Partita Iva, quale scegliere tra ditta individuale e Srl a socio unico?

Quale scelta per le partite Iva tra la ditta individuale e la società a responsabilità limitata unipersonale? Quest’ultima formula piace sempre di più, soprattutto per la possibilità di scegliere la semplificazione dei costi di costituzione. Ma non sempre è la situazione ottimale. Anche se negli ultimi anni si è verificata una crescita delle società a responsabilità limitata a socio unico nel panorama delle imprese italiane. La motivazione principale risiede nel fatto che le micro e piccole imprese hanno necessità di una forma più strutturata di società rispetto alla partita Iva o alle società di persone.

Partite Iva, ditta individuale o società a responsabilità limitata unipersonale? I motivi della scelta

Tuttavia, non sempre la scelta di una società a responsabilità limitata a socio unico risulta premiante nei confronti della ditta individuale per chi voglia avviare un’attività e non abbia soci. Non vi è una regola generale che valga bene in tutti i casi, ma è necessario analizzare i vantaggi e gli svantaggi della scelta. In primo luogo nel conferimento iniziale e nel capitale sociale.

I conferimenti iniziali nel caso di ditta individuale e Srl a socio unico

Il primo parametro da prendere in considerazione per la costituzione di una società a responsabilità limitata unipersonale rispetto a una ditta individuale sono i conferimenti iniziali. In quest’ultima formula non vi sono dei conferimenti richiesti per la formazione del capitale sociale. Cosa che invece avviene nel caso di Srl a socio unico. Il capitale sociale, infatti, rappresenta una garanzia aggiuntiva nei confronti dei terzi con i quali l’impresa andrà a rapportarsi, oltre ad avere una utilità in termini produttivi.

Società a responsabilità limitata unipersonale, le garanzie verso clienti, fornitori e banche

Ciò è tanto verso quanto la possibilità per i clienti, i fornitori e per le banche di avere a disposizione della Srl unipersonale delle informazioni su:

  • il capitale sociale versato dai soci nella Srl come capitale di rischio;
  • i bilancio depositati;
  • lo storico dell’andamento economico dell’impresa.

La garanzia verso i terzi risulta rafforzata, inoltre, dal fatto che già in sede di costituzione della società a responsabilità limitata a socio unico vi sia l’obbligo di conferimento in denaro all’atto della sottoscrizione dell’atto. O in sede di aumento del capitale sociale. Le Srl con più soci, invece, all’atto costitutivo possono versare solo il 25% del conferimento in denaro.

Partita Iva e Srl a socio unico: la responsabilità dell’uno e dell’altro per le insolvenze

Nel caso della partita Iva individuale, il titolare risponde delle insolvenze verso i terzi con tutto il proprio patrimonio personale. La partiva Iva è dunque soggetto al rischio di impresa. Ciò non succede per le società a responsabilità limitata unipersonale. Infatti, la Srl risponde solo limitatamente al capitale investito purché i conferimenti iniziali e quelli successivi del capitale sociale siano stati integralmente versati alla costituzione della società o in sede di aumento del capitale sociale stesso.

Partite Iva, quanto costa aprire una ditta individuale o una Srl a socio unico?

Sui costi di costituzione, il vantaggio è per la ditta individuale rispetto alla società a responsabilità limitata a socio unico. Infatti, nel primo caso non è necessario l’atto notarile iniziale. Si procede con la pratica di apertura, più soft e da inoltrare agli enti interessati. La contabilità della ditta individuale risulta, inoltre, semplificata. Per la Srl a socio unico, invece, è previsto l’obbligo dell’atto pubblico iniziale nonostante non ci sia la pluralità dei soci. Inoltre, vige l’obbligo di conferimento del capitale iniziale. La contabilità è ordinaria e ciò comporta dei costi amministrativi più alti rispetto alla ditta individuale. Si risparmiano dei costi solo nel caso della Srl semplificata unipersonale: l’atto di costituzione notarile non comporta, in questo caso, dei costi.

Ditta individuale e società a responsabilità limitata a socio unico: quale tassazione è prevista?

Nella scelta tra ditta individuale e società a responsabilità limitata unipersonale la differenza fondamentale la fa sicuramente la tassazione. Per la ditta individuale è possibile adottare il regime forfettario di partita Iva, con tassazione fissa al 5% o al 15%. Ma si può scegliere anche il regime ordinario di partita Iva, con tassazione Irpef a scaglioni e aliquote dal 23% al 43% in base al volume di reddito all’anno. In più vanno versati i contributi previdenziali obbligatori. Per la Srl a socio unico è necessario, invece, versare la tassazione Irap e Ires sugli utili prodotti alla fine dell’anno contabile. Inoltre, si deve procedere con i versamenti dei contributi previdenziali obbligatori. Infine, sui dividenti percepiti la tassazione è del 26%.

