Tale attestazione non serve se i lavori rientrano nel super sisma bonus acquisti. Per la cessione dei crediti di imposta o per lo sconto in fattura, l’attestazione di congruità delle spese è sempre necessaria. In particolare, per il sisma bonus ordinario è obbligatoria dal 12 novembre scorso ed è contenuta nell’attestazione di riduzione del rischio sismico. L’asseverazione va depositata allo Sportello unico per l’edilizia nel caso di lavori rientranti nel superbonus 110%. I lavori in edilizia libera e quelli entro i 10 mila euro sono esclusi dall’asseverazione.

Impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo, quali adempimenti servono?

Nel caso di lavori inerenti gli impianti del fotovoltaico e i sistemi di accumulo, l’asseverazione di congruità delle spese non serve se il contribuente sceglie la detrazione fiscale diretta nella dichiarazione dei redditi. Risulta invece necessaria dal 12 novembre 2021 per la cessione del credito di imposta. O per l’applicazione dello sconto in fattura, a eccezione dei lavori in edilizia libera o per importi entro i 10 mila euro. Se gli impianti fotovoltaici e i sistemi di accumulo rientrano nel superbonus 110% come lavori trainati, l’asseverazione di congruità delle spese serve anche nel caso di detrazione fiscale diretta. In tal caso, il contribuente deve inviare l’attestazione all’Enea entro i 90 giorni successivi alla conclusione dei lavori. Per lo sconto in fattura o la cessione del credito di imposta è necessario l’invio all’Enea dell’asseverazione di congruità delle spese già contenuta nell’attestazione dei requisiti tecnici. Il termine di invio è di 90 giorni dalla chiusura dei lavori.

Colonnine di ricarica delle auto elettriche, quali asseverazioni servono?

Infine, nel caso di lavori riguardanti le colonnine di ricarica delle auto elettriche, come interventi trainati nel superbonus 110%, l’asseverazione di congruità delle spese è sempre richiesta. In particolare, per la detrazione fiscale diretta nella dichiarazione dei redditi l’attestazione è contenuta all’interno dell’asseverazione dei requisiti tecnici. Nel caso di sconto in fattura o di cessione dei crediti di imposta l’asseverazione deve essere inviata all’Enea prima della comunicazione dell’opzione scelta. In entrambi i casi, l’invio all’Enea deve avvenire entro il termine di 90 giorni dalla conclusione dei lavori.

 

Mascherine e tamponi sono detraibili nella dichiarazione dei redditi?

Mascherine acquistate per difendersi dal contagio da Covid-19 e tamponi per verificare l’eventuale infezione sono detraibili nella dichiarazione dei redditi? E, inoltre, rientrano già nelle spese inserite nel modello precompilato della dichiarazione dei redditi? Ecco quali verifiche sono da farsi.

Mascherine, ce ne sono di vari tipi e non tutte sono detraibili nella dichiarazione dei redditi

Soprattutto nel corso della pandemia, i contribuenti hanno utilizzato più tipi di mascherine, in primis per difendersi dall’infezione da Covid-19. Esistono 3 tipologie di dispositivi:

  • le mascherine lavabili o di comunità;
  • quelle classificate come Dispositivi di protezione individuale (Dpi);
  • le mascherine individuate come dispositivo medico.

Mascherine chirurgiche, Ffp2, lavabili: quali sono detraibili nella dichiarazione dei redditi?

Anche se a norma, tuttavia, non tutte le tipologie di mascherine sono detraibili. Ad esempio, quelle lavabili o di comunità non sono detraibili. Sono considerate come capi di abbigliamento. Sono invece detraibili le mascherine con il marchio “CE” e identificate come dispositivo medico (Dm). Tra queste mascherine si ricordano quelle chirurgiche. Le mascherine Ffp2 o le Ffp3 sono individuate come dispositivi di protezione individuale (Dpi) e non sono detraibili. Hanno stampato il riferimento “EN 149:2009“. Il motivo risiede nel fatto che sono considerate non di uso sanitario. Tuttavia, la regola potrebbe essere rivista dal momento che dette mascherine sono diventate obbligatorie nel corso del 2022, mentre non lo erano nel 2021.

Quali mascherine Ffp2 e Ffp3 sono detraibili nella dichiarazione dei redditi?

