Rider nuove tutele dall’Unione Europea

Negli ultimi anni si è affermata sempre più la professione dei rider. Si tratta di lavoratori molto ricercati il cui compito è effettuare, nel più breve tempo possibile consegne a domicilio utilizzando mezzi agili come bici e scooter. Naturalmente non mancano rider in auto. Nella maggior parte dei casi sono usati per le consegne di cibo e il loro numero si è moltiplicato durante l’emergenza Covid.

Purtroppo però non sempre le condizioni di lavoro sono adeguate, ecco perché l’Unione Europea è intervenuta con una disciplina che dovrà essere applicata in tutto il territorio e quindi anche in Italia. Ecco cosa cambia per i rider.

Rider, stretta sulle false partite Iva

La disciplina prevista dall’Unione europea per i rider mira in primo luogo a evitare il fenomeno delle false partite Iva che in realtà nasconde sfruttamento. Attualmente in Unione Europea ci sono circa 28 milioni di rider e la maggior parte di loro figura come lavoratore autonomo. Questa pratica prevede che i datori di lavoro per evitare di pagare contributi previdenziali e assistenziali e di applicare i contratti di lavoro, chiedono all’aspirante rider di aprire una partita Iva, in questo modo gli oneri ricadranno sul lavoratore che dovrà versarli decurtandoli dai compensi ricevuti. Il rischio è ottenere dei compensi effettivi insufficienti a una vita dignitosa.

Per evitare questa pratica la nuova disciplina dell’Ue prevede l’inversione dell’onere della prova al fine di ottenere il contratto da lavoratore dipendente. Insomma non sarà il lavoratore a dover dimostrare che il rapporto di lavoro si configura con gli elementi caratteristici del lavoro dipendente e non del lavoro autonomo, ma sarà il committente/datore di lavoro a dover dimostrare che effettivamente il lavoro si svolge in modalità tale che il rider possa essere considerato lavoratore autonomo.

Come determinare se il rider svolge lavoro autonomo o dipendente?

L’Unione europea ha fissato i criteri per delineare se trattasi di lavoro autonomo o dipendente:

  • previsione di norme inerenti aspetto e abbigliamento;
  • previsione di norme di comportamento;
  • limiti alla quantità di denaro che possono ricevere gli addetti;
  • restrizioni alla possibilità di rifiutare un incarico;
  • determinazione degli orari di lavoro.

Nel momento in cui nel rapporto di lavoro vi sono almeno 3 di queste caratteristiche il lavoratore può chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da autonomo a dipendente con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano delle tutele sociali.

La normativa prevede inoltre che i lavoratori siano informati sull’eventuale utilizzo di sistemi di monitoraggio del lavoro.

Leggi anche: Svolta dell’Europa: i rider sono lavoratori dipendenti

 

Si apre la caccia alle false partite Iva

Da una parte il popolo delle partite Iva e le associazioni professionali stanno tartassando il governo perché metta mano al pasticcio fatto nei loro confronti con la recente legge di stabilità. Dall’altra, il governo prova a cominciare a mettere qualche pezza cercando di intervenire nei confronti delle cosiddette false partite Iva, nascoste sotto rapporti di lavoro subordinato e comunque interessate alla battaglia che si sta combattendo intorno al mondo dei professionisti.

Del resto, non poteva passare inosservato ai volponi di governo, Inps e Agenzia delle Entrate il numero esagerato di aperture di nuove partite Iva registrato a novembre 2014, quando le nuove aliquote previdenziali e i limiti di reddito previsti per il regime dei minimi stavano convincendo vere e false partite Iva a mettersi al riparo.

Gli ispettori dei suddetti enti hanno quindi cominciato a verificare i casi di presunzione automatica della subordinazione, ossia quelli in cui le false partite Iva sono in realtà lavoratori assunti. Si calcola infatti che su 5,5 milioni di partite Iva attive, circa 3 milioni siano riconducibili a lavoratori autonomi senza dipendenti. Di questi circa 800mila hanno un unico cliente e il 35-40% di loro (meno di 400mila) è costituito da false partite Iva. 

