Agroalimentare italiano sempre più forte in Cina

L’export agroalimentare italiano verso la Cina sta registrando dati sempre più positivi, che hanno portato, a fine 2017, ad un aumento del 18%, superando i 460 milioni di euro a valore.
Ciò, confermato anche da Coldiretti, è stato possibile anche perché l’Italia, nell’anno appena trascorso, è stata visitata da 1,4 milioni di cinesi, approdati nel Belpaese perché considerato più sicuro rispetto ad altre mete turistiche europee, e che, una volta arrivati qui, hanno potuto conoscere la nostra indiscussa e inestimabile ricchezza agroalimentare che vanta ben 292 prodotti Dop e Igp, 523 vini Docg, Doc e Igt e 5.047 specialità alimentari tradizionali.

Spesso, infatti, accade che i turisti rimangano rapiti dal food Made in Italy e, una volta tornati a casa, siano presi dalla voglia di riassaggiare gli stessi sapori, portando così ad un incremento delle richieste e di conseguenza dell’export.

I prodotti più amati rimangono quelli della nostra tradizione, a partire dal vino che, con 120 milioni di euro registra un balzo del 21% nel Paese asiatico, l’olio d’oliva con oltre 40 milioni di euro segna una crescita del 41%, i formaggi aumentano del 34% e la pasta sale del 20%, arrivando a 23 milioni di euro.
Questi dati hanno contribuiti ad un ribilanciamento, dopo che nel 2017 alla crescita dell’export era seguito anche un calo del 10% delle importazioni italiane dalla Cina.

Si tratta di dati molto importanti, determinati anche da alcune cruciali decisioni prese dal governo cinese, che ha rimosso il bando sulla carne bovina tricolore e ha dimezzato i dazi all’importazione su alcuni prodotti cardine della gastronomia Made in Italy  come Parmigiano Reggiano, Grana Padano e altri formaggi stagionati oltre che per Gorgonzola (da 15/12% a 8%), formaggio grattugiato e fuso e acquaviti di vino (da 10 al 5%), vermouth (da 65 a 14%), pasta e salsicce/salami (da 15 a 8%).
Ad ottobre, inoltre, la Cina aveva anche deciso di rimuovere il blocco alle importazioni di Gorgonzola, Taleggio e altri formaggi erborinati, a crosta fiorita o muffettati deciso a fine agosto scorso per un improvviso irrigidimento nell’applicazione delle norme sull’import dall’Unione Europea.
A maggio inoltre è stato anche deciso di aprire il mercato a limoni, arance e mandarini di origine italiana.

Vera MORETTI

Export Made in Italy in aumento nel prossimo quadriennio

Il Rapporto Export pubblicato da SACE “Export Unchained. Dove la crescita attende il Made in Italy” delinea, per l’export italiano, quattro anni di profondi cambiamenti, ma caratterizzati da una profonda accelerazione.
Ciò significa che nonostante gli allarmi circa le limitazioni al commercio e l’incertezza di alcuni fattori, le opportunità per le esportazioni Made in Italy non sono destinate a diminuire. Per questo, lo studio SACE prevede per il quadriennio 2017-2020 una crescita dell’export del 4%.

Queste stime sono state rese possibili da mercati in grado di generare 85 miliardi di export italiano nel 2016, che rappresentano circa il 20% del totale e che nel 2020 varranno più di 100 miliardi.
Dopo i Paesi europei ad alto reddito, dunque, saranno quelli emergenti a fare la differenza, a cominciare da Arabia Saudita, Brasile, Cina, Emirati Arabi, India, Indonesia, Kenya, Messico, Perù, Qatar, Repubblica Ceca, Russia, Stati Uniti, Sudafrica e Vietnam a diventare destinazioni imprescindibili e quindi vere e proprie risorse.
Anche grazie a queste geografie, che rappresentano un quarto della variazione delle vendite all’estero tra il 2017 e il 2020, l’export italiano tra tre anni sfiorerà i 490 miliardi.