Tuttavia, vi sono delle mascherine Ffp2 e Ffp3 che sono detraibili. Si tratta di quei dispositivi che hanno sia la conformità CE che quella Dm (dispositivi medici). In questo caso, il costo sostenuto è detraibile se:

  • nella confezione è individuato anche il richiamo alla normativa relativa ai dispositivi medici (ovvero la direttiva 93/42 CEE o il Regolamento CE numero 745 del 2017);
  • c’è il riferimento EN 14683:2019.

Per la detrazione della spesa delle mascherine è necessario conservare la documentazione attestante la marcatura CE del dispositivo medico.

Tamponi, sono detraibili ai fini della dichiarazione dei redditi?

In molti si chiedono se i tamponi fatti e da fare per verificare l’eventuale contagio da Covid-19 siano detraibili ai fini della dichiarazione dei redditi. Solitamente, alcuni tamponi vengono pagati in contanti, ma la spesa del tampone può essere classificata sia come servizio che come dispositivo medico. In quale caso si può procedere con la detrazione fiscale?

Come si può detrarre la spesa sostenuta per fare il tampone anti-Covid?

È necessario considerare che alcune farmacie identificano il tampone come una prestazione di servizi. Al contrario altre farmacie considerano i tamponi come “fornitura di dispositivi medici e servizi strettamente connessi”. In entrambi i casi c’è l’esenzione dell’Iva, secondo quanto disposto dal comma 452 dell’articolo 1, della legge numero 178 del 2020. Entrambe le tipologie di registrazioni sono potenzialmente detraibili, ma occorre prestare attenzione al modo in cui si paga la prestazione o fornitura di dispositivo medico.

Per detrarre la spesa dei tamponi in farmacia è importante considerare come è stato pagato l’importo

Infatti, se il tampone è individuato come un servizio diventa più prudente il saldo con il pagamento tracciabile. Tale requisito è stato introdotto dalla legge di Bilancio 2020 per le spese detraibili al 19%. Sono considerate modalità di pagamento tracciabili quelle effettuate mediante:

  • il versamento postale, tramite bollettini, Rav e Mav;
  • versamento bancario;
  • carta di credito o di debito;
  • carte prepagate;
  • assegni circolari e bancari;
  • diversi sistemi di pagamento come, ad esempio, il PagoPa.

Detrazione spesa per i tamponi nella dichiarazione dei redditi: cosa controllare sullo scontrino fiscale?

Nel caso di modello precompilato dei redditi viene la spesa viene inviata al Sistema Tessera Sanitaria con il codice AS. Il suddetto sistema consente di mettere a disposizione dell’Agenzia delle entrate tutte le informazioni riguardanti le spese sanitarie pagate dai contribuenti.  Se, invece, la spesa per il tampone viene considerata come dispositivo medico, si può procedere anche con il pagamento in contanti e successivamente detrarre il costo nella dichiarazione dei redditi. In tal caso, sullo scontrino c’è la codifica AD.

 

Bonus casa minori per mobili, elettrodomestici, verde e acqua potabile: cosa sono?

Fino a tutto il 2024 (il 2023 per l’acqua potabile) si può usufruire dei bonus casa minori per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici e per la sistemazione del verde. Le detrazioni fiscali su questi tre bonus variano da un minimo del 36% fino a un massimo del 50% con differenti limiti di spesa. Tuttavia, per poter beneficiare dei bonus, è necessario rispettare determinate condizioni.

Bonus mobili e grandi elettrodomestici, per cosa si può prendere?

La legge di Bilancio 2022 ha prorogato fino a tutto il 2024 la detrazione fiscale spettante per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici. Tuttavia, per poter ottenere il bonus fiscale è necessario aver svolto i lavori per il recupero edilizio previsti dall’articolo 16 bis del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Ovvero che sia stato utilizzato il superbonus. Pertanto, il bonus sull’acquisto dei mobili e dei grandi elettrodomestici è subordinato ai lavori di ristrutturazione edilizia.

Bonus mobili ed elettrodomestici, quali sono le spese ammesse alla detrazione fiscale?

