Un bando per le pmi emiliane colpite dal sisma

E’ stato pubblicato un bando rivolto alle piccole e medie imprese site in Emilia Romagna che sono state colpite dal sisma del 2012.
Tale bando è finanziato da un Fondo privato costituito presso Confindustria Emilia Romagna che consta di 300mila euro totali.

A beneficiarne saranno i progetti che punteranno all’innovazione, alla ricerca e allo sviluppo, ma anche le attività finalizzate a valorizzare economicamente innovazione e tecnologie dell’azienda su nuovi segmenti di mercato che preservino e incentivino l’attuale profilo occupazionale in termini di addetti e risorse umane.

La domanda può essere presentata, esclusivamente per via telematica, entro il 28 marzo, dalle pmi operanti in uno dei comuni colpiti dal sisma del 2012.
Le agevolazioni sono concesse nella forma di contributo alla spesa sino ad un massimo di 100.000 euro delle spese ammissibili relative ad attività di ricerca, sviluppo, incluse attività di analisi, aggiornamento e sperimentazione del modello di business proposto.
L’obiettivo del bando è finanziare 4-5 progetti.

La gestione del Bando è affidata a CERR-Confindustria Emilia-Romagna Ricerca, la società consortile delle Associazioni e Unioni Industriali dell’Emilia-Romagna e Centro per l’innovazione della Rete regionale Alta Tecnologia, mentre la selezione dei progetti inviati sarà a carico di un Nucleo di valutazione in base a eccellenza del progetto, impatto del progetto, qualità ed efficienza nell’implementazione.

Vera MORETTI

Imprese al Sud più numerose di quelle del Nord

Anche se la crisi si è fatta sentire pesantemente in tutto lo Stivale, una buona notizia, che riguarda le imprese e il loro bilancio relativo al 2013, forse c’è.

A fronte delle 1.053 imprese sorte ogni giorno in Italia durante l’anno scorso, contro le 1.018 costrette, invece, a chiudere i battenti, è stato rilevato che la maggior parte di esse sono nate nelle regioni meridionali.

Unioncamere, a questo proposito, ha reso noto che nel 2013 il numero delle imprese nate ha superato il novero di quelle cessate, 384.483 contro 371.802, producendo un saldo positivo dello 0,2%, che comunque rimane il più basso dall’inizio della crisi.

Ciò che rimane evidente è la presenza sempre più massiccia di imprese al Sud, con buona pace del produttivo Nord-Est, da sempre locomotiva dell’economia e dell’industria italiane, ma ora in affanno.

Nel Mezzogiorno sono andate particolarmente bene le imprese che operano nel commercio, nell’alloggio e nella ristorazione, ma anche nei servizi per le imprese.
Male invece l’agricoltura , che ha visto ben 30mila imprese del settore chiudere definitivamente.

Guardando la situazione nel dettaglio, si capisce che la situazione non è certo rosea, poiché risale al 2010 un tasso di crescita delle imprese superiore all’1%, nonostante le tipologie di appartenenza presentino dati a volte completamente diversi.

Complessivamente la bilancia tra crescita e decrescita è equilibrata: esattamente il 50% delle regioni italiane ha un tasso di crescita positivo, mentre le restanti 10 ravvisano un trend negativo.
Quello che stupisce maggiormente però non sono tanto le percentuali, quanto i cambiamenti in atto nelle singole aree geografiche, e il caso del nord est è certamente il più eclatante.

In questo caso, i numeri sono eclatanti: nel territorio da sempre considerato il più fecondo, almeno nei confini nazionali, nel 2013 sono state chiuse 77.835 aziende, contro 70.000 nuove attività aperte, registrando il maggior tasso di decrescita del paese, -0,54%, in particolare in Veneto e Friuli Venezia Giulia, anche rispetto al 2012, dove ci si era attestati intorno allo -0,41%.

Passando alle singole regioni, la metà “in crescita” del paese non sembra più rispecchiare dunque la tradizionale dicotomia nord-sud. Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e il fanalino di coda la Valle d’Aosta, sono cresciute di meno rispetto a Sardegna, Abruzzo, Marche e Basilicata.
La Campania è al secondo posto, con un tasso di crescita che si avvicina all’1%, superando la Lombardia e persino il Trentino alto Adige, all’ottavo posto in classifica.