I dati sono positivi, nonostante un 2016 deludente, che ha portato ad un aumento esiguo dell’1,2%, probabilmente causato anche dalla Brexit e dalla vittoria di Donald Trump.

Il 2017, invece, si sta muovendo in controtendenza, con una netta ripresa dell’export italiano e, più in generale, del commercio internazionale, aumentato del 3,5%.
Se la media dell’incremento dell’export a fine anno sarà del 3,8%, nel settore dei servizi sarà invece del 4,3%, con le esportazioni dei beni che cresceranno del 4%.

Tra le aree geografiche più dinamiche si segnalano i tradizionali partner europei e nordamericani, oltre alle economie asiatiche e dell’Europa emergente. In Nord America è attesa la performance migliore nel 2017 (+4,9%). Nell’area asiatica, le opportunità per le nostre imprese sono ampie e diffuse. Le criticità di diverse economie dell’Africa Subsahariana, invece, non consentiranno di andare oltre una stabilizzazione delle vendite nell’area nell’anno in corso, con le eccezioni positive di Ghana, Kenya e Senegal. L’America Latina sperimenterà infine nel prossimo biennio una lenta ripresa, dopo aver registrato una contrazione dell’attività economica nel 2016.

Vera MORETTI

L’export Made in Italy è in ottima salute

Il Made in Italy sembra godere di ottima salute, tanto che, da quest’anno e almeno fino al 2020, sembra che il suo export sia destinato a salire del 4%, invece dell’1,7% di media che si era registrato negli ultimi anni.
Queste cifre sono state presentate dal rapporto Italy Unchained sull’export elaborato da Sace e appena presentato nella sede della Borsa Italiana a Milano.

La percentuale in netto aumento sta a significare una sola cosa: non ci sono solo i mercati più affezionati ai prodotti italiani a trainare le esportazioni, ma anche quelli emergenti, che stanno quindi registrando exploit davvero sorprendenti.
Non solo, dunque, Nord America e la zona dell’Asia e del Pacifico, ma tutti i mercati sembrano rispondere positivamente al Made in Italy, nonostante gli ostacoli della Brexit, della politica scelta da Trump e delle guerre in Medio Oriente.

Andando più nel dettaglio, se la parte del leone è ancora quella degli Stati Uniti (+4,9%) e dell’Asia (+4,6%), con Cina, India e Indonesia in pole position, va bene anche l’Europa avanzata (+3,4% e una prospettiva di 41 miliardi da qui al 2020), e l’Europa emergente (+2,9%).

Più contenuti Medio Oriente, e Nord Africa (+2,1%), che comunque tengono nonostante le difficoltà geo-politiche, mentre un segnale di ripresa arriverà dall’America Latina, che torna in positivo dell’1,7% nel 2017, dopo una brusca frenata nel 2016 (-6%).
Meno bene l’Africa sub-sahariana, che invece andrà solo verso una lieve stabilizzazione (-0,4%), nonostante le isole felici di Ghana, Kenya e Senegal.

Secondo queste più che rosee previsioni, inoltre, a fine 2020 l’export italiano sfiorerà i 490 miliardi, con una progressione che prevede 433 miliardi nel 2017, 450 nel 2018 e 468 nel 2019.

Per quanto riguarda i settori nei quali è prevista una maggiore crescita, spicca la chimica, che registrerà il tasso di crescita più elevato (6,3% nel 2017 e 5,8 nel 2018-2020), poi la meccanica industriale, che anche nel nuovo quadriennio ripeterà le ottime performance registrate nel 2016, aumentando ulteriormente del 2,2%. I mezzi di trasporto registreranno un aumento del 5% nel 2017 e del 5,4% tra il 2018 e il 2020.

Vera MORETTI

Formaggi Made in Italy sempre più apprezzati all’estero

I formaggi Made in Italy vanno forte all’estero, ma non altrettanto si può dire quando si tratta del mercato nazionale.
Questo è il quadro presentato da Giuseppe Ambrosi, presidente riconfermato di Assolatte, durante l’assemblea che ne ha sancito la rielezione.