La detrazione fiscale del 50% del bonus mobili e grandi elettrodomestici deve essere ripartita per 10 quote annuali di uguale importo. Si inizia dal periodo di imposta nel quale si è sostenuta la spesa per l’acquisto dei beni oggetto di agevolazione fiscale. Tuttavia è necessario fare attenzione alle caratteristiche dei mobili e soprattutto degli elettrodomestici. Infatti, i grandi elettrodomestici ammessi alla detrazione devono essere di classe a partire dalla A per i forni; dalla classe minima F per i congelatori e per i frigoriferi; dalla classe minima E per le lavatrici, le lavastoviglie e le asciugatrici. L’ammontare della spesa non deve superare i 10.000 euro per gli acquisti effettuati nel 2022; o i 5 mila euro per le spese degli anni 2023 e 2024.

Bonus mobili ed elettrodomestici, come considerare il rapporto con gli interventi di ristrutturazione edilizia?

Specifica attenzione deve essere posta per quanto concerne il momento in cui vengono svolti i lavori oggetto di ristrutturazione edilizia e quello nel quale vengono effettuati gli acquisti. Ad esempio, per gli acquisti di mobili ed elettrodomestici fatti nel 2020, gli interventi di ristrutturazione edilizia devono essere iniziati a decorrere dal 1° gennaio 2019. L’anno di svolgimento degli interventi edilizi diventa anche l’anno di riferimento per i limiti di spesa del bonus mobili ed elettrodomestici dell’anno successivo.

Bonus verde 2022, 2023 e 2024: per cosa si può ottenere la detrazione fiscale?

Fino a tutto il 2024 si può beneficiare della detrazione fiscale prevista del bonus verde. Si tratta di un beneficio fiscale ottenibile per i seguenti interventi:

  • la sistemazione a verde delle aree scoperte private relative a edifici esistenti, a unità immobiliari e pertinenze e recinzioni;
  • alla realizzazione degli impianti di irrigazione o di pozzi;
  • alla costruzione delle coperture a verde o di giardini pensili;
  • alle relative spese di progettazione e di manutenzione.

Quali interventi non beneficiano della detrazione fiscale del bonus verde?

Non sono oggetto di bonus verde, e quindi di detrazione fiscale, i seguenti interventi:

  • la manutenzione ordinaria e quella periodica di giardini già esistenti. L’intervento non comporta innovazioni;
  • gli interventi in economia.

Si possono ottenere i benefici fiscali del bonus verde anche nel caso in cui il contribuente si rivolga a più fornitori per acquistare piante, alberi, arbusti, specie vegetali, cespugli utili a realizzare i lavori. L’intervento sull’area verde deve essere complessivo e comprendere anche i lavori necessari per realizzarlo.

Bonus verde, che tipo di detrazione spetta ai contribuenti?

Sia nel 2022 che nei prossimi due anni, gli interventi sul verde rientranti nel bonus comportano una detrazione fiscale del 36%. Il beneficio fiscale va applicato sulle spese sostenute per un totale di 5 mila euro. La detrazione massima ottenibile è pari dunque a 1.800 euro. È necessaria la tracciabilità dei pagamenti effettuati per ottenere il bonus: vanno bene anche gli assegni bancari, i bonifici ordinari e le carte di credito. La detrazione fiscale deve essere ripartita in 10 quote annuali di uguale importo a partire dall’anno di imposta nella quale si sono sostenute le spese.

Bonus verde, cosa avviene nel caso di detrazione fiscale del condominio?

Il bonus verde è previsto anche nel caso in cui i lavori ammessi al beneficio fiscale siano effettuati all’esterno delle parti comuni di un condominio. In tal caso, la detrazione fiscale va calcolata sulla quota imputabile e versata nei tempi previsti per la dichiarazione dei redditi da ciascun condominio. Risulta sufficiente la detenzione o il possesso dell’immobile oggetto di intervento. Pertanto, oltre al proprietario dell’unità abitativa, beneficiano del bonus verde anche il nudo proprietario, il titolare di un diritto reale di godimento sull’immobile, il locatario, il comodatario, l’imprenditore individuale o la società di persone per i beni che non rientrano tra quelli strumentali.

Bonus acqua potabile, fino a quando si può ottenere l’agevolazione fiscale?

Tra i bonus casa minori c’è da menzionare quello relativo all’acqua potabile. Il bonus fiscale è valido fino al 31 dicembre 2023 per le spese sostenute sull’acquisto di depuratori per l’acqua e per i sistemi di mineralizzazione, di filtraggio, di addizione dell’anidride carbonica alimentare. Si può ottenere la detrazione fiscale anche per i costi sostenute per l’installazione degli strumenti.