Le note positive che arrivano dal sud si odono inoltre ancora di più osservando la situazione dal punto di vista delle società di capitale.
Qui le prime otto posizioni sono occupate da regioni meridionali, prime fra tutte la Basilicata, il Molise e la Calabria; per incontrare la prima regione del nord bisogna scendere al dodicesimo posto con il Trentino Alto Adige, con un di tasso di crescita annuo equivalente alle metà di quello della Basilicata.

Secondo dati forniti dal rapporto della Banca d’Italia, a livello regionale il sistema degli interventi per l’innovazione si caratterizza per una estrema frammentazione delle iniziative.
Secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, nei vari governi che si sono alternati dal 2006 al 2011, oltre l’85 per cento delle misure economiche nel settore dell’innovazione si è concentrato al Centro-Nord, provocando un maggior ricorso ai Fondi strutturali europei da parte delle regioni meridionali.

Ciò che colpisce maggiormente è ancora una volta la coda della classifica. Sette su dieci delle ultime posizioni sono occupate da province del Nord Italia, e tra queste alcune di quelle storicamente più produttive, come Belluno, che ha visto nell’ultimo cinquantennio nascere l’industria dell’occhiale. Oppure come la roccaforte dell’industria romagnola di Forlì-Cesena é precipitata alla penultimo posto.

Vera MORETTI

Il successo dell’high-tech anche in Europa

Anche il Vecchio Continente si sta attrezzando per essere competitivo nel settore dell’high-tech, come ha anche confermato la ricerca “High Technology Employment in the European Union“ presentata recentemente a Bruxelles.

A crescere sono anche le risorse impiegate nel comparto, dove a quanto pare le proposte di lavoro non mancano, ed abbracciano tutti i macro settori in esso compresi, da quello scientifico a quello matematico, fino ad arrivare al tecnologico ed ingegneristico.
In questo campo, l’unico a dir la verità, la richiesta di lavoro è cresciuta del 20% nel periodo 2000-2011, più del doppio rispetto alla crescita totale dell’occupazione.

E proprio queste cifre, in costante aumento, hanno permesso al settore dell’high-tech di arrivare a ricoprire il 10% dell’occupazione totale nell’Unione Europea.
Questo bilancio positivo riguarda anche l’Italia, dove è stato registrato un incoraggiante, e sorprendente, +28,5% dal 2000 ad oggi, con particolare concentrazione nelle regioni del nord, Lombardia ed Emilia Romagna in testa, e nel Lazio.

A vantaggio del comparto ci sono anche i salari: forse anche a causa di una elevata preparazione accademica e professionale, coloro che lavorano nel settore percepiscono stipendi elevati rispetto agli altri ambiti, e in Italia può raggiungere picchi del 20% in più.

E non è tutto, poiché dal 2005 al 2010 la crescita dei salari dei lavoratori high-tech è stata più alta della crescita media dei salari totali in 20 dei 26 paesi europei considerati.
In Italia, i salari di questo settore sono cresciuti del 4,4%, il doppio degli impieghi non high-tech.

Ma i vantaggi derivano anche da altri fattori, a cominciare dagli effetti secondari che l’high-tech ha sull’economia: le analisi stimano che, a livello locale, la creazione di un impiego high-tech crea un effetto moltiplicatore, ed è associata alla creazione di più di 4 posti di lavoro in altri segmenti non high-tech, nella stessa zona (il risultato è statisticamente significativo all’ 1%).
In breve, la forza lavoro high-tech genera una somma considerevole di reddito, aiutando a sostenere le economie locali.

Vera MORETTI

La crisi fa colare a picco le imprese giovanili

Le imprese giovanili non se la passano bene, poichè la crisi economica le ha messe in ginocchio, nonostante l’entusiasmo che le anima.

I dati, infatti, parlano chiaro, e riguardano anche le regioni più dinamiche.
In Emilia Romagna, ad esempio, a fine 2013 le pmi giovanili erano 36.682, -4,8% rispetto all’anno precedente. All’appello, mancano dunque ben 1.857 imprese.

Le imprese non guidate da giovani se la passano meglio, anche se non bene, poiché sono diminuite dell’1%.