Se, grazie all’export, che a fine 2016 ha superato le 388mila tonnellate per un controvalore di 2,4 miliardi, e un incremento del 7%, la bilancia commerciale si è chiusa con un attivo di 867 milioni, è anche vero che tra i confini domestici l’industria lattiero casearia si sta dimostrando sofferente, sia a causa della stasi dei consumi, sia a causa del cambiamento, in alcuni casi radicale, delle abitudini alimentari delle famiglie, che sempre più spesso scelgono prodotti sostitutivi.

E proprio questa tendenza ha fatto scendere del 19,1% gli acquisti di formaggi, del 24,8% quelli di latte, del 15,4% quelli di yogurt, a vantaggio del consumo di prodotti di origine vegetale.

Ma, sebbene questo sia lo scenario attuale, negli ultimi tre mesi un campione di aziende ha mandato un segnale di controtendenza con una media del +4,9% di aumento dei fatturati. In particolare (+7,3%) per le piccole aziende, considerate più aggressive, flessibili e veloci nel rispondere alle variazioni di mercato e di acquisto.

Ha detto Ambrosi in proposito: “Però è presto per tirare un sospiro di sollievo perché la strada da percorrere è ancora lunga e difficile. Il gap tra l’Italia e gli altri Paesi si allarga in modo preoccupante. Occorre lavorare alle vere criticità del nostro Paese, prima tra tutte la scarsa competitività, che è all’origine di buona parte dei nostri problemi. Le inefficienze del sistema-Paese si trasformano in costi che solo le imprese italiane devono sostenere. Costi che ci fanno essere meno competitivi dei colleghi europei, che provocano inefficienze e portano alla chiusura delle imprese. Costi che, purtroppo, stimolano anche la delocalizzazione”.

Per quanto riguarda le esportazioni, invece, i formaggi italiani piacciono sempre di più, con la Francia primo acquirente mondiale (82.234 tonnellate, + 8%) ma molto bene sono andati anche i mercati di Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Cina, Giappone, Corea del Sud a cui si aggiungo performance interessanti nei Paesi Baltici e dell’Est Europa.

Tra le tipologie, i più apprezzati sono i formaggi freschi, dei quali si sono esportate ben 123 mila tonnellate, e tra questi ovviamente la mozzarella la fa da padrona, tanto da aver raggiunto le 84mila tonnellate con un aumento dell’11%, per un valore che supera i 392 milioni di euro.
Al secondo posto grana padano e parmigiano reggiano, con 89mila tonnellate (+4,1%) e 820 milioni di euro (+7%). Significativo anche il contributo del gorgonzola, che supera le 20mila tonnellate e i 119 milioni di euro.

Vera MORETTI

Saldo positivo per l’export Made in Italy nell’Area mediterranea

L’Ufficio Studi di Confartigianato ha reso noti i dati relativi all’export Made in Italy nell’Area Mediterranea, ed è emerso che l’Italia è attiva nei diciassette Paesi che ne fanno parte con 29,4 miliardi di euro di prodotti manifatturieri, rappresentativi del 7,4% dell’intero Made in Italy.
Da questi Paesi, inoltre, il Belpaese importa 15 miliardi di prodotti, per un saldo commerciale positivo di 14,4 miliardi.

