Beni del defunto usati dagli eredi, annullano l’accettazione tacita?

I beni del defunto usati dagli eredi sono tutto quel complesso di cose o immobili che sono appartenuti ad una persona prima del decesso, oggi usati dei suoi successori

Beni del defunto usati dagli eredi, cosa si intende?

Quando una persona è in vita utilizza per se e per la sua famiglia un complesso di bene e di immobili. Ma quando muore, può succedere che gli stessi continuino ad essere usati anche dagli eredi. Ad esempio, in una famiglia tutti vivono insieme all’interno di una abitazione di proprietà dei genitori, poi uno dei due muore e i suoi eredi ovviamente continuano a vivere in quella casa pur non facendo alcun documento. Ma il attraverso il loro diritto di abitazione continuano a vivere in quell’immobile.

Ma il comportamento di usare la macchina del proprio compagno defunto, o la casa in cui si è vissuto con i genitori defunti, può considerare una sorta di accettazione tacita dell’eredità?  L’articolo 476 del codice civile introduce il concetto di accettazione tacita e così redita: “L’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede“.

Beni del defunto usati dagli eredi, il caso che fa discutere

Il Signor B. vive nella casa dei genitori che sono deceduti qualche anno fa. Ha vissuto da sempre lì, e ha creato la sua nuova famiglia all’interno dello stesso immobile. Il Signor B ha provveduto alla normale successione, presso l’Agenzia delle entrate, pagando le relative tasse. Essendo figlio unico, ha deciso di tenere l’immobile tutto per sé, ma deve anche fare l’accettazione tacita di eredità, pur ampiamente dimostrato di aver accettato la casa dei genitori?

Partiamo dal fatto che l’accettazione dell’eredità può essere fatta entro 10 anni dal decesso. Basta fare una dichiarazione rilasciata davanti al notaio che ha aperto la successione o al cancelliere del tribunale competente. E questa è la così detta accettazione espressa dell’eredità. Tuttavia di recente la Cassazione ammette che l’accettazione possa desumersi da “un comportamento concludente” ossia un comportamento da cui si desume che si è accettato l’immobile in erededità dal defunto in modo tacito.

La successione non basta come documento

Il Signor B ha fatto una semplice successione, ma è un documento importante solo ai fini del Fisco. Infatti secondo la cassazione l’immissione in possesso dei beni ereditari non comporta accettazione tacita dell’eredità. Questo perché tale comportamento non presuppone necessariamente, in chi la compie, la volontà di accettare. Potendo la stessa dipendere anche da un mero intento conservativo del chiamato o da tolleranza da parte degli altri chiamati.

Quindi si il Signor B dovrà procedere all’accettazione del bene, altrimenti un domani non potrà neanche rivenderlo o darlo in donazione o disporne come vuole. Per tale motivo è opportuno fare insieme sia la successione che l’accettazione tacita di eredità e quindi provvedere in modo regolare all’uso del bene.

Accettazione tacita di eredità obbligatoria, senza niente compravendita

L’accettazione tacita di eredità obbligatoria è un elemento molto importante della storia di un immobile, soprattutto quando c’è di mezzo una eredità.

Accettazione tacita di eredità obbligatoria, perché è così importante?

Ogni immobile racconta la sua storia. Attraverso una semplice visura catastale storica, è possible conoscerla. Sapere in buona sostanza chi ha posseduto quell’immobile prima di un eventuale acquisto. Quando l’ultimo proprietario muore, lascia i suoi averi agli eredi che possono rifiutare o accettare l’eredità. Si aprirà il testamento, se presente, oppure procedere con la normale successione dei chiamati. Successivamente gli eredi possono decidere di vendere casa, anche se un erede non è proprio dello stesso avviso. Anche se è un caso molto raro, ma succede.

L’articolo 476 del codice civile introduce il concetto di accettazione tacita e così redita: “L’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede“. Ecco che quindi deve sottoscrivere l’accettazione tacita di eredità prima di procedere alla vendita del bene.

Accettazione tacita di eredità obbligatoria, un caso specifico

Un caso di accettazione tacita di proprietà tra i più comuni è il seguente. “I Signori A. e F. sono gli eredi di una casa al mare in provincia di Catania. Essendo defunti entrambi i genitori e vivendo fuori Sicilia, hanno deciso di voler vendere quella proprietà. Hanno già provveduto alla successione, prima di parte di madre e dopo qualche anno anche per le quote di proprietà del padre. A questo punto hanno deciso di vendere e hanno trovato una famiglia disposta ad comprare quella piccola villetta a pochi passi dal mare. Qualche giorno prima del rogito notarile, in Sicilia, il Notaio li avvisa che avrebbero dovuto sottoscrivere l’accettazione tacita di eredità, pagare una cifra e procedere. I Signori si interrogano se è giusto dover pagare quella somma, o è una trovata del compratore per risparmiare sulle spese da sostenere per l’acquisto“.