Considerando i dati a livello nazionale, a fine 2013 è emerso che le imprese giovanili hanno subito una contrazione meno ampia (-4,2) e sono risultate 578.947, l’11,2% del totale, come è stato confermato anche dai numeri emanati dal Registro delle imprese delle Camere di commercio di fonte InfoCamere, elaborati dal centro studi e ricerche di Unioncamere Emilia-Romagna.

Le imprese giovanili sono calate in tutta Italia, ma le flessioni più sostanziali sono state rilevate in Sardegna (-6%), Piemonte (-5,5) e Marche (-5,4).
È andata meglio in Trentino-Alto Adige (-0,7), nel Lazio (-1,4) e in Valle d’Aosta (-1,5).

La gran parte delle imprese giovanili è costituita da ditte individuali, tra le quali molte sono marginali, strette tra congiuntura negativa e indisponibilità del credito.
La riduzione delle imprese giovanili è principalmente da attribuire alla loro pesante flessione (-1.565 unità, -5,1%). La contrazione è stata però molto più intensa per le società di persone (-10,6%, pari a 410 unità). Sono diminuiti, anche se leggermente (-3,4%), anche cooperative e consorzi, mentre sono aumentate le società di capitale (136 unità, +3,7).

La contrazione del numero delle imprese giovanili è stata determinata soprattutto dal crollo delle costruzioni (-1.194 unità, -10,4%), dalle difficoltà delle attività manifatturiere (-7,9%, -243 unità) e dalla caduta delle imprese agricole (-170 unità, -7%).
L’ampiezza relativa della riduzione è stata molto evidente per le attività immobiliari (-11%). In controtendenza, crescono le imprese finanziarie e assicurative (+151 unità).

Vera MORETTI

CafèNoir debutta nell’abbigliamento femminile

CafèNoir è pronto ad un importante debutto: l’azienda di San Miniato Basso, in provincia di Pisa, che dagli anni Novanta produce calzature e pelletteria di lusso, sta per lanciare i modelli della nuovissima collezione di abbigliamento femminile.

Dopo scarpe ed accessori di alta gamma, dunque, arrivano felpe, capispalla e pantaloni dedicati a un pubblico femminile di età compresa fra i 25 e i 40 anni.
Saranno capi easy e casual che, da gennaio, approderanno in 400 speciality store dislocati su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto nei nuovi glam store firmati CafèNoir, ovvero quattro negozi monomarca, due dei quali si trovano a Firenze, mentre gli altri due sono all’interno di OrioCenter, mall dell’aeroporto di Orio al Serio, e a Pechino, nello shopping center Solana.

Ma i lavori fervono per la prossima apertura di un monomarca a Villesse.

Stefano Peruzzi, socio e direttore generale del marchio, ha presentato così il progetto: “L’abbigliamento, grazie anche a congrui investimenti pubblicitari, sta già dando ottimi risultati di vendita, ed è stato testato nelle nostre boutique dal settembre 2012. Oggi ci sembra il passo più importante di una strategia di crescita che, passando per la diversificazione mediante il lancio di nuove categorie merceologiche, culmina nell’apertura di nuovi negozi monomarca: per il 2014 ne abbiamo in programma almeno 4 nei paesi dell’ex Unione Sovietica, Russia compresa dove siamo approdati dal 2008“.

Ovviamente l’export è considerato importante per il lancio della nuova linea, anche perché il 30% del fatturato del brand viene coperto dall’eurozona, con Germania, Francia, Spagna e Portogallo in testa, che nel 2012 ha fruttato 35 milioni di euro: un risultato che secondo le previsioni dei piani alti della società tricolore oggi guidata oltre che da Peruzzi anche da Riccardo Panzarasa e Fabrizio Mazzantini, rimarrà stabile per il 2013, anche se penalizzato dalla perdita di quote in Grecia, recuperate dagli altri mercati di Eurolandia, “ma entro tre anni è nostro obbiettivo portare l’export a generare il 50% del nostro giro d’affari“.

Nonostante ciò, comunque, l’Italia rimane il mercato più importante, a dimostrazione che il punto di forza di CafèNoir è l’essenza Made in Italy che da sempre si porta con sé: “La parte più artigianale delle nostre collezioni di borse e calzature è realizzata dai laboratori terzisti di Toscana, Emilia Romagna e Veneto che lavorano in esclusiva per noi; e poi la nostra sede si trova a pochi chilometri da Santa Croce sull’Arno, ribattezzato il “comprensorio del cuoio”, ossia il distretto conciario a cui attingono i grandi marchi del lusso italiano per la ricerca sui pellami più pregiati applicati a borse e scarpe”.

