Fermo amministrativo auto: tutto ciò che c’è da sapere

Molte persone ogni giorno ricevono una cartella di pagamento in cui viene intimato che, nel caso di mancato pagamento entro un determinato arco temporale, sarà applicato il fermo amministrativo dell’auto, ma in quali casi si può procedere e quali sono i passi da compiere per poter effettuare in modo legittimo un fermo amministrativo?

Quando può essere applicato un fermo amministrativo sull’auto?

Il fermo amministrativo dell’auto (conosciuto anche come ganasce fiscali) può essere disposto in seguito al mancato pagamento di debiti erariali, ad esempio Iva, Irap, Irpef, Ires e altri oneri in favore di enti pubblici, tra cui anche gli enti previdenziali, oppure nel caso di multe emesse in seguito a infrazioni al codice della strada e non pagate nei termini, mancato pagamento della tassa di possesso sull’auto. Il fermo amministrativo può essere disposto anche a fronte del mancato pagamento di imposte di tipo locale ( regionali e comunali, ad esempio Imu). Può essere considerato un provvedimento corrispondente al pignoramento che si applica nel caso in cui il creditore sia un privato.

L’applicazione delle ganasce fiscali non è però immediata, ma deve seguire una corretta procedura che, se disattesa, può portare all’inefficacia dell’atto.

La normativa di riferimento è contenuta nel DPR 602 del 1973  ss.mm.ii e nel DM n. 503/98. La normativa prevede che l’agente di riscossione/concessionario, a fronte del mancato pagamento di cartelle esattoriali, può disporre il fermo amministrativo del veicolo. Generalmente si parla di auto, ma in realtà può essere anche un furgone, una moto, i natanti, insomma qualunque tipologia di veicolo soggetto ad iscrizione in pubblici registri.

Avviso e preavviso di fermo amministrativo del veicolo/ ganasce fiscali

L’agente di riscossione quindi trascorsi 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale o 90 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento esecutivo, può disporre il blocco dei mezzi iscritti nel Pubblico Registro Automobilistico e comunica l’atto alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate e alla Regione di Residenza. Procede quindi al blocco del veicolo attraverso l’iscrizione del fermo amministrativo al PRA.

Le norme sul fermo amministrativo prevedono anche che al debitore sia notificato il preavviso di fermo con un anticipo di almeno 30 giorni. Il preavviso può anche essere contenuto nell’atto con cui il contribuente viene invitato al pagamento delle somme contestate.

L’obbligo di preavviso di fermo è stato introdotto con l’articolo 52, primo comma, lettera m-bis, del DL n 69/13.

In quali casi si può evitare il fermo amministrativo?

Nel caso in cui il contribuente utilizzi il veicolo per la sua attività di lavoro, può evitare il blocco provando che si tratta di un bene strumentale necessario allo svolgimento dell’attività di impresa e professionale. In questi casi infatti il blocco dell’attività potrebbe portare maggiori difficoltà anche all’ente creditore che in realtà preferisce ottenere il pagamento della cartella invece di eseguire una procedura di fermo e conseguente vendita del veicolo che potrebbe anche essere poco fruttuosa. Per chiedere lo sblocco del veicolo strumentale è necessario usare il modello F2 “Istanza di annullamento preavviso fermo bene strumentale”.

Vi sono limiti al fermo amministrativo anche nel caso in cui il veicolo sia nella disponibilità di persone disabili. In questo caso il modello da presentare è F3 “Istanza di annullamento preavviso-cancellazione fermo bene ad uso persona diversamente abile.”

Cosa succede se il debito verso l’Erario è alto?

Potrebbe verificarsi che un auto magari vecchia non abbia una valore tale da coprire il credito dell’erario. In questi casi vi è la possibilità di procedere al fermo su più veicoli, ricordiamo che solo nel caso in cui il valore del credito supera i 120.000 euro è possibile iscrivere un’ipoteca su immobili.  La normativa prevede  quindi la possibilità di fermi multipli:

  • se il debito ha un ammontare non superiore a 2.000 euro, il fermo può essere applicato a un solo veicolo;
  • se il debito ha un ammontare da 2000 a 10.000 euro il fermo può riguardare fino a 10 autoveicoli;
  • nel caso in cui l’amministrazione procedente vanti un credito oltre 10.000 euro, il fermo amministrativo può essere applicato a tutti i veicoli che sono nella disponibilità del debitore.