Ebbene dobbiamo dare una brutta risposta ai venditori, perché è corretto dover procedere alla sottoscrizione dell’accettazione tacita di eredità proprio per garantire il principio della continuità delle trascrizioni. Si ricorda che tutti gli atti si trascrivono nei registri immobiliari pubblici. Per cui questa continuità è garantita proprio da questo documento redatto da notaio, ma sottoscritto e pagato dai venditori.

Altri motivi per chi la sottoscrizione è necessaria

Oltre al motivo giù detto, l’accettazione svolge da tutela dell’acquirente, e della banca mutuante se il compratore ha richiesto il mutuo. Infatti attesta che coloro che stanno vendendo l’immobile siano i reali proprietari e non ci siano terzi che possano vantare diritti sull’immobile. Il documento viene spesso redatto anche in maniera contestuale alla compravendita, ma le spese rimangono a carico dei venditori.

 

 

I diritti della vedova su pensioni, eredità e casa di abitazione

I diritti della vedova su pensioni, eredità e casa di abitazione, ecco tutto quello che spetta a chi rimane in vita e perde il marito.

I diritti della vedova, il tema della pensione

Una coppia si sposa, sperando di passare la vita insieme. Ma succede che a volte non va così e uno dei due muore. Ma quando il coniuge ha diritto alla pensione di reversibilità? Il coniuge matura il diritto alla pensione di reversibilità dopo un mese dal decesso, anche se separato legalmente o divorziato. Però questo se titolare di un assegno periodico divorzile.

La pensione è un trattamento riconosciuto in caso di decesso del pensionato in favore dei familiari superstiti. Tuttavia la pensione di reversibilità è pari ad una quota percentuale della pensione del dante causa. In particolare se la coppia ha avuto un figlio, alla moglie spetta un terzo dell’eredità del marito. Invece se la coppia ha avuto due o più figli, alla moglie spetta un quarto dell’eredità del marito mentre i due quarti vanno ai figli in parti uguali.

I diritti della vedova, in caso di eredità

Al coniuge spetta l’intera eredità solo in caso di mancanza dei figli. Inoltre entrano nella categoria “eredi” anche gli  ascendenti, le sorelle e i fratelli che se sono presenti, secondo le quote stabilite dalla legge. Invece se i coniugi erano in comunione dei beni, questa si scioglie al momento della morte del coniuge.

Più in generale, se i beni del coniuge defunto erano in comunione legale, confluiscono nell’eredità solo al 50%, perché l’altro 50% è già in possesso del coniuge vivo. Mentre se i beni del coniuge erano in regime di separazione dei beni confluiscono al 100% nell’eredità.

Infine in caso di divorzio, il vincolo matrimoniale si scioglie, insieme a tutti i diritti successori. Quindi l’ex coniuge superstite, non fa più parte dell’asse ereditario del defunto e quindi nulla gli spetta.

La casa di abitazione, come ci si comporta?

Altro argomento importante è quello della casa di abitazione dei coniugi. Infatti il coniuge vivo mantiene il diritto sull’utilizzo dei beni immobili. Ma anche dei beni mobili presenti nell’abitazione, sempre che siano di proprietà del defunto o in comunione tra entrambi. Di solito, il soggetto già all’apertura della successione acquisisce il diritto di abitazione.

Ai sensi dell’art. 540, comma 2, del c.c., infatti, al coniuge superstite, anche quando concorre con altri chiamati all’eredità, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

 

Rinuncia all’eredità: non è valida se non si presenta l’inventario

Sei stato chiamato all’eredità avente ad oggetto beni di cui già sei in possesso? In questo caso si perde la possibilità di rinunciare all’eredità se non si redige l’inventario entro 3 mesi.

Cos’è la rinuncia all’eredità

La rinuncia all’eredità è uno strumento dato ai chiamati all’eredità allo scopo di poter decidere se effettivamente entrare nell’asse ereditario di un soggetto. I motivi della rinuncia possono essere di varia natura, ad esempio si può trattare di motivi di ordine morale, come nel caso in cui una persona non ha voluto avere a che fare con un congiunto e decide di non volere i suoi beni neanche dopo la morte della persona. Possono però essere anche motivi di ordine economico, ovvero se si ha il sospetto che il patrimonio sia incapiente rispetto ai debiti contratti dal soggetto, si può decidere di non accettare l’eredità.