E se queste false partite Iva vengono accertate, gli ispettori prendono in considerazione tre indicatori per capire se far scattare o meno la presunzione di un rapporto di lavoro subordinato; se due su tre di questi indicatori sono presenti contemporaneamente, ecco che questa presunzione scatta e gli ispettori potranno decidere la trasformazione del rapporto in contratto in collaborazione coordinata e continuativa o contratto a tempo indeterminato.

I tre indicatori sono:
– postazione di lavoro fissa per la partita Iva nella sede del committente;
– durata della collaborazione della partita Iva non superiore agli 8 mesi annui per due anni consecutivi;
– soglia dell’80% dei corrispettivi annui dovuti alla collaborazione nell’arco di due anni consecutivi.

Se tre indizi fanno una prova, in questo caso due indicatori fanno le false partite Iva. Tutto molto bello, ma alle partite Iva vere, quando saranno date delle risposte convincenti per fermare il massacro in atto?

Alessandrucci: “Basta discriminare le partite Iva”

Sono passati diversi giorni dalla pubblicazione dei dati dell’Osservatorio sulle partite IVA sulle nuove aperture nel mese di aprile (-3,3% rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente), ma il polverone suscitato dai numeri deludenti non accenna a placarsi. Dopo le interviste della settimana scorsa ad Anna Soru e Mauro Bussoni, oggi abbiamo incontrato Emiliana Alessandrucci, presidente CoLAP.

Nei giorni scorsi il ministero dell’Economia ha reso noti i dati relativi alle nuove partite Iva aperte nel mese di aprile che certificano un calo del -3,3%, come leggere questo dato?
Il calo delle partite iva era un dato che prevedevamo; e ne conosciamo bene le cause: costi, difficoltà del mercato, assenza di attenzione dalle Istituzioni. Se guardiamo i dati della gestione separata dell’INPS ci rendiamo conto che i professionisti in media guadagnano intorno ai 900 euro netti al mese, sono sotto la soglia della sopravvivenza! L’iva, il contributo previdenziale al 27 % rendono insostenibile la libera professione; i vincoli imposti da Regioni, dallo Stato, da tutta una serie di prescrizioni (oggi anche il MISE decide di obbligare l’iscrizione alle camere di commercio ai professionisti associativi, senza dare in cambio NULLA e in controtendenza rispetto alle iniziative del Governo che tendono a chiudere le CCIA!)non permettono la crescita del nostro settore, nonostante abbiamo competenze, esperienze e innovazione da proporre al mercato. Quello di cui necessitano i nostri professionisti non sono finanziamenti dopanti, ma apertura di opportunità che parta dalla rimozione di vincoli; stiamo lavorando ad un emendamento al codice degli appalti che permetta di inserire tra i soggetti affidatari dell’appalto pubblico anche i professionisti associativi ai sensi della legge 4/2013, questa è l’apertura di nuove possibilità a costo zero; stiamo contribuendo alla riformulazione del titolo V della Costituzione per riportare le professioni sotto l’egida dello Stato, le Regioni troppo spesso in autonomia hanno creato blocchi e sbarramenti alla libera circolazione dei professionisti in Italia… Se il Governo comincerà a riconsiderare il mercato del lavoro includendo anche tutti i lavori flessibili e autonomi questo nostro Paese sarà in grado di offrire nuova occupazione e a progettare la Sua ripresa.

Quando saranno riscontrabili le prime inversioni di tendenza?
Inversioni di tendenza ci saranno solo se verranno attuati provvedimenti volti a valorizzare il lavoro autonomo e la piccolissima impresa; non si può prevedere una ripresa senza: abbassamento della percentuale contributiva della gestione separata dell’INPS, esigibilità delle tutele previste, implementazione delle opportunità professionali. I nostri professionisti hanno diritto all’attenzione degli altri lavoratori.