A bollire in pentola c’è anche un importante progetto che coinvolge gli Stati Uniti: “Stiamo esplorando il mercato americano e abbiamo ottimi contatti ma per ora non possiamo dire di più“.

Vera MORETTI

Lezione di export per le imprese reggiane

Scade oggi la possibilità di iscriversi e partecipare al percorso formativo e di approfondimento organizzato dalla Camera di Commercio di Reggio Emilia relativo alle modalità di approccio per esportare in Canada e negli Stati Uniti.

Gli incontri si svolgeranno presso la Sala Grasselli della CdC il 25 novembre, 5 e 16 dicembre dalle ore 14.30 alle ore 18.30.
Il percorso formativo è rivolto alle imprese reggiane che desiderano acquisire gli strumenti adatti ad affrontare il mercato Nord americano.

Due Paesi come Canada e Stati Uniti rappresentano uno sbocco particolarmente interessante, considerando che coinvolge 460 milioni di consumatori e che entrambi vantano un efficiente ed integrato network di distribuzione come pure un’approfondita conoscenza della clientela.

La partecipazione è gratuita ed è riservata ad un massimo di 25 imprese.
Durante i tre appuntamenti si parlerà di analisi delle opportunità, avvio e gestione consapevole del processo di internazionalizzazione con un’area commerciale così vasta e spesso poco conosciuta. L’iniziativa è rivolta alle aziende di tutti i comparti e sarà orientata in base alle necessità specifiche delle imprese aderenti (da segnalare nella scheda di adesione).

Il corso di aggiornamento può anche essere utile qualora le imprese partecipanti decidessero di partecipare a Fancy Food, la fiera che si svolgerà nel 2014 a New York alla quale parteciperà la Camera di Commercio di Reggio Emilia.

Per ulteriori informazioni, è possibile collegarsi al sito camerale, dove è scaricabile il modulo di adesione.

Vera MORETTI

La green economy contro la crisi

Di dubbi, Ermete Realacci di Fondazione Symbola e Ferruccio Dardanello di Unioncamere, ne hanno ben pochi: la green economy e le sue molteplici potenzialità, ci salveranno dalla crisi.

I due hanno dichiarato in coro: “La green economy, è un nuovo paradigma produttivo che esprime, nel nostro Paese, la parte propulsiva dell’economia. Dall’inizio della crisi, nonostante la necessità di stringere i cordoni della borsa, più di un’impresa su cinque ha scommesso sulla green economy. Che è stata, quindi, percepita come una risposta alla crisi stessa, e non ha deluso le aspettative“.

A testimoniarlo, i dati di GreenItaly 2013, il rapporto annuale di Unioncamere e Fondazione Symbola che racconta le eccellenze della green economy nazionale e che è stato presentato a Milano presso la sede di Expo 2015.
Dal 2008, infatti, hanno investito, o lo faranno entro la fine dell’anno, in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale ben 328mila aziende italiane appartenenti ai settori dell‘industria e dei servizi, che corrispondono al 22% del totale.

E proprio da queste imprese quest’anno arriverà il 38% delle assunzioni totali, segnale che l’economia green non solo traina il mercato italiano, ma crea anche buone opportunità di lavoro. Se si considerano, poi, le assunzioni destinate a ricerca e sviluppo, la percentuale si alza fino al 61,2%.

Ha dichiarato Ferruccio Dardanello: “GreenItaly ci racconta di un’Italia che sa essere più competitiva e più equa, perché fondata su un modello produttivo diverso. In cui tradizione e innovazione, sostenibilità e qualità si incrociano realizzando una nuova competitività. L’Italia non una delle vittime della globalizzazione ma, anzi, un Paese che ne ha approfittato per modificare profondamente la propria specializzazione internazionale, modernizzandola, proprio grazie alla green economy. Creando valore aggiunto in settori in cui ci davano per spacciati e creando nuove specializzazioni in altri settori, in cui siamo oggi leader. L’Expo 2015 è un’occasione unica per presentare al mondo questo modello di sviluppo e l’Italia come suo autorevole paladino. Se vogliamo che questo modello vincente contagi tutto il nostro sistema produttivo, dobbiamo sostenerlo. Anzitutto liberandolo dagli ostacoli che incontra lungo il cammino, primo fra tutti l’eccesso di burocrazia. E poi con politiche industriali e fiscali più green: nelle tecnologie, nella formazione, nella tassazione del lavoro, nel credito, negli investimenti“.