Chi può beneficiare del bonus acqua potabile ed entro quali limiti di spesa?

La detrazione fiscale connessa al bonus acqua potabile è pari al 50% delle spese ammissibili. Tuttavia sono previsti due limiti di spesa. Per le persone fisiche il massimo della spesa ammissibile è di 1.000 euro. Il limite deve essere inteso per ogni unità immobiliare. Per i soggetti che svolgono attività di impresa, di arte o di professione e per gli enti non commerciali il massimo della spesa ammissibile è fissato a 5 mila euro. In tal caso l’immobile deve essere adibito all’attività professionale o istituzionale.

 

Credito di imposta superbonus e bonus edilizi, più giorni per cederlo

Più operazioni di cessione del credito di imposta o di sconto in fattura derivanti dalle agevolazioni fiscali legate al superbonus 110% e agli altri bonus edilizi. È quanto ha spiegato l’Agenzia delle entrate che è intervenuta nel merito della scadenza del periodo transitorio che sarebbe dovuto finire il 6 febbraio 2022. Ci saranno 10 giorni di tempo in più per la cessione dei crediti di imposta con le vecchie regole: si potrà fare una cessione del credito di imposta in più fino al 16 febbraio 2022, prima della stretta operata dal decreto “Sostegni ter”.

Cessione dei crediti di imposta da superbonus 110% e altri bonus edilizi: la proroga al 16 febbraio 2022

Ci saranno dunque dieci giorni in più per il periodo transitorio della cessione dei crediti di imposta. E le operazioni potranno essere fatte con la nuova piattaforma messa a disposizione dall’Agenzia delle entrate per la comunicazione della scelta dell’opzione, entrata in funzione dalla giornata di oggi, 4 febbraio 2022. A intervenire sulla proroga del vecchio regime di cessione dei crediti di imposta è stata la stessa Agenzia delle entrate nelle Faq pubblicate sul proprio portale.

Interventi edilizi con possibilità di beneficio fiscale: non serve l’asseverazione dei costi

Tra le novità elencate dall’Agenzia delle entrate anche la corretta applicazione della disciplina relativa alle asseverazioni dei lavori in edilizia libera e per gli interventi entro i 10 mila euro di importi. Per questi lavori non serve l’asseverazione della congruità dei costi, ma con la nuova piattaforma dell’Agenzia delle entrate è possibile procedere con la comunicazione della scelta dello sconto in fattura o della cessione del credito di imposta. L’assenza di asseverazione rientra tra gli obiettivi di semplificazione delle procedure per i piccoli lavori.

Interventi in edilizia libera o per importi fino a 10 mila euro: come fare la comunicazione?

La comunicazione della scelta della cessione dei crediti di imposta o dello sconto in fattura per gli interventi in edilizia libera (per interventi con importi fino a 10 mila euro dei lavori è facile prevederne il costo) segue una procedura specifica. Nel dettaglio, è previsto che si barri l’apposita casella del quadro A del modello. La scelta mira a indicare gli gli interventi in oggetti siano quelli classificati in edilizia libera ai sensi del Testo unico per l’edilizia (decreto del Presidente della Repubblica numero 380 del 2001) ma anche del decreto ministeriale del 2 marzo 2018.

Cessione credito di imposta superbonus 110% e bonus facciate: bisogna barrare la casella del quadro A?

La casella non deve essere barrata nel caso si tratti di interventi rientranti nel superbonus 110% e nel bonus facciate. Anche se classificabili come interventi in edilizia libera, la procedura per le due misure fiscali segue altre indicazioni.

Superbonus 110% e bonus facciate, come comunicare l’opzione della cessione del credito di imposta?

Per le cessioni del credito di imposta relativo agli interventi rientranti nei bonus maggiori (superbonus 110% e bonus facciate, ad esempio), il regime transitorio terminerà il giorno 16 febbraio 2022. I crediti di imposta potranno dunque essere comunicati all’Agenzia delle entrate entro tale termine, oltre al quale si potrà effettuare una sola e unica operazione ulteriore di cessione.

Quante cessioni può fare un contribuente sul credito di imposta nel superbonus 110%?