Andando più nel dettaglio, rispetto ad aprile dello scorso anno, si registra un aumento di aperture delle società di capitali (+12,6%), come si spiega un aumento così importante di queste forme giuridiche assunte da imprese di medie e grandi dimensioni operanti nei diversi settori produttivi?
Non esiste una sola risposta a questa domanda; i fattori che hanno incentivato la crescita delle grandi società di capitale possono essere tante: l’attenuazione della responsabilità e del rischio individuale, la possibilità di accesso ai grandi appalti, la sicurezza di un sistema di welfare che supporta i lavoratori delle grandi imprese e quindi le grandi imprese, l’esigenza di creare strutture capaci per dimensione e capitale di nascere in Italia (usufruendo di diversi incentivi e benefit) e spostarsi poi in paesi a basso costo di manodopera, a fisco ridotto, a tutele inesistenti. L’Italia resta ancora un paese fortemente “industriale”, a carattere produttivo. Ma credo che una visione politica ed economica lungimirante dovrebbe tendere a promuovere un processo di terziarizzazione più forte e competitivo. Siamo ancora un paese che produce “cervelli” e questo dobbiamo imparare a valorizzarlo, a valorizzare le competenze, la capacità di trasferirle, e di fare innovazione; questo è il lavoro del terziario a disposizione della produzione; noi troppo spesso ci concentriamo sul fattore produzione senza pensare ai valori aggiunti che il nostro paese, le nostre risorse sono in grado di offrire.

Jacopo MARCHESANO

Soru: “Nuove partite Iva in calo? Triste, ma inevitabile”

Come annunciato ieri, i dati resi noti dall’Osservatorio sulle partite IVA sulle nuove aperture nel mese di aprile (-3,3% rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente) non posso indurre certamente all’ottimismo. Ne abbiamo parlato oggi con Anna Soru, presidente dell’ACTA (Associazione Consulenti del Terziario Avanzato) che da dieci anni sostiene il lavoro professionale in una situazione di mercato sempre più difficile, che fatica a riconoscere le competenze e a valorizzare conoscenze e professionalità.

Nei giorni scorsi il ministero dell’Economia ha reso noti i dati relativi alle nuove partite Iva aperte nel mese di aprile che certificano un calo del -3,3%, come leggere questo dato?
E’ un indicatore che conferma uno stato non proprio brillante dell’andamento del lavoro autonomo e imprenditoriale,  ma da solo va considerato con cautela, perchè le nuove attività andrebbero non solo contate, ma valutate rispetto alla loro consistenza economica e perchè in parallelo andrebbero considerate anche le cessazioni.  Tra i pochi dati forniti dall’Agenzia vi è la distribuzione settoriale. Si osserva che i dati più negativi interessano l’edilizia e i settori connessi (inclusi servizi di ingegneria e attività immobiliari), la finanza (attività assicurative soprattutto), il commercio, i servizi legali e di contabilità, le ricerche di mercato, l’insieme dei servizi professionali. Aumentano alloggio e ristorazione, agricoltura, magazzinaggio e logistica, supporto alle funzioni d’ufficio, non proprio attività ad elevato valore aggiunto… Infine tiene l’informatica e aumenta anche l’area editoria e media e la R&S, che resta però su valori assoluti molto contenuti.

Quando saranno riscontrabili le prime inversioni di tendenza?
Il più presto possibile si spera, ovviamente. Ma soltanto quando ci sarà una ripresa della domanda sarà evidente una primissima inversione di tendenza rispetto a questi numeri che non inducono certo all’ottimismo, dato che l’andamento delle nuove attività è sensibile al ciclo economico.

Andando più nel dettaglio, rispetto ad aprile dello scorso anno, si registra un aumento di aperture delle società di capitali (+12,6%), come si spiega un aumento così importante di queste forme giuridiche assunte da imprese di medie e grandi dimensioni operanti nei diversi settori produttivi?
L’aumento delle società di capitali non necessariamente è legato all’aumento delle dimensioni delle imprese, al contrario va letto in connessione con le norme che facilitano l’apertura di società a responsabilità limitata, come le srl a 1 euro.

Jacopo MARCHESANO

Popolo delle partite Iva tra numeri e scarse tutele

Come ogni mese, il ministero dell’Economia comunica i dati relativi alle nuove partite Iva. Stando ai freddi numeri, a febbraio ne sono state aperte 50.915, con una riduzione dello 0,7% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. La quota relativa alle persone fisiche si attesta al 72,7% del totale, le società di capitali sono il 20%, le società di persone il 6,7%, mentre la quota dei cosiddetti “non residenti” e “altre forme giuridiche” sono solo lo 0,6%.