Il flusso di export si concentra in particolare sui sei Paesi principali, dove avvengono ben l’81% di vendite: nel dettaglio la Turchia da sola assorbe quasi un terzo (32,2%) delle vendite (9,5 miliardi di euro), seguita all’Algeria con il 12,5% (3,7 miliardi), dall’Egitto con il 10,2% (3,0 miliardi), dalla Tunisia con il 9,4% (2,8 miliardi), da Israele con l’8,4% (2,5 miliardi) e dalla Croazia con l’8,3% (2,4 miliardi).
Per quanto riguarda la dinamica nel 2016 le esportazioni verso l’Area del Mediterraneo diminuiscono dell’1,2% in controtendenza rispetto al totale delle esportazioni manifatturiere che sono in crescita dell’1,2%.
I settori a maggior concentrazione di micro e piccole imprese assorbono quasi un quarto (23,5%) dell’export manifatturiero verso l’Area del Mediterraneo (6.907 milioni di euro) e in questi settori l’export sale dell’1,5%, in controtendenza rispetto al totale export manifatturiero.

Questo calo dell’export manifatturiero nell’Area del Mediterraneo dipende in primo luogo dalla riduzione pari a un quarto (-26,2%) dei prodotti da raffinazione del petrolio ma, se si considerano i risultati al netto di questi prodotti, allora l’export appare in crescita del 2,6%.

Considerando i Paesi principali dell’Area con esportazioni superiori ad un miliardo di euro nel 2016 risultano in crescita il Marocco con il 10,3%, l’Egitto con il 6,9% ed Israele con il 1,7%, mentre all’opposto il risultato peggiore è quello dell’Algeria con l’export in calo del 10,0%.
I settori di MPI in territorio positivo sono le Altre industrie manifatturiere, che comprendono soprattutto gioielleria, bigiotteria ed occhialeria, in salita del 5,7%, e Mobili (entrambi con il 7,6%), Alimentari (3,9%), Prodotti in metallo, esclusi macchinari e attrezzature (2,4%) e Tessili (0,5%).

Vera MORETTI

India, il prossimo obiettivo dell’export Made in Italy

Tra i Paesi BRIC, a sorpresa quello dalle maggiori potenzialità, anche a livello di export, si sta rivelando l’India, che, quindi, potrebbe rappresentare una risorsa fondamentale per le piccole e medie imprese italiane.

Più della Cina, infatti, l’India sta diventando una potenza a livello globale nel settore manifatturiero, e questo potrebbe dare vita a sinergie con le imprese italiane del comparto con opportunità di business impensabili fino a poco tempo fa.

Per aiutare le PMI a non farsi trovare impreparate, da SACE, SIMEST e ICE arriva la nuova guida all’obiettivo India dedicata alle imprese.

Tra i settori del Made in Italy che potenzialmente possono sfruttare maggiormente le opportunità offerte dall’India, SACE cita: automotive, infrastrutture e costruzioni, energie rinnovabili, meccanica strumentale, ICT e Farmaceutica.

Ciò è possibile grazie ai notevoli passi avanti compiti dall’India, che ha fatto crescere il PIL del 4,5% all’anno, con un ritmo di sviluppo dell’economia del 7%, superiore a quello della Cina, una classe media di 200 milioni di persone, circa il 15% della popolazione pari a 1,3 miliardi di abitanti e un Governo che punta proprio a far emergere la cosiddetta neo middle class, che conta ulteriori 380 milioni di individui.

Il Paese offre inoltre un’ampia e giovane forza lavoro a basso costo, poiché non ancora adeguatamente specializzata, che lo pone in una posizione di vantaggio competitivo rispetto ad altre nazioni vicine, come Vietnam, Indonesia e Cina.

Ovviamente, trattandosi di un Paese ancora in via di sviluppo, l’India presenta delle criticità che vanno assolutamente studiate, per studiare strategie su misura, come la distribuzione del reddito per nulla uniforme a livello territoriale e di fasce economiche, le infrastrutture che presentano ancora diverse carenze che provocano inefficienze all’economia del Paese, un apparato pubblico e privato ancora caratterizzato da lentezze e inefficienze, una crescita economica resa difficile da un debito pubblico in aumento e dai crescenti livelli di crediti deteriorati presenti nei bilanci delle banche, oltre ovviamente alle misure protezionistiche introdotte con lo scopo di favorire le produzioni locali.