È il caso di un contribuente che abbia fatto una cessione del credito di imposta in superbonus 110% il giorno 28 gennaio scorso. Ovvero dopo l’entrata in vigore del decreto “Sostegni ter”. L’interessato potrà fare fare un’ulteriore cessione entro il 16 febbraio 2022, con comunicazione relativa all’Agenzia delle entrate.

Ulteriori chiarimenti per i bonus in arrivo: l’eliminazione delle barriere architettoniche

Vari chiarimenti sono arrivati dall’Agenzia delle entrate per gli altri bonus validi nel 2022. Per quello relativo all’eliminazione delle barriere architettoniche con il 75% di detrazione fiscale. Il bonus è valido per tutto il 2022. Dalle indicazioni fornite, si potranno comunicare i relativi interventi all’Agenzia delle entrate. A partire dal 24 febbraio prossimo, infatti, si potrà procedere in via telematica con la comunicazione dell’opzione di scelta per questi lavori. Ovvero con la scelta tra cessione del credito di imposta e sconto in fattura.

Dichiarazione dei redditi 2022 con spese relative al superbonus 110%: più tempo per la comunicazione

Ulteriore novità derivante dai chiarimenti dell’Agenzia delle entrate riguarda la dichiarazione dei redditi 2022. I relativi modelli precompilati saranno disponibili dal 30 aprile prossimo. Il contribuente avrà più giorni di tempo per trasmettere le comunicazioni all’Agenzia delle entrate di cessione di credito di imposta o di sconto in fattura. Le comunicazioni, infatti, dovranno essere inviate entro il 7 aprile prossimo e non più entro il 16 marzo 2022.

 

Contributi previdenziali Casse professionali: tutte le aliquote e i nuovi aumenti

Continuano i ritocchi sui contributi previdenziali delle Casse professionali. Aumenti sono registrati per i medici, gli odontoiatri, i giornalisti e i veterinari. Per i geometri e i periti industriali, l’integrativo è al 5% per le commesse fatte a favore della Pubblica amministrazione. Ecco tutte le percentuali dei contributi, il contributivo integrativo e la quota di maternità (quasi sempre fissa) inerenti la dichiarazione dei redditi del 2021 per compensi maturati nel 2020.

Dichiarazione redditi 2021, a chi sono aumentati i contributi? I giornalisti dell’Inpgi

I contributi calcolati sul reddito netto dei professionisti del 2020 sono in aumento per gli odontoiatri, i medici, i giornalisti e i veterinari. I contributi integrativi, invece, quest’anno sono aumentati per i soli giornalisti. Nel dettaglio, i giornalisti iscritti all’Inpgi, l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani, pagano:

  • un contributo soggettivo del 12% sul reddito professionale netto fino al limite di 24 mila euro;
  • per redditi oltre i 24 mila euro la percentuale sale al 14%;
  • il contributo integrativo del 4% del reddito lordo;
  • a scelta del professionista il contributo aggiuntivo di almeno il 5% sul reddito netto.

Il modello di reddito GS/2021 deve essere inviato in via telematica entro il 30 settembre 2021.

Contributi previdenziali di avvocati e consulenti del lavoro

Gli avvocati iscritti alla Cassa Forense pagano il contributo soggettivo sul reddito della propria professione aumentato dal 14,5% al 15%. L’aumento tuttavia è in vigore dal 1° gennaio 2021, pertanto per la dichiarazione dei redditi da presentare entro il 30 settembre 2021 la percentuale è ancora del 14,5%. In più gli avvocati pagano un contributo soggettivo del 3% sul reddito netto e un integrativo del 4% sul volume di affari. Per i consulenti del lavoro, il contributo soggettivo è del 12% sul reddito netto e l’integrativo del 4%.

Dichiarazione redditi di commercialisti e notai

Per i commercialisti il contributo soggettivo varia dal 12% al 100% del reddito netto, l’integrativo è del 4%. La Cassa dei Ragionieri e Periti commerciali (esperti contabili) applica un soggettivo dal 15 al 25%, un soggettivo supplementare dello 0,75% e un integrativo sul volume di affari del 4%. I notai iscritti alla Cassa nazionale del Notariato, versano il 22% del valore del repertorio notarile del mese precedente per atti del valore negoziale fino a 37 mila euro. Tutti gli altri atti hanno una percentuale del 42%.