Quali sono gli effetti del fermo amministrativo?

La prima conseguenza del fermo amministrativo sul veicolo, o ganasce fiscali, è indicata nell’articolo 5, comma 2, DM n. 503/98 che prevede il divieto di circolazione del veicolo. Questa misura è dovuta al fatto che il fermo viene considerato un provvedimento di tipo cautelare volto a tutelare il creditore che dovrebbe ricevere ristoro dalla vendita del mezzo. Tale tesi è sostenuta in diversi provvedimenti giudiziari tra cui l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 25 febbraio 2003 in cui si afferma che il fermo ha natura cautelare e non espropriativa. Tesi confermata dal Tribunale di Novara con sentenza del 9 maggio 2003.

Il veicolo inoltre nel periodo in cui è sottoposto a fermo non può essere cancellato dal PRA, non si può eseguire la rottamazione dello stesso e non può essere esportato. Questo proprio al fine di tutelare il valore del bene.

Il veicolo sottoposto a fermo amministrativo può essere venduto, naturalmente il potenziale acquirente nel momento in cui andrà a verificare la situazione del veicolo al PRA scoprirà che sullo stesso c’è il fermo e dovrà sottostare ai limiti. Non potrà a sua volta circolare con lo stesso. Naturalmente pagando quanto dovuto dal debitore principale, potrà liberare il veicolo dai vincoli.

Tra gli obblighi del proprietario vi è quello di custodia, infatti l’articolo 214 del decreto legislativo 285 del 1992 stabilisce che “il proprietario, nominato custode, fa cessare la circolazione e provvede alla collocazione del veicolo in un luogo di cui abbia la disponibilità ovvero lo custodisce, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio”.

Sanzioni per il mancato rispetto dei vincoli

Naturalmente se il veicolo circola sebbene sia in fermo amministrativo, vi potranno essere conseguenza molto spiacevoli se si viene sottoposti a controlli da parte delle autorità. Le sanzioni vanno da un minimo di 760 euro a un massimo di 2.500 euro nel caso in cui si verifica un sinistro stradale.

In caso di vendita durante il periodo di preavviso di fermo, quindi prima dell’iscrizione del fermo, potrebbe verificarsi però l’ipotesi di truffa, infatti l’acquirente non poteva essere a conoscenza del fatto che si stava per procedere al fermo, mentre ne era a conoscenza il venditore.

Se ho un sinistro stradale con il veicolo in fermo amministrativo, l’assicurazione paga? No, la copertura assicurativa non è vigente in questi casi.

Cosa fare quando si riceve un fermo amministrativo?

La prima cosa da fare è distinguere tra il preavviso e il fermo vero e proprio, al momento del preavviso, il fermo non è ancora iscritto al PRA, il proprietario può circolare con il veicolo. A questo punto il proprietario del veicolo può pagare quanto dovuto, può contestare il debito e/o la procedura. Ricordiamo che nella notifica devono essere indicate le somme richieste e gli atti a cui le stesse si riferiscono.

Infine, si può chiedere la rateizzazione dell’importo, questa blocca l’iscrizione del fermo amministrativo. In caso di mancato pagamento delle rate, riparte la procedura.

Nel momento in cui in seguito al preavviso non si ottempera ai propri obblighi vi è appunto l’iscrizione.

Per cancellarla è necessario pagare quanto dovuto, grazie al D.Lgs. 98/2017, in seguito al venir meno del fermo amministrativo vi è la cancellazione d’ufficio dello stesso. Questa normativa si applica dal 1° gennaio 2020, ciò implica che per i procedimenti anteriori è necessario porre in essere la vecchia disciplina. In passato era necessario che il debitore proponesse istanza per la cancellazione del fermo attraverso una PEC oppure con raccomandata previo pagamento di un’imposta di bollo di 32 euro.