Qualunque sia il motivo di tale scelta, è necessario rispettare delle procedure specifiche e in una recente pronuncia la Corte di Cassazione ha stabilito che chi vuole rinunciare all’eredità deve fare l’inventario. La regola generale prescrive che la rinuncia deve essere effettuata entro 10 anni dall’apertura della successione testamentaria. Vi sono però delle eccezioni e oggi ci interessa una di esse, cioè il caso in cui il chiamato sia già in possesso dei beni.

Rinuncia all’eredità quando gli eredi sono già in possesso dei beni

Nel caso in esame occorre fare delle precisazioni. Trova applicazione l’articolo 485 del Codice Civile il quale stabilisce che coloro che per vari motivi sono in possesso dell’eredità entro tre mesi dall’apertura della successione devono fare l’inventario. Se non procedono in tal senso, l’eredità si intende accettata e quindi si perde la possibilità di esercitare la rinuncia all’eredità. Se gli eredi hanno iniziato a redigere l’inventario, ma non riescono a completarlo nell’arco di 3 mesi, possono chiedere al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non può eccedere i tre mesi.

Questo è il caso che interessa nel concreto, cioè i chiamati all’eredità erano già in possesso dei beni. Si verifica ciò nel caso in cui Tizio lasci, ad esempio, in eredità al figlio Caio una casa e costui vive già nella casa, oppure un’azienda che il soggetto già dirige, un terreno che già coltiva.

Ordinanza n°36080 Corte di Cassazione

Nel caso trattato con l’ordinanza n. 36080/2021, l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto a notificare collettivamente agli eredi del contribuente una cartella di pagamento. Gli eredi avevano proposto ricorso e si erano opposti alla stessa indicando come motivazione la rinuncia all’eredità con efficacia retroattiva, in applicazione dell’articolo 521 del codice civile, presentata però successivamente alla notifica.

Il tribunale in primo e in secondo grado (Commissione Tributaria Provinciale e Regionale), avevano accolto la tesi del contribuente. La CTR aveva addirittura azzardato come motivazione il fatto che non vi era la prova sufficiente del fatto che gli eredi avessero il possesso dei beni. L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che il domicilio fissato presso l’immobile oggetto dell’eredità poteva essere considerato prova del possesso.

A questo punto l’Agenzia delle Entrate si rivolge alla Suprema Corte che capovolge le pronunce del giudice di prime e seconde cure.

Secondo l’Agenzia delle Entrate gli eredi non avevano provveduto a dimostrare di avere presentato l’inventario dei beni nei termini previsti e di conseguenza erano divenuti eredi a tutti gli effetti.

La Corte di Cassazione ha effettivamente sposato la tesi dell’Agenzia delle Entrate, la questione è stata quindi rimandata alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione che dovrà quindi dirimere la questione.

Come comportarsi in caso di eredità

In sintesi, se non si vuole essere esposti al rischio di dover pagare i debiti del de cuius è necessario provvedere ad accettare con beneficio dell’inventario, oppure rinunciare all’eredità. Se però si è già in possesso dei beni dell’eredità occorre entro tre mesi redigere l’inventario. Se non si provvede si sarà tenuti a pagare i debiti del de cuius. nel nostro caso erano verso l’Agenzia delle Entrate, ma potrebbero esservi anche altri creditori che comunque potrebbero aggredire l’eredità e in caso di incapienza i beni degli eredi.

Per conoscere la procedura per eseguire correttamente la rinuncia all’eredità, leggi l’articolo: Rinuncia all’eredità: caratteristiche, limiti e procedura

Prelievo dal conto corrente del defunto: è ammesso?

Quando un congiunto viene meno è necessario regolare i vari rapporti patrimoniali dello stesso. Di fatto nell’immediato può essere necessario avere delle somme disponibili per far fronte a spese immediate, ad esempio quelle funebri che sono rilevanti. In questi casi la prima cosa che fanno il coniuge/convivente e i figli o altri parenti stretti, è tentare un prelievo dal conto del defunto per far fronte a tali oneri, ma il prelievo dal conto corrente del defunto è ammesso?

Prelievo dal conto del defunto: non si può fare

Alla domanda:  il prelievo dal conto corrente del defunto è ammesso? La risposta più semplice è no, ma di fatto, la banca non è tenuta a informarsi sulle condizioni di salute del suo correntista e, fino a quando non riceve la comunicazione di decesso del correntista, non interviene sul blocco del conto.

D’altronde, la comunicazione deve essere effettuata dagli eredi anche tramite PEC, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno o di persona, ma di certo non è il primo pensiero degli stessi, tranne nel caso in cui sospettino delle attività di prelievo poco consone e quindi si premurino di comunicare alla banca il decesso.