Medici e odontoiatri, quanto pagano di contributi previdenziali alle Casse?

Per i medici e gli odontoiatri iscritti all’Enpam, il contributo sulla quota A è fisso in base all’età. Il contributo sulla quota B è del 19,5% sul reddito professionale netto (lo scorso anno era del 18,5%). Oltre il limite dei 103.0555 euro di reddito annuo, la quota B sull’incremento è pari all’1%. Per gli attuari, i chimici e i fisici, i dottori agronomi e forestali, e i geologi iscritti all’Epap, il contributo soggettivo è del 10% sul reddito netto fino a 103.055 euro all’anno, sull’eccedenza si paga il contributo di solidarietà dello 0,2%. È prevista la percentuale integrativa del 2% sul volume di affari mentre il contributo maternità è fisso.

Agrotecnici, periti agrari e biologi: quanto pagano di contributi previdenziali?

Gli agrotecnici e i periti agrari iscritti alla Fondazione Enpaia (Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura), versano il contributo soggettivo pari al 10% sul reddito professionale netto. Cambia il contributo integrativo che è del 2% per gli agrotecnici e dal 2% al 5% per i periti agrari. Per entrambe le categorie il contributo di maternità è fisso. I biologi, iscritti all’Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei Biologi, il contributo soggettivo è del 15% sul reddito netto della professione, mentre l’integrativo è del 4% sul volume di affari. Dal 1° luglio 2019 il 4% si paga anche sulle prestazioni a favore della Pubblica amministrazione.

Farmacisti, infermieri, psicologi e veterinari: quanto pagano alla dichiarazione dei redditi?

Per i farmacisti iscritti all’Enpaf sono previsti i contributi previdenziali e assistenziali fissi per il 2021. Diversamente gli infermieri dell’Enpapi, versano un contributo soggettivo del 16% sul reddito netto e un integrativo del 4% (anche sulle prestazioni verso la Pubblica amministrazione dal 16 maggio 2019). Per gli psicologi iscritti all’Enpap il contributo soggettivo è del 10% sul reddito netto, l’integrativo del 2% sul volume di affari. Resta fisso il contributo di maternità. Per i veterinari dell’Enpav, il contributo soggettivo è del 15,5% sul reddito netto fino a 95.150 euro (sullo scaglione più alto è del 3%). È previsto un integrativo sul volume di affari del 2% e un contributo di maternità fisso.

Geometri, ingegneri, architetti e periti industriali: contributo soggettivo e integrativo

I geometri iscritti alla Cassa italiana di previdenza e assistenza Geometri liberi professionisti (Cipag) versano un contributo soggettivo del 18% sul reddito netto fino a 156.800 euro. Per redditi oltre la soglia è previsto un contributo soggettivo del 3,5%. Il contributo integrativo è del 5% sul volume di affari, del 4% nel caso in cui si tratta di lavori fatti per la Pubblica amministrazione. per gli ingegneri e gli architetti il contributo soggettivo è del 14,5% sul reddito netto, con un contributo integrativo del 4% calcolato sul volume di affari. Per i periti industriali iscritti all’Eppi, Ente di previdenza dei periti industriali e periti industriali laureati, il contributo soggettivo è del 18%, da calcolare sul reddito netto. Il contributo integrativo è del 5% sul volume di affari. La percentuale è salita dal 25 febbraio 2019 dal 2% al 5% anche per lavori fatti per la Pubblica amministrazione.

 

Modello Redditi PF correttivo, quando si usa ed entro quando?

Molti si chiedono quando si usa il modello reddito PF correttivo, ma soprattutto quali sono i tempi per effettuarlo, a rimedio del Modello Redditi precedente. Oggi, andremo a scoprire insieme come dare risposta a queste e ad altre domande inerenti il Modello Redditi PF correttivo.

Modello Redditi PF correttivo: che cosa è

Innanzitutto iniziamo doverosamente col precisare che il modello redditi PF (ovvero Persone Fisiche) correttivo serve a sostituire e quindi correggere un modello redditi precedentemente inviato. Quindi un qualcosa che serve anche ad annullare il 730 inviato e presentare una nuova dichiarazione tramite applicazione web.