Auto aziendale per ditta individuale: come funziona?

Rispetto al mezzo privato, l’auto aziendale è un bene strumentale che è spesso indispensabile per lo svolgimento di un’attività imprenditoriale. Inoltre, sempre rispetto ad un’auto che viene acquistata per uso personale e familiare, quella aziendale in Italia può beneficiare di una fiscalità agevolata così come è previsto dalla normativa vigente. Queste agevolazioni fiscali, inoltre, possono variare anche in ragione del tipo di impresa. Per esempio, per la ditta individuale come funziona l’auto aziendale? Ovverosia, quali sono i vantaggi fiscali che sono ottenibili?

L’acquisto ed il possesso di auto aziendale per una ditta individuale, vediamo come funziona

Nel dettaglio, per le ditte individuali, ed anche per i professionisti, l’acquisto ed il possesso di un’auto aziendale è possibile, ma le agevolazioni fiscali sono decisamente più contenute rispetto alle altre persone giuridiche.

Quelle che in particolare per l’auto aziendale, nel rispetto delle condizioni previste, possono sfruttare e possono avvantaggiarsi, tra l’altro, dei cosiddetti rimborsi chilometrici. Nel dettaglio, per l’auto aziendale è ammessa nel caso di ditta individuale la deduzione dei costi al 20% e la detrazione dell’IVA al 40%.

Acquisto di un’auto aziendale per la ditta individuale o meglio il noleggio a lungo termine?

Il che significa che, per il titolare di una ditta individuale, una grossa fetta delle spese e dei costi per l’auto aziendale è non deducibile e non detraibile. Con la conseguenza che spesso i titolari di ditta individuale, in alternativa all’acquisto dell’auto aziendale, optano per la formula del noleggio auto a lungo termine.

Detrazione Iva auto aziendale per la ditta individuale, come portarla al 100%?

Per portare la detraibilità auto aziendale di una ditta individuale dal 40% al 100% una soluzione in realtà c’è. Ma prevede per il mezzo di trasporto il cambio della finalità e della destinazione d’uso. Ovverosia, trasformare l’auto aziendale in un autocarro. Per la precisione, in un autocarro fiscale.

Si tratta, nello specifico, della trasformazione del mezzo di trasporto dalla categoria M1 alla categoria N1. Al riguardo ci sono delle ditte specializzate nell’effettuare questa trasformazione, rendendo così l’auto aziendale un autocarro, ovverosia un vero e proprio ufficio della ditta su 4 ruote.

Facendo però attenzione al fatto che la deducibilità e la detraibilità piena autocarri vale solo se il mezzo si prefigura in tutto e per tutto come un bene che è strumentale all’esercizio dell’attività del titolare della ditta individuale. Altrimenti poi si rischiano problemi con il Fisco. In caso poi di contestazioni da parte proprio dell’Agenzia delle Entrate.

Dall’auto aziendale all’autocarro fiscale, ecco tutti i requisiti che devono essere rispettati

L’autocarro che beneficia della deducibilità e della detraibilità piena, in particolare, è detto autocarro fiscale, e deve rispettare opportune caratteristiche. Altrimenti si tratterà ai fini fiscali di un falso autocarro. Nel dettaglio, un autocarro fiscale è tale se il rapporto tra la potenza e la portata del mezzo risulta essere inferiore a 180, se è adibito al trasporto di 4 o di più persone, e se è di tipo furgonato (codice carrozzeria F0). Con tutte queste tre caratteristiche che devono essere tutte rispettate contemporaneamente.

Come chiudere una ditta individuale e quanto costa

Oggi ci addentreremo in questo periglioso e articolato mondo della Partita IVA e del lavoro individuale, specialmente nel 2021, tra montagne russe di crisi economiche e sociali. Scopriremo assieme come chiudere una ditta individuale e quanto costa poterlo fare.

Come chiudere Partita IVA?

Partiamo subito col dire che fare impresa in Italia diventa sempre più difficile, potremmo dire che è diventato un’ impresa. Soprattutto nel 2021 dopo la Legge di Bilancio e il Decreto Fiscale.