In caso di morte di un congiunto non si possono fare operazioni al bancomat dal suo conto

In caso di morte di un correntista si possono verificare diverse ipotesi, cercheremo di delineare le più comuni. Certamente può essere difficile fare dei prelievi dal conto corrente del defunto direttamente in banca, tranne nel caso in cui si tratti di un soggetto cointestatario del conto oppure con delega, ma di fatto per chi conosce il PIN fare dei prelievi all’esterno tramite bancomat è un’operazione davvero facile e può invece essere difficile risalire in seguito a chi in effetti ha operato sul conto, in questo caso si è però di fronte a un reato. D’altronde è abitudine comune condividere il PIN con il coniuge e in molti casi anche con i figli.

La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza 20678/2017 ha sottolineato che per un figlio non cointestatario del conto del genitore, effettuare prelievi al bancomat con la carta del genitore è reato, ma c’è un esimente nel caso in cui si dimostri che in realtà era stato il genitore a fornire la carta e i codici per il prelievo e per questa ragione il soggetto riteneva di poter operare in tal senso.

In caso di morte questo comportamento deve essere considerato scorretto infatti la pratica consona è avvisare la banca, che blocca il conto tranne i pagamenti costanti, ad esempio nel caso in cui sul conto ci sia la domiciliazione delle utenze. Il conto deve essere bloccato anche nei confronti del cointestatario e di chi ha delega di firma. Si aprono quindi le pratiche successorie, mentre generalmente la banca autorizza il pagamento esclusivamente delle spese funebri.

Cosa succede se dopo la morte e prima della comunicazione alla banca vengono prelevate delle somme?

La prima cosa da sottolineare è che eventuali prelievi non espongono la banca al rischio di dover restituire le somme, anche perché qualunque erede poteva comunicare il decesso alla banca (Corte di Cassazione ordinanza n. 7682/21 del 19.03.2021). Si può però agire nei confronti di chi ha prelevato le somme e fare quindi in modo che le stesse ricadano nell’eredità. Le azioni possono essere esercitate anche nei confronti del cointestatario che abbia svuotato il conto. Su questo punto occorre precisare che se il soggetto che preleva ha anche la qualità di erede, l’aver prelevato esclude la possibilità che in seguito possa rinunciare all’eredità e quindi dovrà anche pagare i debiti del defunto.

Se vuoi saperne di più sulla rinuncia all’eredità leggi l’articolo: rinuncia all’eredità: caratteristiche limiti e procedura

In tutti questi casi è possibile agire in sede civile per far imputare le somme prelevate all’eredità e quindi procedere alla divisione della stessa. Inoltre nel caso in cui si ritenga che il conto sia stato svuotato con dolo e quindi con il preciso intento di danneggiare gli altri coeredi, è possibile presentare anche querela e quindi far aprire un procedimento penale per appropriazione indebita, la querela deve essere presentata entro 3 mesi dalla conoscenza dei fatti.

Conto cointestato: cosa succede?

Nel caso in cui il conto sia a firma congiunta, il cointestatario non potrà operare su esso. Il conto cointestato con firma disgiunta sicuramente crea qualche imbarazzo al momento del decesso, la prima cosa da sottolineare è che in questi casi si ritiene che ogni soggetto intestatario del conto sia proprietario di una quota di uguale misura, quindi in caso di due intestatari ciascuno è proprietario al 50%, ma la firma disgiunta consente a ciascuno dei due di operare anche sull’intero conto, ecco perché il cointestatario potrebbe svuotare il conto prima di comunicare il decesso. Il conto può comunque essere bloccato, basta la comunicazione alla banca della morte di uno dei cointestatari effettuata da parte di uno dei coeredi, in seguito possono essere compiute operazioni sul conto solo se autorizzate da tutti i coeredi.

Certamente questo può creare dei problemi al cointestatario, facciamo il caso di due coniugi con conto cointestato e firma disgiunta su cui viene si accredita la pensione. Sulle somme giacenti entrambi i contestatari sono proprietari al 50%, quindi solo il 50% deve essere diviso tra i coeredi e tra questi vi è proprio il coniuge, ma di fatto la banca in seguito alla comunicazione del decesso in via cautelativa può bloccare il conto e il cointestatario potrebbe avere difficoltà anche a riscuotere la propria pensione.

Coeredi possono rivalersi su chi ha effettuato i prelievi anche se cointestatario?

I coeredi possono comunque recuperare le somme riscosse dopo la morte, ma solo la quota inerente il defunto, quindi il 50% se sono due intestatari, mentre non possono recuperare le somme prelevate nell’imminenza della morte, tranne nel caso in cui riescano a dimostrare che in realtà il soggetto era privo di capacità di intendere e di volere oppure se le somme sono confluite su un altro conto. In questo secondo caso è possibile dimostrare che vi sia un intento fraudolento.