Altri interessanti numeri arrivano dal rapporto, giunto ormai alla sua quarta edizione: il 42% delle imprese manifatturiere che fanno eco-investimenti esporta i propri prodotti, contro il 25,4% di quelle che non lo fanno.
Il 30,4% delle imprese del manifatturiero che investono in eco-efficienza ha effettuato innovazioni di prodotto o di servizi, contro il 16,8% delle imprese non investitrici.
Il 21,1% delle imprese manifatturiere eco-investitrici ha visto crescere il proprio fatturato nel 2012, tra le non investitrici è successo solo nel 15,2% dei casi.

Cosa significa ciò? Semplicemente che la green economy aiuta ad aver maggior successo anche all’estero, oltre che ad aumentare produttività e reddito.

Anche i dati relativi all’occupazione giovanile sono incoraggianti, poiché il 42% del totale delle assunzioni under 30 programmate quest’anno dalle imprese dell’industria e dei servizi con almeno un dipendente, verrà fatto proprio da quel 22% di aziende che fanno investimenti.

Sostengono Unioncamere e Symbola: “Non stiamo parlando, evidentemente, di un settore dell’economia, ma di un tracciante verde che percorre il sistema produttivo italiano e che, a ben guardare, delinea il ritratto più fedele del nuovo made in Italy“.

I settori che maggiormente si sono dimostrati sensibili ed attenti all’economia green, sono
il comparto alimentare (27,7% contro una media del complesso dell’industria e dei servizi del 22%), quello agricolo (49,1%), il legno-mobile (30,6%), il settore della fabbricazione delle macchine ed attrezzature e mezzi di trasporto (30,2%), e poi tessile, abbigliamento, calzature e pelli (23%).

Il Nord del Paese si sta dimostrando più partecipativo in questo senso, con 170mila imprese sul totale delle 327mila, ossia il 52% del totale.
Di queste, 94mila sono al Nord Ovest (28,7%) e circa 75.600 nel Nord-Est (23,1%).
Aziende verdi si trovano anche al Sud, con 93.500 imprese (28,5%), mentre nel Centro si fermano a 64.800 (19,8%).

Per quanto riguarda la distribuzione a livello regionale, spicca la Lombardia, dove le aziende green sono più di 60mila, ovvero il 18% delle imprese green di tutto il Paese.
Segue il Veneto con 30.670 imprese che puntano sull’eco-efficienza (9,4%), terza posizione a pari merito davanti all’Emilia-Romagna e il Lazio, dove sono presenti, in ciascun territorio, poco più di 28mila imprese (8,6%).
Seguono Piemonte, Campania, Toscana e Puglia, rispettivamente con 23.690, 22.540, 21.440 e 20mila imprese attente alle loro performance ambientali. E quindi troviamo la Sicilia, a quota 19.760, e le Marche, che si attestano a 9.830 imprese green.

Ha dichiarato Ermete Realacci: “Non sarà certo la politica economica dell’Adda passà ’a nuttata, per dirla con De Filippo, a tirarci fuori dalla crisi. L’Italia deve affrontare i suoi mali antichi, che vanno ben oltre il debito pubblico e che la crisi ha reso ancora più opprimenti: le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia spesso persecutoria e inefficace. Deve rilanciare il mercato interno, stremato dalla recessione, dall’austerità e dalla paura. E deve saper fare tesoro della crisi per cogliere le sfide, e le opportunità, della nuova economia mondiale. Lo deve fare scommettendo sull’innovazione, la ricerca, la qualità, la green economy, per rinnovare il suo sapere fare, la sua vocazione imprenditoriale e artigiana. L’Italia, insomma, deve fare l’Italia. La prossima Expo di Milano, pensata dopo la crisi, può essere anche la prima esposizione mondiale della green economy“.

Vera MORETTI

Startup: metà di loro ce la fa

Attivare una startup spesso può sembrare più facile che, una volta passata la fase iniziale, farla durare nel tempo.
Per capire quanti riescono a farcela davvero, e non sono costretti a chiudere i battenti dopo pochi mesi, sono state monitorate le neo imprese che hanno partecipato, tra il 2005 e il 2012, al Premio nazionale per l’innovazione promosso dall’associazione Pni cube.