Per poter essere aggiornati su tutti questi aspetti, c’è a disposizione delle imprese la guida ICE,SACE e SIMEST, che può essere richiesta direttamente sul sito SACE.

Vera MORETTI

Export Made in Italy messo a rischio a causa delle politiche protezionistiche estere

Rete Imprese Italia, durante l’Assemblea” Confini: i nuovi scenari internazionali e la stabilità del nostro sistema produttivo” ha lanciato un allarme che preoccupa non poco e che sembra indicare una forte debolezza del nostro Made in Italy.
Sembra, infatti, che l’export, a causa di instabilità politiche, conflitti e ondate protezionistiche rischi di perdere il 56,4% di quando viene portato fuori dai confini, percentuale che equivale a 235,1 miliardi di euro.

Solo nelle aree del mondo attraversate da conflitti o situazioni geopolitiche delicate, come Medio Oriente, Federazione Russa, Nord Africa, America centro-meridionale e Turchia, si concentra il 14,8% dell’export italiano, pari a 61,7 miliardi di euro. E proprio in queste zone nel 2016 si è assistito ad un calo del 5,7%, con picchi negativi in Medio Oriente (-6,7%). A seguire l’America centro-meridionale (-6,2%), la Russia (-5,3%), il Nord Africa (-5,0%) e la Turchia (-3,8%).

Ciò significa che la situazione potrebbe anche peggiorare, se gli Stati Uniti decidessero davvero di attuare politiche ferree a carattere protezionistico, anche se ci sono anche altre zone fortemente a rischio, a cominciare dal Regno Unito a causa della Brexit e i cinque Paesi dell’Area Schengen, Austria, Danimarca, Germania, Norvegia e Svezia, che hanno temporaneamente ripristinato i confini ed i controlli doganali in relazione alla crisi dei migranti e la Francia a seguito delle misure di sicurezza per la persistente minaccia di terrorismo.

In questi mercati si concentra il 41,6% dell’export italiano che totalizza un valore di 173,4 miliardi di euro.

Nel dettaglio, negli Stati Uniti esportiamo per 36,9 miliardi; nei 6 Paesi dell’area Schengen che hanno adottato restrizioni il nostro export vale 114 miliardi e nel Regno Unito il valore delle nostre esportazioni è pari a 22,5 miliardi. Nel totale di questi otto mercati l’export italiano nel 2016 è aumentato del 2,8% rispetto all’anno precedente.

Vera MORETTI

Export Made in Italy in forte ripresa

Buone, anzi, buonissime notizie per il Made in Italy arrivano dall’export, che finalmente si presenta in congiunzione positiva con dati che fanno ben sperare anche per il prossimo futuro.

Si tratta di un recupero che coinvolge tutte le aree, a cominciare dai Paesi più abituali, come Stati Uniti e Cina, ma anche Francia, Spagna e Germania, quest’ultima in pole position tra i dati positivi registrati, perché la ripresa riguarda anche i paesi extra Ue e, in generale, l’Europa intera.

L’impennata è iniziata a novembre 2016, con uno scatto del 5,7% su base annua, che ha dunque evidenziato il miglior dato dallo scorso agosto.
Si tratta di un progresso importante, visibile anche nel dato mensile destagionalizzato (+2,2%), che è riuscito a migliorare il bilancio del 2016, fino a quel momento non particolarmente brillante, se consideriamo che nei primi 11 mesi la crescita è pari allo 0,7%, che raddoppia all’1,5% escludendo dal calcolo l’energia.

Ma quali sono i settori che hanno saputo trainare il Made in Italy verso questo risultato positivo?I dati resi noti dall’Istat dicono che in vetta ci sono i mezzi di trasporto, poi gli autoveicoli, rispettivamente a 18,4 e 13,7%, seguiti da sostanze e prodotti chimici (13,4), farmaceutica (12%) e abbigliamento (9,6%).