Nel caso in cui gli eredi vogliano ricostruire i movimenti effettuati sul conto del defunto, devono semplicemente farne richiesta alla banca che non può rifiutare.Per ottenere il rendiconto è necessario presentare un atto notorio da cui emerge la qualità di erede e il certificato di morte.

Come estromettere il coniuge separato dall’eredità?

E’ possibile estromettere il coniuge separato o divorziato dall’eredità? Per saperlo, dobbiamo conoscere la modalità con la quale i coniugi si sono separati, da essa, infatti, dipende la risposta.

L’esclusione dal testamento dopo la separazione

Per legge, la separazione legale è il periodo che intercorre tra la fine del matrimonio, ma non di tutti i diritti da esso derivanti, e il divorzio che ne sancisce la fine definitiva. La separazione consensuale ha una durata di sei mesi, mentre quella giudiziale dura un anno. Uno dei diritti che viene mantenuto in questo lasso temporale è il diritto di successione. Ma, esistono delle eccezioni.

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Entrando nel dettaglio, quando la separazione avviene addebitata a uno dei coniugi, la separazione non può essere consensuale, bensì giudiziale. In tal caso, l’ex coniuge perde ogni diritto alla successione ereditaria. In linea di massima, il coniuge separato potrà essere estromesso dall’eredità tramite testamento.

Impugnazione del testamento

Qualora venisse escluso dall’eredità il coniuge separato tramite testamento, ci sono tre condizioni che devono essere presenti affinché si possa impugnare il testamento, e sono:

  • la coppia sia ancora separata ma non divorziata;
  • all’ex coniuge non sia stata addebitata la separazione;
  • il marito sia morto prima del divorzio.

La separazione non legale

Nel caso in cui i due coniugi abbiano deciso di separarsi solo di fatto, ovvero che ognuno abbia iniziato a vivere separatamente, ma senza formalizzare la separazione legalmente, i coniugi è come se non fossero separati. Pertanto, non sarà possibile escludere l’altro coniuge dall’eredità, in quanto quest’ultimo avrà diritto a una parte del patrimonio in qualità di erede legittimario o necessario.

L’estromissione dal testamento dell’ex coniuge dopo il divorzio

Con la pronuncia di divorzio vengono a cadere tutti i dubbi legati al come escludere l’ex coniuge dall’eredità, in quanto la rottura del vincolo matrimoniale provoca la perdita dei diritti successori, indipendente dalla presenza o meno di un testamento.

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In caso di morte, cosa spetta al coniuge sopravvissuto?

In una situazione normale, ovvero in mancanza di una separazione o di un divorzio, il coniuge rappresenta un erede necessario che ha dunque diritto a una quota del patrimonio del de cuius. La ripartizione varia a seconda della presenza di figli.

Al coniuge sopravvissuto spetta metà dell’eredità in caso ci sia un solo figlio a cui spetta l’altra metà. In presenza di due o più figli, quest’ultimi hanno diritto a due terzi dell’eredità, mentre al coniuge un terzo.

In mancanza di figli, ma anche di discendenti e ascendenti, al coniuge spetta l’intera eredità, in quanto erede universale.

In tutti gli altri casi che prevedono la mancanza di figli, ma la presenza di fratelli oppure di genitori o ancora di discendenti e ascendenti, il coniuge ha diritto a due terzi dell’eredità.

Per quanto concerne la casa coniugale, il coniuge sopravvissuto ha diritto ad abitarci in quanto costituisce la residenza di famiglia. Inoltre, mantiene il diritto di successione anche in caso di eventuale contratto di locazione. L’unica cosa da fare è volturare l’affitto.

Anche se gli altri eredi diventano proprietari dell’immobile, non possono privare il coniuge superstite di vivere nella predetta abitazione fino alla fine dei suoi giorni. Tale diritto si perde in caso di separazione e si mantiene, invece, quello alla pensione di reversibilità.

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Accettazione tacita di eredità: il caso della vendita immobiliare

L’accettazione tacita di eredità è sempre motivo di dissapori nelle vendite immobiliari. E’ un concetto abbastanza nuovo legato alla continuità.

Accettazione tacita di eredità: cos’è?

Spesso quando si vuole rivendere un immobile pervenuto per eredità, come la successione, al momento del rogito notarile c’è un problema. Il notaio chiede di redigere l’accettazione tacita di eredità. L’articolo 476 del codice civile introduce il concetto di accettazione tacita e così redita: “L’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede“. Il chiamato è il venditore che compie un atto cioè la vendita, che presuppone che sia erede, altrimenti non potrebbe agire in tal senso.