Non a caso, molti professionisti decidono di cessare la loro attività e chiudere la Partita IVA.

Per una questione di comodità di tasse, contributi e conguagli, una ditta individuale preferisce chiudere la propria Partita IVA al termine dell’anno. Più specificamente, indipendentemente dal periodo, deve essere chiusa entro 30 giorni dalla cessazione della propria attività. La stessa procedura avviene anche nel caso si effettui una variazione di proprietà o ragione sociale, altra praticamente molto richiesta di recente.

Procedure per chiudere una ditta individuale e Partita IVA

La procedura per chiudere una ditta individuale cambia a seconda delle categorie professionali in questione e quindi dei moduli utilizzati. Ovvero il Modulo AA9/12 per persone fisiche, ditte individuali, artigiani, autonomi, professionisti, artisti ed il Modulo AA7/10 per società, s.r.l., s.p.a., s.a.s., associazioni.

Dunque, per poter avviare la chiusura di Partita IVA, che sia destinata essa a persone fisiche, società o associazioni, entrambi i moduli vanno consegnati entro 30 giorni dalla cessazione dell’attività in 3 modalità, ovvero le seguenti:

  • Telematicamente sulla piattaforma Entratel dell’agenzia
  • Personalmente o con delega in un ufficio dell’agenzia
  • Con raccomandata A/R indirizzata a un ufficio dell’agenzia, allegando copia del documento di riconoscimento

C’è un’ulteriore sottolineatura da fare nella compilazione del modulo, ovvero il codice ATECO della propria attività. Tali dichiarazioni verranno ritenute consegnate direttamente nel giorno in cui risulteranno spedite. In seguito, si comunicherà la chiusura della Partita IVA alla Camera di Commercio, attraverso differenti modalità a seguito della ragione sociale:

  • Ditte individuali e liberi professionisti avranno da compilare il modello I2 specificando la cessazione dell’attività, ponendo in allegato eventuali certificazioni e autorizzazioni comunali o da altri enti
  • Artigiani e commercianti avranno la stessa procedura  delle ditte individuali, rivolgendosi inoltre al comune in cui si è dichiarato l’inizio dell’attività
  • Società e associazioni avranno l’obbligo di liquidare beni aziendali e risolvere rapporti pendenti, mentre i soci dovranno compilare e presentare il modulo AA7/11

Quanto costa chiudere una ditta individuale?

In ultimo, ma non affatto ultimo, andiamo a vedere quali possono essere i costi di una chiusura della propria ditta individuale.

Sostanzialmente possiamo dire che la chiusura di una Partita IVA non comporta costi aggiuntivi rispetto a quelli regolarmente sostenuti per la propria attività professionale. Mentre per le attività iscritte al Registro delle Imprese, sarà necessario sostenere le spese per la cancellazione:

  • costo di segreteria, 90,00 euro
  • costo Modelli UL e S5 telematici, 30,00 euro
  • costo Modelli su supporto digitale informatico, 50,00 euro
  • costo dichiarazione società semplice, 18,00 euro (solo società semplici)
  • costo marca da bollo, per ditte individuali 17,50 euro 
  • Modello R cartaceo, 23,00 euro 

Dunque, i professionisti che saranno tenuti ad affrontare queste spese per la chiusura della “propria baracca”, saranno i consorzi, le società, gli imprenditori commerciali, gli enti pubblici alla fine dell’attività commerciale e società estere con sede legale in Italia.

Ci saranno in tutto questo marasma, invece, soggetti esentati dalle spese di cui sopra. Ovvero si tratta di coloro, possessori di partita IVA, non obbligati all’iscrizione, come liberi professionisti, venditori porta a porta, collaboratori coordinati, imprese agricole con basso fatturato e enti non commerciali, od anche le società di mutuo soccorso.

Va, inoltre precisato che da Decreto legge fiscale del 2017, sono avviate le procedure per la chiusura d’ufficio delle partite IVA inattive da un tempo di 3 anni.

Dunque, questo è quanto vi era da sapere in merito alla chiusura di una partita IVA per la propria ditta individuale, nel novero di questo 2021.

Ditta individuale e lavoro autonomo a confronto: pro e contro

Spesso ci si chiede cosa comporta aprire una partita IVA e ancor più spesso ci si chiede se sia meglio aprirne una come ditta individuale o come lavoro autonomo. Andiamo, quest oggi a scoprire, in questo esaustivo articolo, le differenze tra le due opzioni e i pro e i contro di entrambe le soluzioni.