Ricordiamo che se il debitore non provvede nei termini al pagamento di quanto dovuto o comunque non effettua nessuna azione ( ad esempio il ricorso avverso il provvedimento di fermo), il veicolo potrà essere sottoposto a vendita forzata e le somme saranno nella disponibilità del concessionario ( Agenzia Entrate e Riscossione)

Evasione fiscale e lavoro nero: scattate denunce ad Augusta

Azione doppia da parte della Guardia di Finanza di Augusta, nel siracusano, che ha dato una “botta“ all‘evasione fiscale e al lavoro nero.

I finanzieri della zona, infatti, hanno scoperto una sorta di triangolazione triangolazione tra Carlentini, dove operava una società inattiva che avrebbe cumulato debiti su debiti nei confronti dell’Erario e degli Enti di previdenza ed assistenza relativi al personale ingaggiato, ed Augusta dove lo stesso personale veniva irregolarmente distaccato e abusivamente utilizzato da un’altra azienda.

Si tratterebbe di un’evasione fiscale di circa 650 mila euro, facendo la somma tra ritenute fiscali e contributi previdenziali, anche ricorrendo all’emissione ed all’utilizzo di fatturazioni per operazioni inesistenti.

Ma non è tutto, poiché è stata anche rilevata una forte incongruenza tra il numero do ore pagate in busta paga ai dipendenti e l’effettiva prestazione resa di circa 200 mila euro.

In questo modo, sono emersi 85 lavoratori in nero, che avrebbero permesso alla società di evadere 5 milioni di euro, tra imposte ed Iva accertata.
I rappresentanti legali delle due società sono stati denunciati in stato di libertà all’autorità giudiziaria.

Nel secondo caso le Fiamme Gialle hanno portato alla luce un’evasione fiscale da 12 milioni di euro. I responsabili della società sono stati segnalati alla magistratura per truffa aggravata. In questo caso i soci avrebbero falsamente rappresentato all’Inps una situazione di crisi per accedere alla cassa integrazione per 49 lavoratori che, invece, sarebbero stati regolarmente al lavoro.

Vera MORETTI

I debiti con Equitalia possono essere rateizzati

Pagare i debiti nei confronti dell’Erario può essere un problema, soprattutto in un periodo, come questo, in cui è difficile trovare liquidità.

Per questo, la direttiva Equitalia ha reso nota la possibilità di rateizzare il pagamento.
Pur essendo un’opzione esistente anche prima, ora è possibile ottenere la dilazione senza necessariamente dover comprovare lo stato di difficoltà economica.
Per poter richiedere, dunque, la rateizzazione, è sufficiente presentare istanza a Equitalia, che potrà concedere fino a 72 rate con importo minimo di 100 euro al mese.

Il modulo per la richiesta va compilato e inviato, allegando la documentazione necessaria, tramite raccomandata a/r o consegnato brevi manu presso uno degli sportelli dell’Agente della riscossione del Gruppo Equitalia che ha emesso la cartella di pagamento.

Ovviamente, le modalità di pagamento cambiano a seconda dell’entità del debito.
Per situazioni debitorie fino a 20.000 euro è prevista una dilazione massima di 48 rate di importo minimo 100 euro. Per aumentare le rate è necessario produrre apposita documentazione comprovante le difficoltà economiche del contribuente. La procedura è la stessa per imprese e cittadini: bisogna presentare modulo di richiesta e copia della carta d’identità.
Per situazioni debitorie superiori a 20.000 euro invece è necessario fare una distinzione tra persone fisiche e ditte individuali a regime fiscale semplificato o ordinario.

La procedura cambia a seconda che si tratti di persone fisiche o aziende.
Le persone fisiche devono compilare l’apposito modulo e allegarvi sia la copia della carta di identità che il modello ISEE che comprova reddito, patrimonio mobiliare e immobiliare e caratteristiche del nucleo familiare per numerosità e tipologia.