Accettazione tacita di eredità: quando si deve fare?

La prassi più diffusa prevede di eseguire l’accettazione tacita di eredità nei 20 anni dalla morte del defunto. Di solito oltre i 20 anni è viene richiesta, perché l’acquirente ha la possibilità di far valere l’istituto dell’usucapione tutelandosi, così, da eventuali diritti da lui acquistati sui singoli beni. Ad esempio, mettiamo il caso in cui in una famiglia muore il padre. Occorre predisporre la dichiarazione di successione che deve essere presentata dagli eredi, dai chiamati all’eredità, dai legatari. Si fa entro 12 mesi dalla data di apertura della successione, che coincide, generalmente, con la data del decesso del contribuente. Solo quando gli eredi dovranno fare un atto, come ad esempio una vendita dell’immobile ricevuto, sono tenuti a fare l’accettazione tacita.

Ma perché si deve fare?

In merito all’argomento è la domanda che i notai si sentono fare più spesso. E la risposta è abbastanza semplice. Così facendo il venditore garantisce l’acquirente che il suo acquisto non potrà mai essere messo in discussione. Possiamo quindi dire che il motivo principale per il quale è necessaria tale formalità è la tutela dell’acquirente e della banca mutuante se presente. Questo perché potrebbe capitare che chi vende è solo un erede apparente, mentre il reale erede sia una terza persona. E se quest’ultimo rivendica il suo bene, l’acquirente deve restituirlo. Tale rischio non si realizza con questo atto a favore dell’erede apparente purché l’acquirente dell’immobile sia in buona fede.

Altri motivi previsti in cui va trascritta

Oltre al rischio esaminato, ci sono anche altri motivi che richiedono la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità. I più importanti sono:

  • rispetto del principio della continuità delle trascrizioni. Tutta la vita dell’immobile e i relativi passaggi, come vendita, donazioni, sono trascritti. Se non venisse fatto questo atto, mancherebbe l’anello che lega l’ultimo acquirente, l’erede/venditore e il nuovo acquirente;
  • nel caso in cui l’immobile sia sottoposto a procedura esecutiva, il Giudice delle Esecuzioni, senza questo atto, deve dichiarare l’improcedibilità della procedura e la cancellazione del pignoramento;
  • l’istituto della c.d. pubblicità sanante non si costituisce. Tale istituto consente a colui che acquista in buona fede un bene immobile di salvare il proprio acquisto anche nel caso in cui i titoli di provenienza siano invalidi. Purché siano decorsi cinque anni dalla trascrizione dall’atto viziato di nullità. Ed inoltre non sia stata trascritta una domanda giudiziale di impugnativa dell’atto stesso.

Quanto costa fare l’accettazione tacita di eredità?

Quando si stipula questo tipo di atto ci sono due tipi  di oneri da pagare, quelli fiscali e quelli professionali. I primi riguardano delle quote fisse:

  • 200 euro di imposta ipotecaria;
  • 59 euro di imposta di bollo;
  • 35 euro di tassa ipotecaria.

Mentre i secondi oneri, quelli professionali, sono legati al soggetto che li esegue. Di solito un notaio chiede tra i 100 e i 400 euro più Iva. Potremmo dire che è a discrezione del notaio decide quale sia il suo compenso. Come del resto succede con qualsiasi tipo di atto notarile. Pertanto il consiglio è sempre quello di valutare i vari preventivi notarili prima di decide a quale professionista affidarsi.

Come va divisa un eredità?

Molto spesso le ultime volontà possono essere una bella gatta da pelare e anche fare testamento, in alcuni casi potrebbe essere uno step non proprio da fare ad animo leggero, soprattutto quando ci possono essere più eredi in vista. Ma, ancor più complesso diventa quando non vi è alcun testamento a sancire la divisione. In tanti, infatti, si chiedono come va divisa un’eredità? Lo scopriremo in questa rapida guida.

Come si divide un’eredità?

E’ ben noto che in presenza di un notaio, le ultime volontà poste a testamento vanno rispettate e quindi l’increscioso compito della suddivisione spetta al futuro defunto. Il testamento è una dichiarazione scritta, con la quale ciascuno può stabilire la sorte del proprio patrimonio dopo la sua morte. Per esempio, quando il testatore vuole che un certo bene vada esclusivamente a una persona determinata, oppure vuole dividere egli stesso il proprio patrimonio tra gli eredi.

Ma cosa accade quando non vi è alcun testamento pronto, in cui il defunto avrebbe dovuto esprimere i suoi lasciti? Vediamo, in breve, cosa può accadere nel dividere l’eredità.