Partita IVA, confrontare le opzioni tra ditta individuale e autonomo

Iniziamo col dire che una partita Iva permette di avere un inquadramento sia da un punto di vista fiscale che da quello previdenziale. Occorre conoscere che operare con partita Iva, non è facoltativo, ma bensì un obbligo imposto a tutti i soggetti che svolgono attività non etero-determinateprofessionali ed abituali.

Sapere ciò è molto importante, in quanto è opinione diffusa che si debba aprire partita Iva solo al superamento di determinate soglie reddituali. In verità e in verità vi dico che per l’Amministrazione finanziaria ogni attività economica abituale dovrà essere svolta con partita Iva, indipendentemente dal fatturato che si riesce ad ottenere.

Ora, però andiamo a confrontare le differenze tra una partita IVA per ditta individuale ed una aperta per lavoro autonomo.

E’ necessario chiarire che non trattasi di una scelta libera tra queste due opzioni. L’appartenenza ad una categoria piuttosto che all’ altra comporta un diverso inquadramento sia fiscale che previdenziale.

Cos’è una ditta individuale?

In maniera generalistica potremmo ben dire che appartengono alla categoria degli imprenditori individuali (quindi ad una ditta individuale) gli artigiani e i commercianti. Ovvero le due categorie di partite Iva  che sono obbligate all’iscrizione all’interno del Registro delle Imprese, istituito all’interno della Camera di Commercio provinciale.

Chi sono i lavoratori autonomi?

D’altro canto invece, rientrano nella categoria dei lavoratori autonomi tutti quei soggetti che svolgono un’attività per la quale il lavoro intellettuale è predominante sul resto dell’attività. Quindi, sono lavoratori autonomi tutti i professionisti iscritti in un Alboordine professionale, come ad esempio avvocati, notai, i consulenti del lavoro, i medici, i commercialisti, i giornalisti, gli architetti, geometri, psicologi e tanti altri ancora considerati liberi professionisti.

Aprire partita IVA, differenze sostanziali tra le due categorie

Dunque, coloro che intendono aprire partita Iva dovranno prestare attenzione alla propria categoria di appartenenza, in quanto le differenze da un punto di vista fiscale e previdenziale sono piuttosto importanti. Ad ogni modo, indipendentemente dalla categoria (ditta individuale o autonomo) si rientra sempre nella più grande categoria dei lavoratori che operano con partita Iva, in forma individuale.

Una delle differenze sostanziali per una ditta individuale, sia essa di artigiani o commercianti, è l’obbligo ad iscriversi all’Inps, nella gestione IVS artigiani o commercianti.

Si tratta di una gestione previdenziale che prevede il versamento di contributi previdenziali fissi, a prescindere dal fatturato, da pagare per ogni trimestre dell’anno. Oltre a questi contributi è necessario poi effettuare un conguaglio per chi supera determinate sogli di reddito derivante dall’attività imprenditoriale.

Di controparte, i lavoratori autonomi, da un punto di vista contributivo si differenziano tra quelli obbligati ad iscriversi ad una cassa professionale di riferimento e quelli cosiddetti “senza cassa“.

Differenze previdenziali tra ditta individuale e lavoratore autonomo

E’ bene sapere che aprire una partita Iva come ditta individuale o come lavoratore autonomo ha dei riflessi abbastanza sostanziali ai fini fiscali. L’Amministrazione finanziaria prevede, di fatto, l’applicazione di regimi fiscali differenziati, con diverse modalità di determinazione del reddito imponibile soggetto a tassazione ai fini Irpef.

Per quanto riguarda le imposte dirette, nel caso dei lavoratori autonomi vengono tassati soltanto in base ai compensi e ai costi effettivamente percepiti nel periodo d’imposta, stando al “principio di cassa“.

Di norma, il reddito dei lavoratori autonomi viene tassato sulla base del reddito imponibile che consegue dalla differenza tra i compensi incassati e i costi deducibili. Quando stilerà il modello Redditi P.F. il lavoratore autonomo dovrà compilare Il quadro RE, se adottano il regime di contabilità semplificata o il quadro LM qualora adottassero il regime dei contribuenti minimi.

Nel caso di una ditta individuale, invece, avremo una tassazione ai fini Irpef, sul proprio reddito imponibile annuale, che determinerà il reddito sempre con un principio di cassa, anche se alcune voci seguono il criterio di competenza economica.