Le ditte individuali con regimi fiscali semplificati, invece, devono scaricare il modulo adatto e inviare a Equitalia, oltre alla richiesta, il modello ISEE e la copia del documento d’identità.
Per le ditte individuali con partite iva in regime contabile ordinario, occorre prima fare una distinzione tra debiti da 20.001 a 50.000 euro a debiti superiori a 50.000 euro.

In caso di debiti da 20.001 a 50.000 euro saranno due i parametri che Equitalia esaminerà: l’Indice di Liquidità (liquidità differite+liquidità correnti/passività correnti) e l’Indice Alfa (debito complessivo/valore della produzione x 100).
In precedenza, l’Indice di Liquidità doveva essere inferiore a 1 e l’indice Alfa superiore a 3, adesso invece l’indice Alfa viene considerato come parametro per determinare il numero di rate massimo concedibile ovvero: fino a 2 – max 18 rate; da 2,1 a 4 – max 36 rate; da 4,1 a 6 – max 38 rate; da 6,1 a 8 – max 60 rate; oltre 8,1 – max 72 rate.
Rimangono invariate le modalità di calcolo dell’Indice di Liquidità e la sua valenza quale soglia di accesso all’istituto della dilazione laddove tale valore sia inferiore ad 1.

Per importi fino a 50.000 euro non è necessario che il prospetto per la determinazione dell’Indice di Liquidità e dell’Indice Alfa sia firmato da un professionista accreditato. Basta una copia del documento attestante l’apertura della partita IVA in Camera di Commercio e la denominazione della ditta.
Per importi superiori a 50.000 euro la relazione deve essere firmata da un professionista accreditato.

Per chi volesse determinare in autonomia i calcoli, Equitalia mette a disposizione un simulatore di rate ed importo.
Una volta ottenuta la rateizzazione, il soggetto debitore non è più considerato inadempiente ed è quindi ammesso a partecipare alle gare d’appalto di lavori, forniture e servizi.
La concessione delle rate decade dopo il mancato pagamento di due rate consecutive.

Se il contribuente ha ottenuto la dilazione del debito, fino a raggiungimento della soglia minima di debito pari a 20.000 euro, l’agente di riscossione non può procedere con l’iscrizione della garanzia ipotecaria e non può attivare il procedimento di espropriazione immobiliare.

L’iscrizione dell’ipoteca per importi inferiori a 20.000 euro, infatti, è prevista soltanto in caso di rigetto dell’istanza o di decadenza del beneficio della rateizzazione. Per quanto riguarda i pignoramenti di stipendi, salari o altre indennità, la legge suddivide le fattispecie in tre categorie:

  • per debiti fino a 2.000 euro è possibile pignorare un decimo dello stipendio;
  • da 2.000 2 a 5.000 euro è possibile pignorare un settimo dello stipendio;
  • oltre i 5.000 euro è possibile pignorare un quinto dello stipendio.

Per quanto riguarda gli accertamenti esecutivi, infine, l’agente incaricato della riscossione comunicherà al contribuente la procedura mediante l’invio di raccomandata semplice. L’obbligo d’informazione viene meno se l’agente ritiene che tale informativa possa compromettere il buon esito della riscossione.

Vera MORETTI

Un accertamento con adesione da due milioni di euro

L’Agenzia delle Entrate di Napoli è riuscita, grazie ad un maxi recupero derivante da compensi non contabilizzati né dichiarati da parte di uno studio professionale partenopeo, a mettere nelle sue casse due milioni e 135 mila euro.

Il primo versamento è stato versato dal contribuente il 28 dicembre 2012, a seguito della firma dell’adesione avvenuta il 21 dicembre 2012.

Nel corso del contraddittorio, l’Agenzia ha esaminato i registri Iva e la documentazione relativa agli acquisti contabilizzati e dichiarati. Dopo aver constatato l’esiguità dei costi, che non corrispondevano ai compensi dichiarati, le Entrate hanno ritenuto possibile che lo studio avesse sostenuto spese necessarie per l’esercizio dell’attività non riportate in contabilità.