Come ben sappiamo, ogni anno un lavoratore dipendente o chi recepisce la pensione utilizza il modello 730 per la propria dichiarazione dei redditi, riferendosi alle entrate economiche percepite l’anno precedente. Tuttavia coloro che posseggono partita IVA, dovranno compilare queste informazioni attraverso il Modello Redditi PF.

Con il suddetto Modello Redditi PF si specificano i contributi previdenziali, e si mettono in chiaro anche gli eventuali investimenti effettuati all’estero. In alcuni casi questo sistema di dichiarazione reddituale si applica anche ai lavoratori dipendenti.

Ma quando occorre presentare un Modello Redditi PF correttivo? E, soprattutto entro quali termini?

Dunque, i contribuenti che si accorgono di aver commesso degli errori nella propria dichiarazione dei redditi (quindi anche nel modello 730), o di aver mancato di inserire alcuni elementi utili, hanno diverse soluzioni per rimediare a ciò. Tali soluzioni sono vincolate, ovviamente, a specifiche tempistiche e determinate procedure.

La data di scadenza in questa annata 2021, per poter presentare il Modello Redditi PF correttivo è fissata al 25 maggio 2021. Mentre, per quanto riguarda il poter annullare il 730 già inviato e presentare quindi una nuova dichiarazione tramite l’applicazione web lo si può fare solo una volta fino al prossimo 22 giugno 2021.

Cosa deve fare il contribuente per verificare il suo Modello Redditi inviato in precedenza?

Il contribuente, per accertarsi che non vi siano problemi col modello inviato, dovrà verificare se i dati inseriti sono corretti, e a seconda dei casi, a partire dal 19 maggio 2021, potrà:

  • accettare la dichiarazione (solo se si sceglie il modello 730) senza apportarvi modifica alcuna,
  • rettificare i dati non corretti precedentemente compilati
  • integrare la dichiarazione per inserire nuovi dati, come altre spese deducibili o detraibili non elencate
  • inviare la dichiarazione all’Agenzia delle entrate direttamente

Cosa succede se si sbaglia la dichiarazione dei redditi?

Molti si chiedono cosa possa accadere se si compila in maniera errata la dichiarazione dei redditi, senza riuscire, poi a presentare un modello correttivo.

In breve i principali rischi prevedono sanzioni da 258 euro fino ad un massimo di 1.032 euro, solo per quanto riguarda l’Iva, sanzione fino a 2.065 euro. Mentre, nel caso in cui il contribuente presenti la dichiarazione entro il termine di quella dell’anno successivo, le sanzioni vanno da 150 euro a 500 euro, poiché le sanzioni si riducono in questo caso, dal 60% al 120%.

Dunque, è bene non sbagliare quanto vi è da dichiarare nel proprio modello redditi o nel proprio 730 e porre, nel caso, tempestivamente rimedio, attraverso il Modello Redditi correttivo, prima di ritrovarsi a pagare sanzioni decisamente salate, talmente salate da mettere tanta sete (di danaro) alla Agenzia delle entrate.

Arriva il modello Unico precompilato

Dopo la rivoluzione del 730 precompilato, in questo 2016 arriverà anche il modello Unico precompilato. La sua messa in opera sarà resa possibile anche dai 62 milioni di certificazioni uniche trasmesse dai sostituti d’imposta entro la scadenza del 7 marzo.

Il modello Unico precompilato, vera novità dell’anno, sarà predisposto in circa 10 milioni di unità contro i 20 milioni di 730 precompilati e, rispetto al 730 precompilato, avrà alcune importante limitazioni.

Intanto il modello Unico non consentirà di avere l’eventuale rimborso Irpef in busta paga a partire dall’estate; non consentirà l’esonero dai controlli formali né conterrà i redditi esteri, da partecipazione, d’impresa e da lavoro autonomo non occasionale, che dunque andranno integrati nel modello Unico precompilato a cura del contribuente.

Per poterli integrare, al momento dell’entrata del contribuente nell’apposita applicazione per scaricare la dichiarazione precompilata, questi potrà scegliere tra 730 precompilato e Unico precompilato. Sarà il sistema informatico, attraverso alcune domande poste al contribuente a individuare i suoi requisiti soggettivi indirizzandolo verso la dichiarazione precompilata più vicina alle sue caratteristiche.