L’imprenditore di una ditta individuale nella compilazione del modello Redditi P.F. è chiamato a completare il quadro RF qualora utilizzasse la contabilità ordinaria (registrazione di fatture attive/passive, incassi e pagamenti), od anche il quadro RG se è in contabilità semplificata (registra solo fatture attive/passive), in ultimo, il quadro LM qualora stesse adottando un regime dei contribuenti minimi.

Dunque, questo era il necessario da conoscere per differenziare un’apertura di partita IVA tra ditta individuale e lavoratore autonomo. Ora, non vi resta che passare all’apertura, qualora rientraste in una delle due categorie e rimboccarvi le maniche.

 

Ditta individuale: caratteristiche dell’attività, vantaggi e svantaggi

Nella ditta individuale il soggetto giuridico è una persona fisica. Essa non è da confondere con l’impresa individuale. La prima consente di non svolgere attività d’impresa e, quindi, di non essere qualificata come impresa individuale. Quest’ultima, invece, è sempre una ditta individuale.

Cos’è una ditta individuale

La ditta individuale è la forma giuridica più semplice per avviare un’attività e ha nell’imprenditore l’unico titolare e responsabile della gestione. Il collegamento tra l’azienda e l’imprenditore è molto stretta, tanto che quest’ultimo risponde di eventuali debiti della società con il patrimonio personale (responsabilità illimitata). Tale forma giuridica non prevede un capitale minimo da versare e nemmeno requisiti particolari per la sua costituzione, se non l’apertura di una partita Iva.

Poiché gli eventuali creditori possono rifarsi anche sui beni personali dell’unico titolare dell’azienda, solitamente, egli ricorre alla costituzione di una ditta individuale quando i rischi sono bassi e gli investimenti da effettuare non sono elevati. Diversamente, all’imprenditore converrebbe scegliere un’altra forma giuridica di società, nella quale non risponde con il suo patrimonio nel caso l’azienda contragga dei debiti.

I soggetti che decidono di avviare l’attività sotto forma di ditta individuale, di solito sono coloro che svolgono arti e professioni. Per esempio, liberi professionisti come commercialisti, avvocati e architetti, fino a parrucchieri o artigiani.

Una ditta individuale può essere rappresentata anche da un’impresa familiare o società tra coniugi. Nel primo caso, la Legge prevede che alla sua gestione possano partecipare parenti fino al terzo grado e affini fino al secondo grado. Nel secondo caso, i coniugi devono avviare l’attività dopo il matrimonio, in comunione dei beni e con gli stessi poteri interaziendali.

Ragione sociale e scelta del nome di una ditta individuale

La ragione sociale è il nome con cui un’azienda viene iscritta nel Registro delle Imprese. Per la ditta individuale non è obbligatoria, la denominazione può anche non essere indicata. In questo caso, sarà rappresentata dal nome proprio del titolare. Nel caso l’imprenditore decida di scegliere un nome, la denominazione sarà composta da essa più il nome del titolare e costituirà l’intestazione delle fatture.

La scelta del nome da dare all’attività deve rispettare tre requisiti: non deve essere contrario all’ordine pubblico, alla legge e al buon costume; non deve essere ingannevole rispetto al tipo di attività svolta; deve essere unico, a meno che il caso di omonimia si verifichi nei confronti di un’altra attività che non opera nello stesso settore e territorio.

Dipendenti

E’ consentita l’assunzione di dipendenti. Nel caso si tratti di familiari, non è necessaria l’assunzione in qualità di dipendente subordinato, in quanto la legge prevede che il lavoro familiare si presuppone svolto senza compenso, in forma gratuita, purché si verifichino tali requisiti:

  • Nella ditta lavorano principalmente familiari;
  • L’attività è svolta per il coniuge imprenditore;
  • Il lavoro è prestato occasionalmente (non supera quindi i 90 giorni nell’arco di un anno).

Ditta individuale: vantaggi e svantaggi

Procedere alla costituzione di una ditta individuale, come già anticipato consente di avere dei benefici: minore burocrazia, costi limitati, autonomia e rapidità delle decisioni, poiché non sussiste un confronto con altre persone. Ma anche la semplicità con cui avviare l’azienda e gestirla. Infatti, per l’avvio è sufficiente iscrivesi alla Camera di Commercio, Industria e Artigianato, con obbligazioni fiscali e contabili semplificate.