Rispetto al febbraio 2013, le nuove società di capitali sono le uniche che registrano un aumento (+11,5%), mentre calano le società di persone (-13,9%), così come le aperture intestate a persone fisiche (-2,3%)

Circa il 43% delle nuove partite Iva è al Nord, il 22,5% al Centro e il 34,5% al Sud ed Isole. Gli incrementi maggiori anno su anno si sono avuti nella Provincia Autonoma di Trento, in Calabria ed in Campania, mentre le flessioni più forti si sono registrate in Valle d’Aosta, Friuli e nella Provincia Autonoma di Bolzano. Il commercio continua a registrare il maggior numero di aperture di partite Iva pari al 23% del totale, seguito da attività professionali 16% ed edilizia 9,5%.

Detto questo, che cosa spinge una persona, oggi ad aprire una partita Iva, dal momento che la categoria pare godere di sempre meno tutele? Tralasciando il solito qualunquismo anacronistico di certa parte del sindacato (recentemente il segretario della Cgil Susanna Camusso ha parlato degli “evasori” che lavorano a partita Iva), va sottolineato come il recente Jobs Act del presidente del Consiglio Renzi abbia messo sul piatto la proposta di integrazione delle buste paga dei lavoratori dipendenti con 80 euro al mese e come questa misura sia stata fortemente criticata dall’Acta, l’associazione del terziario, per il fatto che ad usufruirne non siano anche i lavoratori indipendenti.

All’obiezione il ministro del lavoro Poletti ha risposto che il Jobs Act contiene misure per i precari delle partite Iva, quando si occupa della liberalizzazione dei contratti determinati (ossia agevolazioni fiscali per i primi tre anni di assunzione a tempo determinato) che dovrebbe portare alla diminuzione dei rapporti di dipendenza nascosti dietro false partite Iva. Un po’ poco per una figura, quella del partitivista, in continua evoluzione.

Chi lavora a partita Iva, oggi, è un imprenditore, un professionista, una falsa partita Iva ma anche un lavoratore indipendente spesso iscritto alla gestione separata Inps e, se giovane, inquadrato nel regime dei minimi. Una categoria per la quale la pressione fiscale è la stessa dei lavoratori, dipendenti ma senza le medesime tutele. E parliamo di circa 1 milione e mezzo di persone.

Delle 527mila partite Iva aperte nel 2013, il 78.4% è relativo a a persone fisiche e di queste il 50% si riconduce ad under 35. Un fenomeno, quindi da considerare in tutta la sua urgenza, visto che la regolarizzazione di questa categoria di partite Iva deve necessariamente vedere una equiparazione da parte dell’Inps a quella dei lavoratori dipendenti (aliquota media a carico del lavoratore del 9,2%) oltre all’introduzione del salario minimo, stimato sulla base del malefico Ddl Fornero, a 18mila euro lordi annui.

Sicuri che il popolo delle partite Iva possa essere ancora per tanto tempo dimenticato e lasciato a se stesso?

Come ti stritolo la partita Iva

di Davide PASSONI

L’operazione terrorismo portata avanti dal governo sulle partite Iva ha funzionato. Brava Fornero, bravo Monti. A forza di parlare di false partite Iva e a forza di identificare i veri partitivisti come dei parasubordinati nonché potenziali evasori, una delle risorse più importanti per la nostra asfittica economia schiacciata dalla crisi ha poderosamente tirato il freno a mano.

Ad aprile 2012 sono state infatti aperte 46.337 nuove partite Iva: se nel raffronto anno su anno si parla di una flessione del 3%, rispetto a marzo 2011 il calo è stato pari al 25,8%. Non un calo, un crollo. Il dato emerge dalle cifre pubblicate dal Dipartimento delle Finanze, ovvero il gran nemico dei partitivisti. Che potrà dirsi a pieno titolo soddisfatto del risultato.

Il commercio continua a registrare il maggior numero di aperture di partite Iva: il 22,1% del totale, seguito dalle attività professionali con il 14,7%. Considerando i macrosettori produttivi, solo in quello agricolo si registra un aumento di aperture (+4,5%), mentre l’industria accusa la diminuzione maggiore (-8,9%). Consoliamoci con i giovani: il 51,3% delle aperture è operato da giovani fino a 35 anni, scaglione di età unico in aumento rispetto al corrispondente mese del 2011 a +13,6%.

Che cosa pensare, dunque, se non, come detto all’inizio si tratta di un effetto dell’operazione terrorismo fatta sulle partite Iva? Lo avevamo scritto tempo fa: se passassero gli emendamenti al ddl lavoro su co.co.pro. e partite iva, la piccola impresa che vive di commesse e cerca collaboratori per i quali essere a sua volta committente, si troverebbe nell’impossibilità di offrire commesse perché non potrebbe fruire dei servizi di un professionista a partita Iva pagandolo il giusto. La piccola impresa, che vive di un rischio imprenditoriale proprio, non potrebbe permettersi di pagare un salario minimo ai co.co.pro. perché non potrebbe far fronte ai costi aggiuntivi che tale formula prevedrebbe. Per cui, non avrebbe più committenti, di conseguenza nemmeno commesse. In sostanza, fallirebbe. Questo dato sul crollo delle nuove partite Iva aggiunge amarezza ad amarezza. Non solo, infatti, la riforma del lavoro introduce minore flessibilità in entrata soffocando un mercato già ingessato; in più, la stretta sulle partite Iva chiude l’ultimo rubinetto ancora aperto per dare un minimo di lavoro e ossigeno alla piccola impresa. Prima temevamo che sarebbe successo, oggi questo dato sulle partite Iva ce ne dà la certezza.

Altro che “Cresci Italia“, qui ormai siamo “Crepa Italia“.

Fiaip accoglie positivamente le modifiche alla riforma del lavoro

La riforma del lavoro, come era stata presentata inizialmente, non era piaciuta alle categorie di lavoratori professionisti, a causa dei provvedimenti nei confronti delle partite Iva.
Tra le tante, anche Fiaip si era mostrata contraria all’articolo 9 ma ora, con le modifiche apportate al maxi emendamento, si è ricreduta.

Paolo Righi, presidente Nazionale Fiaip, ha infatti dichiarato: “Le modifiche apportate, volte ad escludere le professioni regolamentate dall’applicazione dell’articolo 9, permetteranno ad oltre 10.000 agenti immobiliari di poter continuare a lavorare serenamente, mantenendo la propria individualità e la libertà di iniziativa, così come prevista dalla Costituzione”.

Questo ottimismo è dovuto al fatto che le attività professionali con iscrizione a registri, albi, ruolo o elenchi professionali qualificati, vengono escluse dalla presunzione di collaborazione coordinata continuativa, tra gli altri, gli agenti immobiliari che collaborano a Partita Iva.

Dopo il passaggio del provvedimento e la sua approvazione alla Camera dei Deputati, spetterà al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, fare una ricognizione finale sulle varie attività che verranno escluse.

Vera MORETTI

Ddl lavoro, Alemanno risponde a Elsa Fornero

Le problematiche inerenti a norme contenute nel Ddl lavoro, come le false partite Iva, e l’aumento dell’aliquota previdenziale del Fondo di gestione separata dell’Inps, sono i temi affrontati dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, in un messaggio scritto a Riccardo Alemanno, Presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT).
Nel messaggio del Ministro si legge: “Le questioni sollevate dall’Istituto che lei presiede in merito al disegno di legge di riforma del mercato del lavoro sono oggetto della mia attenzione e valutazione”.

Dopo aver analizzato gli emendamenti presentati al Senato al Ddl lavoro, Alemanno ha così risposto: “Ho preso atto, degli emendamenti presentanti da Relatori e Governo al Ddl sul lavoro, ma non ho trovato alcuna modifica sull’incremento dell’aliquota previdenziale del fondo di gestione autonoma dell’Inps. Ho anche ascoltato il Suo intervento in merito, al video forum del Corriere della Sera, e condivido il fatto che con il sistema contributivo si debba arrivare ad un versamento (risparmio) importante per avere una assegno pensionistico decente, ma il suddetto incremento deve essere maggiormente dilazionato nel tempo e soprattutto, i professionisti (veri) privi di cassa autonoma non possono essere considerati, dal punto di vista della precarietà come i parasubordinati, la loro attività è strutturata e continuativa e l’aliquota previdenziale del 33% rischia di diventare un prelievo dal reddito eccessivo e difficilmente sostenibile, soprattutto da parte dei più giovani. Ribadisco quindi la necessità di un incontro con Lei al fine di valutare, anche al di fuori del Ddl lavoro, un percorso per dare chiarezza alla posizione previdenziale dei professionisti, nella consapevolezza che le loro esigenze previdenziali e le dinamiche del loro reddito sono estremamente differenti rispetto ai parasubordinati ed al mondo del precariato in genere”.

Francesca SCARABELLI

Co.co.pro e partite Iva, specchietti per le allodole

di Davide PASSONI

Partiamo con una domanda: in questo momento di crisi, meglio poco per tanti o niente per nessuno?

Proseguiamo con una valutazione: gli emendamenti al ddl lavoro relativi ai co.co.pro. e alle cosiddette “false partite Iva” proposti da Tiziano Treu (Pd) e Maurizio Castro (Udc) sono una porcata. Che cosa prevedono? Relativamente ai co.co.pro., si introduce il concetto di giusta retribuzione, definita sulla base della media tra le tariffe del lavoro autonomo e dei contratti collettivi. Per le “false partite Iva” si parla di un limite massimo di 18mila euro di reddito lordo annuo: se un professionista a partita Iva guadagna di più, per lo stato è automaticamente una falsa partita Iva. Per cui, cara impresa che di lui ti servi, non saranno valide le presunzioni per far scattare l’assunzione. In più, nella formulazione prevista dal ddl si prevede che le partite Iva siano considerate collaborazioni coordinate e continuative se sussistono due di questi tre presupposti: collaborazione con durata superiore ai sei mesi nell’arco dell’anno, corrispettivo derivante dalla collaborazione superiore al 75% del reddito totale annuo, postazione di lavoro presso la sede del committente. Nell’emendamento si passa a otto mesi e 80%. Poco cambia, per le piccole imprese sarà l’ecatombe.

Tiriamo una prima conclusione. In un periodo in cui ci sarebbe bisogno come il pane di un patto forte tra imprese e lavoratori per non affondare tutti, queste misure vanno esattamente nella direzione opposta. E, soprattutto, sono delle cannonate mortali per le piccole imprese. Le uniche, detto per inciso, che nei momenti più neri della crisi hanno continuato, bene o male, a dare lavoro. Quindi la domanda retorica con cui abbiamo aperto troverebbe una risposta a sorpresa: niente per nessuno.

Ebbene, passassero gli emendamenti in questione, la piccola impresa che vive di commesse e cerca collaboratori per i quali essere a sua volta committente, si troverebbe nell’impossibilità di offrire commesse perché non potrebbe fruire dei servizi di un professionista a partita Iva pagandolo il giusto: sforasse i 18mila euro lordi, sarebbero fritti in due, l’impresa e il professionista. La piccola impresa, che vive di un rischio imprenditoriale proprio, non potrebbe permettersi di pagare un salario minimo ai co.co.pro. perché non potrebbe far fronte ai costi aggiuntivi che tale formula prevedrebbe. Per cui, non avrebbe più committenti, di conseguenza nemmeno commesse. In sostanza, fallirebbe. Il professionista, si ritroverebbe a sua volta senza commessa e senza un reddito. E tanti saluti alla spina dorsale dell’economia italiana.

Tiriamo una seconda conclusione. Queste proposte di modifica arrivano sì dai partiti, ma da quei partiti che sostengono il governo. E sembrano quasi il frutto di una manovra diversiva che prepara alla stangata dell’aumento dell’Iva che a ottobre nessuno, statene certi, ci toglierà. Ovvero: cari lavoratori, vedete come siamo bravi, aumentiamo il potere d’acquisto del vostro reddito dandovi la certezza di uno stipendio! Ma intanto… zac! Due punti in più di Iva e deprimiamo i consumi. E i professori assentono. Non sarà mica che questi tecnici, questi professori che non passa giorno senza che sbandierino la loro apoliticità, si stiano invece preparando a candidarsi nel 2013 e lavorino già sul populismo attira-voti?

Perché lasciare la posizione di AD di un grande gruppo bancario per fare il ministro e prendersi pesci in faccia dal mattino alla sera, peraltro, pensiamo, guadagnando di meno? Perché assumere la guida di un governo e di un’economia alla frutta quando negli ambienti accademici si poteva stare tranquilli tranquilli? Per puro senso dello stato e spirito di servizio? Un tecnico alla guida di un governo e poi, qualche anno dopo, al Quirinale, lo abbiamo già visto. E nel 2013 anche Napolitano lascerà. Che sia tutta propaganda sulla pelle delle imprese? Non lo vogliamo credere, ma se due indizi fanno una prova…

Le modifiche al ddl lavoro proposte da Treu e Castro

Tiziano Treu e Maurizio Castro, relatori al ddl lavoro, hanno presentato le proposte di modifica della riforma, partendo dai salari di base dei cocopro e gli assegni di disoccupazione.

Per quanto riguarda i lavoratori a progetto, nell’emendamento si legge che il loro compenso “deve essere adeguato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e non può comunque essere inferiore, in proporzioni di durata del contratto, all’importo annuale determinato periodicamente con decreto del ministero del Lavoro“.
Lo stipendio equo si ricava dalla media degli emolumenti minimi del lavoro autonomo e di quelli del settore privato.

Per l’assegno di disoccupazione, invece, se si considera un disoccupato che ha lavorato per 6-12 mesi, il compenso una tantum dovrebbe essere di circa 6.000 euro nell’anno successivo.
Si tratta di misure sperimentali, da attuare nei prossimi tre mesi, e che dovrebbero fruttare, per i cocopro, 100 milioni di euro complessivi.

Un emendamento, come ci si aspettava, riguarda le false partite Iva.
In questo caso, il limite minimo viene fissato a 18.000 euro di reddito lordo annuo.
Ricordiamo che, nella formulazione prevista dal decreto legge, le partite Iva andavano considerate collaborazioni coordinate e continuative nei casi in cui sussistano due dei tre seguenti presupposti: collaborazione con durata superiore ai sei mesi nell’arco di un anno, corrispettivo derivante dalla collaborazione superiore al 75% del reddito totale annuo, postazione di lavoro presso la sede del committente.
Con la proposta di Treu e Castro si passa a otto mesi e 80%.

Ma le novità non finiscono qui, perché il ddl lavoro avrebbe, tra le sue novità, anche i voucher per le imprese commerciali e gli studi professionali, che in un primo momento erano stati cancellati dal disegno di legge, ma reintrodotti grazie ad “un’intesa raggiunta tra i partiti della maggioranza e governo, si tratta di emendamenti che non sono frutto della sola intesa politica tra partiti ma anche da parte del governo”.
E i voucher in agricoltura? I relatori dei nuovi emendamenti hanno ribadito “la piena agibilità ma precisando che non si può fare ricorso allo strumento nel caso in cui il titolare sia già un lavoratore iscritto nei relativi elenchi“.

Il lavoro intermittente sarà ancora possibile tramite chiamata, che potrà avvenire anche per sms, per gli under 25 e per gli over 55.

Michel Martone, viceministro del lavoro, ha anche confermato il prossimo sblocco dei bonus di produttività, e ha indicato come proficuo il confronto con i relatori. “E’ stato fatto un discorso importante, anche sulla contrattazione di secondo livello e incentivi a produttività. Da questo punto di vista la posizione e’ di ampio respiro, soprattutto in questo momento di crisi economica. Si tratta di una misura che rappresenta uno sforzo molto importante per gli incentivare il merito”.

Vera MORETTI