I funzionari del Fisco sono riusciti a ricostruire forfettariamente alcuni costi basandosi sugli studi di settore e su
contribuenti che svolgono attività similari con analoghe caratteristiche strutturali ed economiche.

L’accertamento con adesione, dunque, si rivela come un’opportunità per il contribuente di aprire una finestra di dialogo con il Fisco, presentare nuovi elementi o dati e ridiscutere la propria posizione.
Se la procedura va a buon fine, le maggiori imposte dovute vengono rideterminate, con vantaggi per entrambe le parti e senza ricorrere alla fase contenziosa.

L’istituto fornisce la possibilità di ridefinire la pretesa tributaria attraverso un contradditorio nel quale possono essere presentati nuovi dati e documenti.
Se il procedimento di accertamento con adesione si conclude positivamente, il contribuente usufruisce anche della riduzione delle sanzioni a un terzo del minimo.

Vera MORETTI

Le tasse per i ricchi hanno fatto flop

Sembrava un’idea geniale, e invece si è rivelata un flop.

Se l’erario pensava di rimpinguare le sue casse con le tasse “per i ricchi”, ha fatto male i suoi conti.
La cedolare secca sugli affitti e la tassa sul lusso, che andava a colpire aerei, barche e auto, non hanno portato a nessun cambiamento, e l’evasione fiscale rimane uno dei problemi più annoso del nostro Paese.

Per quanto riguarda l’incasso stimato dall’introduzione della cedolare al 20%, dovuta dai proprietari di immobili in affitto, che avrebbe dovuto essere di 2,7 miliardi, euro più, euro meno, in realtà ha portato ad incassare solo 675 milioni.
Se consideriamo che, in concomitanza con questa nuova tassa, è stato tolto l’Irpef che i proprietari di immobili in affitto erano tenuti a pagare, per una cifra di 2,2 miliardi, ora all’erario mancano all’appello ben 1,6 miliardi.

E il prossimo futuro non ci riserva nulla di buono, perché, invece dei 3,8 miliardi di euro previsti, le proiezioni fatte a luglio stimano a 714 milioni le entrate totali.
Pensando che, con la vecchia Irpef, le entrate per lo Stato sarebbero ammontate a 3 miliardi di euro, ci si rende conto che la nuova tassa si è rivelata un totale fallimento.

Ma, se la cedolare era stata un’idea del governo Berlusconi, anche il governo Monti ha commesso alcuni pesanti errori.
Primo fra tutti, la tassa del lusso, per mesi al entro delle polemiche e, col senno di poi, forse a ragione. Se, infatti, l’incasso per quest’anno avrebbe dovuto aggirarsi sui 387 milioni di euro, di cui 147 provenienti dal superbollo auto, 155 dal tributo di stazionamento delle imbarcazioni e 85 di imposta sugli aerei, in realtà arriverà a stento a 92 milioni.

L’Agenzia delle Entrate ha reso noto che dal tributo sulle auto sono stati incassati 66 milioni, anche se c’è margine di recupero, essendo il bollo distribuito su tutto l’anno.
I dati che riguardano, invece, barche ed aerei, sono ormai certi, e si tratta rispettivamente di 24 e di 2 milioni.

Resta da vedere quale sarà la prossima mossa, per cercare di recuperare ciò che manca.

Vera MORETTI

Nuovo codice tributo per i beni culturali

di Vera MORETTI

D’ora in poi è disponibile, nella dichiarazione dei redditi, il codice tributo “6836” per pagare i tributi erariali tramite la cessione di opere di “interesse culturale” (risoluzione n. 17/E del 20 febbraio).

Il contribuente può quindi saldare, anche in parte, le imposte mediante la cessione di “beni culturali”, che possono essere beni mobili e immobili d’interesse artistico, storico o archeologico, ma anche di archivi o singoli documenti dichiarati di notevole interesse storico, nonché opere di autori viventi o la cui esecuzione risalga a epoca inferiore al cinquantennio di cui lo Stato sia interessato all’acquisizione (articolo 28-bis del Dpr 602/1973).