I contro li abbiamo già individuati nella responsabilità che l’imprenditore si assume personalmente nel caso di debiti contratti dalla sua azienda. Investimenti limitati e basse probabilità di accedere al credito.

Obblighi del titolare di una ditta individuale

Chi vuole avviare una ditta individuale deve aprire una partita IVA e registrarsi, come detto poc’anzi, alla C.C.I.A.A. presentando una copia della carta d’identità e una marca da bollo da apporre al documento. Inoltre, è necessario iscriversi al Registro delle Imprese, entro trenta giorni dall’inizio dell’attività.

Il titolare deve anche pagare il diritto camerale (ogni anno) e registrarsi alla Gestione Commercianti o Gestione Separata per il versamento dei contributi relativi alla tipologia di attività svolta, oltre a quelli INAIL che vanno versati come premio per la sicurezza. Tuttavia, non è obbligatorio iscriversi all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, se non ci sono dipendenti e se il lavoro svolto non è pericoloso e non si è un artigiano.

Costi e tasse

Con il modello ComUnica aprire la partita Iva è gratis, altrimenti, lo farà il commercialista incaricato dal titolare della ditta individuale in cambio di un corrispettivo economico. Per la tenuta della contabilità, il costo del commercialista sarà decisamente più alto, nel caso di partita Iva aperta in regime ordinario piuttosto che in regime forfettario. Stesso discorso per le tasse, in regime dei minimi la tassazione sarà molto inferiore a quella relativa al regime ordinario. I contributi INPS ammontano a circa 3.600 euro all’anno e si pagano trimestralmente, fino a un reddito di 15.000 euro. Diversamente, gli importi aumentano con l’aumento del reddito.

Chiusura e fallimento

Ovviamente, come qualsiasi attività economica, il titolare di una ditta individuale può decidere di chiuderla. Utilizzando il modello ComUnica puoi chiudere con una sola richiesta: partita Iva, posizione INPS, Registro delle Imprese e INAIL (se esistente).

La ditta individuale può anche fallire come tutte le imprese. Per dichiarare fallimento, deve versare in uno stato d’insolvenza, ovvero non in grado di effettuare i pagamento dovuti. Tuttavia, non soggette alla procedura fallimentare: le ditte non commerciali, come le aziende agricole; gli artigiani; le ditte senza dipendenti o gestite prevalentemente dal lavoro dei familiari.

Ditta individuale: i beni strumentali utilizzati dall’imprenditore nell’esercizio della propria attività sono sempre inerenti all’impresa

La Corte di Cassazione, attraverso la Sentenza n. 772 del 14 gennaio 2011, fissa il principio secondo cui le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni strumentali, utilizzati direttamente ed esclusivamente dalla ditta individuale, concorrono alla formazione del reddito d’impresa, a prescindere dall’eventuale iscrizione dei beni nei registri obbligatori. Secondo la Corte, quindi, gli immobili relativi a imprese commerciali individuali, aventi carattere strumentale e utilizzati dall’imprenditore esclusivamente per l’esercizio dell’impresa, sono sempre da ritenersi relativi all’impresa, in base al combinato disposto degli articoli 40 e 77 del Tuir.

Ditta individuale, la Comunicazione Unica è obbligatoria?

Dovrei aprire una partita Iva come ditta individuale. Mi spiegate a cosa serve la Comunicazione Unica?   (Mauro S. – Centro)

Gentile lettore, i soggetti che iniziano un’attività come ditta individuale dovranno effettuare tutti gli adempimenti necessari attraverso la Comunicazione Unica presentata al Registro delle imprese

Con la Comunicazione Unica le imprese avranno una gestione degli adempimenti più facile e tempi di attesa degli esiti delle pratiche più brevi. La Comunicazione Unica nel caso di inizio attività come ditta individuale, le servirà per i seguenti adempimenti: dichiarazione inizio attività e ottenimento del codice fiscale e/o della partita iva; domanda d’iscrizione di nuove imprese, nel Registro imprese e nel R.E.A., con esclusione dell’adempimento del deposito del bilancio; domanda d’iscrizione ai fini INAIL; domanda d’iscrizione, al registro imprese per l’INPS, relativamente alle imprese artigiane ed esercenti attività commerciali, ai sensi art. 44, comma 8, del decreto-legge n. 269/2003; domanda di iscrizione e cessazione di impresa con dipendenti ai fini INPS; domanda di iscrizione di impresa agricola ai fini INPS; domanda di iscrizione, di impresa artigiane nell’albo delle imprese artigiane.