Vera MORETTI

Export made in Italy, un buon 2015

Il 2015 è stato un anno importante per l’export del made in Italy, che ha superato per la prima volta il record di 400 miliardi di euro di controvalore (413,7, +3,7% su base annua). Una performance aiutata soprattutto dalla crescita del settore auto, il cui export è aumentato di oltre il 30%, ma che alla cui progressione hanno contribuito anche altri settori chiave per made in Italy come l’agroalimentare, l’elettronica, la farmaceutica e la chimica.

A ben vedere, i buoni risultati dell’export made in Italy sono stati aiutati anche dalla rivalutazione del dollaro, tanto che il risultato finale sarebbe un +0,8% in volumi. Export made in Italy extra Ue nel 2015 in progresso del 3,6%, intra Ue del 3,8%.

A proposito di rivalutazione del dollaro, nel 2015 i maggiori importatori di prodotti made in Italy sono risultati gli Stati Uniti: +20,9% per un controvalore di 36 miliardi di euro e un avanzo di 22 miliardi, grazie alle buone performance di auto, farmaceutica e macchinari.

In totale, il saldo commerciale annuo per l’Italia nel 2015 ha superato i 45 miliardi, oltre 3 miliardi in più rispetto al 2014, grazie sì al buon andamento dell’export, ma anche grazie soprattutto al calo della bolletta energetica dovuto al crollo del prezzo del petrolio. Calo che ha consentito al nostro Paese un risparmio di oltre 10 miliardi.

Numeri da record per l’ export italiano

Il valore aggiunto che il made in Italy dà alla nostra economia è sempre più forte quanto più forti diventano le esportazioni dei nostri prodotti di qualità. E l’ export italiano va a gonfie vele, almeno stando a un rapporto presentato nei giorni scorsi da Confartigianato.

Secondo le cifre messe insieme dall’associazione degli artigiani italiani, negli ultimi 4 trimestri l’ export italiano ha toccato quota 113,8 miliardi, cifra pari al 7,1% del Pil, con un aumento di 4,6 miliardi, +4,2% rispetto allo stesso periodo del 2014. Solo nei primi sei mesi del 2015 l’ export italiano di prodotti realizzati dalle nostre Pmi è stato di 57,1 miliardi, +2,6 miliardi e +4,9% rispetto ai primi sei mesi del 2014.

Stando ai dati di Confartigianato, l’ export italiano è andato forte soprattutto negli Usa (8,4 miliardi), a Hong Kong (3,8 miliardi), in Giappone (2,5 miliardi), negli Emirati Arabi (2,2 miliardi) e in Corea del Sud (1,4 miliardi).

Per quanto riguarda i settori campioni dell’ export italiano, le cosiddette 3F (food, fashion e furniture, cibo, moda e arredamento) si confermano saldamente al comando con un +6,7% nel primo semestre (alimentari), +5,7% (mobili) e +3,7% (abbigliamento).

I dati di Confartigianato rilevano che la geografia interna dell’ export italiano è sostanzialmente un affare a cinque. Tante sono infatti le regioni che, da sole, detengono l’80% del valore delle esportazioni delle Pmi: Lombardia (24,9%, 14.226 milioni di euro), Veneto (21,4%, 12.249 milioni), Toscana (12,5%, 7.153 milioni), Emilia-Romagna (12,2%, 6.953 milioni) e Piemonte (9%, 5.150 milioni).

Secondo il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, “i piccoli imprenditori sono campioni della qualità manifatturiera italiana e contribuiscono a mantenere in attivo la nostra bilancia commerciale. L’Expo di Milano ha potenziato la propensione delle imprese artigiane a lavorare sui mercati esteri. C’è ancora molto da fare per rilanciare la nostra economia e rivitalizzare i consumi interni, ma i risultati che presentiamo oggi per l’ export italiano realizzato dalle piccole imprese devono richiamare l’attenzione del Governo: la Legge di stabilità ha aperto la strada che ora va percorsa con decisione soprattutto sul fronte della diminuzione del carico fiscale sulle imprese”.