Dunque, qualora il defunto ha un solo figlio, l’eredità viene divisa a metà tra costui e il coniuge. Se invece i figli sono due o più, a questi spettano complessivamente i due terzi del patrimonio ereditario, da dividere tra loro, e al coniuge rimane il restante terzo.

Se, invece il defunto non aveva figli, al coniuge spettano i due terzi del patrimonio ereditario.

Fratelli e genitori del defunto, cosa gli spetta?

Ad ogni modo, qualora non vi fossero i figli del defunto, l’eredità come potrebbe essere spartita tra i parenti al di fuori del nucleo famigliare, ma comunque prossimi?

Come detto, al coniuge del defunto, spettano comunque due terzi dell’eredità, in caso di mancanza di figli.

Quando il coniuge concorre con i fratelli del defunto, a questi spetterà un terzo dell’eredità. Lo stesso accade quando il coniuge concorre con i genitori del defunto. Se invece, insieme al coniuge, sopravvivono al defunto sia genitori che fratelli, questi si dividono per capi la quota di eredità a loro spettante (che è sempre, nel complesso, di un terzo), ma ai genitori spetta almeno un quarto dell’eredità, quindi ai fratelli rimane ben poco.

In mancanza di figli e di un coniuge (nei casi di persone mai sposatesi e mai attivatisi in prole), l’eredità è divisa tra genitori e fratelli del defunto. La divisione si fa sempre per capi, ma ai genitori è riservata almeno la metà dell’eredità.

Dunque, in pratica, da questa scala di “importanza” di successione, in mancanza di testamento, si può appurare che fratelli e sorelle di un defunto sono in un certo senso gli ultimi beneficiari, mentre il coniuge è il più prossimo beneficiario.

Quando l’eredità finisce allo Stato

Tuttavia, in mancanza di testamento, vi è una ulteriore possibilità di smaltire le grazie ereditarie. Ovvero, che tutto ciò che il defunto lascia, vada nelle mani dello stato. Quando può accadere?

In caso di assenza di coniuge e figli, l’eredità si divide tra ascendenti e collaterali, come abbiamo poco sopra visto; In assenza di coniuge, figli, ascendenti e collaterali, l’eredità va tutta ai parenti entro il sesto grado; Ma, qualora il defunto non lasciasse nessuno (neanche parenti di sesto grado), l’eredità andrà tutta allo Stato, che raccoglie a mani piene e ringrazia.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed esaustivo da sapere in merito alla suddivisione ereditaria, ora non vi resta che prepararvi serenamente le ultime volontà, oppure attendere che piova uno zio d’America dal cielo.

Le alternative agli investimenti alternativi

 

La terra ha un valore, in quanto bene scarso, ed il suo valore è tanto più rilevante quanto lo sono le potenzialità di sfruttamento che offre, in relazione alla richiesta di mercato attuale o prospettica. Maggiore è la capacità di comprendere l’evoluzione della richiesta, maggiore è la possibilità di ottenere plusvalore dal terreno acquistato.

Un terreno edificabile, oggi, può avere scarsa appetibilità per il futuro, considerando l’inflazione di offerta sul mercato immobiliare e la scarsezza di domanda. Con le dovute eccezioni, perché in zone ad elevato potenziale turistico o di sviluppo economico, le prospettive di incremento, anche a breve, del valore, sono molto incoraggianti.

I terreni, in generale, contraddicono un principio rilevante per gli investimenti alternativi, la loro facilità di trasporto; un appezzamento, quindi, subisce tutte le eventuali ripercussioni di problemi sociali e  politici che dovessero insorgere nel corso del tempo. Anche perché, altra caratteristica che contraddice i principi, il terreno ha un orizzonte temporale di lungo o lunghissimo periodo. Inoltre, gravano come  spade di Damocle, gli incrementi di tassazione o la possibilità di confisca, per ragioni pubbliche o per scelte politiche, dei possedimenti in questione.

Nonostante queste contraddizioni, ritengo utile diversificare il patrimonio anche con l’acquisto di terreni, sempre che ci si faccia aiutare, nella scelta, da consulenti che debbano vendervi nulla.

Considero un valido investimento alternativo sopratutto i terreni agricoli, per diverse ragioni.

Prima di tutto, un terreno agricolo può divenire terreno edificabile, quindi aumentandone il valore in maniera esponenziale. Non credo sia una condizione che si verificherà facilmente nei prossimi anni, considerata la crisi immobiliare attuale, la enorme quantità di offerta di immobili, la contrazione di domanda e di popolazione. Con le debite eccezioni di luoghi ad elevato potere di espansione, in grado di attirare investitori stranieri.