Questo codice tributo dà la possibilità di pagare le imposte compensando, in F24, con il credito derivante dalla cessione delle opere.
Va indicato nella sezione “erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”.
Nel campo “anno di riferimento” va riportato l’anno del decreto ministeriale con cui sono stabilite le condizioni della cessione e la stima dei beni.
Il modello F24 va presentato esclusivamente presso l’agente della riscossione competente in base al domicilio fiscale del contribuente.

Due nuovi tributi per il contributo di solidarietà

di Vera MORETTI

Sono stati introdotti due nuovi codici tributo, il 1618 e il 145E, che dovranno essere indicati rispettivamente in F24 e F24EP (F24 Enti Pubblici), per il versamento del contributo di solidarietà del 3% dovuto sulla parte di reddito eccedente i 300mila euro lordi annui, (articolo 2, comma 2, Dl 138/2011).
Se si tratta, dunque, di redditi di lavoro dipendente e assimilati, il sostituto d’imposta deve effettuare i calcoli e trattenere il contributo, in un’unica soluzione, in occasione del conguaglio di fine anno, versandolo poi all’erario.

Il 1618 deve essere segnalato nella sezione “Erario“, in corrispondenza dell’importo evidenziato nella colonna “importi a debito versati“, con l’indicazione, nei campi “rateazione/regione/prov./mese” e “anno di riferimento“, rispettivamente del mese e dell’anno in cui si esegue il conguaglio.

Anche il 145E va esposto nella sezione “Erario“, con indicazione del mese e dell’anno in cui è effettuata l’operazione di conguaglio, rispettivamente, nel campo “riferimento A” e nel campo “riferimento B“.

Non vanno invece riempiti i campi codice ed estremi identificativi.

Un nuovo codice tributo per aiutare le imprese siciliane

di Vera MORETTI

Il frutto della convenzione siglata tra Agenzia delle Entrate e Regione Sicilia nel novembre 2010 e istituito con risoluzione 118/E del 9 dicembre è il codice tributo 3897, che permette alle imprese siciliane che operano nei settori estrattivo, manifatturiero, del turismo, dei servizi e anche le artigiane, di usufruire del credito d’imposta concesso dalla propria Amministrazione regionale, con legge 11/2009, utilizzandolo in compensazione con il modello F24.

Tali settori imprenditoriali, dunque, potranno usufruire di un credito d’imposta solo se effettueranno nuovi investimenti entro il 31 dicembre 2013, per incentivare la crescita e lo sviluppo dell’economia dell’isola.

Gli importi saranno diversi a seconda della misura delle aziende. Ad esempio, le aziende che si occupano di turismo si aggiudicheranno il contributo solo se i costi degli investimenti saranno almeno pari a 100mila euro ma non superiori a 4 milioni, mentre i limiti per le microimprese vanno da un minimo di 50mila a un massimo di 500mila euro, per le piccole da 100mila a un milione, per le medie e le grandi imprese, invece, da 500mila a 4 milioni di euro.

Si legge nell’articolo 6 della legge regionale: “Il credito d’imposta, determinato con riguardo ai nuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo d’imposta, va indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di maturazione ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modifiche ed integrazioni, a decorrere dalla data di sostenimento dei costi”.

Nell’F24, il tributo con codice 3897, identificato con la dicitura “Credito d’imposta per nuovi investimenti e per la crescita dimensionale delle imprese-Regione Siciliana – L.R. n. 11/2009”, si trova nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “Importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente deve riversare il credito, in quella “Importi a debito versati”, e sarà operativo dal prossimo 15 dicembre.

Superbollo: da pagare entro il 10 novembre

E’ entrato in vigore pochi giorni fa il decreto ministeriale sull’addizionale erariale introdotta, per i veicoli di grossa cilindrata, dalla manovra finanziaria dello scorso luglio. Entro il 10 Novembre, a 30 giorni cioè dalla pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, i possessori di un veicolo per il trasporto promiscuo di persone o cose con più di 225 chilowatt di potenza, dovranno pagare l’addizionale per un importo pari a 10 euro per ogni chilowatt eccedente i 225.

La tassa automobilistica dovrà essere corrisposta utilizzando il modello “F24 elementi identificati”, senza possibilità di compensazione con eventuali crediti vantati. Per gli anni successivi, successivi, l’addizionale verrà corrisposta alle stesse scadenze previste per il bollo auto.

L’addizionale alla tassa automobilistica ha destinazione diversa rispetto al bollo ordinario, che è assegnato alle Regioni. Per procedere, dal 2012, al pagamento contestuale del bollo e dell’addizionale, con riversamento diretto di quest’ultima al bilancio dello Stato, il ministero dell’Economia e delle Finanze, d’intesa con l‘Agenzia delle Entrate, emetterà un decreto per individuare le tempistiche e i criteri di adeguamento ai sistemi utilizzati dai singoli Enti per il pagamento della tassa automobilistica. In caso di ritardo nell’emanazione del provvedimento, il versamento avverrà come per l’anno in corso, con il modello “F24 elementi identificativi”.

Tenuti al pagamento dell’addizionale sono coloro che risultano “proprietari, usufruttuari, acquirenti con patto di riservato dominio, ovvero utilizzatori a titolo di locazione finanziaria” al pubblico registro automobilistico. Per il 2011, si fa riferimento al giorno in cui è entrata in vigore la norma, lo scorso 6 luglio; a partire dal 2012, l’obbligo ricade su chi è proprietario alla scadenza del termine utile per il pagamento della tassa automobilistica.

In caso di prima immatricolazione, differentemente da quanto previsto per il bollo l’addizionale va pagata in misura integrale.

A.C.

Condono: un costo per lo Stato o per i cittadini?

Il condono costa di più al cittadino o allo Stato? Secondo un studio pubblicato da Il Sole 24 Ore il condono, edilizio o fiscale che sia, “costa all’Erario e ai Comuni assai più che al contribuente. Non tanto e non solo per le spese amministrative, che comunque pesano, ma soprattutto per la rinuncia al gettito ‘regolare’ che deriva dall’applicazione della sanatoria”. Negli ultimi 5 anni con le varie sanatorie applicate a fini fiscali o edilizi lo Stato ha perso 860 miliardi di euro.  E, facendo un ulteriore salto indietro nel tempo, tra il 1980 e il 1997 la rinuncia al gettito regolare sarebbe costata allo Stato ben 883 miliardi, contro un guadagno di 22,3 miliardi derivanti dalle sanatorie per il condono previdenziale.

Il condono in Italia, un’operazione che non ha eguali in nessun altro Stato Europeo, rappresenta inoltre un costo per lo Stato in termini amministrativi: le energie investite dall’Agenzia delle Entrate per l’analisi e la gestione delle domande di condono hanno impedito infatti di focalizzarsi sulle attività di accertamento fiscale. Condono e illegalità fiscale, che molto spesso si trovano a camminare a braccetto. Con la ripetuta incitazione all’illegalità infatti, che è implicita ad ogni nuovo condono, il fenomeno dell’evasione fiscale non può in alcun modo essere limitato. A soffrirne per i primi i conti pubblici, impossibilitati a far fronte al debito pubblico.

Altra piaga inalienabile, l’evasione: molto spesso c’è chi versa solo la prima rata dell’oblazione, in modo da avviare la pratica, salvo poi sparire. Come a Roma, dove sono circa 6 000 le pratiche pronte e mai ritirate.

Risultato? Continui e sempre più pressanti tagli ai bilanci dello Stato, aumento delle tasse, eliminazione delle agevolazioni fiscali. A rimetterci come sempre le fasce più deboli della popolazione, che necessitano maggiormente dell’assistenza pubblica e sociale da parte del Comune di appartenenza.

A.C.