Ciò che è emerso è che almeno la metà degli imprenditori che avviano la propria startup in Italia riescono a fare di essa il proprio lavoro e a renderlo stabile col passare degli anni.
Il fatturato medio di queste realtà imprenditoriali si aggira attorno ai 180mila euro annui.

Più nel dettaglio, tornando ai finalisti del Pni, dei 416 progetti ben 215, corrispondenti al 51,7%, sono diventati startup attive e in media nel 2012 hanno registrato un fatturato di 177,7 mila euro.

Per quanto riguarda la situazione dal punto di vista del territorio, la regione maggiormente attiva è la Toscana, che vanta 24 imprese attive su 26 progetti presentati (92,3%).
A seguire il Piemonte con 20 imprese attive su 24 progetti presentati (83,3%), quindi l’Emilia Romagna, con 23 imprese start-up attive, la Lombardia, con 20 imprese costituite (52,6%); la Campania e la Sicilia, con 40 progetti trasformati in 21 imprese attive (52,5%) e infine il Lazio con 20 imprese attive su 52 progetti (38,5%).

Relativamente ai settori di interesse, la maggior parte dei progetti (120) ha riguardato le life sciences e di questi 48 si sono trasformati in imprese attive (40%).
Secondo posto va al settore ICT con 90 progetti presentati e 53 imprese attive (58,9%), seguito dal settore di energia e ambiente con 81 progetti e 43 imprese attive, quindi il biomedicale con 28 imprese attive su 37 progetti (75,7%).

Vera MORETTI

Lombardia regina delle reti d’impresa

Le reti d’impresa vanno forte in Lombardia e in particolare nella provincia di Varese.
Da una ricerca realizzata dalla Camera di Commercio, infatti, è emerso che, a giugno 2013, in tutta la regione erano stati stipulati ben 378 contratti di rete con 1.393 imprese coinvolte. Di queste, 48 appartengono alla provincia varesina, e comprendono 94 imprese.

Questo exploit mette Varese al quinto posto in Lombardia, dopo Monza e Brianza, Bergamo, Brescia e Milano.

Ma di cosa si occupano maggiormente queste imprese? Su 94, 50 sono attive nel settore manifatturiero, 12 nelle attività professionali e 10 nel commercio, mentre ben 65 sono società di capitali e 17 società di persone. Da sottolineare la progressione temporale del fenomeno: la crescita registrata a partire da inizio 2012 conduce a un +135% di imprese coinvolte solo tra il mese di giugno 2012 e lo stesso periodo di quest’anno. Questo significa che lo strumento funziona e ha incontrato il favore degli imprenditori che lo adottano quale strategia per diventare più competitivi.

La CCIAA di Varese ha proposto il progetto “Dalla collaborazione al contratto di rete” per favorire la nascita di contratti di rete e realizzato dal sistema camerale lombardo a valere sull’Accordo di Programma 2010 Unioncamere/MISE, attraverso il quale sono state supportate/avviate 35 aggregazioni lombarde in forma stabile, di cui due in provincia di Varese.

Vera MORETTI

Prorogata la richiesta per ripristino attività in seguito al sisma

Sono stati prorogati, per decisione della Regione Emilia Romagna, i termini di scadenza per la presentazione delle domande di accesso ai contributi per finanziare il ripristino e il riavvio delle attività produttive distrutte o danneggiate dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012.

Per accedere alle agevolazioni, le imprese che intendono usufruire dei contributi per la realizzazione degli interventi di riparazione con rafforzamento locale, miglioramento sismico o ricostruzione, riparazione e riacquisto beni mobili srumentali, ma anche per la ricostruzione di scorte e prodotti e delocalizzazione temporanea, possono inviare entro il 31 gennaio 2014 un’apposita istanza “preliminare” alla domanda di contributo contenente oltre ai dati dell’azienda beneficiaria, il tipo e il valore indicativo del danno stimato.

Le imprese che avranno rispettato i termini di scadenza per la domanda preliminare, potranno presentare la domanda di contributo entro il 31 dicembre 2014.

Le domande devono essere presentate online, seguendo la procedura disponibile sul potale della regionale SFINGE.

Vera MORETTI