Ma nel lungo periodo, potrebbe accadere che torni una certa “fame di immobili nazionali” e di conseguenza di terreni su cui edificare.

In secondo luogo, i diritti di sfruttamento del sottosuolo, che normalmente rimane di proprietà dello Stato, possono far lievitare il valore nel caso di scoperte di giacimenti di materie prime utili all’industria.

In terzo luogo, è plausibile che ci sarà, nei prossimi anni, un ritorno alla coltivazione della terra; se pensate alle molte persone senza un lavoro e a quelle che potrebbe perderlo, l’unica soluzione sarà quella di coltivare, in proprio o conto terzi, prodotti necessari al mantenimento della popolazione.

Ancora, sta aumentando il consumo di legno pregiato da costruzione, sia per ragioni ecologiche che di costo, ed è plausibile che la tendenza continui nei prossimi 20 anni. Potrebbe essere un ottimo investimento possedere un terreno su cui è possibile coltivare teak, ad esempio.

Un problema può essere la reperibilità di terreni agricoli interessanti e non troppo estesi, perché esistono diritti di prelazione per i coltivatori  e per i confinanti, addirittura è difficile sapere che un determinato terreno è in vendita. Ma non è impossibile, basta riferirsi a professionisti seri ed affidabili.

 

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Le alternative agli investimenti alternativi

 

Come già detto in precedenti occasioni, è importante assecondare gli interessi che ognuno di noi ha. Quindi, se le auto e i veicoli d’epoca sono la vostra passione, possono rappresentare un valido investimento alternativo.
Alcuni problemi sono comuni agli oggetti di arte e antiquariato; lo stoccaggio può richiedere spazi molto ampi, sopratutto se si possiedono molti veicoli, e gli spazi devono essere adeguatamente protetti da “incursioni” di potenziali ladri o vandali.
Ci sono anche costi da sostenere, collegati alla circolazione dei mezzi in questione (assicurazione e bollo, anche se ridotti rispetto alle auto recenti), alla protezione (assicurazione, impianti di allarme, sorveglianza), alla manutenzione o al restauro. Questi costi possono incidere anche pesantemente sul bilancio famigliare, quindi sono da valutare a priori e con attenzione.
In generale, come per altri beni rifugio già visti in precedenza, più un veicolo è raro, più ne aumenta l’appetibilità presso i collezionisti, e quindi il suo prezzo è stabilito da chi lo possiede, non dal mercato; questo perché non esiste un mercato se siete il proprietario dell’unica Bugatti rimasta al Mondo, ma esistono dei collezionisti interessati e disposti a spendere cifre folli per averla. O disposti a compiere atti folli per sottrarvela.
Nel mondo del collezionismo, entrano in gioco anche altri fattori. Ad esempio, un’auto che è stata guidata da un personaggio famoso, assume un valore maggiore rispetto alle altre, valore direttamente collegato alla notorietà del personaggio. Oppure una moto prodotta in un periodo limitato e con un motore ma più utilizzato. Cose così.
Queste considerazioni valgono un pò per tutti gli oggetti da collezione, che siano francobolli o fucili ad avancarica.
C’è però la possibilità di commisurare l’acquisto di oggetti da collezionismo in base alle proprie finanze. E’ un discorso già affrontato in precedenza: se il vostro patrimonio è di 1 milione di euro, e vi piacerebbe comprarvi un’auto d’epoca che vale 250 mila euro, forse non fa per voi, perché significherebbe investire il 25% del patrimonio in un solo bene.
Ma magari è possibile acquistare una moto altrettanto rara che però vale “solo” 50 mila euro, cioè il 5% del patrimonio complessivo.
Se ampliamo il discorso ad altri oggetti da collezionismo, la scelta si allarga molto e ci sono collezioni, rare ed interessanti, adatte a tutte le tasche. E diversificabili, cioè ne potete comprare di diverse tipologie.
MI vengono in mente i francobolli, le armi d’epoca, i dischi, i bastoni da passeggio, e ci saranno mille altre cose che si possono prendere in considerazione. Attenzione, però: sto parlando di oggetti da collezione veri, cioè rari o unici, con un valore certificato e riconosciuto. Quindi è da escludere tutto il ciarpame che potete trovare nelle varie fiere e mercatini dell’antiquariato. Perché? Devono essere beni che proteggono il patrimonio, quindi vendibili e il cui valore, possibilmente, cresca nel tempo.
In ogni caso, sarà bene ponderare adeguatamente le scelte di investimento, con l’aiuto di un planner patrimoniale esperto ed indipendente, che non abbia nulla da vendervi.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis