I Consulenti del lavoro e il Tfr in busta paga

I Consulenti del lavoro tornano a occuparsi del Tfr in busta paga e lo fanno con una circolare redatta dalla loro Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e diffusa lo scorso 3 aprile, nella quale si approfondiscono alcune questioni legate alla scelta della liquidazione del trattamento di fine rapporto.

Nella circolare, i Consulenti del lavoro analizzano alcuni aspetti della normativa legati ai destinatari, alle misure contributive e fiscali, alle agevolazioni, alle modalità di richiesta e ad altri dettagli.

Secondo i Consulenti del lavoro è bene ricordare che la scelta o meno di destinare parte del proprio Tfr in busta paga sospende temporaneamente gli effetti della disciplina vigente, in quanto misura sperimentale e limitata nel tempi, e non si sostituisce integralmente a essa.

Fatta questa doverosa premessa, i Consulenti ricordano quindi ai lavoratori alcuni punti fondamentali della normativa da avere presenti prima di effettuare la propria scelta. In particolare ricordano che:

  • il Tfr in busta paga è assoggettato al regime fiscale ordinario e concorre a determinare il reddito complessivo del contribuente con ricadute sulle relative imposte sui redditi;
  • la scelta è irreversibile e irrevocabile per il periodo di durata della sperimentazione, ossia fino a giugno 2018.

Siglato a Roma un protocollo tra professionisti

Durante il convegno interdisciplinare “Professioni e società: il rischio penale nelle professioni liberali”, svoltosi a Roma, è stato siglato il protocollo d’intesa tra la Fondazione italiana del Notariato, l’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, la Scuola Superiore dell’Avvocatura e la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro per la collaborazione nello svolgimento e organizzazione di attività scientifiche e culturali d’interesse per i professionisti dell’area giuridico- economica, nonché negli approfondimenti attinenti all’etica, alla deontologia, alla cultura professionale e al ruolo sociale.

E’ la prima volta che in Italia viene stipulato un accordo che abbia l’obiettivo di permettere ai professionisti appartenenti al settore del comparto economico-giuridico di ricevere una formazione e un aggiornamento interdisciplinare, nell’ottica di scambio di conoscenze ed esperienze tra le diverse professionalità.

In seguito a questa intesa, verranno promosse una serie di proposte quali: ricerche, corsi, seminari, conferenze e pubblicazioni volti allo sviluppo e all’aggiornamento professionale in generale e di scambi culturali per i giovani professionisti e tirocinanti.

Per monitorare le attività, verrà inoltre istituito un comitato di coordinamento composto da uno o più componenti per ogni fondazione aderente al protocollo.

Vera MORETTI

Consulenti del Lavoro: ecco come semplificare la burocrazia del lavoro

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha proposto una serie di provvedimenti da seguire per riuscire finalmente a semplificare, e rendere più snello, il mondo del lavoro.

Rosario De Luca, alla guida della Fondazione Studi, ha dichiarato: “La ricetta per semplificare il lavoro c’è, basta attuarla con provvedimenti normativi. Per ora, è uno slogan di grande attualità, ma quando si passa dal dire al fare tutto diventa complicato. Per semplificare concretamente, basterebbe seguire le indicazioni dell’Osservatorio del mercato del lavoro dei consulenti del lavoro. Un punto di osservazione privilegiato del mondo del lavoro che ha come base di studio ben 7 milioni di rapporti di lavoro privati, gestiti negli studi dei professionisti, ben oltre due terzi degli esistenti. Semplificare bene si può. Basta volerlo intervenendo chirurgicamente sulle vere complicazioni burocratiche”.

Ecco i sei punti che sarebbe necessario seguire:

  • La Costituzione. E’ considerata la madre di tutte le semplificazioni. Togliere alle Regioni competenza in materia di lavoro, eliminerebbe una serie di complicazioni e intralci burocratici; oltre che far recuperare per uso collettivo una lunga serie di sperperi che esistono nella gestione della formazione professionale. Riportare allo Stato questa competenza significherebbe semplificare di colpo una serie di istituti.
  • Apprendistato. Non decolla a causa della burocrazia. Esistono infatti 20 diverse regolamentazioni, affidate alle strutture regionali, che ne impediscono un’ampia diffusione a causa delle complesse procedure. E lo strumento principale di avviamento al lavoro dei giovani non riesce a decollare.
  • Registro infortuni. Il nuovo Testo unico per la sicurezza sul lavoro ha abrogato le disposizioni che regolamentavano il registro infortuni, in quanto sostituito nella sua funzione dalla obbligatoria denuncia online. Ma dipende dalle varie Regioni normare l’abolizione dell’obbligo di vidimazione, ormai inutile adempimento ma dalla incredibile sanzione di 15.000 euro. Al momento solo Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia e Lombardia hanno eliminato tale l’obbligo.
  • Cassa integrazione. Anche questo strumento, risultato fondamentale in questi anni per sostenere le famiglie dei lavoratori di aziende in crisi, risente della gestione affidata alla Regioni. Vale il medesimo ragionamento fatto per l’apprendistato: 20 diverse regolamentazioni con tanto di modulistica e modalità di fruizione differenti che creano solo intralci e disguidi a cittadini che attraversano un momento di grande debolezza.
  • Formazione professionale. E’ gestita a livello regionale con assegnazione di fondi ad enti diversi per l’erogazione della formazione ai lavoratori. La casistica fa rilevare molti abusi con assoluta assenza di attività formativa. Un accentramento della gestione non potrebbe che riportare ordine e risparmio in un settore ampiamente critico.
  • Previdenza complementare. Settore ormai indispensabile in supporto alla previdenza pubblica, ma dall’utilizzo disincentivato dall’esistenza di ben 300 diversi fondi complementari e fondi sanitari. Ognuno di essi ha proprie regole per la denuncia degli importi dovuti e per l’incasso delle somme, senza peraltro poter utilizzare la compensazione con altri crediti aziendali. Un’armonizzazione del sistema porterebbe ad un aumento esponenziale dei numeri dei lavoratori aderenti.

Vera MORETTI

Consulenti del lavoro 2.0

I consulenti del lavoro hanno un nuovo portale, aggiornato sia nella veste grafica sia nel motore di ricerca, più veloce e dunque semplice da utilizzare.

A presentare la nuova veste ufficiale dei sito è stata la Fondazione Studi della categoria, che ha anche dichiarato come, per attestare la propria professionalità, la categoria abbia deciso di puntare sulla tecnologia, non solo come simbolo di competenza e capacità, ma anche come supporto ai contribuenti che necessitano di consulti e informazioni in tempo reale.

Per questo, i consulenti del lavoro, come si legge dalla nota emanata dalla Fondazione Studi, hanno deciso di “consolidare, rafforzare e rendere ancora più avanzata la nostra architettura informatica attraverso l’aggiornamento completo di tutti i nostri servizi informatici (portale, forum riservato e forum praticanti, store, web tv ecc..) e l’ottimizzazione degli strumenti utilizzati per l’erogazione dei servizi alla categoria“.

Le credenziali per accedere al portale sono le stesse utilizzate finora dagli utenti per accedere allo store della Fondazione studi.
E chi non si fosse mai registrato nello store potrà ottenere le sue credenziali seguendo direttamente la procedura di registrazione presente sul nuovo portale in home page.

Vera MORETTI

Pos per professionisti: un affare per le banche?

E’ stato calcolato dall’Osservatorio della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro che l’introduzione del sistema di pagamento con carte di credito anche da parte degli studi professionali frutterà al sistema creditizio un utile di 2 miliardi di euro all’anno.

In un’ottica di spending review e diminuzione dei costi, non si tratta certo di una buona notizia.

I 5 milioni di soggetti che in Italia rappresentano le imprese attive, spendono in un anno mediamente 7 mila euro per servizi professionali con un volume di transazioni pari a circa 35 miliardi di euro.
Applicando il 3% medio di commissione bancaria sui pagamenti si arriva a oltre 1 milione di euro in più di incassi per le Banche.

I professionisti ordinistici sono 2.300.000 che dovrebbero dunque installare un Pos con due costi ulteriori: 150 euro circa per il rilascio del bancomat (pari a circa 350 milioni) e altrettanti per canone. Insomma, un regalo da oltre 2 miliardi di euro per il sistema bancario.

Inoltre, la norma prevede che i professionisti potranno accettare solo il bancomat e non le carte di credito, che avrebbero potuto rivelarsi più utili per i pagamenti delle fatture visto che non hanno limiti giornalieri di utilizzo.

Attualmente, il 90% delle transazioni tra professionista e cliente avviene tramite bonifico o assegno bancario.

In realtà, comunque, non sono ancora chiare le tempistiche rispetto all’entrata in vigore di questa norma, perché ad oggi mancano i previsti decreti attuativi del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Vera MORETTI

Chiarimenti sull’anno solare dai consulenti del lavoro

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha voluto chiarire alcuni dubbi che riguardava la definizione di anno solare relativa al lavoro accessorio.

La prima cosa che affermano i consulenti è che non c’è motivo di discostarsi da quanto dice il ministero del Lavoro, secondo cui l’anno solare, per il lavoro accessorio, è stato indicato con uno spazio temporale di 365 giorni che può decorrere da qualsiasi giorno del calendario.

Al fine di verificare il superamento del limite economico stabilito dalla legge, l’azienda deve verificare, anche mediante autocertificazione rilasciata dal lavoratore, che nei 364 giorni precedenti il giorno della prestazione, il lavoratore non abbia percepito compensi di importo superiore al limite applicabile.

Le prestazioni di lavoro accessorio sono attività lavorative, svolte senza l’instaurazione di un rapporto di lavoro. Si tratta di attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare (2.000 euro per imprenditori commerciali e professionisti) annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente.

Vera MORETTI

Ridefinito il contratto per gli addetti ai call center

E’ stato ridefinito da Assocal e Ugl il contratto collettivo per i collaboratori telefonici dei call center, con il benestare dei consulenti del lavoro.

Il settore degli operatori telefonici, da sempre piuttosto controverso in quanto a contratti, necessitava di una regolamentazione ma, data la complessità, le associazioni di categoria hanno chiesto l’intervento dei consulenti, la cui Fondazione Studi ha alla fine dato il via libera.

I consulenti del lavoro non sono nuovi a questo tipo di interventi, poiché era stato chiesto il loro aiuto anche nella definizione dei contratti di lavoro degli “emotional manager – coach – counselor” e per quello dell’area alimentazione-panificazione.

A questo proposito, hanno dichiarato: “Ancora una volta, quindi, viene confermato il ruolo di terzietà interpretato dai consulenti del lavoro a tutela degli interessi delle imprese e dei lavoratori. Una professione chiamata giornalmente a far vivere il diritto del lavoro attraverso una corretta applicazione dello stesso ai casi concreti, che si differenzia e si integra con quello teorico approvato a tavolino, ma che deve essere testato per poter esplicare al meglio i propri effetti“.

Hanno spiegato Assocal e Ugl: “E’ convinzione delle parti stipulanti il contratto collettivo nazionale che lo stesso debba ottenere una valutazione giuridica del testo contrattuale, da parte della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, atteso che la competenza indiscussa dei consulenti del lavoro fa sì che la posizione centrale che essi occupano tra impresa, lavoratori e istituzioni pubbliche, contribuisce, sicuramente ad emettere un parere tecnico, particolarmente significativo, in ordine agli aspetti giuridici, economici, assicurativi, previdenziali e sociali connessi alla formazione di un contratto collettivo di lavoro“.

Anche Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, ha voluto ricordare l’importanza del ruolo dei consulenti, che sono “a disposizione degli altri attori del mercato del lavoro e del ministero del Lavoro per ogni attività ritenuta utile al miglioramento del sistema. In un momento di grandi fibrillazioni sociali, avere certezza delle regole da applicare è fondamentale quanto il rispetto delle stesse“.

Vera MORETTI

La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro si esprime su diffida accertativa e tirocini formativi

L’istituto della diffida accertativa è contenuto nell’art. 12 del D.lgs. 23 aprile 2004, n. 124, attuativo della Legge delega 14 febbraio 2003, n. 30 (art. 8), volta alla “semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica”.

Con il D.lgs. n. 124/2004, il legislatore ha attribuito al personale ispettivo il potere di diffidare il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore, entro un termine prefissato, i “crediti patrimoniali” che risultino dovuti qualora nel corso dell’attività di vigilanza “emergano inosservanze della disciplina contrattuale” (art. 12, c. 1).

L’istituto in questione intende quindi ampliare gli strumenti deflattivi del contenzioso giudiziario e amministrativo, rendendo più celere il riconoscimento di diritti di carattere patrimoniale in favore del lavoratore.

Sebbene la norma utilizzi la locuzione “datore di lavoro”, la diffida accertativa è stata ritenuta applicabile anche ai rapporti di lavoro parasubordinato (co.co.co. e co.co.pro.) “almeno in tutte quelle ipotesi in cui l’erogazione dei compensi sia legata a presupposti oggettivi e predeterminati che non richiedano complessi approfondimenti in ordine alla verifica dell’effettivo raggiungimento o meno dei risultati dell’attività” (v. circolare Ministero del Lavoro n. 24/2004).

Il potere di diffidare il datore di lavoro spetta al personale ispettivo del Ministero del Lavoro, in servizio presso le Direzioni provinciali e regionali. Entro 30 giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può tentare di definire in via amministrativa il contenzioso in atto, promuovendo un tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro; in caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia. Decorso inutilmente il termine di cui sopra o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, attestato da apposito verbale, il provvedimento di diffida acquista valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo.

Avverso la diffida accertativa il datore di lavoro può proporre ricorso all’autorità giudiziaria, oppure tentare la via amministrativa (art. 12, c. 4, D.lgs. n. 124/2004), impugnando “la diffida accertativa, validata dal provvedimento autonomo del direttore della Direzione provinciale del lavoro, entro 30 giorni dalla notificazione, dinanzi al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui all’art. 17, integrato dalle parti sociali, il quale deciderà il ricorso entro 90 giorni dalla presentazione” (Circolare Ministero del Lavoro n. 24/2004; conf. Circolare Ministeriale del Lavoro n. 10/2006).

Se in ordine al procedimento di cui all’art. 12, D.lgs. 124/2004 non sorgono particolari problemi interpretativi, altrettanto non può dirsi per la definizione di “crediti patrimoniali” assoggettabili a diffida. Rientrano certamente nel novero dei “crediti patrimoniali”, diffidabili ai sensi dell’art. 12, gli emolumenti retributivi di qualunque genere attestati dal prospetto di paga consegnato al lavoratore e non corrisposti (si fa riferimento a tutti quei crediti fondati su prova scritta, che legittimerebbero il lavoratore ad agire con ricorso per decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 633 c.p.c.).

Sulla materia è intervenuta di recente la circolare Ministero del Lavoro n. 1 dell’8 gennaio 2013, la quale – in risposta alle richieste di chiarimenti provenienti dal personale ispettivo e dai Comitati regionali per i rapporti di lavoro – ha compendiato le diverse tipologie di crediti indicando, per ognuna di esse, la assoggettabilità a diffida. In particolare, la circolare ha classificato i crediti retributivi nel seguente modo:

1) “crediti retributivi da omesso pagamento”: in relazione a detta specie di crediti è stata affermata la assoggettabilità a diffida;
2) “crediti di tipo indennitario, da maggiorazioni, TFR, etc.”: anche per tale tipologia di crediti, il cui accertamento non implica valutazioni discrezionali da parte del personale ispettivo, il Ministero ha ammesso l’assoggettabilità a diffida accertativa;
3) “retribuzioni di risultato, premi di produzione”: tale tipologia di crediti, legata a valutazioni discrezionali del datore di lavoro, non è stata ritenuta compatibile con la diffida, fatta eccezione per le ipotesi in cui il diritto al trattamento premiale risulti per tabulas (ad es., da una comunicazione del datore di lavoro, o dalla busta paga);
4) “crediti retributivi derivanti da un non corretto inquadramento della tipologia contrattuale”: per questi crediti, che sorgerebbero per effetto di una riqualificazione del rapporto di lavoro (ad es., da autonomo a subordinato), il Ministero ha escluso l’assoggettabilità a diffida accertativa, ritenuta incompatibile con la complessità dell’analisi necessaria per tale riqualificazione;
5) infine, per i “crediti legati al demansionamento ovvero alla mancata applicazione dei livelli minimi retributivi richiesti esplicitamente dal Legislatore in osservanza dell’art. 36 Cost.”, il Ministero ha giustificato l’assoggettabilità a diffida accertativa sulla scorta dell’art. 8 della Legge delega, il quale finalizza l’istituto alla “prevenzione e promozione dell’osservanza della disciplina degli obblighi del rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e dei limiti essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

In senso parzialmente difforme a quanto disposto dalla circolare n. 1/2013, si era espressa la circolare n. 24 del 19 settembre 2011, la quale aveva, però, ad oggetto la sola materia dei tirocini formativi di cui all’art. 11, D.L. n. 138/2011 (norma dichiarata incostituzionale con sentenza 11-19 dicembre 2012, n. 287).

In particolare, la circolare n. 24/2011 aveva esteso l’applicabilità della diffida accertativa all’ipotesi di illegittimità dei tirocini formativi che mascheravano ordinari rapporti di lavoro subordinato (mentre la circolare 1/2013, come visto, non consente la diffida in ipotesi di “non corretto inquadramento della tipologia contrattuale”). Tuttavia, il contrasto tra le due circolari deve ritenersi ormai superato nel senso della prevalenza della circolare n. 1/2013 sulla precedente circolare n. 24/2011, e ciò in ossequio al criterio cronologico (lex posterior derogat legi priori) che regola anche le fonti del diritto di secondo livello (né si Può ritenere la seconda fonte speciale rispetto alla prima, che tratta esclusivamente l’istituto della diffida accertativa).

Nel merito, si può osservare che la qualificazione di un rapporto di lavoro presuppone un’istruttoria approfondita (testimoniale e documentale) che non appare compatibile con l’accertamento tecnico dell’ispettore di cui all’art. 12, D.lgs. n. 124/2004. Pertanto, si comprendono le ragioni di opportunità sottese alla scelta del Ministero, il quale – pur affermando che l’istituto in esame non deve essere relegato in “una sorta di presa d’atto della situazione di fatto, ad una fotografia di quello che era già materialmente e in un certo senso documentalmente esistente” – ha però indicato chiaramente i limiti entro cui detto strumento può essere legittimamente utilizzato.

Lo Sportello Reclami dei Consulenti del lavoro arriva anche ad Equitalia

Era stato inaugurato con l’Inps ed ora lo Sportello Reclami voluto dalla Fondazione Studi Consulenti del lavoro si estende anche all’Agenzia delle Entrate e ad Equitalia.

Per evitare disfunzioni e disguidi, che portano sicuramente a disservizi e ritardi nel disbrigo delle pratiche, lo Sportello Reclami può rivelarsi uno strumento efficace, anche per facilitare il lavoro dei Consulenti.
Inoltre, per agevolare gli utenti, lo Sportello Reclami è anche telematico, per poter segnalare il disservizio ma anche per segnalare eventuali soluzioni per risolvere le problematiche.

I Consulenti dunque raccoglieranno i reclami provenienti da tutto il territorio e li faranno confluire alle tre sedi nazionali tramite il Consiglio Nazionale dell’Ordine.
In primo piano saranno messe le criticità della P.A., sempre più spesso considerata colpevole di ritardi e perdite onerose di tempo e denaro.
Lo Sportello Reclami si appresta a diventare spunto di riflessione e di diffusione anche delle buone pratiche da prendere ad esempio per migliorare il rapporto tra cittadino e pubbliche amministrazioni.

Lo Sportello è attivo collegandosi al sito dei Consulentidellavoro.it.

Vera MORETTI

I Consulenti del Lavoro criticano la Riforma Fornero

Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, ha illustrato le criticità presenti nella Riforma Fornero: “Un elenco di criticità che fanno diventare illusoria la crescita dell’occupazione e che confermano la tendenza alla chiusura delle aziende. Il costo del lavoro è una delle componenti più gravose della gestione aziendale ed è miope, oltre che autolesionista, continuare a ignorarlo. I danni sono sotto gli occhi di tutti, bloccando sviluppo e occupazione. Noi consulenti del lavoro, che gestiamo mensilmente nei nostri studi le posizioni di 7 milioni di lavoratori, segnaliamo da tantissimo tempo questa criticità strutturale ma inutilmente; le attenzioni sono sempre rivolte ad altri problemi“.

Ad essere presi in considerazione sono soprattutto i casi definiti “eclatanti”, colpevoli di aver rallentato, se non addirittura bloccato, le assunzioni, con un conseguente aumento del tasso di disoccupazione.
L’assenza del provvedimento legislativo di proroga della mobilità per il 2013 e del relativo finanziamento comporta un blocco degli incentivi e, conseguentemente, dell’occupazione. Si tratta di uno strumento legislativo che nel tempo aveva consentito di ottenere ottimi risultati di occupabilità; pertanto, visto anche l’aggravarsi delle situazioni di difficoltà economica, per i datori poteva continuare a rappresentare un ottimo stimolo ad assumere“.

Questo significa che, per le assunzioni effettuate dal 2013 di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità licenziati da aziende con meno di 15 dipendenti, così come per eventuali trasformazioni o proroghe effettuate nel 2013, non spettano le agevolazioni, perché la norma non è stata prorogata; in questi casi le agevolazioni sono subordinate ad un nuovo intervento legislativo.

I consulenti del lavoro puntano poi il dito contro i licenziamenti a pagamento: “L’Aspi sostituisce, migliorandolo, il trattamento di disoccupazione ma i maggiori oneri ricadono sulle aziende. Non si comprende perché, a fronte di una pur giusta tutela dei lavoratori, si danneggino i datori di lavoro che procedono ai licenziamenti, dovuti nella maggior parte dei casi all’impossibilità di far fronte a un costo del lavoro elevatissimo cui non corrispondono margini di utile adeguati. Parliamo del cosiddetto contributo di interruzione posto a carico del datore di lavoro che, per motivi diversi dalle dimissioni, decida di interrompere il rapporto in essere con il lavoratore dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato. Il contributo di interruzione è dovuto da tutti i datori di lavoro indipendentemente dal numero di dipendenti occupati (quindi anche inferiore a 15), aggiungendo di conseguenza un nuovo onere contributivo anche in capo alle piccole imprese“.

Anche i contratti a tempo determinato subiranno inasprimenti, che spesso costringeranno i datori di lavoro ad abbandonare questa opzione, e una diminuzione della domanda di manodopera.

E’, poi, prevista la stipula di accordi collettivi o contratti collettivi finalizzata alla creazione di fondi di solidarietà bilaterali, nei settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, volti ad assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa: “In mancanza degli accordi o dei contratti collettivi anzidetti, si procede all’istituzione di un fondo di solidarietà residuale -si spiega – tramite decreto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il ministero dell’Economia e delle Finanze. In entrambi i casi, è stabilito che la gestione finanziaria di detti Fondi dovrà avvenire anche con una contribuzione a carico delle aziende datrici di lavoro“.

Inoltre, l’aliquota della gestione separata riferita ai titolari di altra posizione previdenziale obbligatoria, a partire dall’1 gennaio 2013 è aumentata dal 18% al 20%. Questa aliquota si applica agli associati in partecipazione e ai professionisti che non hanno l’obbligo di versamento ad altra cassa previdenziale.
A partire dal gennaio 2014 anche l’aliquota ordinaria della gestione separata subirà un incremento dall’attuale 27,72% al 28,72%.

Vera MORETTI